Governo sfiduciato al Senato
Prodi è caduto
Napolitano cerca di formare un governo per fare una nuova legge elettorale
Sviluppiamo la lotta di classe per il socialismo
Nella tarda serata di giovedì 24 gennaio il Senato ha sfiduciato il secondo governo Prodi. Dopo 618 giorni di lacrime e sangue fatte versare al proletariato e alle masse popolari italiani il dittatore democristiano è stato costretto a dimettersi e a rimettere il mandato nelle mani del capo dello Stato Napolitano. L'ha spuntata la destra del regime neofascista che con 161 voti contrari contro 156 favorevoli ha fatto cadere da destra la maggioranza di "centro-sinistra".
Insieme ai senatori della casa del fascio hanno votato Mastella, Dini, Barbato, Fisichella e Turigliatto (senatore ex-Prc passato a Sinistra Critica). Un solo astenuto: il liberaldemocratico Scalera, il cui voto però, in virtù del regolamento del Senato, va ad aggiungersi ai contrari. Tre gli assenti: Pallaro, Pininfarina e Andreotti che ha abbandonato l'aula appena ha capito che i giochi erano ormai fatti. A favore di Prodi hanno votato anche i cinque senatori a vita Cossiga, Ciampi, Scalfaro, Montalcini e Colombo ma questa volta il loro soccorso non è servito, come era avvenuto in altre occasioni, a evitargli la sconfitta.
La crisi di governo si è aperta ufficialmente il 16 gennaio con le dimissioni del boss di Ceppaloni Clemente Mastella e la conseguente uscita dell'Udeur dalla maggioranza decisa all'indomani della raffica di provvedimenti giudiziari che di fatto hanno decapitato il vertice del Campanile accusato dalla procura di Santa Maria Capua Vetere di associazione a delinquere, concussione e corruzione.
Il venir meno della maggioranza di governo ha fatto esplodere le crescenti contraddizioni che già da diverse settimane si agitavano all'interno del "centro-sinistra" e accentuate dalla nascita del Partito Democratico capeggiato dal liberale anticomunista Veltroni. Una guerra per bande scoppiata all'interno della stessa coalizione che vede prodiani e veltroniani ormai ai ferri corti per contendersi il controllo del nuovo (ma in realtà vecchio) partito borghese.
Ecco perché Prodi, pur di rimanere in sella, e gestire da una posizione a lui più favorevole questa delicata fase di transizione, le ha tentate tutte: senza vergogna ha difeso a spada tratta Mastella sparando ad alzo zero contro la magistratura, poi si è prostrato ai suoi piedi pregandolo di ritirare le dimissioni e infine, dopo aver assunto ad interim l'incarico al ministero della Giustizia, ha deciso di giocarsi il tutto per tutto ponendo la questione di fiducia pur sapendo che quasi certamente sarebbe andato incontro a una sonora sconfitta.
Al suo fianco a fare quadrato e difendere a spada tratta l'operato del governo si è schierata invece, sia alla Camera che al Senato, tutta la cosiddetta "sinistra radicale" che addirittura è arrivata ad offrire a Prodi la guida di un "ulivetto", ossia una coalizione composta da Prc, Pdci, Verdi, Sd e i prodiani che mollebbero il Pd.
Durante il dibattito alla Camera Diliberto, augurandosi che "il governo superi questo momento di difficoltà", ha esortato Prodi ad avere "coraggio e determinazione perché noi comunisti saremo al suo fianco".
Mentre il leader della minoranza dell'Ernesto del Prc al Senato Claudio Grassi nell'annunciare "il rinnovo della fiducia al governo Prodi" ha sentenziato che l'origine della crisi "si manifesta nella costruzione del Pd che determina una grave instabilità".
Al suo fianco anche il capogruppo Prc al Senato Giovanni Russo Spena che ha commentato: "Quello di Prodi al Senato mi sembra un intervento che merita la fiducia" e la trotzkista luxemburghiana Rina Gagliardi, secondo cui "Non esistono alternative né al Governo Prodi né a questa coalizione". Mentre il segretario Franco Giordano pur di esorcizzare il ricorso a elezioni anticipate sposa in pieno la linea indicata dal capo di Confindustria Montezemolo sostenendo che "al Paese servirebbe un governo di scopo o un governo tecnico che possa affrontare il tema della legge elettorale".
A difesa di Prodi anche il leader dei Verdi Pecoraro Scanio che a più riprese ha sottolineato "il buon lavoro svolto dal governo Prodi per il Paese in questi 18 mesi".
Incassato il voto favorevole ottenuto la sera prima alla Camera: 326 voti a favore, 275 contrari, 601 i votanti, con l'Udeur che non ha partecipato alla votazione, il dittatore democristiano si è presentato al Senato sperando di potercela ancora fare.
Nell'intervento con cui ha aperto la seduta a Palazzo Madama, Prodi, così come aveva fatto alla Camera, ha esordito esprimendo ancora una volta tutta "la propria solidarietà a Clemente Mastella, contro le strumentalizzazioni e gli opportunismi che si sono prodotti nei suoi confronti". Poi, rivolto ai senatori ha chiesto un voto "motivato", promettendo nuove riforme istituzionali e un rimpasto di governo con nuove poltrone in palio a chi ovviamente gli avrebbe votato la fiducia. Non a caso, da ex democristiano e buon conoscitore delle tattiche corruttrici e ricattatorie del parlamentarismo borghese, Prodi ha insistito nel chiedere "il voto esplicito" di ciascun parlamentare ammonendo che "L'Italia ci guarda. Abbiamo un urgente bisogno di riforme. Ho accolto e condiviso la sollecitazione del presidente della Repubblica affinché non si vada al voto con la legge elettorale attuale".
"Sono qui al Senato - ha detto fra l'altro Prodi - per rispettare e applicare la Costituzione con lo spirito dei padri costituenti. La Carta non prevede infatti la prassi delle crisi extraparlamentari, e neanche quella delle mozioni di sfiducia individuali a un ministro. Vi chiedo di giudicare il lavoro dell'esecutivo con senso di responsabilità. Il Paese ha urgente bisogno di riforme, corre dei rischi per il grave ritardo in cui si trova. Ribadisco il mio impegno affinché non si vada a un voto che condanna il Paese all'ingovernabilità. Chiedo un voto motivato, nessuno può sottrarsi nel dovere di dire quale altra maggioranza chiede al posto di quella attuale".
Ma l'intervento più atteso era quello dell'ex Guardasigilli Mastella che, dopo aver attaccato con particolare livore la magistratura alla Camera, si è presentato a Palazzo Madama con i panni dell'agnello sacrificale e, dopo aver pateticamente scimmiottato una poesia di Neruda, ha confermato il suo voto contrario rimproverando il governo Prodi di averlo lasciato solo e di non averlo difeso a sufficienza dagli "attacchi" della magistratura.
"Dico no con molta fermezza alla fiducia", ha ribadito Mastella, si è poi rivolto direttamente a Prodi per rinfacciargli che "Lei non può far finta che non sia successo nulla. Bisogna esigere rispetto dalla magistratura".
Si susseguono poi le dichiarazioni di voto di Nuccio Cusumano (Udeur) e Natale D'Amico (Liberal democratici) che si rendono protagonisti di un clamoroso colpo di scena. In disaccordo coi rispettivi gruppi parlamentari, i due senatori annunciano a sorpresa il loro sì al governo e riaccendono le speranze di Prodi. Ma dall'opposizione, fra i cui scanni siedono anche i senatori dell'Uder, i loro stessi "amici" di partito si scagliano contro i due "traditori" che per qualche minuto rischiano il linciaggio. Cusumano viene prima insultato pesantemente e poi selvaggiamente aggredito, con tanto di sputi e pugni, da parte del suo capogruppo dell'Udeur Barbato che gli grida anche "pezzo di merda, pagliaccio, venduto" mentre con la mano gli mima contro lo sparo di un colpo di pistola in testa. La seduta viene sospesa per una decina di minuti. Cusumano viene colto da un malore, trasportato fuori dall'aula in barella e, appena ripresosi, viene a sapere di essere stato espulso dall'Udeur per "indegnità politica" in quanto, ha precisato il boss Mastella in perfetto stile mafioso, "è stato un tradimento atroce della persona in termini umani".
La seduta si chiude con la destra che esulta, stappa bottiglie di champagne e chiede "elezioni subito" mentre Prodi poco meno di un'ora dopo il voto rassegna le dimissioni al Quirinale.
Mentre nell'aula rimbomba il silenzio di Walter Veltroni il quale aveva annullato la sua partecipazione ai funerali del partigiano Boldrini a Ravenna, ufficialmente per partecipare al Consiglio comunale a Roma dove si discuteva della riqualificazione dello stadio Flaminio, in realtà per seguire da vicino l'evolversi della situazione come testimonia la lunga dichiarazione rilasciata alla stampa pochi minuti dopo il voto in cui ribadisce il no del Pd alle elezioni anticipate e invoca "il tempo della responsabilità". La soluzione è quella di un governo istituzionale con un "un esecutivo che stia in carica per il tempo necessario a portare avanti il filo del dialogo che si è intessuto finora". Proposta che, come ha chiarito il suo braccio destro, Goffredo Bettini: "è rivolta a diverse forze, penso a Udc ma anche a Forza Italia. Credo che per Berlusconi sia l'occasione per verificare se ha la spinta e la forza per passare dalla cronaca alla storia, verso un sistema bipolare maturo". In ogni caso ha aggiunto Veltroni "occorre evitare elezioni anticipate che precipiterebbero il paese in una situazione di crisi drammatica". Meglio affidare "al Presidente della Repubblica e alla sua saggezza la ricerca di una soluzione".
Sulla strada indicata da Veltroni ci sono anche i liberal democratici Dini e Scalera: "Si lavori, da subito, responsabilmente, per aprire una fase nuova che non faccia precipitare il paese verso le elezioni seguendo il percorso di un governo istituzionale che affronti rapidamente poche, fondamentali riforme, tra le quali appare fondamentale quella legge elettorale indispensabile per garantire governi stabili ed efficaci".
Sul versante opposto la casa del fascio e Udeur spingono per le elezioni anticipate con alla testa il neoduce Berlusconi, che dichiara di non volere "manovre di palazzo" e chiede che "si vada subito al voto", e il caporione di An Fini che aggiunge "ora si va dritti dritti a votare"
Del resto è risaputo che Napolitano chiede da tempo e l'ha ribadito nella recente celebrazione del 60° anniversario della Costituzione che tutti i partiti del regime partecipino a varare una nuova legge elettorale e a "riformare" la Costituzione.
In ogni caso, come ribadito nel comunicato dell'ufficio stampa del PMLI del 25 gennaio: "I marxisti-leninisti italiani non piangono per la caduta del governo Prodi, che ha fatto tanto male al proletariato e alle masse popolari italiani... Che si vada o non si vada alle elezioni politiche anticipate, che si faccia o non si faccia un governo per una nuova legge elettorale e per le controriforme costituzionali, i marxisti-leninisti continueranno a combattere, dal di fuori delle istituzioni, nelle piazze, nei luoghi di lavoro e di studio, contro la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista, contro il tentativo di Berlusconi e di Veltroni di aprire la strada alla terza repubblica, e per l'Italia unita, rossa e socialista".

30 gennaio 2008