Tenendo alte le bandiere dell'emancipazione del proletariato e del 1° Maggio
Tutti uniti per abbattere il nuovo Mussolini
 

di Emanuele Sala*
Viva, viva, viva il 1° Maggio!
La Giornata internazionale dei lavoratori ha sempre rappresentato e tutt'oggi rappresenta una delle più importati ricorrenze per il proletariato e per le masse popolari sfruttate e oppresse di tutto il mondo. È bene ribadirlo, esso non ha un carattere interclassista, cioè non è la festa di tutti, di operai e di padroni (camuffati da produttori). Ogni classe, ebbe a dire Stalin, celebrando proprio il 1° Maggio in URSS, ha le sue feste: la borghesia per inneggiare ai suoi privilegi economici e sociali, il suo diritto alla proprietà privata delle risorse e dei mezzi di produzione, alla sua libertà di sfruttare i lavoratori; gli operai per segnare le tappe della loro emancipazione, per dichiarare la missione di liberare il mondo dalla schiavitù salariale, di far nascere una nuova società che dia a tutti benessere ed eguaglianza sociale.
Oggi più di ieri va tenuta ben alta la bandiera rossa del 1° Maggio. Altro che tricolore, pompato fino all'inverosimile da destra e "sinistra" borghesi, in testa il nuovo Vittorio Emanuele III, Giorgio Napolitano, con uno spirito patriottardo e nazionalista, in occasione del 150° dell'Unità d'Italia. Consapevoli del suo carattere anticapitalistico, antifascista e antinazista, antimperialista, proletario rivoluzionario per il socialismo. Oggi più che mai va difeso dagli attacchi delle borghesia e dei suoi agenti mascherati per demolirlo, per cancellarlo. Già Mussolini ci provò nel ventennio sostituendolo con il "Natale di Roma" da celebrare il 21 aprile. I partigiani, la Resistenza e la Repubblica rimisero le cose a posto. I tentativi attuali di vanificare il 1° Maggio sono più subdoli, vigliacchi e miserabili: come quello del sindaco di Firenze Renzi che vuole i negozi del centro aperti e i lavoratori a lavorare. Oggi più che ieri c'è il bisogno oggettivo, per la gravità del momento economico e politico nazionale e internazionale che stiamo vivendo, di rilanciare la tradizione storica e il significato politico, programmatico di lotta di classe del 1° Maggio.

Il carattere di classe del 1° Maggio
Diversamente dai voltagabbana, dai revisionisti vecchi e nuovi, dai rinnegati del comunismo e da quelli falsi in realtà trotzkisti e anarchici, noi marxisti-leninisti italiani con in testa il Segretario generale, compagno Scuderi, difendiamo con le unghie e i denti il carattere di classe del 1° Maggio, lo stesso facciamo con il patrimonio ideologico e l'esperienza storica del movimento operaio e comunista internazionale sintetizzati a livello teorico dai grandi maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, teniamo alte le bandiere dell'anticapitalismo, dell'antimperialismo, dell'antifascismo e antirazzismo, dell'antipresidenzialismo e antifederalismo, e quella strategica dell'Italia unita, rossa e socialista.
In questa ottica e con questa visione non dimenticheremo mai e saremo sempre grati ai lavoratori che sin dal 1855 iniziarono una lunga e difficile lotta per ottenere la giornata legale di 8 ore. Una lotta pagata col sangue e una feroce repressione poliziesca, specie negli Stati Uniti. In particolare nel corso della grande manifestazione che si svolse proprio il 1° Maggio del 1886 a Chicago e in quelle dei giorni successivi dove la polizia sparò sulla folla, uccise 8 operai e ne ferì un centinaio, arrestò i leader sindacali della protesta e li condannò ingiustamente a diversi anni di galera, alcuni di loro furono addirittura impiccati. Fu l'Associazione internazionale dei lavoratori (Prima Internazionale) diretta da Marx a proporre nel 1886 la rivendicazione di "otto ore come limite legale dell'attività lavorativa". Fu la Seconda Internazionale dei partiti operai di cui Engels era uno dei massimi leader, a proporre nel 1889 una grande manifestazione da tenersi il 1° Maggio in tutti i paesi per chiedere "alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore".
È assurdo e senza alcun fondamento scientifico sostenere, come fanno i detrattori del socialismo e del comunismo non solo alla Berlusconi ma anche alla Bersani, alla Vendola, alla Ferrero e alla Diliberto che il Novecento va archiviato in toto perché non avrebbe nulla da dire per costruire il futuro e per realizzare il cambiamento sociale, che bisogna andare oltre il marxismo e "inventare" altro perché esso avrebbe fallito nella pratica. È una menzogna che nasconde il tradimento della causa del proletariato e la resa al capitalismo. Giacché, per quanto ci provino e ci riprovino a trovare una terza via tra capitalismo e socialismo essa non esiste e non può esistere. È una verità questa che, piano piano ma inesorabilmente, tornerà a farsi strada. Specie davanti ai disastri causati dalla globalizzazione imperialista dei mercati, alla estrema finanziarizzazione dell'economia dove la fanno da padrone i colossi multinazionali. Dove la speculazione rappresenta attività primaria, dove la concorrenza e la ricerca del massimo profitto non conoscono né regole né limiti.

L'imperialismo non è immortale
Più poveri, più fame, più disoccupati, negazione dei diritti più elementari, dal diritto alla salute, all'istruzione, alla casa, inquinamento e sciagurato uso delle risorse ambientali, guerre di aggressione imperialista una dietro l'altra: è il risultato. Si assiste, da qualche tempo, a un proliferare di saggi, scritti da intellettuali progressisti (ma riformisti), tra i più recenti quelli di Ronald Dore e di Luciano Gallino, i quali non sanno andare oltre a una critica, anche dura e diretta, del "capitalismo globalizzato" e delle sue nefaste conseguenze, non sono in grado, o non vogliono, proporre una strada diversa dalla solita ricetta riformista di stampo liberaldemocratico-socialdemocratico. Costoro non pongono la questione delle questioni rappresentata dalla conquista del potere politico da parte del proletariato. Un'eresia? No, in una prospettiva storica anche se i tempi non possono essere stabiliti a tavolino.
Non ha senso sostenere che l'imperialismo con le sue gigantesche diseguaglianze, con le sue abissali ingiustizie dominerà il mondo all'infinito. Non ha senso sostenere che il capitalismo, il suo sistema economico politico, statuale e culturale rappresenti la fine della storia dell'organizzazione sociale umana. Le sue contraddizioni interne insolubili, in realtà lo porteranno progressivamente alla rovina, al suo superamento. Non ha forse detto questo, a saperla leggere bene, la crisi finanziaria e poi economica, produttiva e sociale, la più grave degli ultimi 80 anni, partita dagli Usa per poi arrivare in Europa e nel mondo intero? Se non si è certificato il fallimento ci è mancato poco.
Finché esisterà un popolo oppresso, finché i lavoratori saranno sfruttati, finché i giovani non avranno un futuro, finché i problemi più elementari della sopravvivenza non saranno risolti, l'opposizione, le ribellioni, le rivoluzioni saranno inevitabili e le benvenute. Da quando la società si è divisa in classi, la lotta di classe ha rappresentato il motore del progresso e dell'emancipazione sociale. Ne sono una prova vivente le rivolte dei popoli tunisino e di quello egiziano, che salutiamo con entusiasmo, contro i rispettivi dittatori Ben Ali e Mubarak, la lotta in armi del popolo libico per farla finita con il sanguinario Gheddafi.
Nel nostro Paese c'è un gran bisogno di rimettere in movimento e sviluppare la lotta di classe: si tratta di una esigenza fondamentale del proletariato e della sua avanguardia politica, il PMLI. Nell'immediato per difendere i diritti economici, sociali e sindacali, tra cui la sicurezza nei luoghi di lavoro, messi in discussione e negati dal governo del neoduce Berlusconi, dal nuovo Valletta Marchionne e dalla Confindustria di Emma Marcegaglia. A più lunga scadenza per rilanciare il progetto di cambiamento di società da realizzarsi con l'abbattimento del capitalismo e la conquista del socialismo. Qualcosa si sta muovendo, il vento sta cambiando, il "sonno" degli anni '80 e '90 è meno pesante e nel prossimo futuro potrebbe volgere al termine. La lotta strenua condotta dai metalmeccanici contro gli accordi separati di Fiat Pomigliano e di Fiat Mirafiori e contro le relazioni industriali di tipo mussoliniano che essi instaurano, in difesa del contratto nazionale, dello Statuto dei lavoratori, del diritto di sciopero e delle libertà sindacali è un segnale importante in questo senso. La lotta degli studenti medi e universitari in opposizione alle controriforme Gelmini e Aprea, fino ad arrivare ad assaltare il Senato il 14 dicembre 2010 per chiedere le dimissioni di Berlusconi è un ulteriore segnale da cogliere e sottolineare. Il ritorno nelle piazze delle masse femminili in difesa dei diritti e della parità è da registrare in questo contesto. Vanno in questa direzione anche le lotte tenaci, esemplari condotte dagli operai delle aziende in crisi per la difesa del posto del lavoro, dei giovani precari per contestare la frantumazione del "mercato del lavoro" e rivendicare condizioni di lavoro e diritti sindacali dignitosi.

Rimettere in moto la lotta di classe
Questo risveglio delle lotte sindacali e sociali va aiutato a svilupparsi e ad approfondirsi. Anche se non sarà facile perché la "sinistra" borghese lo teme e non lo vuole, perché i sindacati complici CISL e UIL lo avversano, perché la CGIL tende a gestirlo e a contenerlo in un ambito angusto. Lo dimostra il ritardo cosciente e colpevole con cui il vertice confederale ha indetto, per il 6 maggio prossimo, lo sciopero generale, per le sue modalità inadeguate, solo 4 ore con manifestazioni territoriali, anche se vi sono alcune categorie che l'hanno esteso a 8 ore per gli obiettivi dati allo sciopero che appaiono compressi, non all'altezza. D'altronde il neo-segretario della CGIL, la riformista e femminista Susanna Camusso, scalpita per superare il periodo degli accordi separati e riappacificarsi con Confindustria e i sindacati di Bonanni e Angeletti come dimostrano gli incontri a "tarallucci e vino" con la Marcegaglia e la presentazione di una proposta di "riforma" del modello contrattuale che costituisce una resa verticale alle controparti e agli avversari.
Questo risveglio operaio occorre certo sul terreno economico perché la crisi morde e fa danni, riduce i posti di lavoro, taglia salari e pensioni, comprime i consumi anche primari, aumenta le povertà. Occorre certo sul piano sindacale perché Marchionne, Fiat, Federmeccanica, Confindustria vorrebbero fare e stanno facendo tabula rasa di diritti e di libertà vitali garantiti che dovrebbero essere garantiti dalla Costituzione, ma per quanto ancora? Soprattutto occorre sul piano politico per avversare in modo deciso e risoluto la politica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista, interventista, razzista e xenofoba del governo del neoduce Berlusconi, per contestare e sconfiggere le sue controriforme come quella federalista appena approvata, come quella sulla giustizia in via di approvazione, per denunciare la vergogna delle leggi ad personam per evitare i processi e la galera del cavaliere piduista e mafioso di Arcore.
Gli operai sono le prime vittime e dunque i più interessati a prendere coscienza che all'Italia è stata rimessa la camicia nera, vedi come esempio recente il vomitevole disegno di legge presentato in parlamento per togliere il divieto costituzionale alla ricostituzione del partito fascista, che Berlusconi rappresenta il nuovo Mussolini che ha restaurato il fascismo in Italia sia pure sotto nuove forme e nuovi vessilli seguendo il "piano di rinascita democratica" della P2 di Gelli, Andreotti, Craxi e dello stesso Berlusconi. Gli operai sono, o dovrebbero essere, i primi a prendere posto nel largo fronte unito auspicato dal nostro Partito per realizzare un nuovo 25 Aprile e tramite esso mandare a gambe all'aria il neoduce.

La coscienza di essere una classe per sé
Ma il proletariato del nostro Paese per svolgere il ruolo di punta che gli compete nella lotta di classe, per rilanciare la sua missione storica di cambiamento della società in via preliminare deve (ri)acquistare la coscienza di essere una classe per sé, una classe indipendente e generale, antagonista per eccellenza alla borghesia, con un progetto di società, il socialismo, antagonista a quella di oggi, il capitalismo. È una coscienza che può acquisire solo se si appropria della concezione del mondo materialistica dialettica, se si arma della teoria rivoluzionaria del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, se si organizza nel suo partito politico che in Italia non può che essere il PMLI visto che è l'unico che vuole e lotta per la conquista del potere politico da parte del proletariato e del socialismo. Si deve fare ogni sforzo perché le fabbriche e in genere tutti i luoghi di lavoro diventino delle fortezze del Partito.
L'organizzazione degli operai più avanzati e combattivi nel PMLI sarà la chiave di volta per farlo diventare un Gigante Rosso non solo nella testa ma anche nel corpo. Per metterlo finalmente in condizione di assolvere appieno e al meglio i compiti rivoluzionari che gli spettano. Questo comporta il rigetto del riformismo, dell'elettoralismo e del parlamentarismo, del pacifismo. Comporta l'abbandono al loro destino dei partiti della "sinistra" borghese che non rappresentano e non possono rappresentare la classe operaia, dei partiti falsamente comunisti che si muovono sul terreno del trotzkismo e dell'anarchismo e che hanno tagliato i ponti col marxismo, i cinque Maestri del proletariato internazionale e la rivoluzione socialista.
Noi invitiamo le operaie e gli operai, le lavoratrici e i lavoratori, i disoccupati, i precari, i pensionati, a scendere in piazza per il 1° Maggio per partecipare alle manifestazioni con la bandiera rossa per rinverdire le tradizioni di lotta della Giornata internazionale dei lavoratori e per sostenere le lotte di oggi. Li invitiamo per le elezioni amministrative parziali del 15 e 16 maggio a impugnare l'arma dell'astensionismo disertando le urne, oppure annullando la scheda o lasciandola in bianco per delegittimare le istituzioni rappresentative borghesi, contro il regime capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista, contro il governo del neoduce Berlusconi e le amministrazioni locali di "centro-destra" e di "centro-sinistra", per l'Italia unita, rossa e socialista. Li invitiamo a votare 4 Sì nel referendum che si terrà il 12 e 13 giugno prossimi per abrogare le norme che privatizzano fonti, servizi e infrastrutture dell'acqua potabile, per cancellare la legge del governo Berlusconi per la costruzione di centrali nucleari, per affossare "lo scudo giudiziario" rappresentato dal cosiddetto "legittimo impedimento" a tutto vantaggio del Berlusconi imputato di vari processi.
Forte dev'essere, inoltre, la partecipazione alla giornata di lotta del 6 maggio. Ma rimane intatta l'esigenza di un vero sciopero generale di 8 ore di tutte le categorie con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi per mandar via Berlusconi.
Buon 1° Maggio rosso a tutti!
Viva l'emancipazione della classe operaia!
Avanti con forza e con fiducia verso l'Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!

* Responsabile della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI

20 aprile 2011