Il Manifesto di Marx ed Engels, grande faro per i fautori del socialismo di tutto il mondo

Pubblichiamo il commento de "Il Bolscevico" che accompagnava la prima pubblicazione del "Manifesto del Partito comunista" da parte dell'organo del PMLI, avvenuta nel 1988, in occasione del 140° Anniversario della pubblicazione di questa opera fondamentale di Marx ed Engels.
Allora il "Manifesto" fu pubblicato su "Il Bolscevico" a puntate accompagnate ogni volta da un commento relativo ai singoli capitoli che adesso abbiamo qui unificato.
Lo riproponiamo ai nostri lettori perché tale commento, pur datato, mantiene viva la sua attualità e ci sembra assai utile per comprendere meglio il valore complessivo e i passaggi più salienti di quest'opera.
Ovviamente il commento fa spesso riferimento alla realtà di quegli anni e quindi cita eventi, documenti, personaggi allora attuali. Si tenga presente, in particolare, che all'epoca il PCI revisionista, di cui era segretario Alessandro Natta e vicesegretario Achille Occhetto, non si era ancora autoliquidato e il PSI di Craxi non era stato ancora travolto da tangentopoli. Ancora non era stata decretata ufficialmente la morte della prima Repubblica ma la seconda repubblica era già stata gradualmente e surrettiziamente instaurata nei fatti secondo i piani della P2 di Gelli, Craxi e Berlusconi. Nemmeno il muro di Berlino e l'impero sovietico erano ancora crollati, anche se il "nuovo corso" neoliberale di Gorbaciov ne aveva gettato tutte le premesse.
Chi non conosce la storia del revisionismo in Italia e a livello internazionale e la lotta ideologica e politica condotta dal PMLI contro di esso, avrà dunque modo di apprenderne dei passaggi fondamentali. Del resto, molte delle polemiche antirevisioniste contenute in questo commento possono facilmente essere trasferite alle teorizzazioni dei falsi partiti comunisti di oggi, PRC e PdCI in primo luogo, che sono gli eredi diretti del PCI revisionista di allora.
Il commento fa anche spesso riferimento al Documento del Comitato centrale del PMLI del 20 febbraio 1988. Tale documento, titolato "Teniamo alta la bandiera del socialismo, dell'antimperialismo e dell'antifascismo", è una pietra miliare della linea del Partito per quanto concerne la denuncia dell'intero disegno della seconda repubblica sia sul piano interno che su quello della politica estera, nonché per quanto concerne la costruzione di un grande, forte e radicato PMLI. Il Documento infatti contiene anche la brillante sintesi de "Le tre cose da fare" oggi per rafforzare il PMLI, riprese e sviluppate poi dal 4° Congresso nazionale del PMLI del dicembre 1998.
Risulterà, infine, pienamente attuale l'appello finale di questo commento a imparare dal "Manifesto" per rompere definitivamente col riformismo e il revisionismo e creare una nuova situazione organizzativa, un grande, forte e radicato PMLI, l'unico Partito in Italia che opera da oltre quarant'anni per conquistare il socialismo. Il "Manifesto" di Marx ed Engels è un grande faro che illumina la strada ai fautori del socialismo di tutto il mondo.
Non ci rimane che augurarvi buona lettura di quest'opera che non finisce mai di aiutarci nella nostra lotta per l'Italia unita, rossa e socialista.

Ispirarsi al Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels
La pubblicazione integrale del "Manifesto del Partito comunista", scritto da Carlo Marx e Federico Engels e stampato per la prima volta nel febbraio 1848, è una iniziativa politico-editoriale stabilita dalla 4ª Sessione plenaria del 3° CC del PMLI per celebrare il 140° Anniversario della pubblicazione di questo documento storico, e coincidente col 105° Anniversario della scomparsa di Marx, fondatore del socialismo scientifico e grande maestro del proletariato internazionale, cui rendiamo sentito omaggio rinnovando quel grido proletario di battaglia, pienamente cosciente e proiettato verso l'avvenire da lui lanciato insieme ad Engels col "Manifesto" a preannuncio dell'inizio della storia moderna contrassegnata dall'inevitabile tramonto della borghesia e del capitalismo e dalla vittoria della classe operaia e del socialismo in tutto il mondo.
Quel grido proletario di battaglia cosciente che diede il via al più profondo rivolgimento di pensiero e al più grande sconvolgimento sociale che la storia abbia mai conosciuto, elevando la classe operaia da classe in sé a classe per sé, facendola uscire dall'incoscienza, la passività e la subordinazione alla borghesia e dischiudendole un cammino nel quale il socialismo è lo sbocco stesso della lotta di classe e sgorga necessariamente dal corso obiettivo della storia.
Col "Manifesto", classe operaia e socialismo risultano per la prima volta indissolubilmente uniti e all'ordine del giorno vengono poste la ricerca e la costruzione della strategia, degli strumenti fondamentali come il partito rivoluzionario, delle alleanze, delle tattiche attraverso cui la rivoluzione può avanzare e trionfare mentre già risulta formulata una delle più notevoli e importanti idee del marxismo a proposito dello Stato, l'idea della dittatura del proletariato.
Il capitalismo aveva vinto nel 1848 ma il "Manifesto" annunciava che si trattava in realtà del preludio della vittoria del lavoro sul capitale. Perché infatti questa opera apparve nel 1848? Per sancire l'affermazione del proletariato come forza autonoma e antagonista rispetto alla borghesia, per educare e organizzare la nuova classe d'avanguardia della società moderna, indicare i compiti di questa classe e indicare che, grazie allo sviluppo economico, la sostituzione dell'ordine borghese capitalista, che con la rivoluzione del 1848 si affermava definitivamente in Europa, con un ordine nuovo era cosa ineluttabile.
Il "Manifesto" costituisce uno dei libri indispensabili ad ogni operaio cosciente, un'opera che dovrebbe, questa sì, essere letta e formare oggetto di studio in tutte le scuole italiane e del mondo. Perché se si vuol cogliere la logica interna degli ultimi 140 anni, che non sono stati altro che un succedersi, allargarsi, intrecciarsi di lotte di classe in diversi gradi, momenti di sviluppo ed estensione, ed avere di essi una visione oggettiva, coerente, bisogna ancora far ricorso alla dottrina di Marx ed Engels anche se sul "Manifesto" non poteva essere certo previsto tutto ciò che sarebbe seguito all'avvento del capitalismo. Un compito adempiuto successivamente dagli stessi autori e ininterrottamente proseguito dagli altri maestri, Lenin, Stalin e Mao.
È un dato di fatto che nessuno è riuscito finora a confutare le grandi scoperte di Marx ed Engels proclamate dal "Manifesto", in particolare la spiegazione definitiva del rapporto tra capitale e lavoro, la dimostrazione scientifica che nell'attuale modo di produzione capitalistico si compie lo sfruttamento dell'operaio da parte del capitalista. Quest'ultimo sa bene, ma non può certo proclamarlo pubblicamente, che è l'operaio, e non la macchina o il robot, la fonte da cui sgorgano il profitto e l'accumulazione del capitale, in poche parole la fonte di tutte le ricchezze che vengono divorate e accumulate dalle classi non lavoratrici. Rimane pertanto attuale e valido lo smascheramento della società borghese compiuto dal "Manifesto" secondo cui il diritto e la giustizia, l'uguaglianza dei diritti e dei doveri e l'armonia generale degli interessi nella società borghese, al pari di quelle che l'hanno preceduta, si risolvono in potenti mezzi per lo sfruttamento dell'enorme maggioranza del popolo da parte di una minoranza che diventa sempre più piccola.
Ecco perché i detrattori del marxismo, i revisionisti e i socialdemocratici quando cancellano tutte le categorie del marxismo sistematizzate per la prima volta nel "Manifesto", non possono far altro che assumere le concezioni classiche del liberalismo e del liberismo borghesi che condannano la classe operaia sul piano economico all'eterna condizione di schiavitù salariata e su quello politico e culturale al ruolo di rimorchio della classe dominante. Come tutti i borghesi essi sono vili, non osano attaccare direttamente e frontalmente il marxismo ma lo pugnalano alle spalle, come sta facendo il neoliberale Gorbaciov quando propugna "un nuovo modo di pensare" e teorizza che oggi "siamo tutti sulla stessa barca e che bisogna comportarsi in modo da non farla capovolgere", senza dire che così egli vuole affossare la dottrina della lotta di classe che permea il "Manifesto" di Marx ed Engels secondo cui la base e la forza motrice di ogni sviluppo è la lotta di classe, che in tutte le lotte politiche semplici o complesse, si tratta sempre del dominio sociale e politico di classi sociali, della difesa di questo dominio da parte delle classi che si presentano sulla scena.
Ciò che vogliono in realtà la borghesia e i riformisti è il disarmo ideologico della classe operaia e delle masse, in modo da impedir loro di capire e di orientarsi di conseguenza. E proprio per contrastare il processo di deideologizzazione, decomunistizzazione e socialdemocratizzazione delle masse da tempo in atto nonché l'omologazione ideologica, culturale e politica dei partiti della sinistra del palazzo che hanno gravemente annebbiato la vista e indebolito la coscienza politica e la reattività delle masse che è necessario ispirarsi al "Manifesto", immettere nelle menti e nell'animo come un soffio che rinfresca e ridà vita i suoi insegnamenti fondamentali, per rivoluzionarizzare e rinvigorire il proprio pensiero politico e quello delle masse che oggi fanno persino fatica ad individuare la contraddizione e il bersaglio principale da colpire, la novità e la pericolosità del passaggio cruciale della storia della repubblica italiana che stiamo vivendo, non riescono ad afferrare che è in atto un grosso tentativo di rimettere, sotto altre forme, la camicia nera all'Italia.
Come la borghesia cerca disperatamente di rimanere in sella di fronte all'esaurimento della sua missione storica e di dimostrare che essa è ancora capace di dirigere la società e non è di ostacolo allo sviluppo della produzione rispolverando il metafisico razionalismo settecentesco e l'altrettanto metafisico idealismo ottocentesco, tanto più oggi il proletariato deve custodire e rinvigorire le sue radici marxiste se vuole superare le temporanee difficoltà dell'attuale congiuntura nazionale e internazionale e prendere concretamente in mano la direzione storica del mondo cominciando ad afferrare quella verità fondamentale del "Manifesto" secondo cui la classe operaia è la classe che per la sua posizione sociale può liberare se stessa soltanto soppiantando ogni dominio di classe, ogni schiavitù e ogni sfruttamento in generale.
Benché con la seconda repubblica propugnata da Craxi e dalla nuova destra si cerchi di dare uno sbocco politico e sociale alla crisi economica e alle contraddizioni intrinseche nel capitalismo italiano e di ritardare il corso della storia e del progresso, è un fatto che come ci insegna Marx le forze produttive sociali sono cresciute così tanto che sfuggono alle mani della borghesia e aspettano soltanto la presa di possesso da parte del proletariato; solo il proletariato al potere può dare vita a una nuova situazione nella quale ogni membro della società potrà e dovrà partecipare non solo alla creazione ma anche alla riproduzione e alla amministrazione della ricchezza socialmente prodotta, una situazione in cui grazie alla gestione di tutta la produzione e secondo un piano, le forze produttive sociali e il loro prodotto, potranno aumentare incessantemente assicurando il soddisfacimento di tutti i bisogni razionali in modo via via crescente.
Marx ed Engels, redigendo e pubblicando il "Manifesto" hanno per primi alzato la gloriosa bandiera del socialismo nel momento in cui la borghesia, diventata classe dominante, gettava a terra la causa degli oppressi che strumentalmente aveva assunto per raggiungere i propri esclusivi obiettivi di classe. Questa gloriosa bandiera rappresenta l'unica via certa e sperimentata concretamente con l'Ottobre sovietico e la Grande rivoluzione culturale proletaria cinese, per spezzare definitivamente le catene dell'oppressione e dello sfruttamento capitalistico. Al di fuori di questa bandiera e di questa via non ci può essere emancipazione sociale e avvenire per la classe operaia e i lavoratori.
Ecco perché rinnovando la scelta del 1848, mentre oggi in Italia e nel mondo i socialdemocratici, i revisionisti, i capitolazionisti, i liquidazionisti, i corrotti, i vili e i deboli ammainano la bandiera del socialismo, dell'antimperialismo e dell'antifascismo, noi marxisti-leninisti teniamo ferme queste irreversibili opposizioni ideologiche, politiche e storiche ed innalziamo sempre più in alto questa grande bandiera affinché sia vista da tutti e costituisca un luminoso punto di raccolta, di riorganizzazione e di mobilitazione degli sfruttati, degli oppressi e dei progressisti che ancora oggi sono disposti a lottare per l'emancipazione dei lavoratori.
Sarà senz'altro possibile assolvere questo compito storico definito dal Documento del CC del PMLI del 20 febbraio scorso di tenere alta la bandiera del socialismo, dell'antimperialismo e dell'antifascismo e contrastare i forti venti di destra e di capitolazione, ispirandosi al "Manifesto" e seguendo l'esempio e l'opera di Carlo Marx, questo titano che per primo ha dato al socialismo e quindi a tutto il movimento operaio una base scientifica, che ha scoperto le leggi dello sviluppo della storia umana e le leggi peculiari dello sviluppo del moderno modo di produzione capitalistico e della società borghese da esso generata.
Oggi, che come nel 1848 si tratta di osare andare controcorrente, bisogna far risplendere l'esempio di Marx, l'uomo più odiato e calunniato del suo tempo dai governi assolutisti e repubblicani, dai borghesi e conservatori e democratici radicali, morto il 14 marzo 1883, venerato, amato e rimpianto da milioni di rivoluzionari di tutto il mondo, il cui nome vivrà nei secoli insieme alla sua opera.
Oggi che la lotta di classe richiede ai marxisti-leninisti di essere dei combattenti di avanguardia maturi, responsabili e preparati, delle guide politiche capaci di dirigere e condurre alla vittoria la complessa lotta contro la seconda repubblica, l'imperialismo e il fascismo e per il socialismo, c'è più che mai bisogno di imparare dal Marx scienziato, esperto e maestro in ogni campo delle scienze umane e sociali, senza dimenticare che egli era prima di tutto un combattente rosso, un rivoluzionario che ha speso tutta la vita per contribuire in ogni forma all'abbattimento della società capitalistica e delle istituzioni che essa ha creato, per contribuire all'emancipazione del proletariato moderno al quale egli per primo aveva dato coscienza della propria situazione e dei propri bisogni, la coscienza delle condizioni della propria liberazione. "La lotta era il suo elemento" come disse Engels nel discorso sulla tomba di Marx, "Ed ha combattuto con una passione, con una tenacia e con un successo come pochi hanno combattuto".
Auguriamo dunque una buona lettura delle principali prefazioni degli stessi autori a diverse edizioni del "Manifesto", compresa quella italiana, che occupano le pagine 5 e 6, cui seguirà la pubblicazione dei quattro capitoli in cui si suddivide l'opera accompagnata con alcune nostre note di commento.

La dottrina fondamentale del Manifesto è quella della lotta di classe
Il "Manifesto del Partito Comunista" di Marx ed Engels entra nel vivo del I capitolo, "Borghesi e proletari", quantunque le principali prefazioni degli stessi autori a diverse edizioni dell'opera, compresa quella italiana, debbono essere considerate non elementi accessori ma parti integranti del "Manifesto" che arricchiscono e aggiornano per certi aspetti oltre a guidare il lettore alla esatta comprensione della sua genesi, dei suoi scopi e ad afferrarne l'anima politica rivoluzionaria e gli insegnamenti perenni.
La dottrina fondamentale del "Manifesto", esposta nel capitolo I e in quello successivo cui segue una parte critica e di illustrazione dei punti programmatici dei comunisti (oggi si direbbe marxisti-leninisti), è la dottrina della lotta di classe, del suo configurarsi nel periodo del capitalismo, del suo inevitabile sviluppo fino alla conquista del potere politico da parte del proletariato e alla instaurazione della dittatura del proletariato come strumento per trasformare la società nell'interesse della stragrande maggioranza della popolazione. Per afferrare il valore decisivo della teoria della lotta di classe dobbiamo tenere a mente questo ammonimento di Lenin: "Fino a quando gli uomini non avranno imparato a discernere, sotto qualsiasi frase, dichiarazione o promessa morale, religiosa, politica e sociale, gli interessi di queste o di quelle classi, essi in politica saranno sempre, come sono sempre stati, vittime ingenue degli inganni e delle illusioni. I partigiani delle riforme e dei miglioramenti saranno sempre ingannati dai difensori del passato, fino a quando non avranno compreso che ogni vecchia istituzione, per barbara e corrotta che essa sembri, si regge sulla forza di queste o di quelle classi dominanti. E per spezzare la resistenza di queste classi vi è un solo mezzo: trovare nella stessa società che ci circonda, educare ed organizzare per la lotta delle forze che possano, - e che per la loro situazione sociale debbano - spazzar via il vecchio ordine e crearne uno nuovo". (Lenin, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, Marzo 1913).
Ecco perché Reagan e Gorbaciov, papa Wojtyla, Craxi, Natta, Occhetto e tutti coloro che non vogliono, o vi hanno rinunciato definitivamente, spazzar via il vecchio ordine capitalistico e imperialista che anzi ambiscono a gestire in nome e per conto della classe dominante borghese, stanno facendo un fuoco concentrico contro la fondamentale scoperta marxista, esposta nel "Manifesto", secondo cui la base e la forza motrice di ogni sviluppo è la lotta di classe e all'unisono affermano che nell'èra atomica la solidarietà e la conciliazione fra le classi è la via della salvezza del mondo. Come se, l'apparire di questa nuova mostruosa merce capitalistica, che è l'atomica, avesse sconvolto le condizioni della vita economica e i rapporti sociali e politici nel mondo contemporaneo.
Ecco perché il Documento del CC del PMLI del 20 febbraio, per contrastare i forti venti di destra e di capitolazione e tenere alta la bandiera del socialismo, dell'antimperialismo e dell'antifascismo rilancia la dottrina della lotta di classe di Marx ed Engels che appartiene non al campo delle idee astratte, delle ideologie del 18° secolo, ma alle scienze sociali, e come tale trae e applica coerentemente le conclusioni che la storia universale insegna.
Le seguenti affermazioni contenute nel suddetto Documento si ispirano proprio alle verità universali proclamate dal "Manifesto" e che 140 anni di esperienza del movimento operaio internazionale hanno pienamente confermato: "Non esiste niente al mondo che possa arrestare permanentemente la lotta di classe. Prima o poi essa riesploderà perché le contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di produzione, tra le classi, tra il nuovo e il vecchio, tra il progressivo e il regressivo, sono insopprimibili.
Indipendentemente dal fatto che il socialismo è stato buttato alle ortiche dai partiti di origine operaia che oramai si sono ben sistemati nel capitalismo, è un dato incontrovertibile che oggettivamente il socialismo è ancora di piena attualità, e lo sarà finché il proletariato non avrà conquistato il potere politico. Tanto più è di attualità oggi che al nostro Paese viene imposta la camicia nera della seconda repubblica".
Come risulta dalla lettura del capitolo I, Marx ed Engels deducono l'inevitabile passaggio dalla società capitalistica alla società socialista esclusivamente ed interamente dalla legge economica che regola il movimento (le contraddizioni) della società contemporanea. La base materiale principale dell'inevitabile avvento del socialismo è costituito dalla socializzazione del lavoro la quale nei decenni trascorsi dalla pubblicazione del "Manifesto" si è manifestata in innumerevoli forme e si sviluppa sempre più rapidamente assumendo forme particolarmente evidenti nei monopoli capitalisti di Stato come pure nel gigantesco sviluppo delle dimensioni e della potenza del capitale finanziario.
In questo capitolo, viene indicato scientificamente il ruolo storico del proletariato come forza chiamata dal corso stesso delle cose e della storia a rinnovare e liberare il mondo. E tale rivolgimento sociale al quale tende la classe operaia non si giustifica con la necessità di attuare i principi della ragione umana ma con la necessità del processo oggettivo della storia. Ma questa inevitabile trasformazione abbisogna di un motore intellettuale e morale, di un artefice fisico che è appunto il proletariato, educato dal capitalismo stesso. La sua lotta contro la borghesia si manifesta in forme diverse e matura per passaggi dialettici ma ad un certo punto anch'essa diventa inevitabilmente una lotta politica diretta alla conquista del potere politico, alla instaurazione della dittatura del proletariato.
"Per la vittoria finale delle tesi enunciate nel 'Manifesto' - scrive Engels nella prefazione all'edizione tedesca del 1890 - Marx confidava unicamente ed esclusivamente in quello sviluppo intellettuale della classe operaia, che doveva necessariamente scaturire dall'azione comune e dalla discussione. Gli eventi e le vicende della lotta contro il capitale, le sconfitte ancor più che i successi, non potevano fare a meno di dimostrare ai combattenti l'insufficienza delle panacee in uso fino allora, e rendere più accessibili alle loro menti le vere condizioni dell'emancipazione operaia".
Le pagine immortali del "Manifesto" si aprono con la splendida descrizione della paura del comunismo, della santa caccia spietata contro lo spettro rosso che oggi si rinnova perché il socialismo, nonostante sia stato affossato da Gorbaciov, Deng, Craxi, Natta e Occhetto, è sempre riconosciuto come una potenza indistruttibile, e il proletariato rimane il "becchino" che attende solo di adempiere il proprio compito storico di seppellire il capitalismo.
Il Manifesto indica che il socialismo è la società del proletariato e dei lavoratori
Il capitolo II "Proletari e comunisti" è un altro capitolo denso di insegnamenti che abbisognerebbe di un'attenta e prolungata riflessione su ogni passaggio e persino sulle singole frasi.
A voler illustrare e commentare in profondità ed esaurientemente questo come gli altri capitoli del "Manifesto", dovremmo scrivere un altro libro. Pertanto centreremo l'attenzione solo su alcuni dei temi trattati in questo capitolo che più ci sembrano di viva attualità politica, non dimenticando, come abbiamo scritto nella presentazione generale di questa iniziativa politico-editoriale, la necessità di ispirarsi al "Manifesto" di Marx ed Engels per "tenere alta la bandiera del socialismo, dell'antimperialismo e dell'antifascismo", secondo i deliberati della 4ª Sessione plenaria del 3° CC del PMLI cui appartiene anche la decisione di pubblicare sul Bolscevico questo documento storico.
Nel capitolo I sono stati esposti la concezione che guida l'analisi storica del "Manifesto", la dottrina della lotta di classe come forza motrice di ogni sviluppo e che ha il suo punto centrale nell'interpretazione della funzione storica mondiale del proletariato come creatore della nuova società socialista, nonché la teoria delle crisi e del crollo del capitalismo, l'analisi delle classi e dello Stato sotto il dominio della borghesia ed altre importanti questioni.

Il socialismo
Nel capitolo II Marx ed Engels scrivono pagine insuperabili sul socialismo, di cui precedentemente hanno proclamato l'inevitabile avvento, definendolo, discriminandolo e dimostrandone la schiacciante superiorità rispetto al capitalismo.
La polemica che Marx ed Engels svolgono contro le accuse rivolte dai borghesi al socialismo è di piena attualità laddove si teorizza la necessità dell'abolizione della proprietà privata, della famiglia e dell'educazione borghesi, della diseguaglianza donna-uomo. In particolare la denuncia spietata e inconfutabile del lavoro salariato mette alla berlina la teorizzazione che invece ne ha fatto il vertice neoliberale del PCI alla recente conferenza delle lavoratrici e dei lavoratori PCI. "L'operaio salariato si appropria con la sua attività" dice il "Manifesto", soltanto "dei prodotti del lavoro necessari per la riproduzione della vita immediata, appropriazione la quale non lascia alcun profitto netto, che possa dare un potere sul lavoro altrui". Se non si abolisce "il miserabile carattere di questa appropriazione" l'operaio "esiste soltanto per accrescere il capitale e vive quel tanto che è richiesto dall'interesse della classe dominante".
Questa parte del "Manifesto" si chiude con una definizione fondamentale che ci aiuta a capire anche le ragioni dell'odierno processo di deideologizzazione, decomunistizzazione e socialdemocratizzazione delle masse: "Le idee dominanti di un'epoca furono sempre e soltanto le idee della classe dominante". Questo concetto è ampiamente sviluppato da Marx nell'opera "Ideologia tedesca" a cui rimandiamo per un suo approfondimento. Alla medesima opera occorre far riferimento per afferrare il significato di quest'altro passo di fondamentale importanza posta invece all'inizio del capitolo: "Le posizioni teoriche dei comunisti non poggiano affatto sopra idee, sopra principi che siano stati inventati o scoperti da questo o quel rinnovatore del mondo".
Al riguardo nell'"Ideologia tedesca" Marx scrive: "Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente".
È questa una sintesi del metodo e della concezione che ha preso il nome di materialismo storico e che fa tabula rasa di tutte le concezioni comunistiche di carattere utopistico le quali prospettavano il comunismo come una condizione ideale alla quale doveva essere adeguata la realtà, senza peraltro tenere conto né delle condizioni di sviluppo storico della società, né dei mezzi necessari per realizzare quello stato. La più celebre sintetica esposizione della concezione materialistica della storia la ritroviamo nella prefazione di Marx a "Per la critica dell'economia politica".

La dittatura del proletariato
Come spiega Engels nella prefazione dell'edizione tedesca del 1872 del "Manifesto" in questo capitolo II "qualche cosa sarebbe qua e là da ritoccare. L'applicazione pratica di questi principi, come spiega lo stesso Manifesto, dipenderà in ogni luogo e in ogni tempo dalle circostanze storiche del momento, e perciò non si dà nessuna particolare importanza alle misure rivoluzionarie proposte alla fine del capitolo II (cioè i 10 punti). Oggi questo passo sarebbe, sotto molti rapporti, altrimenti redatto" soprattutto alla luce di fondamentali esperienze pratiche come la Comune di Parigi del 1871 la quale "ha fornito la prova che la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini". Si veda l'opera di Marx "La guerra civile in Francia" dove questo concetto è svolto più diffusamente e "Stato e rivoluzione" di Lenin.
Esiste comunque in questo capitolo del "Manifesto" un passo che affaccia e formula l'idea della dittatura del proletariato. Ed è il seguente: "Il proletariato si servirà della sua supremazia politica per strappare alla borghesia, a poco a poco, tutto il capitale, per accentrare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire del proletariato stesso organizzato come classe dominante, e per aumentare, con la massima rapidità possibile, la massa delle forze produttive".
Per leggere la traduzione nella realtà italiana dei lineamenti fondamentali della dittatura del proletariato rimandiamo al capitolo VI del Rapporto del compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, al 3° Congresso nazionale del Partito, nel quale il socialismo italiano ma non tricolore viene concretamente disegnato, progetto che è stato rilanciato con molta forza dal Documento del CC del PMLI del 20 febbraio nel quale si riafferma che "Noi ci battiamo per un socialismo classico" che "si fonda sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao, la dittatura del proletariato, la direzione del Partito marxista-leninista e l'economia socialista".
Al lettore risulterà comunque chiaro che il socialismo indicato da Marx ed Engels è un socialismo autentico, integrale, la società del proletariato e dei lavoratori che non ha nulla a che vedere con le contraffazione smerciate da Gorbaciov, Krusciov, Deng, Breznev, Trotzki, Bucharin, Tito, Natta, Craxi e dagli altri loro simili.
Il socialismo indicato dal "Manifesto" è conforme agli interessi, alla natura, all'ideologia e alle aspirazioni della classe operaia. Nel frattempo esso si è arricchito dell'esperienza storica della dittatura del proletariato e in particolare di quella della Grande rivoluzione culturale proletaria. Sia ben chiaro che solo attraverso il trionfo del socialismo sul capitalismo e l'imperialismo prima nei singoli stati nazionali e quindi su scala planetaria si possono creare le condizioni per l'avvento del comunismo, perché, per usare le parole conclusive di questo capitolo II, "Al posto della vecchia società borghese con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe subentra una associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti".
Questa prospettiva del comunismo, del tutto corretta e scientifica, non va assolutamente confusa con quella definizione ingannevole inserita nelle tesi per il 17° Congresso del PCI e più volte rilanciata da Natta e Occhetto secondo cui il PCI si batte per una società "in cui il libero sviluppo di ciascuno corrisponde al libero sviluppo di tutti".
A parte la non secondaria deformazione, "corrisponde" in luogo di "è la condizione", tale definizione, posta al di fuori del contesto del "Manifesto" e senza premettere che non ci può essere alcun processo di emancipazione del singolo operaio e dei lavoratori se prima la classe operaia non abbatte il capitalismo attraverso la rivoluzione e non diventa classe dominante, assume un carattere puramente borghese e punta a far passare nelle masse il liberalismo e l'individualismo. "Il libero sviluppo di ciascuno" tradotto nella realtà capitalistica italiana giustifica e propugna il libero sviluppo dell'iniziativa privata, dell'impresa, dunque lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e l'appropriazione individuale della ricchezza socialmente prodotta.

Il partito del proletariato
La prima parte di questo capitolo è dedicata al rapporto tra il proletariato e il suo partito di cui Marx ed Engels già in quest'opera intuiscono il valore cruciale e determinante. Talune affermazioni e definizioni sono però datate, legate cioè alla situazione esistente nel movimento operaio ai suoi albori, come quella secondo cui "i comunisti non costituiscono un partito particolare di fronte agli altri partiti operai" oppure "i comunisti sono la parte più risoluta dei partiti operai di tutti i paesi".
Bisogna infatti considerare che nel 1848 la dottrina di Marx ed Engels non predominava affatto e non rappresentava che una delle correnti straordinariamente numerose del socialismo, e soprattutto ancora dovevano nascere i partiti proletari indipendenti, la I Internazionale (1864-1872) e la socialdemocrazia tedesca.
Con i principi decisivi esposti nel "Manifesto" il movimento operaio doveva uscire dall'infanzia dell'appoggio puro e semplice ai movimenti progressivi della borghesia, rompere gli angusti limiti del corporativismo sindacale e acquistare una precisa coscienza dei suoi obiettivi, diventare cioè un movimento politico rivoluzionario antagonista al capitalismo e candidarsi alla direzione politica della società sulla base di una autonoma, completa e evoluta dottrina sociale. Ed è proprio grazie all'affermazione del marxismo nella classe operaia che essa non solo prese coscienza di essere classe in sé e per sé ma anche della necessità di dotarsi di un partito politico indipendente che, come è scritto in questo capitolo, non avesse "interessi distinti dagli interessi del proletariato nel suo insieme", composto dai suoi migliori elementi, coloro che hanno "un vantaggio sulla restante massa del proletariato pel fatto che conoscono le condizioni, l'andamento e i risultati generali del movimento operaio", in altre parole la teoria rivoluzionaria, e che "rappresentano sempre l'interesse del movimento complessivo", legano cioè il particolare al generale, la lotta immediata alla strategia generale per la conquista del socialismo. Ed è proprio perché i partiti socialdemocratici della fine '800 non applicarono conseguentemente queste indicazioni preziose, non furono edificati sulla base della teoria marxista che presto degenerarono e abbandonarono quello scopo immediato definito nel "Manifesto": "formazione del proletariato in classe, rovesciamento del dominio borghese, conquista del potere politico da parte del proletariato".
Come Marx ed Engels non poterono titolare la loro opera "Manifesto socialista" perché come spiega Engels nella prefazione dell'edizione tedesca del 1880 "Nel 1847 socialismo significava un movimento borghese, comunismo un movimento operaio", così i nuovi partiti che nacquero sulla scia della grande lotta condotta da Lenin e proseguita poi da Stalin contro il revisionismo, per definirsi rispetto ai socialdemocratici divenuti socialtraditori, socialsciovinisti e socialfascisti, si dovettero chiamare partiti comunisti pur rimanendo il socialismo la loro bandiera e il loro obiettivo immediato.
Anche il PMLI, nato sulla spinta della nuova grande lotta contro il revisionismo moderno, iniziata nel 1956 e condotta personalmente dal presidente Mao e che ha avuto la sua massima espressione nella Grande rivoluzione culturale proletaria, ha dovuto assumere il nome di marxista-leninista per discriminarsi dal PCI divenuto un partito riformista, neoliberale, completamente omologato agli altri partiti borghesi.
Proprio nella lotta contro il riformismo e il revisionismo oltreché sulla base delle esperienze rivoluzionarie compiute dal proletariato sovietico e mondiale, Lenin ha definito magistralmente la concezione del partito del proletariato, come partito di tipo nuovo - da non confondersi con il "partito nuovo" di carattere borghese propugnato da Togliatti - avanguardia cosciente e organizzata della classe operaia, armata della teoria rivoluzionaria e di una struttura bolscevica basata sul centralismo democratico e la disciplina proletaria. Stalin nella celebre opera "Sui principi del leninismo" porta a piena e matura sintesi la concezione leninista del partito del proletariato, a cui Mao, in particolare riguardo la lotta tra le due linee nel partito e il ruolo del partito nella rivoluzione e nella edificazione socialista, ha apportato nuovi importanti contributi. Lo Statuto del PMLI raccoglie e traduce coerentemente nella realtà italiana tutta la ricca ed esauriente elaborazione marxista-leninista sul partito politico della classe operaia e ad esso rimandiamo non solo per capire quali debbano essere oggi i tratti caratteristici del partito a cui Marx ed Engels affidavano la realizzazione del loro "Manifesto" ma anche per afferrare la necessità di un tale partito. Perché come spiega il citato Documento del 20 febbraio in Italia "lo sviluppo della coscienza politica della classe operaia, delle masse, delle donne e della gioventù, la svolta rivoluzionaria della lotta di classe per il socialismo dipendono dal rafforzamento e dallo sviluppo nazionale del PMLI.
Senza un forte PMLI è impossibile che inizi, si sviluppi e arrivi alla vittoria la lotta per il socialismo. Ci possono essere degli scoppi di lotte improvvisi e spontanei e delle rivolte, ma se il PMLI non ha in mano la situazione, ben presto tutto rientrerà nella normalità e sarà riassorbito dal sistema".

Il Manifesto dimostra la superiorità del socialismo scientifico sul socialismo borghese
Il capitolo III, "Letteratura socialista e comunista", è il penultimo ed è incentrato sulla polemica con le altre correnti di pensiero sociale del tempo.
Naturalmente, come spiegano gli stessi autori nella prefazione all'edizione tedesca del 1872, si tratta di una critica "pei nostri giorni, incompleta, giungendo essa soltanto fino al 1847". Pur tuttavia questo capitolo conserva un valore eccezionale non solo nel dettagliato e documentato esame delle varie dottrine, quanto per il fatto che ognuna di esse viene ricondotta nel suo assieme ad una classe, una posizione di classe. Abbiamo in sostanza in queste pagine una magistrale applicazione della concezione marxista del mondo e della storia al campo dell'analisi dei movimenti di pensiero che fra l'altro le rendono tutt'oggi assai più utili e preziose di tanti trattati tradizionali di sociologia o dottrine politiche per la comprensione e l'analisi delle dottrine del secolo scorso.
Le concezioni e le idee della metà Ottocento, vengono da Marx ed Engels spiegate nel modo più semplice con le condizioni della vita economica e coi rapporti sociali del tempo, che a loro volta dipendono da queste condizioni, cosicché gli attori della lotta sociale risultano spogliati di ogni parvenza demagogica e mostrati nella loro reale natura: dall'aristocratico, al prete, al piccolo borghese fino al borghese filantropo che agitavano e teorizzavano un proprio pseudo-socialismo per difendere e perpetuare i rispettivi interessi di classe innalzandoli a interesse di tutto il genere umano, e dunque anche della classe operaia.
La critica del "Manifesto" ha un fondamento oggettivo, esce dal movimento stesso delle cose e la superiorità del socialismo scientifico, fondato da Marx ed Engels, sul socialismo reazionario, sul socialismo conservatore borghese, sul socialismo utopistico risulta dal contrasto di interessi di classe determinati. Laddove il socialismo scientifico esprime l'ingresso sulla scena di una nuova forza, il proletariato, la cui lotta per la liberazione di se stesso risolve le contraddizioni del mondo capitalistico borghese, e nel contempo dà a questa classe la consapevolezza di sé e del suo ruolo storico.
Il socialismo scientifico, nato e sviluppatosi nella lotta contro tutte le teorie pseudo-socialiste, reazionarie, borghesi e utopistiche e che si è affermato nel proletariato stesso non di colpo ma attraverso una lotta durata un cinquantennio, ha trovato le sue massime consacrazioni nella Grande rivoluzione d'Ottobre e nella Grande rivoluzione culturale proletaria cinese. Queste esperienze storiche del proletariato internazionale hanno dimostrato che il socialismo sintetizzato nel "Manifesto" è l'unica società che possa assicurare l'emancipazione, il potere e l'avvenire alla classe operaia e che esso non è impossibile, lo si può conquistare purché la classe operaia lo voglia e maturi la volontà di farla finita una volta per tutte col capitalismo e di impadronirsi del potere politico.
Il socialismo scientifico, come afferma il Documento del CC del PMLI del 20 febbraio, è pienamente attuale, "è la vera, l'unica, l'urgente 'Grande riforma' di cui ha bisogno l'Italia del XXI secolo!" mentre il socialismo borghese, esso sì, appartiene all'Ottocento, a quel desiderio, per usare le parole del "Manifesto", di una parte della borghesia "di portar rimedio ai mali sociali per assicurare l'esistenza della società borghese".
Non vi sembra che le bellissime parole con cui Marx ed Engels mettono alla berlina nel secondo paragrafo il socialismo borghese calzino a pennello nella loro sostanza alle contraffazioni del socialismo smerciate oggi da Gorbaciov, Deng, Natta e Craxi? Quale natura di classe se non quella borghese hanno le loro teorizzazioni pseudo-socialiste?
La dialettica della storia è tale che ieri la vittoria del marxismo teorico costrinse i suoi nemici a travestirsi da marxisti, costrinse il liberalismo, interiormente putrefatto, a cercare di rivivere nelle vesti dell'opportunismo sociale, del riformismo e del revisionismo. Oggi, che i revisionisti e i socialdemocratici sono riusciti a cancellare tutte le categorie proprie del marxismo e pensano sia giunto il momento di celebrare un nuovo funerale di Marx ed Engels dopo aver selvaggiamente vilipeso le tombe di Mao, di Stalin e in ultima analisi anche di Lenin, la loro superbia e stupidità è tale che l'ubriacatura di una vittoria temporanea li spinge ad assumere apertamente le concezioni classiche del liberalismo borghese e proclamarle come verità universali pensando di rovesciare il verdetto emesso dalla storia. In particolare Craxi, e Natta e Occhetto, gli vanno dietro su questo terreno, si riallaccia direttamente al socialismo borghese pre-marxista fascistizzandolo, rilanciandolo e aggiornandolo in una cornice da seconda repubblica, per dare cioè una maschera sociale al nuovo fascismo. Come fece Mussolini attraverso la "repubblica sociale italiana", come fece Hitler che innalzò il nazional-socialismo per fare del suo popolo una massa di manovra e carne da cannone per soddisfare le ambizioni di egemonia mondiale dell'imperialismo tedesco.
Ma così facendo essi preparano strategicamente una nuova sconfitta storica, semplificando e portando direttamente lo scontro col marxismo che ha già fatto loro mordere la polvere sul piano teorico e pratico, indicando al proletariato rivoluzionario la via per ribaltare l'attuale situazione sfavorevole che è quella di tornare alle radici e alle sue fonti marxiste, ad ispirarsi agli insegnamenti del "Manifesto" di Marx ed Engels.

Ispirarsi al Manifesto per tenere alta la bandiera del socialismo
Con il capitolo IV, "Posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti di opposizione", si conclude il "Manifesto". In quest'ultimo capitolo, Marx ed Engels coronano la loro opera esponendo le prime indicazioni sulla tattica del partito del proletariato cui essi, parallelamente ai lavori teorici, hanno prestato durante la loro vita assidua attenzione. Tutte le opere di Marx e specialmente il carteggio fra lui ed Engels, forniscono un materiale immenso riguardo a problemi della tattica della lotta di classe del proletariato. Bisogna inoltre ricordare che Marx considerava come mondo, unilaterale e senza vita il materialismo privato di questo lato, cioè staccato dall'azione pratica rivoluzionaria.
Le osservazioni condensate in poche frasi riferite alle situazioni di singoli paesi europei come Francia, Svizzera, Polonia e Germania sono da considerarsi ancora oggi giuste nei loro principi generali mentre sono naturalmente invecchiate nei particolari perché la situazione politica si è completamente trasformata e l'evoluzione storica ha fatto sparire la maggior parte dei partiti ivi enunciati.
Il PMLI, e basta ancora leggere il Documento del suo Comitato centrale del 20 febbraio per averne una conferma, continua ad ispirarsi al principio fondamentale del marxismo circa la tattica della lotta politica enunciato in questo modo nel "Manifesto": "I comunisti (oggi bisogna dire marxisti-leninisti) lottano per raggiungere gli scopi e gli interessi immediati della classe operaia, ma nel movimento presente rappresentano in pari tempo l'avvenire del movimento stesso". Lo stesso valore il PMLI assegna alle indicazioni: "I comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti"; e "i comunisti finalmente lavorano all'unione, all'intesa dei partiti democratici di tutti i paesi".
Articolare intelligentemente la tattica, condurre un'abile politica delle alleanze e di fronte unito, concentrare di volta in volta l'attacco contro il nemico principale non vuol dire svuotare dei suoi contenuti e obiettivi di classe e rivoluzionari la linea politica del Partito del proletariato e rinunciare anche un solo istante a "sviluppare fra gli operai una coscienza quanto più è possibile chiara dell'antagonismo e dell'inimicizia esistenti fra borghesia e proletariato", rinunciare alla lotta per l'egemonia del proletariato e del suo partito, rinunciare a mettere "avanti sempre la questione della proprietà (privata capitalista e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo), abbia essa raggiunto una forma più o meno sviluppata, come la questione fondamentale del movimento".
Ecco perché il "Manifesto" si conclude con questa magnifica esortazione, con questo grido imperituro di battaglia: "I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro scopi non possono essere raggiunti che con l'abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Tremino pure le classi dominanti davanti ad una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene. E hanno un mondo da guadagnare.
Proletari di tutti i paesi unitevi".
Ecco perché il PMLI che tiene alta la bandiera dell'antifascismo lottando in prima fila contro la seconda repubblica di Craxi e Gelli e il nuovo fascismo, che tiene alta la bandiera dell'antimperialismo combattendo anzitutto la politica imperialista dell'Italia e dando il massimo appoggio possibile alla lotta antimperialista mondiale, non ha ammainato ed anzi tiene ben alta la bandiera del socialismo come opzione ideologica, politica e storica irreversibile che raccoglie, sostiene e dà respiro strategico alle altre due nella realtà attuale.
Abbiamo già detto che per tenere alta la bandiera del socialismo, dell'antimperialismo e dell'antifascismo, è necessario ispirarsi al "Manifesto" di Marx ed Engels, perché non si può capire la portata storia dell'appello del PMLI senza capire Marx ed Engels, senza conoscere gli insegnamenti del primo documento di quel nuovo modo di pensare proletario e rivoluzionario che non solo interpreta il mondo ma lo trasforma e nel quale vengono tracciate per la prima volta le fondamentali leggi di sviluppo della società umana.
A questo punto i compagni e i lettori avranno capito il perché di questo invito, avranno capito che nel "Manifesto" Marx ed Engels dimostrano che la classe operaia è il prodotto necessario dell'ordine economico attuale, il quale insieme con la borghesia, crea e organizza ineluttabilmente il proletariato. Dimostrano che solo la lotta di classe del proletariato organizzato libererà l'umanità dalle sventure che attualmente l'opprimono. Spiegano che il socialismo non è una invenzione di sognatori, ma lo scopo ultimo e il risultato inevitabile dello sviluppo delle forze produttive e della lotta di classe nella società contemporanea. Spiegano che la storia scritta finora è storia di lotta di classe, del susseguirsi, del succedersi del dominio e della vittoria di alcune classi sociali su altre, e che questo continuerà fino a quando non scompariranno la proprietà privata e l'anarchia della produzione sociale cioè le basi stesse della lotta di classe e del dominio di classe. E il soddisfacimento degli interessi di classe del proletariato esige proprio la distruzione di queste basi: pertanto contro di esse, contro la proprietà privata e il modo di produzione capitalistico deve essere diretta la lotta di classe cosciente del proletariato organizzato. E ogni lotta di classe è una lotta politica.
Il "Manifesto" ci insegna anche che non c'è niente di universale, e in un mondo diviso in classi non esistono valori universali ma solo valori che sono di una classe o di un'altra classe. Ci insegna che non ci può essere solidarietà fra le classi, che c'è una solidarietà della borghesia e una solidarietà del proletariato che è un altissimo valore. Essa si traduce nell'internazionalismo proletario che significa lottare per abbattere la propria borghesia e aiutare tutti i popoli e le nazioni che lottano contro l'imperialismo e le due superpotenze.
Il "Manifesto" ci aiuta infine a capire la natura del socialismo, che il socialismo è uno solo, che socialismo vuol dire dittatura del proletariato, direzione del Partito marxista-leninista e economia socialista, e che dunque il socialismo alla Gorbaciov, Deng, Mitterrand, Craxi e Natta è una contraffazione, una variante del potere borghese.
Le concezioni di Marx ed Engels che rappresentavano nel 1848 una novità assoluta e sconvolgente non sono riuscite a penetrare in profondità ed estensione nel proletariato e nelle masse popolari italiane perché la borghesia e i riformisti si sono subito impadroniti della direzione PSI, prima, e PCI, poi. Cioè dei partiti che avrebbero dovuto fondere la teoria rivoluzionaria marxista col movimento operaio ed invece hanno tenacemente lavorato al disarmo ideologico di classe, alla cancellazione di tutte le categorie proprie del marxismo fino ad assumere le concezioni classiche del liberalismo e del liberismo borghesi. Quello che il PMLI chiama processo di deideologizzazione, decomunistizzazione e socialdemocratizzazione delle masse, cui si accompagna l'omologazione ideologica, culturale e politica dei partiti della sinistra del palazzo, è dunque un fenomeno che ha radici lontane nel tempo e un ambito non solo nazionale. Sul piano internazionale esso ha ricevuto una forte accelerazione dalle teorizzazioni borghesi e controrivoluzionarie di Gorbaciov. Siamo di fronte ad una grave e inedita manipolazione e corruzione del pensiero e della coscienza politica delle masse tanto che c'è perfino difficoltà a capire il contrasto antagonistico fra gli interessi della borghesia e quelli del proletariato, che viene messa in discussione la possibilità stessa degli operai di agire come forza sociale autonoma, che prende campo l'illusione che attraverso la solidarietà e la collaborazione fra le classi e fra i popoli e gli Stati sia possibile stabilire sulla Terra la pace e il benessere universale; illusione che contiene in sé il ripudio e la totale negazione del socialismo di cui fino a ieri si era cercato di allontanare l'avvento teorizzandone la realizzazione senza lotta, senza la rivoluzione socialista e la dittatura del proletariato.
Per ridestare in Italia la coscienza di classe, bisogna far conoscere, bisogna che ogni operaio cosciente torni a conoscere il nome, la vita e l'opera di Marx ed Engels e degli altri maestri del proletariato internazionale, Lenin, Stalin, Mao e ad impugnarli come delle spade anticapitaliste e antimperialiste.
Senza ritornare alle fonti, senza riscoprire gli insegnamenti del "Manifesto", senza dissetarsi nelle opere di Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao e nell'esperienza storica del movimento operaio non sarà possibile andare controcorrente, edificare una nuova mentalità, una mentalità di classe, una mentalità rivoluzionaria ed edificare un nuovo partito del proletariato, il PMLI. Non sarà possibile ribaltare l'attuale situazione creando prima un terremoto ideologico, poi un terremoto organizzativo, sindacale e sociale e quindi al momento giusto un terremoto vero e proprio, concreto, materiale che mandi a gambe all'aria Craxi, De Mita e tutti coloro che vivono dentro il Palazzo per sfruttare e opprimere i lavoratori.
Il "Manifesto" ha suscitato storicamente la prima divisione nella sinistra. Marx ed Engels hanno avuto il coraggio di separarsi, di dividersi dal socialismo utopistico, dal socialismo alla Proudhon, dal blanquismo e dall'anarchismo. Essi hanno voluto questa divisione per realizzare la ricomposizione su basi di classe, su basi rivoluzionarie del proletariato mondiale.
Questa divisione è stata salutare, come lo è stata quella del '19 voluta da Lenin con la socialdemocrazia e quella del '56 voluta da Mao col revisionismo moderno capeggiato dal PCUS di Krusciov. Come infine lo è stata quella del '21 col PSI di Turati, Treves e Modigliani. Ecco oggi c'è bisogno di imparare anche questo dal "Manifesto", di avere il coraggio di Marx ed Engels per rompere col riformismo e il revisionismo e creare una nuova situazione organizzativa, un grande PMLI, l'unico partito politico italiano che abbia come obiettivo la conquista del socialismo.

5 marzo 2008