Partorito il massacro della Costituzione del '48 da parte della Commissione per le riforme costituzionali
Il premierato prescelto dai "saggi" è una forma di presidenzialismo
La riduzione del numero dei parlamentari e la soppressione del bicameralismo costituiscono un restringimento della democrazia borghese. Lo sbarramento elettorale del 5% e il premio di maggioranza favoriscono le due principali correnti della classe dominante borghese
Poteri mussoliniani al premier

Il 17 settembre la Commissione per le riforme costituzionali ha consegnato la relazione finale al ministro per le Riforme costituzionali Quagliariello (PDL) e al presidente del Consiglio Letta: un ponderoso documento contenente tutte le ipotesi e le proposte di revisione della Costituzione elaborate dai "saggi" nominati l'11 giugno scorso dal governo, contestualmente al varo del disegno di legge che stabilisce il percorso delle controriforme costituzionali.
La relazione parte dalla premessa che la Commissione ha raggiunto un'"ampia condivisione" su alcuni temi, mentre su altri vi sono proposte "nettamente alternative", ma tutte fondate comunque su "obiettivi ampiamente condivisi", che sono gli stessi del gruppo di lavoro dei "10 saggi" nominati da Napolitano il 30 marzo scorso, miranti ad "assicurare efficienza e stabilità al sistema politico", entro la "cornice obbligata" delle regole di finanza pubblica e di politica economica e sociale imposte dalla UE.
In particolare la Commissione si dichiara "unanime" nel ritenere "necessari interventi di riforma costituzionale" riguardanti la riduzione del numero dei parlamentari, il "superamento del bicameralismo paritario" e il "rafforzamento delle prerogative del governo in parlamento", attraverso la fiducia da parte di una sola camera, l'aggiustamento dei regolamenti parlamentari e il voto a data certa sui ddl del governo. A cui vanno aggiunti la revisione del titolo V riguardante le Regioni e le Autonomie locali, con l'inserimento di una "clausola di salvaguardia" per garantire meglio i poteri e le competenze del governo nei loro confronti. E soprattutto la "riforma del sistema di governo, con tre possibili opzioni di scelta: governo parlamentare rafforzato, semipresidenzialismo alla francese e governo parlamentare del Primo Ministro, o premierato forte.
Quest'ultima, caldeggiata fortemente dal rinnegato Violante, autonominatosi coordinatore del Comitato di redazione della relazione, è l'opzione di "compromesso" che ha riscontrato la maggioranza dei consensi, soddisfacendo abbastanza gli oltranzisti del presidenzialismo e "rassicurando" al tempo stesso i fautori del mantenimento dell'attuale forma di governo parlamentare, anche se fortemente rafforzato dalla riforma monocamerale del parlamento e del meccanismo di approvazione delle leggi.
In realtà tutte e tre le proposte sono alternative tra di loro solo in apparenza, e si muovono pienamente, sia pure in forme diverse, sempre nella logica del massacro della Costituzione del '48 e della costituzionalizzazione della repubblica presidenziale neofascista già imperante di fatto da molti anni, così come è stata disegnata nel "Piano di rinascita democratica" e nello "Schema R" della P2 di Gelli, inaugurata politicamente da Craxi e realizzata nella prassi degli ultimi vent'anni dal neoduce Berlusconi e col presidenzialismo di fatto del rinnegato Napolitano.

La controriforma monocamerale del parlamento
Sulla soppressione del "bicameralismo perfetto", come anche sulla riduzione dei parlamentari e dei loro poteri rispetto a quelli del governo, la Commissione si è pronunciata con "un'opinione unanime". Le differenze riguardano solo la scelta se mantenere il Senato solo come "Camera delle Regioni e delle Autonomie", con alcune funzioni di controllo sulle leggi discusse e approvate dalla sola Camera dei deputati, ed eventualmente se eleggerne i delegati in forma diretta (con elezione popolare) o indiretta (da parte dei Consigli regionali ed eventualmente anche comunali). Oppure se accorpare addirittura le due camere in una sola (monocameralismo integrale), per garantire un ancor maggiore "semplificazione istituzionale" e quindi anche maggiore "stabilità di governo".
In ogni caso va ridotto drasticamente il numero dei parlamentari, che nell'ipotesi del mantenimento delle due camere con funzioni distinte scenderebbero a 450/480 deputati e a 150/200 senatori, con il voto di fiducia al governo spettante alla sola Camera dei deputati. Il "bicameralismo perfetto", cioè l'approvazione di una legge nello stesso testo da parte di entrambe le camere, resterebbe in vigore solo per le leggi costituzionali (ma con il nuovo articolo 138 depotenziato in via di approvazione in parlamento proprio per facilitare la controriforma costituzionale del governo Letta-Berlusconi) e per le leggi riguardanti le Regioni e i loro rapporti con lo Stato.
Invece per le leggi ordinarie e quelle cosiddette organiche l'iniziativa legislativa e il voto finale spettano esclusivamente alla Camera dei deputati. Al Senato resterebbe solo il potere eventuale di "richiamare" entro 10 giorni una legge ordinaria od organica già approvata dalla Camera per bocciarla o modificarla entro 30 giorni, altrimenti la legge diventa automaticamente definitiva. E comunque, anche se respinta o modificata dal Senato, una volta rivotata dalla Camera, con lo stesso testo o modificato, la legge si intende approvata in via definitiva e non può più essere richiamata una seconda volta.

Netta alterazione dell'equilibrio dei poteri
Quanto alle leggi cosiddette organiche, si tratta di una categoria introdotta ex novo dalla Commissione per indicare le leggi che si situano tra quelle costituzionali e quelle ordinarie, tra cui si citano ad esempio la legge elettorale, il funzionamento della presidenza del Consiglio, le leggi di "riforma" dell'ordine giudiziario, la recente controriforma dell'articolo 81 che recepisce i vincoli europei di bilancio nella Costituzione. Si tratta quindi a ben vedere di un modo surrettizio per equiparare, dal punto di vista della procedura di approvazione, leggi in realtà di importanza costituzionale a semplici leggi ordinarie, svincolandole dai limiti fissati dall'articolo 138, anche nella nuova formulazione depotenziata: come accadrebbe appunto con la controriforma neofascista e punitiva della Giustizia tanto bramata dal neoduce Berlusconi quanto reclamata ormai ad ogni piè sospinto dal nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano.
Oltre a ciò la Commissione "suggerisce" al parlamento di adottare, in cambio della limitazione della decretazione d'urgenza, "procedure abbreviate" per garantire al governo "tempi brevi e certi" all'esame e all'approvazione dei suoi provvedimenti "particolarmente urgenti": a cominciare dalla proposta del voto a data fissa per le leggi ordinarie, cioè entro un termine determinato previsto da una procedura speciale sulla cui richiesta da parte del governo la Camera deve pronunciarsi entro tre giorni; decorso tale termine il ddl del governo non ancora esaminato dalla Camera (o non ancora approvato nonostante i tempi contingentati dalla Presidenza) è sottoposto forzatamente all'approvazione finale senza modifiche.
Non è difficile capire come l'insieme di tutte queste proposte - riduzione del numero dei parlamentari, soppressione del "bicameralismo perfetto" che assicura un maggior controllo del parlamento sulle leggi e i decreti legge della maggioranza, fiducia monocamerale (a cui come vedremo oltre corrispondono invece restrizioni alla sfiducia) e voto a data certa per i provvedimenti del governo - rappresenti un'alterazione consistente dell'equilibrio tra i poteri legislativo ed esecutivo, col netto indebolimento del parlamento rispetto al governo, alla cui stabilità e preminenza politica e operativa viene data assoluta priorità. Mentre con l'artificio delle leggi organiche si pongono le premesse per una più facile aggressione anche all'autonomia dei magistrati e ad altre tutele costituzionali. Tutto ciò non può che rappresentare quindi anche un netto indebolimento e restringimento della stessa democrazia borghese.

Forme di governo ugualmente presidenzialiste
Molti dei 33 "saggi" della Commissione (erano 35 ma due di loro, la costituzionalista Lorenza Carlassare e l'editorialista de La Repubblica Nadia Urbinati si erano dimesse in precedenza) propugnano apertamente la repubblica presidenziale, con l'elezione diretta del capo dello Stato tramite un sistema a doppio turno alla francese, denominato semipresidenzialismo. Non c'è da meravigliarsi, vista la composizione della Commissione, infarcita di elementi di destra di diretta o indiretta impronta berlusconiana (cfr. Il Bolscevico n. 24/2013). Si arriva perfino all'ipocrisia di ammettere che questa forma di governo "non supera certamente tutti i problemi provenienti dai rischi plebiscitari", e che richiederebbe "un rilevante numero di modifiche costituzionali" (leggi riscrivere da cima a fondo la carta del '48), ma che in definitiva si tratterebbe oggi di problemi "non significativi", e comunque avrebbe un "tasso di innovazione che potrebbe essere particolarmente gradito all'opinione pubblica" (sic).
Ci sono invece quelli che sostengono ancora il modello parlamentare, con un presidente della Repubblica super partes e dotato di poteri di controllo e un governo espresso dal parlamento, ma rafforzato nei poteri da alcuni fattori di "razionalizzazione" rappresentati dalle riforme parlamentari già descritte, a cui aggiungere il meccanismo della sfiducia costruttiva a maggioranza assoluta, la trasformazione della figura del presidente del Consiglio in primo ministro con poteri di nomina e revoca dei ministri, e forse anche della possibilità di sciogliere le camere a certe condizioni.
Alla fine il punto di mediazione tra queste due posizioni è stato trovato sulla "forma di governo parlamentare del Primo Ministro", che ricalca quello della Bicamerale golpista raggiunto nel '97 tra D'Alema e Berlusconi col famigerato "patto della crostata". Un "premierato forte" accompagnato da una legge elettorale con l'indicazione del presidente del Consiglio nella scheda per le elezioni della Camera (elezione diretta), e con l'obbligo formale (non solo di fatto come avviene ormai per "prassi consolidata" dalla discesa in campo di Berlusconi) per il capo dello Stato di nominare premier il vincitore.
Il premier proporrebbe poi al presidente la nomina e la revoca dei ministri, riceverebbe la fiducia della Camera per appello nominale, potrebbe chiedere il voto a data fissa sui provvedimenti del governo, e potrebbe essere sfiduciato solo con una "mozione di sfiducia costruttiva" (che presenti cioè un altro premier e un altro governo sostenuto da una maggioranza alternativa certa), sottoscritta da un quinto dei deputati e approvata a maggioranza assoluta. Qualcuno aggiunge anche il potere del primo ministro di bloccare un'eventuale mozione di sfiducia chiedendo e ottenendo lo scioglimento anticipato delle Camere.

Poteri mussoliniani al premier
Il meccanismo elettorale più "coerente" con il premierato è, secondo i relatori, un sistema proporzionale con voto di preferenza, clausola di sbarramento al 5%, e con un premio di maggioranza che assegni il 55% dei seggi al partito o coalizione vincente che abbia superato una certa soglia, da determinare tra il 40 e il 50% dei voti: in sostanza un "porcellum" corretto, come chiede guarda caso il neoduce Berlusconi. Poi c'è anche chi propone di abolire del tutto la soglia per il premio di maggioranza, ma di assegnarlo in un turno di ballottaggio tra le due formazioni più votate, forse un modo per far rientrare in ballo il maggioritario a doppio turno preferito dal PD.
Sta di fatto che con questi poteri il presidente del Consiglio, una volta "eletto dal popolo" con questo meccanismo elettorale fatto apposta per favorire le due principali correnti della classe dominante borghese, diventerebbe praticamente inamovibile e al di sopra del parlamento e degli altri poteri dello Stato. Specie se passasse la proposta fatta nella relazione che alla quarta votazione il presidente della Repubblica sia eletto con voto di ballottaggio tra i due che hanno riportato più voti, col che anche il capo dello Stato sarebbe espressione del partito del premier, cioè ai suoi diretti ordini. E specie se a tutto ciò si aggiungesse la controriforma della giustizia che mira a sottomettere l'ordine giudiziario al potere esecutivo. Bisognerebbe allora risalire alla dittatura fascista di Mussolini per ritrovare una così mostruosa concentrazione di potere nelle mani di una sola persona.
Non a caso il rinnegato Violante (PD), che sedeva accanto al ministro Quagliariello nel presentare il lavoro della Commissione ha definito il premierato "asse centrale" di tutta la relazione, sottolineando come "mai come questa volta si è prodotta una proposta coerente", e che "in ogni caso le commissioni parlamentari avrebbero impiegato mesi a fare le audizioni". Sottintendendo con ciò che grazie ai 33 "saggi" ora il governo Letta-Berlusconi ha già mano il lavoro mezzo fatto e il parlamento ha la strada rigidamente tracciata e delimitata, e quindi si può procedere speditamente ed entro i tempi fissati da Napolitano alla controriforma neofascista e presidenzialista della Costituzione.


25 settembre 2013