Un gioco elettorale interborghese che confligge con la costituzione e il parlamentarismo democratico borghese
Le primarie danno le ali al presidenzialismo neofascista

Calata l'ubriacatura mediatica che per settimane ha accompagnato le primarie del PD, una riflessione si impone sull'affermazione di questo metodo di preselezione all'americana del candidato di uno schieramento politico, in questo caso del "centro-sinistra", alla corsa per la presidenza del Consiglio.
Veramente le primarie rappresentano quel "bagno di democrazia" che è stato evocato e osannato in tutte le occasioni e in tutte le salse da tutti i politicanti borghesi, a partire dai protagonisti diretti fino all'ultimo dei commentatori politici? Veramente esse hanno segnato quel "riavvicinamento alla politica" e quella "partecipazione diretta alle scelte politiche" da parte delle masse di cui la notevole e inaspettata affluenza ai seggi sarebbe la prova evidente?
Su questa capacità "rigeneratrice" delle primarie per rianimare il sempre più mefitico, corrotto e screditato regime neofascista è stato detto di tutto e di più. Basterà, a titolo d'esempio, citare il più diffuso quotidiano dell'area della "sinistra" borghese, la Repubblica, che in un editoriale del suo vicedirettore Massimo Giannini, scriveva subito dopo il primo turno: "Prima ancora di conoscere tra una settimana l'esito del duello finale tra Bersani e Renzi, da questo primo turno emerge già un 'vincitore'. Quel vincitore si chiama democrazia. Quel vincitore si chiama politica".
Eppure a nessuno di questi osannatori delle proprietà "salvifiche" di queste primarie, neppure a quegli esponenti della "sinistra" borghese solitamente sempre pronti ad impugnare la bandiera della legalità e della Costituzione, è venuto in mente - e se gli è venuto si sono guardati bene dal dirlo e dall'osare mettersi contro la corrente - che formalmente l'Italia è ancora una repubblica parlamentare, mentre le primarie sono uno strumento tipico delle repubbliche presidenziali. Anzi, più esattamente, queste primarie non sono altro che uno scimmiottamento di quelle americane, cioè del prototipo stesso della repubblica presidenziale borghese.
A ben guardare è proprio il presidenzialismo neofascista che ha rappresentato la cifra dominante di queste elezioni, rivelato dalla loro esasperata personalizzazione, (a fronte invece di una studiata vaghezza ed evasività sui rispettivi programmi politici), dalla sovraesposizione mediatica dei candidati, dai confronti televisivi all'americana e da una presenza ossessiva nei telegiornali e nei talk show. Presidenzialismo che paradossalmente è stato contrabbandato come un maggior "potere di scelta dal basso" tra gli elettori di sinistra, che sono stati ingannati e convinti di partecipare ad una "grande festa democratica", mentre invece legittimavano senza averne consapevolezza un altro passo dentro il regime neofascista.
Il leaderismo e la ricerca esasperata dell'investitura "del popolo" di cui hanno dato prova soprattutto Renzi e Bersani, ma anche Vendola, dimostrano quanta strada abbia scavato ormai il berlusconismo anche nella "sinistra" borghese. Ormai non contano più nulla i partiti, con le rispettive linee politiche e programmi, che difatti sono spariti dalla scena della contesa. Contano solo i vari capibastone, le correnti politiche e le lobby economiche e finanziarie che li sostengono e li foraggiano per rappresentare i loro rispettivi interessi, nonché le oscure consorterie di "Kingmaker" (gruppi di esperti e teste d'uovo che hanno grande influenza sui candidati) che curano e orientano le loro campagne elettorali dietro le quinte. Si pensi, solo per fare un esempio, al ruolo giocato con Renzi da Giorgio Gori, ex uomo forte di Mediaset, già responsabile dei palinsesti delle tre reti berlusconiane, poi direttore di "Canale 5" e "Italia 1" e infine fondatore e proprietario della casa di produzione televisiva Magnolia. Renzi è quello che ha impersonato di più questa mutazione antropologica e politica, con la sua rapida ascesa pompata dalla grande borghesia (vedi anche le dichiarazioni entusiaste di Squinzi e di De Benedetti in suo favore e perfino gli incoraggiamenti di Berlusconi), arrivando vicino a scardinare da destra i vecchi assetti di potere all'interno del PD.
Pure Vendola ha dimostrato una buona dose di narcisismo e di arrivismo borghesi in questa campagna elettorale, e di aver coltivato una sua cospicua base di potere al Sud. Quanto a Bersani, ora che ha vinto, smessi i panni del grigio sensale messo lì dal vecchio gruppo dirigente ex revisionista ora liberale, ha vestito in pieno quelli del leader "eletto dal popolo", esaltato e pompato da molti come fosse già il premier in pectore del prossimo governo. Grillo, che le aveva snobbate e irrise, è corso ai ripari lanciando le primarie online del Movimento cinque stelle, per non restare tagliato fuori da questo gioco elettorale interborghese che tanto successo ha avuto per la sua apparente "novità".
Perciò, altro che "festa della democrazia"! Le primarie danno invece ali al presidenzialismo neofascista, rompendo le stesse regole della democrazia parlamentare borghese fissate dalla Costituzione del 1948 e dell'elettoralismo e del parlamentarismo democratici-borghesi. Un obiettivo che era nei piani della P2, di Gelli, di Craxi e del neoduce Berlusconi finendo per contagiare anche la "sinistra" borghese, Napolitano in testa.

5 dicembre 2012