Intervenendo in parlamento
Prodi apre alla destra sulla controriforma costituzionale e la legge elettorale
Grave concessione alla Lega sul federalismo fiscale e al Vaticano sulla famiglia. La "sinistra radicale" si piega
Il dittatore dc minaccia "il bastone" agli alleati
Il 28 febbraio al Senato e il 2 marzo alla Camera il governo della "sinistra" borghese guidato da Prodi, rinviato alle Camere da Napolitano dopo la bocciatura del 21 febbraio sulla politica estera, ha ottenuto la fiducia del parlamento nero e ha "ripreso il cammino" con un programma e una maggioranza ancor più spostati a destra, con una "sinistra radicale" completamente domata e ammutolita e con un premier che ha assunto le sembianze da dittatore democristiano. E oltre a ciò con un mandato preciso ricevuto dal rinnegato e servo del capitalismo e dell'imperialismo, Napolitano: aprire un confronto con l'opposizione parlamentare per realizzare con urgenza "larghe intese" sulla controriforma costituzionale e la legge elettorale, giudicate improcrastinabili per rafforzare lo Stato capitalista e assicurare stabilità e durata ai governi del regime neofascista.
Un mandato che Prodi si è premurato di eseguire facendone l'argomento centrale del suo intervento in parlamento. Non senza prima però ribadire i punti salienti del suo dodecalogo liberista, clericale, interventista e presidenzialista, che ha imposto alla coalizione al posto del già blando e inapplicato programma elettorale dell'Unione. In questo quadro la prima cosa che ha fatto è stato ribadire i capisaldi imperialisti, filoamericani e interventisti della politica estera su cui il governo era caduto al Senato, a cominciare dalla Nato e dall'alleanza con gli Usa e dagli "impegni che da questi rapporti ci derivano", vale a dire la svendita di Vicenza agli americani e il mantenimento della missione di guerra a Kabul. Per poi proseguire con il "risanamento della finanza pubblica", le grandi opere infrastrutturali ereditate dal governo Berlusconi, con in testa la Tav Torino-Lione, il "riordino del sistema previdenziale e delle politiche del lavoro", vale a dire la riduzione della spesa pensionistica in un modo o nell'altro e il mantenimento della legge Biagi appena "addolcita", le liberalizzazioni e le privatizzazioni "per favorire l'apertura dei mercati alla concorrenza", l'ammiccamento al Vaticano con l'abbandono di fatto dei pur insufficienti e insoddisfacenti "Dico", e viceversa la promessa di interventi a favore delle famiglie regolari e "numerose".
Sulla svendita dei diritti delle coppie di fatto alle pressioni vaticane il dittatore democristiano è stato chiarissimo, sbugiardando i servi sciocchi del PRC e del PdCI che avevano cercato di negarne l'evidenza fornendo contorte interpretazioni del non inserimento dei "Dico" nel dodecalogo prodiano: "Il governo ha presentato il suo disegno di legge in parlamento e con questo ha esaurito il suo compito", ha sentenziato infatti lapidariamente il premier. Come dire che ormai non lo sostiene più e si disinteressa della sua sorte. Anzi, ai parlamentari della maggioranza - ha aggiunto Prodi - sarà pure lasciato "un doveroso margine alla libertà di coscienza". Libertà cioè ai parlamentari clericali e filovaticani dell'Unione di affondare definitivamente il ddl colabrodo del governo facendo asse con la Casa del fascio, senza temere la censura e la condanna riservate invece ai loro colleghi in "crisi di coscienza" sull'Afghanistan e su Vicenza e senza rischi di mettere in pericolo la coalizione. Comunque, per chi coltivasse ancora qualche illusione su questo, ci ha pensato il baciapile Rutelli a chiarire una volta per tutte che questa "riforma" non è una "priorità assoluta sia per l'economia sia per la società italiana".

Federalismo e "riforme" costituzionali
Altrettanto gravi di quelle al Vaticano sulla politica familistica e contro i diritti delle coppie di fatto sono state le concessioni che Prodi ha fatto alla Lega neofascista, razzista e secessionista sul federalismo, nel tentativo di allargare ulteriormente a destra il sostegno alla sua sempre precaria maggioranza offrendo in cambio la disponibilità del governo a trattare sulla svendita di pezzi di sovranità nazionale agli appetiti e agli egoismi separatisti delle ricche borghesie del Nord. Già nell'intervento al Senato aveva gettato una invitante esca al partito di Bossi, dichiarando che "abbiamo bisogno di una Repubblica governante e governabile che assegni allo Stato e al governo centrale il compito di garantire l'interesse generale, ma capace di coinvolgere i livelli territoriali nell'assunzione delle decisioni che li riguardano", e in questo quadro di "mettere finalmente a punto un sistema di federalismo fiscale" che "assegni ai livelli regionali e locali la necessaria autonomia finanziaria e le conseguenti responsabilità nella gestione delle risorse".
Nel successivo intervento alla Camera Prodi è ritornato a battere sul chiodo del federalismo fiscale, definendolo un problema ormai "maturo perché già si è lavorato in materia" e perché "per la stessa solidità della ripresa abbiamo bisogno di maturare il senso dell'autonomia, della forza e dell'autogestione degli enti locali, a cominciare dalle regioni". Non contento, il dittatore democristiano ha avuto anche un colloquio riservato di tre quarti d'ora con Calderoli, il cui frutto si può capire dalle successive dichiarazioni di Maroni a "La Repubblica" del 4 marzo, in cui ha esposto la disponibilità della Lega a trattare sulle proposte di "riforma" costituzionale ed elettorale di Prodi: alla domanda se anche a costo di "smarcarvi dalla coalizione di centrodestra", Maroni ha risposto testuale: "Se necessario, sì. Il nostro obiettivo è il federalismo. Chiunque ce lo proponga seriamente trattiamo. Come ho sempre detto: facciamo patti anche col diavolo".

Una nuova "Bicamerale" neofascista
Ma Prodi non ha cercato il dialogo solo con la Lega. Come già detto il centro del suo intervento è stato l'offerta a tutta la Casa del fascio di un tavolo di confronto sulla controriforma costituzionale ed elettorale, ben sapendo che con questa legge elettorale e con le sue divisioni interne neanche l'opposizione può sentirsi sicura di conquistare un governo stabile e duraturo e, come l'andamento della crisi ha messo in evidenza, non spinge troppo per andare alle elezioni anticipate. Sicché, dopo aver ricordato il richiamo di Napolitano al parlamento a fare con urgenza la "riforma" elettorale, Prodi ha invitato la Casa del fascio a collaborare con l'Unione per cambiare le regole elettorali, ovviamente in senso maggioritario, e a cambiare la forma dello Stato, sia mettendo mano ad una "modifica della composizione stessa del parlamento", sia come già detto attraverso il federalismo fiscale e altre "riforme costituzionali", per "consolidare e razionalizzare la forma di governo; rendere più equilibrata la forma di Stato; dare al nostro ordinamento repubblicano un assetto coerente con i grandi valori della Costituzione, ma anche con le sfide del nostro tempo".
"La nuova legge elettorale dovrà essere il frutto di un'ampia convergenza. Le leggi elettorali, come le modifiche alla Costituzione, non dovranno mai più essere decise dalla sola maggioranza", ha aggiunto il dittatore democristiano con il suo tono più conciliante rivolto ai banchi della destra, tanto che il leghista Castelli gli ha risposto: "Allora facciamo la Bicamerale"! Proposta questa che per qualche tempo è circolata tra i partiti, anche se poi nessuno si è sentito di cavalcare effettivamente un organismo tanto screditato. Comunque l'appello di Prodi, almeno in linea di principio, è stato raccolto non solo dalla Lega, ma da tutti i partiti della Casa del fascio, compreso il neoduce Berlusconi, il quale ha dichiarato alla Camera di essere disponibile "ad un dialogo", a condizione che "non sia un espediente dilatorio, ma un confronto franco e serio in tempi rapidi e definiti". Un clima idilliaco suggellato dal guardiano della Camera, Bertinotti, secondo il quale la controriforma elettorale "con la conclusione di questa crisi ed il voto di fiducia si iscrive formalmente all'ordine del giorno dell'agenda politica".
Chi è allora che fa "tornare Berlusconi" e lo rimette in gioco? Chi combatte e vuol far cadere il governo del dittatore democristiano Prodi, o non piuttosto questo stesso governo della "sinistra" borghese, che non solo prosegue con qualche ritocco formale la politica interna e internazionale del neoduce, ma è pronto a inciuciare con lui e a ridargli un ruolo istituzionale per fare insieme le controriforme costituzionali, già bocciate col referendum popolare, per rafforzare il regime neofascista?
Questo dovrebbe quantomeno spiegarlo la "sinistra radicale", invece di coprire vergognosamente questo governo antipopolare, liberista, clericale e interventista e nascondere la sua evidente sterzata a destra, come fa il quotidiano di Rifondazione trotzkista, "Liberazione" del 28 febbraio, proclamando falsamente che col suo intervento in parlamento "Prodi non fa una svolta a destra" e "il governo torna a guardare al paese"! Insomma il dittatore DC minaccia "il bastone" agli alleati riottosi e costoro non hanno il coraggio neppure di fiatare, a tal punto che "Liberazione" e "l'Unità" tagliano a bella posta dai loro reportage proprio questa frase per coprirsi davanti ai propri elettori. Ormai la "sinistra radicale" è talmente vinta e prostrata ai piedi del dittatore democristiano da essere pronta ad accettare anche le "maggioranze variabili", cioè i voti della Casa del fascio su provvedimenti qualificanti del governo come la politica estera interventista e imperialista, senza menarne più scandalo e senza minacciare l'uscita dalla maggioranza come faceva fino alla vigilia della "crisi". Tutto pur di rimanere abbarbicata alle quattro sporche poltrone di governo e di sottogoverno con cui è stata comprata.

7 marzo 2007