Preso il super boss Lo Piccolo. Ma siamo sicuri che sopra di lui non c'è nessun altro?
Esultanza dei palermitani
Dal nostro corrispondente della Sicilia
È stato catturato nei pressi del comune di Giardinello, ad ovest di Palermo, il super boss Salvatore Lo Piccolo e, insieme a lui, il figlio Sandro, nonché Andrea Adamo e Gaspare Pulizzi anch'essi affiliati di spicco di Cosa nostra.
Le indagini che hanno portato all'operazione che ha consentito l'arresto dei boss è stata condotta dai Pm Nico Gozzo, Gaetano Paci e Francesco Del Bene. L'inchiesta è stata coordinata dal Procuratore aggiunto Alfredo Morvillo.La cattura di Lo Piccolo è avvenuta proprio nel cuore di quello che da anni è considerato il "suo" territorio, dove si presume si sia mosso in questi 25 anni di latitanza e dove ha collezionato decine di omicidi.
Gli affari del clan di San Lorenzo, il quartiere di Palermo base dei Lo Piccolo, vanno dalla riscossione del cosiddetto "pizzo" al traffico di droga, ma i suoi interessi si intrecciano anche con la cosiddetta economia legale, considerata fonte di riciclaggio del denaro sporco.
Lo Piccolo aveva cominciato la sua carriera di mafioso come guardaspalle e autista del boss di San Lorenzo, Rosario Riccobono, poi "scomparso" durante la guerra di mafia degli anni '80 ed è conosciuto a Palermo per l'odioso pizzo imposto alle famiglie del quartiere popolare periferico dello Zen sulle utenze elettriche.
ll boss in origine era un imprenditore edile, come altri mafiosi palermitani che dal sacco di Palermo, con l'appoggio delle istituzioni locali, hanno tratto profitti illeciti e occasioni di riciclaggio.
Il potere di Lo Piccolo si era via via esteso, fino ad abbracciare una vasta parte della provincia occidentale di Palermo. Facevano parte della cosca le famiglie di Carini, Isola delle Femmine, Sferravallo, Partanna-Mondello, ma anche alcune della provincia di Trapani.
Il patrimonio della cosca è davvero immenso. All'inizio del 2006 il nucleo di polizia tributaria della Gdf aveva sequestrato beni per un valore complessivo di 334 milioni, tra aziende commerciali e quote societarie nei settori turistici, ortofrutticolo, sanitario, dell'assistenza per anziani e scolastica ma anche magazzini, terreni, autovetture, appartamenti, conti correnti, fondi comuni di investimento. Eppure la cosca continuava ad essere una delle più forti ed attive di Palermo. Vastissima, infatti, è risultata la rete di prestanomi direttamente o indirettamente riconducibili a Lo Piccolo e certamente molto altro si verrà a saper dai "pizzini" sequestrati nelle fasi della cattura del boss.
Per dare una idea delle connessioni tra economia mafiosa ed imprenditoria cosiddetta "pulita" a Palermo basti dire che tra i beni sequestrati vi erano anche quelli dei più grandi imprenditori edili palermitani Benedetto Giuseppe Salamone e Antonio Inzerillo.
Come già per Provenzano, le masse popolari palermitane hanno esultato per la cattura di Lo Piccolo con una spontanea manifestazione di piazza davanti la Questura di Palermo. Quando i boss sono stati portati in questura varie sono state le parole d'ordine lanciate dalla folla tra cui "Abbasso la mafia". Presenti anche alcuni striscioni contro il pizzo.
Secondo alcuni giornalisti della stampa borghese, Lo Piccolo avrebbe assunto il ruolo di capo di Cosa nostra assieme all'altro super latitante Matteo Messina Denaro dopo la cattura di Provenzano, mentre per altri il suo ruolo di boss dei boss non sarebbe affatto scontato.
Condividiamo l'entusiasmo delle masse popolari e della Procura di Palermo per questo importante successo, ma, secondo noi, non è sufficiente a dare un colpo mortale all'apparato criminale mafioso. Se fosse così la mafia sarebbe già finita dall'epoca della cattura del più influente dei boss di Cosa nostra, Salvatore Riina.
In ogni caso anche se Lo Piccolo fosse il successore di Provenzano è sicuro che sopra di lui non c'è nessuno?
Noi non lo crediamo e diciamo da anni che oltre il livello militare che controlla in maniera soffocante il territorio siciliano, c'è un livello superiore della mafia, fatto di connnessioni vitali con le istituzioni borghesi, con la finanza e alta borghesia, come dimostrano recenti inchieste e processi, in primo luogo quello che vede imputato per reati di favoreggiamento a Cosa nostra il presidente della regione Sicilia, l'UDC Salvatore Cuffaro.
Pur consapevoli dell'importanza del livello repressivo nei confronti del braccio armato di Cosa nostra, non siamo, dunque, d'accordo con quanto afferma il ministro dell'interno del dittatore democristiano Prodi, Giuliano Amato: "Dopo le operazioni che hanno portato all'arresto di Provenzano e poi dei suoi più stretti collaboratori, dimostriamo di riuscire a colpire ripetutamente i vertici di Cosa nostra. E nessuna organizzazione può sopravvivere a lungo ritrovandosi continuamente senza i propri vertici".
In verità la mafia ha già dimostrato nel corso degli anni di poter sopravvivere anche con i suoi capi più importanti in carcere. Per sconfiggere la piovra mafiosa bisogna capire dov'è la testa su cui indirizzare i nostri colpi principali. La testa si trova nell'alta finanza, nei circoli dell'industria, dell'agricoltura, del terziario e nelle istituzioni. Cioè dentro la classe dominante borghese, lo stato borghese e l'economia capitalistica.

14 novembre 2007