In otto anni tariffe rincarate del 65%
La privatizzazione dell'acqua ha portato aumenti delle tariffe e profitti alle stelle
Votare due Sì al referendum

Nonostante la crisi economica che sta affamando le masse popolari e la fase di deflazione caratterizzata dal brusco calo della domanda di beni e servizi, secondo i calcoli dei ricercatori di Confartigianato che elaborano in uno studio i dati del ministero dello Sviluppo economico, tra giugno 2005 e giugno 2010 le tariffe di acqua, rifiuti e trasporto pubblico sono salite del 28,4%, tre volte l'inflazione e il doppio della crescita registrata in Europa. Solo acqua e rifiuti sono aumentate del 32% contro il 15% dei paesi euro. Se si considera l'ultimo biennio (giugno 2008-giugno 2010), quello della recessione, le differenze esplodono: il 9,9% in più sulle bollette italiane contro il 6,9% dell'area euro.
Ma è sull'acqua, il principio essenziale della vita, che vogliamo mettere a fuoco la situazione e denunciare il massacro sociale che sta compiendo il governo in camicia nera. Ci riferiamo alla corsa alla privatizzazione delle ex-municipalizzate che va di pari passo con l'impennata nel costo dei "servizi pubblici locali. La bolletta è infatti salita in due soli anni del 16% contro il 7,1% europeo. Gli affidamenti degli Ato ad aziende miste o private hanno comportato un balzo secco della bolletta. Nel 2002 ogni italiano pagava in media 182 euro l'anno per il servizio idrico. Oggi siamo a 301, il 65% in più. Se si paragonano dunque le tariffe medie attuali a quelle del 2002 in otto anni le tariffe per il servizio idrico sarebbero aumentate addirittura del 65%. Bollette care, carissime. Due volte più salate a Roma, Bologna, Milano che a Parigi, Londra, Madrid. Tre volte più alte dell'inflazione negli ultimi cinque anni. Gli abitanti di Toscana (462 euro di spesa l'anno), Umbria (412), Emilia (383) e Liguria (367) - le regioni dove il processo di privatizzazione è più avanti - sono quelli che scontano prezzi più elevati. Complessivamente dei 25 Ato con le tariffe più alte, ben 21 sono privati o in gestione mista.
A Latina - dove il Comune è affiancato da Veolia - i costi sono schizzati "tra il 300 e il 3000%". 700 famiglie che si sono autoridotte le bollette sono state costrette ad ingaggiare una battaglia per le strade con i tecnici della multinazionale che intendeva operare la criminale ritorsione del distacco delle utenze. Ad Agrigento c'è la bolletta più alta del Paese e l'acqua arriva due volte la settimana e solo in due terzi della città. Il gestore privato è Girgenti Acque e si è scoperto la vende a Coca Cola per fare una bevanda gassata. Una stangata, un ricatto, un crimine non più intollerabili se si considera che l'incidenza della spesa per i servizi pubblici sul Pil pro-capite locale è altissima nel disastrato Mezzogiorno: Napoli (14,6%), Palermo (15%), Catania (14,8%), e in nessun caso la privatizzazione e il costo dei servizi corrisponde a un incremento della qualità e della manutenzione degli impianti.
In Sicilia ad esempio la rete idrica, notoriamente controllata dalla borghesia mafiosa, istituzionale e non, è un vero colabrodo, vecchia, inefficiente e sempre più simile quelle delle bidonville del Terzo Mondo. Non va meglio se e si considera la media italiana, laddove si calcola che solo due terzi dell'acqua erogata raggiungono i rubinetti delle famiglie, il ché significa che un terzo della preziosa linfa vitale, pari a ben 2.610 milioni di metri cubi, viene dispersa. E' costretto ad ammetterlo anche il Censis: "perdere per strada 47 litri ogni 100 immessi in rete, con un danno di 2,5 miliardi l'anno è uno scandalo non degno di un paese avanzato". A tutto ciò va aggiunto che due italiani su dieci non hanno il servizio di fogna, che al Sud quasi uno su due riceve acqua non depurata e che una famiglia di 4 persone spende in media 340 euro l'anno in acqua minerale, ossia trentanove in più di quanto stanzia per quella che arriva dal rubinetto (collocando l'Italia al terzo posto nel mondo).
La privatizzazione abbinata al completamento del processo di devoluzione federalista, che frantuma la penisola in 20 staterelli a beneficio dei grandi monopoli capitalistici e delle holding mafiose, sta aumentando fortemente anche il differenziale tra le città italiane. L'acqua di Firenze costa quattro volte quella di Milano (103 euro l'anno a un milanese e 431 euro a un fiorentino), Cagliari si colloca al primo posto assoluto per i servizi locali più cari, calcolati assieme: 3.108 euro contro i 2.179 sborsati da Milano. Seguono, nella classifica dei salassi, Palermo (2.633), Genova (2.559), Napoli (2.537), che paga anche più di tutti la raccolta rifiuti (sic!), Firenze (2.507) e Roma (2.461). A fine 2010 un metro cubo d'acqua costava 1,37 euro (con picchi di 2,28 per l'alta Toscana e di 0,66 a Milano). Nel 2020 saremo a quota 1,63, il 18% in più con punte di +75% per l'area di Lecco (che passa alla tariffa media) e del 67% nell'Ato Bacchiglione gestito da Aps-Acegas.

Strangolati i piccoli Comuni
Se le grandi infrastrutture e i servizi che servono i grandi agglomerati urbani come l'Ato2 Napoli-Caserta (in via di privatizzazione) e l'Ato3 Sarnese-Vesuviano (già privatizzato) sono i bocconi più prelibati, emblematici dell'ingordigia dei predoni dell'acqua e dei loro metodi imperialisti lo sono anche i tanti accordi capestro siglati con i Comuni piccoli e medi. È il caso ad esempio del Comune di Bisignano in provincia di Cosenza il quale, in grave difficoltà finanziaria nonostante le salate bollette, si era indebitato con la società So.Ri.Cal. S.p.A. (controllata dalla società "mista" francese Veolia), per la fornitura dell'acqua potabile per la somma di euro 443.242 per il periodo 2005-2008. Per poter estinguere il debito ed evitare espropri e pignoramenti dei beni pubblici il Comune aveva stilato un piano di rientro in 20 rate mensili a decorrere dal maggio 2009, supplicando la società di rinunciare alla pretesa degli interessi moratori e di rivalutazione monetaria. Niente da fare, nessuna pietà. La nuova convenzione prevede l'estinzione del debito, che nel frattempo ha raggiunto la cifra di 514.551,67 euro, con una dilazione di 60 rate mensili di 8.575,86 euro cadauna con decorrenza da maggio del 2010 fino ad aprile del 2015 più "il pagamento in conto corrispettivi della fornitura corrente di una cifra pari ad euro 1.441.020 da effettuarsi con 60 rate mensili di euro 24.017 ogni 10 del mese a decorrere da maggio 2010 e sino ad aprile 2015". Ma non basta! La nuova convenzione obbliga il Comune di Bisignano "a pagare gli interessi legali, comunque ancora da definirsi, sulla parte del debito pregresso che risultava insoddisfatto dopo le prime 48 rate e nell'ammontare pari ad euro 102.910 a partire dalla 49a rata scadente il 10 maggio 2014 e sino all'estinzione del piano di rientro medesimo". Alla fine di questo gioco al massacro con i soldi pubblici si sarebbe arrivati all'accensione di un mutuo da parte del Comune per la modica cifra di 240 milioni di euro con la Depfa Bank.

I monopolisti in prima fila
La grande torta messa in vendita dal decreto Ronchi non è solo il mercato delle bollette ma anche la gestione dei 64 miliardi di euro di investimenti che sarebbero necessari per rimettere in sesto i 300mila chilometri di tubi che trasportano il prezioso liquido dalle sorgenti fino ai rubinetti di casa.
Acea, la municipalizzata romana nel cui capitale sta crescendo rapidamente il gruppo Caltagirone (attivo nelle costruzioni), ha già oggi 8 milioni di utenti in diversi Ato a cavallo tra Lazio, Toscana e Umbria. Non solo. La società capitolina non ha mai nascosto il suo interesse per l'Acquedotto Pugliese e ha iniziato a muovere i suoi primi passi anche verso la Lombardia. L'astro emergente - pronto a "sfidare" Acea è la Iren, la utility nata dalla fusione delle municipalizzate di Genova, Torino, Parma, Piacenza e Reggio Emilia e partecipata dalla banca IntesaSanpaolo. Opera già in Emilia, Liguria, Piemonte, Sardegna e Sicilia e ha stretto un'alleanza azionaria di ferro con F2I, il fondo per le infrastrutture di Vito Gamberale. Alla finestra c'è anche la Hera, la utility bolognese, forte nella regione d'origine ma anch'essa ai nastri di partenza nella corsa per mettere le mani sull'oro blu. Infine A2a e Acegas che si muovono furtivamente a livello locale.
Per quanto riguarda i monopoli di origine straniera, a fare la parte del leone c'è la Suez, il colosso transalpino, in campo a fianco dell'Acea in Toscana e Umbria e il rivale francese Veolia, che distribuisce l'acqua nell'Ato di Latina, a Lucca, Pisa, Livorno e nel Levante ligure. Una sbirciatina al dossier sulla "svendita dei beni comuni dell' Italia" l'hanno data anche gli inglesi di Severn Trent (che ha già messo un piedino in Umbria) e gli spagnoli di Aqualia sbarcati da tempo a Caltanissetta.

Il PD di Bersani non è affidabile
Votando in massa due Sì ai referendum promossi dal "Comitatoacquapubblica" verrebbero abrogati l'infame decreto Ronchi che privatizza tutti i 92 servizi idrici italiani oggi riuniti in 92 Ato ("ambiti territoriali ottimali" creati dalla legge Galli del 1994) e le norme che consentono la speculazioni dei padroni dell'acqua sulle tariffe. Nello specifico il secondo quesito sul quale invitiamo a votare Sì chiede di cancellare la possibilità concessa al gestore di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta un 7% a remunerazione del capitale investito, senza vincolare ciò a una logica di reinvestimento di questi profitti per il miglioramento qualitativo del servizio. "Abrogando questa parte dell'articolo - sostengono i promotori - sulla norma tariffaria, si eliminerebbe il 'cavallo di Troia' che ha aperto la strada ai privati nella gestione dei servizi idrici, avviando l'espropriazione alle popolazioni di un bene comune e di un diritto umano universale". Più modestamente e realisticamente secondo noi vincere la battaglia referendaria serve a dare forza e fiducia per la successiva battaglia: quella per imporre una legge che abroghi tutta la legislazione vigente, vieti la privatizzazione in qualsiasi forma su tutto il territorio nazionale, garantendo come un'unica ed esclusiva modalità di gestione del servizio idrico, delle infrastrutture e delle fonti, quella pubblica, su tutto il territorio nazionale, per sottrarla definitivamente alle logiche del mercato e del profitto capitalistico.
In ogni caso è bene precisare che la battaglia referendaria, se non sarà accompagnata da una grande mobilitazione di piazza, non sarà certamente una passeggiata anche a livello mediatico. Nessuna affidabilità può essere infatti riposta in Pierluigi Bersani che anzi si è da tempo schierato nel campo del nemico, come testimonia anche il riconoscimento che ha ricevuto dal neoduce Berlusconi in persona che si è detto: "pronto ad un'alleanza bipartisan sul tema delle liberalizzazioni". A ruota anche molte associazioni legate al PD danno segni di rimbambimento e capitolazione di fronte alla pressione lobbistica dei grandi monopoli privati "multi utilities", come testimoniano ad esempio le dichiarazioni del segretario generale della Confartigianato Cesare Fumagalli: "Il mercato dei servizi pubblici in Italia vale 32 miliardi di euro, ma solo una sua reale liberalizzazione, attraverso gare non di facciata, potrebbe migliorare i prezzi per i cittadini".

2 febbraio 2011