Avallando la decisione del governo Berlusconi sul Dal Molin
Prodi svende Vicenza agli Usa
PRC, PdCI e Verdi non ne traggono le conseguenze. Washington apprezza: "Un passo in avanti nelle relazioni transatlantiche"
Esplode la protesta dei vicentini. Slogan contro Prodi e il "governo di guerra"
 
"Sto per comunicare all'ambasciatore americano che il governo italiano non si oppone alla decisione presa dal governo precedente e dal comune di Vicenza con un voto del consiglio comunale stesso, a che venga ampliata la base militare dell'aeroporto Dal Molin...": con questo annuncio fatto vigliaccamente il 16 gennaio da Bucarest, il democristiano Prodi ha gettato definitivamente quella maschera paternalista e paciosa con cui ha abbindolato tanti elettori di sinistra, democratici, antiberlusconiani, progressisti e pacifisti, rivelando con ciò il suo vero volto decisionista e ducesco e di che vera pasta capitalista, antipopolare e guerrafondaia è fatto il governo dell'Unione della "sinistra" borghese da lui presieduto, fotocopia del governo neofascista di Berlusconi su questo come su molti altri temi qualificanti.
Per giustificare una decisione già presa in gran segreto quantomeno da settimane, e forse da mesi, che lega ancor più a doppio filo il nostro Paese all'imperialismo a stelle e strisce e ai suoi folli piani di guerra globale al "terrorismo", il premier non ha trovato di meglio che coprirsi goffamente dietro il sì del Consiglio comunale vicentino e del neopodestà Hullweck alla concessione dell'area del Dal Molin ai militari Usa per il raddoppio della base di Ederle, declassando una scelta strategica vincolante per il futuro del Paese intero a un problema "urbanistico" di carattere locale, come ha tentato di fare bofonchiando che il suo governo "si era impegnato a seguire il parere della comunità locale e non abbiamo quindi ragioni di opporci, dato che il problema in questo caso non è un problema di natura politica ma di natura urbanistica e territoriale".
Ha anche aggiunto, come se fosse un'attenuante e non un'aggravante che conferma il suo ignobile servilismo all'alleato d'oltreoceano, di aver offerto agli americani "altre soluzioni che ci sembravano più equilibrate per il territorio", ma che agli americani non piacevano, e quindi "non si è potuto fare altrimenti".
L'annuncio di Prodi ha ricevuto l'immediato "apprezzamento" di Washington, che tramite l'ambasciatore Spogli ha fatto sapere che "oggi le relazioni tra Italia e Usa registrano un passo avanti". Ancor più significativa, perché registra la continuità con la politica di stretta alleanza con gli Usa del governo Berlusconi, è la dichiarazione del portavoce del dipartimento di Stato, Casey, secondo cui "questa decisione mostra che continuano ad esserci relazioni molto forti tra gli Stati Uniti e l'Italia".

Vicenza si ribella
Altrettanto immediata, ma di opposto carattere, è stata però la risposta del popolo vicentino, che pieno di indignazione per la pugnalata alle spalle da parte del governo dell'Unione arrivata con i tg della sera, è sceso a migliaia in piazza, improvvisando una vibrata manifestazione di protesta, con una fiaccolata notturna aperta dallo striscione "governo Prodi, governo di guerra", che ha percorso tutto il centro cittadino fino alla stazione ferroviaria, dove sono stati occupati i binari per due ore. "Prodi uguale Berlusconi", "vergogna!" e "sarà la nuova Val di Susa" erano gli slogan più lanciati. Contestati i rappresentanti locali dei partiti dell'Unione al grido di "dimissioni", e in particolare quelli dei DS, ai quali sono state fatte ammainare le bandiere, alcune delle quali sono poi state bruciate. Si riferisce anche di militanti DS che hanno bruciato pubblicamente le proprie tessere.
I comitati "No Dal Molin" hanno chiamato tutta la popolazione vicentina a scendere in lotta, compresi i lavoratori della caserma Ederle, esortati a non cedere al ricatto occupazionale e ad unirsi ai comitati. In un terreno attiguo al Dal Molin è stato installato un tendone per ospitare un presidio permanente, sull'esempio dei comitati No Tav della Val di Susa. È stato aperto anche un sito internet (www.altravicenza.it) per dare voce e risalto al movimento di lotta, con l'invito ai comitati della Val di Susa, contro il ponte di Messina, contro il Mose, contro le basi di Aviano e Camp Darby, ecc., di partecipare alle discussioni dei comitati vicentini. È stato rivolto anche un appello a boicottare i prodotti Zonin, il "Giornale di Vicenza" e la Banca Popolare, di cui Zonin è presidente e che capeggia insieme a tutta la Confindustria vicentina il fronte del sì in nome dei lucrosi affari promessi dagli americani.
Per tutta risposta Prodi è intervenuto una seconda volta, il giorno dopo da Sofia, nel tentativo di troncare arrogantemente ogni discussione: "Un problema politico non si pone certo per l'ampliamento di una base militare. Non si pone proprio", ha detto ripetendo il ritornello della questione "locale"; per sentenziare subito dopo: "La decisione è presa e irreversibile". Dopodiché ha cercato di scaricare ogni responsabilità sul governo Berlusconi, farfugliando: "Noi non sapevamo assolutamente nulla e credo che queste decisioni dovevano essere prese con maggiore conoscenza dell'opinione pubblica". Ma - ha proseguito sempre farfugliando - "una decisione è una decisione" e "quando uno va al governo si assume l'attivo e il passivo di quello che gli lasciano, e lo deve gestire".
Una scusa vergognosa e ridicola, la sua, ancorché assolutamente non credibile, che ha fatto ancor più indignare i vicentini che l'indomani,18 gennaio, sono scesi di nuovo in piazza più decisi che mai a non accettare il fatto compiuto e a far rimangiare a Prodi e al governo l'infame svendita della città e della sovranità nazionale ai generali del Pentagono. La mattina alcune migliaia di studenti superiori del movimento "Studenti contro il Dal Molin" sono sfilati in corteo per la città, dietro lo striscione "No a basi nuove, né al Dal Molin né altrove". "La delusione è stata cocente. Pensavamo che il governo dell'Unione avrebbe detto no alla base americana. E invece si sono accodati al volere degli Stati Uniti, della destra e degli industriali di questa città", ha detto una studentessa di prima liceo esprimendo la rabbia di tutti. Sono stati lanciati slogan contro il sindaco e anche contro il "centro-sinistra" e i DS in particolare. I manifestanti hanno tirato pomodori contro il palazzo comunale e la prefettura, difesa da centinaia di poliziotti. Nel pomeriggio manifestazione davanti al Comune, con lancio di pomodori mentre era riunito il consiglio.
Il 19 gennaio si è tenuta una manifestazione di protesta davanti a Montecitorio con circa 400 partecipanti e la presenza dei comitati vicentini, con slogan contro il governo e grida di "Dimissioni!". Alcuni parlamentari di Verdi, PRC e PdCI (Russo Spena, Menapace, Deiana, Rizzo, Bonelli), presentatisi a fare passerella mediatica, sono stati contestati e invitati ad autosospendersi.
Il 19 c'è stata una nuova manifestazione anche a Vicenza, davanti alla prefettura, con pentole e tamburi, al grido di "Vicenza libera" e "Vicenza svenduta agli americani". Il 20 si è svolto un sit-in di protesta a Bologna, sotto le finestre di Prodi, che si è ben guardato dal farsi trovare a casa. Per paura di contestazioni il premier aveva anche annullato la visita al polo militare aeronautico di Cameri (Novara), dove saranno assemblati i nuovi cacciabombardieri F-35 (131 per l'Italia) dal costo di 30 milioni di euro cadauno. Una grande manifestazione internazionale è stata convocata a Vicenza per il 17 febbraio prossimo.

Esplode il dissenso nella base dell'Unione
Insieme al movimento di lotta contro la base americana e la "vigliaccata" del governo (come è stata giustamente definita dai vicentini), cresce e si estende anche il disagio e il dissenso nella base e perfino tra i dirigenti locali dei partiti dell'Unione. "Liberazione" e "il manifesto" sono inondati di lettere indignate della base del PRC e di elettori di sinistra. Sono già più di 80 i dirigenti dei DS di Vicenza che si sono autosospesi seguendo l'esempio della parlamentare Lalla Trupia, che si era autosospesa dal partito e dalla direzione della Quercia: "Mi sento responsabile verso i miei elettori. Ci dicono: avete mentito. E allora io scelgo la mia città", ha detto la parlamentare diessina parlando delle decine di defezioni nei DS vicentini come di un "piccolo terremoto politico che segnala grandissimo disagio e contrarietà verso la decisione del governo Prodi".
Analoghi sommovimenti si stanno verificando in seno a Rifondazione. La segreteria vicentina del PRC ha chiesto a Roma la crisi di governo e il direttivo si è autosospeso dagli incarichi parlando di "vergognose dichiarazioni di Prodi" e annunciando l'astensionismo alle prossime elezioni provinciali. Se il governo dovesse ribadire il proprio si, avverte il documento, "chiediamo ai massimi vertici del PRC di togliere immediatamente il sostegno al governo Prodi". Lo storico Emilio Franzina, capogruppo del PRC in Consiglio comunale, parlando di "decisione scellerata che Rifondazione non è riuscita a contrastare", ha annunciato le sue dimissioni e il passaggio al gruppo misto. I giovani comunisti di Rifondazione dichiarano che se non ci sarà il referendum sul Dal Molin sono disposti a partecipare al blocco delle costruzioni della nuova base.
Si è autosospesa l'intera direzione provinciale della Margherita.
Anche nel movimento sindacale cresce il dissenso. Il Comitato centrale della Fiom chiede al governo di respingere l'ultimatum americano e il ricatto occupazionale, e inoltre di "pronunciarsi contro tale progetto per affermare una politica estera diversa dal precedente governo". Il segretario della Cgil di Vicenza, Oscar Mancini, mette in guardia Prodi dal mettersi "contro la volontà popolare", perché in tal caso sarà un'altra Val di Susa e "il governo avrà una caduta verticale di credibilità". Per il leader dei Cobas, Bernocchi, quella di Prodi è una "decisione ignobile", che dimostra il "servilismo del governo di centrosinistra agli Usa, in perfetta linea col vassallaggio berlusconiano".

Verdi, PRC e PdCI tergiversano
Sorpresi dalla durezza della contestazione che ha investito anche i loro partiti, i leader della "sinistra radicale", Verdi, PRC e PdCI, hanno cercato goffamente di smarcarsi da Prodi e dai partiti dell'Ulivo che hanno svenduto Vicenza agli Usa. Ammesso che non sapessero già da tempo della decisione, cosa di cui è più che lecito dubitare, e che quindi la loro non sia solo una squallida melina per nascondere la loro complicità con Prodi, essi di tutto cianciano meno che dell'unica cosa che, se avessero ancora un briciolo di dignità e di credibilità, dovrebbero fare: trarne le conseguenze e uscire da questo governo capitalista, antipopolare, neofascista, militarista e guerrafondaio, e farlo cadere da sinistra, come si merita. Invece blaterano di "exit strategy" dall'Afghanistan, di "interrogazioni parlamentari", di "referendum consultivo", e intanto trattano sottobanco con Prodi, D'Alema, Fassino e Rutelli per trovare la solita formulina, tipo "un segnale di discontinuità" nella politica di governo, con la quale giustificare la loro prossima capitolazione sia sul Dal Molin che sull'Afghanistan.
Su questioni così cruciali nessun compromesso è possibile né tollerabile. Il governo dell'Unione non aveva nessun "obbligo" di accettare un accordo tra Berlusconi e il governo Usa, tantomeno se era un accordo segreto e se l'attuale governo non ne era al corrente. Perché mai un nuovo governo, eletto da una maggioranza diversa, dovrebbe sentirsi vincolato a rispettare un accordo segreto, fatto dal precedente governo all'insaputa delle masse e del parlamento? Prodi non lo ha spiegato. Perfino Cossiga glielo ha fatto notare in una lettera aperta in cui, dichiarandosi contrario all'allargamento della base, sottolinea che su questa questione "doveva decidere il parlamento". Il capo del governo dell'Unione è più a destra del capo dei gladiatori? Evidentemente sì!
Il fatto è che questa decisione risponde semplicemente agli interessi dell'imperialismo italiano, che per avere un suo spazio tra le potenze mondiali e poter "esercitare il suo ruolo", come dice il rinnegato D'Alema, non può non mantenere e consolidare i rapporti con l'imperialismo attualmente egemone. E questo indipendentemente dai governi che si alternano alla guida del Paese. Ecco perché il governo di "centro-sinistra" sta proseguendo nella sostanza la stessa politica estera e militare nazionalista, interventista e imperialista del governo Berlusconi: dall'intervento nel Libano alla riconferma della missione di guerra in Afghanistan, dall'aumento delle spese militari al consenso all'imperialismo Usa di raddoppiare la base di Vicenza. E questo per fare del nostro Paese una portaerei avanzata nel Mediterraneo per i suoi piani di guerra in Medio Oriente e in Africa.

24 gennaio 2007