Con l'ennesimo voto di fiducia alla Camera
Il governo regala i servizi idrici ai privati e alla mafia

Con 302 sì, 263 no e nessun astenuto, la Camera dei deputati ha approvato il 19 novembre, in via definitiva, l'infame "decreto Ronchi" (si tratta di un fedelissimo del presidente della Camera Gianfranco Fini) che all'art. 15 regala ai privati la gestione dei servizi pubblici locali, comprese le infrastrutture e i servizi idrici. Il governo del neoduce Berlusconi ha voluto macchiarsi quindi di un altro enorme e incancellabile crimine nei confronti del popolo italiano: l'acqua, il bene più prezioso, sarà consegnato agli interessi delle grandi multinazionali e della mafia, comunque denominata.
Lo scandaloso testo, imposto con l'ennesimo golpe parlamentare e con il solito "voto di fiducia", è praticamente identico a quello che era uscito dall'aula del Senato nero, segno che ormai il Parlamento italiano non è altro che un orpello, un appendice del Gran Consiglio dei ministri del regime neofascista. Prevede che la gestione dei servizi pubblici locali e del servizio idrico sarà conferita "in via ordinaria" ad aziende private o a società miste dove "il socio privato avrà almeno il 40% delle azioni" mentre la gestione "in house" (municipalizzate e aziende pubbliche) sarà consentita soltanto in deroga e "per situazioni eccezionali".
Quali saranno le conseguenze di questa nefandezza? Basta vedere cosa è accaduto ad Aprilia (vedi scheda) oppure provare a fare un paragone con i disastrosi risultati delle privatizzazioni dei servizi pubblici finora effettuate in Italia (es. gas, energia elettrica, treni, poste, Alitalia, telefoni ecc.) con l'aggravante, da tenere ben presente, che nel caso degli acquedotti, evidentemente, il monopolio del gestore, per definizione, sarà assoluto e intoccabile in quanto nel settore idrico non può esistere "concorrenza", checché ne dica l'Antitrust.
La legge del resto, nel nome della più sfrenata deregulation, non prevede alcun meccanismo e nessun ente di controllo nei confronti dei monopoli che si aggiudicheranno le fornitura con concessioni a scadenze trentennali. Ad esempio: chi o cosa garantirà che non ci sarà un aumento indiscriminato delle tariffe? Che non ci saranno ondate di distacchi dell'utenza per morosità? Che la fornitura vitale dell'acqua potabile cittadini sia garantita in caso di un fallimento? Nel caso di un guasto disastroso delle infrastrutture? O semplicemente nel momento in cui il pescecane di turno decidesse di smettere la sua attività, per necessità o come arma di ricatto mafioso nei confronti della collettività?
O forse i fascio-leghisti e i loro lacché vorrebbero farci credere di non sapere che molte delle grandi multinazionali imperialiste che intendono mettere le mani sui servizi idrici dominano a livello mondiale anche il mercato delle fonti idriche e delle acque in bottiglia? Quale interesse avrebbero a migliorare la qualità dell'acqua?
Il concetto espresso dai legislatori ci sembra in sostanza semplice e chiaro, ed è lo stesso che ispira tutta la politica del governo: i comuni e lo Stato si ritirano, tutto deve andare ai privati, per quanto riguarda i consumatori-clienti se hanno i soldi bevono se non ce l'hanno pazienza crepano, a noi non importa! A denunciarlo è anche il presidente della Federcontribuenti, Finocchiaro che definisce il decreto "uno stravolgimento dei principi costituzionali e dei diritti universali inviolabili per ogni essere umano" contro il quale "ci impegneremo a fondo promuovendo lo sciopero fiscale e l'autoriduzione delle imposte da pagare come atto di legittima difesa", e il "Forum Nazionale dell'acqua" che con Paolo Corsetti ed Alex Zanotelli annuncia che per abrogare la norma sono pronti ad organizzare un referendum.

Le gigantesche responsabilità del PD
E la cosiddetta "opposizione" cosa dice? Chiama alla rivolta di piazza? Nient'affatto. Pierluigi Bersani (segretario del PD) all'ultimo congresso del partito della "sinistra" del regime neofascista affermava: "Ciò che occorre evitare è una scelta basata su pregiudizi; quello che occorre è che il gestore, pubblico, privato o società mista, sia qualificato, competente, onesto, efficace, efficiente ed adeguatamente indirizzato e controllato dai competenti organismi pubblici..." Forse ha dimenticato cosa hanno fatto in Campania l'Impregilo in combutta con la holding dei Casalesi di Gomorra nel settore, anche quello completamente privatizzato dal Bossi del Sud Bassolino, dei rifiuti.
E la "nuova speranza" del PD, il prof. Ignazio Marino? È esattamente sulla stessa lunghezza d'onda del suo padrino politico: "In questa ottica, quello del grado di 'privatizzazione' dei servizi idrici è un falso problema, purché sia garantita la qualità del servizio, la tutela dei cittadini meno abbienti, l'autosufficienza economica degli operatori e - fondamentale - un adeguato livello degli investimenti da realizzarsi principalmente attraverso il concorso della tariffa e, laddove esistano le condizioni, attraverso finanziamenti o cofinanziamenti pubblici a fondo perduto o a tassi di interesse agevolati..." Non si è accorto neanche lui di quello che è sotto gli occhi di tutti: ossia che le gestioni del servizio idrico affidate in questi ultimi anni a soggetti privati, sperimentate in alcune provincie italiane o a livello europeo hanno prodotto esclusivamente innalzamento delle tariffe, diminuzione degli investimenti, aumento costante dei consumi e dello sperpero della risorsa vitale. Per non parlare delle ecatombe che la privatizzazione sta provocando nel Terzo Mondo.
Del resto come non ricordare che il suddetto art.15 è il figlio legittimo del golpe balneare del 5 agosto scorso quando il Parlamento votava l'articolo 23 bis del decreto legge "Tremonti" (n° 112) che al comma 1 affermava che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell'economia capitalistica, ossia del massimo profitto, non essendo più da considerarsi un bene comune e universale, bensì "un bene di rilevanza economica", quindi considerato alla stregua di qualsiasi altra merce. Il testo ebbe l'appoggio del PD, nella persona del suo corrispettivo ministro-ombra, Linda Lanzillotta!
Dimostrazione che nella terza repubblica il lobbismo imperversa trasversalmente e non risparmia i giornali della "sinistra" borghese è un articolo del 21 novembre a firma del pennivendolo Alessandro Penati di Repubblica: "Ci sono buone ragioni per sostenere che il privato possa gestire meglio i servizi pubblici: in primis meno clientelismo e maggiore attenzione ai costi. Ma - bontà sua - non è automatico che accada" e ancora "Se poi il prezzo dell´acqua risultasse eccessivo per le famiglie meno abbienti, meglio intervenire direttamente a sostegno del reddito, piuttosto che stabilire prezzi politici" (sic!).

L'opportunismo del resto della "sinistra" borghese
Un ragionamento a parte merita la posizione dell'Italia dei Valori che con il portavoce Leoluca Orlando (ex DC), smarcandosi ancora una volta dalla dirigenza arci-opportunista del PD, avverte: "se affideremo questo bene naturale alle multinazionali, il loro peso sarà maggiore di quello che ora hanno rispetto al petrolio. Ricordate che la mafia è nata e si è rafforzata proprio sul controllo dell'acqua" e con Massimo Donadi ribadisce: "Questo decreto premia solo pochi speculatori che tramite i loro padrini politici cercano di appropriarsi di un bene che è pubblico". Non è condivisibile invece il partito di Di Pietro quando afferma che il decreto Ronchi "di fatto sottrae all'autonomia degli enti locali la gestione del servizio idrico" in quanto "nega il principio di sussidiarietà riconosciuto dalla Costituzione", perché è proprio tale principio, alla base della devoluzione federalista e della conseguente disintegrazione dell'unità d'Italia, che scatenerà le future guerre regionali, provinciali e comunali per l'acqua.
Si tratta di un concetto opportunista espresso anche dal presidente della Conferenza delle Regioni Vasco Errani (PD) e dal governatore della Puglia Nichi Vendola, che invece di bollare la privatizzazione in quanto tale e il ruolo che comunque ha svolto e continua a svolgere l'Unione europea nel promuoverla e favorirla, centrano l'attacco al governo sulle "forzature rispetto alle competenze regionali", ragionando come se ogni regione fosse già, di fatto, uno Stato a sé, che se ne frega di quanto accade nelle altre Regioni. Quello del cosiddetto fronte delle regioni del No da loro promosso (ossia delle regioni come l'Emilia-Romagna, il Piemonte, le Marche, la Puglia, l'Umbria che si sono dette pronte ad appellarsi alla Consulta per dichiarare l'incostituzionalità del provvedimento) è quindi un fronte istituzionale permeato da un profondo e gretto opportunismo non molto dissimile da quello professato dai leghisti di Bossi e Calderoli. E poi, ammesso che non si tratti delle solite manovre elettoraliste e che vogliano davvero fare delle legislazioni regionali per bloccare la privatizzazione, come possono dimenticare che rimarrebbero regioni come la Campania, il Lazio, l'Abruzzo, la Toscana, la Sicilia, la Calabria, la Lombardia dove la privatizzazione dell'oro blu si è già consumata, come possono dimenticare che le grandi infrastrutture come l'Acquedotto pugliese Spa servono più di una regione?
Per noi la lotta deve essere invece di piazza, coinvolgere fianco a fianco le masse popolari del Nord, del Centro e del Sud e puntare nell'immediato all'abbattimento del governo e del regime neofascista per aprire la strada all'Italia unita, rossa e socialista dove non essendoci più il capitalismo e l'imperialismo nessuno potrà neanche lontanamente immaginare di privatizzare l'acqua. Il referendum, che Di Pietro vuole abbinare a quello contro il nucleare e il "processo breve", può essere un'arma tra le tante per intraprendere la battaglia ma non può in alcun modo sostituire la lotta di classe per questi obiettivi tattici e strategici, imprescindibili per risolvere il problema alla radice.

25 novembre 2009