Lobby e multinazionali fanno affluire un fiume di denaro sui due candidati Obama e Romney per condizionarli
Le presidenziali Usa, un affare per miliardari

Nel 2008 il democratico Barack Obama arrivò alla Casa Bianca perché le lobby economiche e finanziarie e le multinazionali dell'imperialismo americano avevano bisogno di un volto nuovo per sostituire lo screditato Bush e il suo debole successore designato in campo repubblicano John McCain; lo dimostrarono rimpolpando fino alla allora clamorosa cifra di oltre 700 milioni di dollari il conto delle spese per sviluppare una campagna elettorale che gli permise di battere il concorrente repubblicano fermatosi a 333 milioni di dollari.
Un giornalista americano che aveva condotto una inchiesta sulla seconda vittoria di Bush su Al Gore nel 2022 definì quella degli Usa "la miglior democrazia che il denaro può comprare". Un teorema confermato dalla campagna per le presidenziali del 2008 i cui record sembrano destinati a sbriciolarsi a fronte della prossima, che si concluderà il 6 novembre. Quella che si preannuncia come la più costosa campagna per le presidenziali della storia, un affare per miliardari.
Negli Usa i finanziamenti pubblici hanno dei limiti di raccolta e sono sottoposti a controlli severissimi. Quelli privati no. Una sentenza della Corte Suprema del gennaio 2010 ha decretato il diritto di imprese, individui e sindacati a sostenere un candidato, con alcune regole ma di fatto senza limiti. Ha imposto un tetto di 2.500 a chi versa fondi direttamente al candidato ma il limite può essere aggirato se i contributi sono versati ai comitati d'azione politica, i cosiddetti Super Pac, che non hanno obblighi di trasparenza dei bilanci. Via libera quindi a lobby e multinazionali per finanziare e condizionare i due candidati Obama e Romney.
Così nella campagna per la riconferma di Obama si sono mossi attori famosi come De Niro a New York e George Clooney in California per organizzare cene col presidente da 40 mila dollari a testa e l'obiettivo di versare 6 milioni di dollari al fondo Victory Obama. Ma i principali finanziamenti arriveranno dall'industria della comunicazione, dello spettacolo e della cultura, dai giganti Microsoft, Comcast, Google, Time Warner e dalle Università di California, Harvard, Stanford. Alla conta, rispetto al 2008, mancano alcune società petrolifere e alcune banche ma c'è ancora tempo.
Il più ricco donatore di Obama è l'industriale di origine russa Len Blavatnik che ha versato 10,1 miliardi ma qualche spicciolo lo ha versato pure nel borsellino di Romney. Altri sostenitori sono Peter Lewis, presidente della compagnia di assicurazioni Progressive, l'ex responsabile di Google Eric Schmidt con 7 miliardi e il finanziere John Doerr con 2,2 miliardi.
Quello che dovrebbe essere lo sfidante repubblicano, il miliardario Mitt Romney ex governatore del Massachusetts, ha fra i maggiori sostenitori la Goldman Sachs, il gruppo Crédit Suisse, Morgan Stanley, Hig Capital, Barclays, Kirkland & Ellis, Bank of America, Price WaterHouse Coopers, Emc Corp. Le principali società della finanza americana. Però la Goldman Sachs se è al primo posto fra i finanziatori di Romney è anche al 19° fra quelli di Obama, secondo l'ultimo rilevamento mensile della Commissione elettorale federale.
Il più ricco donatore di Romney è il finanziere John Paulson che ha versato oltre un milione di dollari seguito dall'immobiliarista Donald Bren e dall'editore Sam Zell.
Mitt Romney ha praticamente vinto la gara per la nomination repubblicana grazie ai 43,2 milioni di dollari raccolti solo dal suo superPac, il Restore Our Future. Surclassando i rivali, Net Gingrich che si è fermato a 19 milioni e Rick Santorum, già ufficialmente ritiratosi iuna volta finiti i 15 milioni di dollari incassati per la campagna. Romney ha già cominciato a mettere in cascina i soldi per il confronto diretto di novembre e sembra sia già arrivato a una cifra di più di 150 milioni e punti a raggiungere il doppio dei 750 che servirono alla vittoria di Obama nel 2008.
Anche Obama ha già raccolto oltre 160 milioni di dollari, gliene servono molti altri se vuole tenere il passo dell'avversario. Alcuni centri studi americani hanno stimato che repubblicani e democratici potrebbero arrivare a spendere 6 miliardi di dollari per parte.
Chi "comprerà" la Casa Bianca avrà comunque speso una montagna di dollari e i facoltosi donatori che glielo hanno permesso si aspetteranno un "dividendo" politico dal loro investimento. Ecco come la grande finanzia e il grande capitale hanno in pugno i candidati alle presidenziali USA. Mentre una moltitudine di corifei continuano ad osannare quella americana come il più avanzato modello di democrazia borghese.

18 aprile 2012