Il premier bulgaro costretto alle dimissioni dalla piazza

Il premier bulgaro Boyko Borisov annunciava il 20 febbraio di fronte al parlamento le dimissioni del suo governo e dichiarava che il suo partito, la formazione di centrodestra Gerb, non avrebbe partecipato al probabile "governo elettorale" che porterà la Bulgaria alle elezioni anticipate. Solo il giorno avanti, in una conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri, aveva escluso categoricamente le proprie dimissioni: "per me e per il mio partito Gerb le dimissioni sarebbero la scelta più facile ma porterebbero il paese al disastro". Le dimissioni di Borisov erano invece invocate a gran voce da giorni nelle piazze da centinaia di migliaia di manifestanti in rivolta contro la politica di austerità del suo governo, richiesta e avallata dall'Unione europea (Ue), e in particolare contro la liberalizzazione nel settore energetico che in pochi mesi ha portato al raddoppio delle bollette.
Nella giornata del 20 febbraio migliaia di manifestanti erano scesi in piazza a Sofia e si erano scontrati con la polizia. Gruppi di giovani manifestanti attaccavano le forze antisommossa della polizia con lancio di pietre, bottiglie e petardi e fronteggiavano le cariche degli agenti. Il bilancio degli scontri era di 14 feriti e 25 manifestanti arrestati. Manifestazioni si svolgevano in molte altre città bulgare e costringevano il governo Borisov a dimettersi.
La liberalizzazione del settore energetico era stata varata in pompa magna dal governo lo scorso luglio in applicazione delle liberalizzazioni richieste dalla legislazione della Ue. Nella legge varata dal parlamento era scritto che tutti i consumatori di energia elettrica in Bulgaria potranno scegliere da sé il proprio fornitore, tra le tre società operanti nel paese. Le conseguenze di tale decisione erano verificate a inizio 2013 dalle masse popolari con l'arrivo delle bollette relative al mese di dicembre: il raddoppio dei costi di luce e riscaldamento.
Allo scoppio delle prime proteste il premier Borissov licenziava il presidente della Commissione statale per la regolamentazione dell'energia e le risorse idriche. E il 17 febbraio licenziava anche il sostituto, durato in carica soli 3 giorni, di fronte alla rivolta popolare che intanto scoppiava in tutto il paese. Nella capitale Sofia i manifestanti bloccavano il centro per diverse ore e davano vita a scontri con la polizia che tentava di porre fine alla protesta. Migliaia di manifestanti assediavano il parlamento, il Ministero dell'economia e le sedi delle tre società di distribuzione elettrica EVN, CEZ ed Energo-pro, lanciando uova e petardi. Di fronte alla sede del parlamento era bruciata anche una bandiera americana. Cortei e scontri si ripetevano in almeno 35 città.
I manifestanti chiedevano tra l'altro al governo la nazionalizzazione delle società di distribuzione elettrica, la rimozione di tutti gli intermediari, di rendere pubblici tutti i contratti del settore e i nomi dei responsabili che li avevano firmati, la destinazione al solo mercato interno dell'energia prodotta dalla centrale nucleare di Kozloduy.
Le dimissioni del governo, annunciate il 20 febbraio, non fermavano comunque la mobilitazione popolare. Il 25 febbraio migliaia di manifestanti erano di nuovo in piazza a Sofia, riuniti davanti al parlamento, al Ministero dell'economia e all'edificio che ospita la Banca centrale bloccando le strade del centro città. Il presidente Rosen Plevneliev era costretto a annunciare che avrebbe tenuto in considerazione le ragioni delle proteste per affrontare la crisi politica del paese e che avrebbe anticipato alla fine di aprile o all'inizio di maggio delle elezioni generali previste per il prossimo luglio.

6 marzo 2013