I rinnegati revisionisti e fascisti cinesi introducono i "diritti umani" e l'inviolabilità della proprietà privata nella costituzione cinese
La restaurazione del capitalismo ha creato spaventosi squilibri sociali. 900 milioni di contadini in miseria. Si moltiplicano gli scioperi e le proteste degli operai
L'Assemblea nazionale del popolo, il parlamento cinese, ha approvato il 14 marzo con 2.863 voti a favore, 10 contrari e 17 astenuti, alcuni emendamenti alla costituzione fra i quali la tutela dei cosiddetti "diritti umani" e l'inviolabilità della proprietà privata. Con questi due nuovi paragrafi i rinnegati revisionisti e fascisti cinesi sigillano nella costituzione due principi borghesi a garanzia della restaurazione capitalista del paese avviata da Deng Xiaoping.
La Cina "rispetta e salvaguarda i diritti umani" afferma il nuovo capitolo riprendendo la formulazione borghese tanto cara alla "comunità internazionale"; una formuletta che ovunque resta sulla carta nel momento in cui diritti quali il lavoro, la casa, il cibo, i servizi sociali sono sottomessi alle leggi del mercato capitalista e i diritti politici bloccati dalle regole della democrazia borghese e garantiti solo alla classe degli sfruttatori. Così sarà anche per la Cina capitalista.
L'altro nuovo articolo afferma che "la proprietà privata ottenuta legalmente è inviolabile" ed è messa sullo stesso piano di quella pubblica. è una garanzia costituzionale, già applicata nella pratica, chiesta dagli imprenditori cinesi e da quelli stranieri che investono nel paese per sviluppare con maggiore "tanquillità" l'economia capitalista.
L'operazione sulla costituzione voluta dal presidente Hu Jintao e dal premier Wen Jiabao accompagna l'iniziativa del vertice revisionista e fascista di Pechino per affrontare i sempre più gravi problemi creati dalla restaurazione capitalista, a cominciare dagli spaventosi squilibri sociali e dalla dilagante miseria tra la massa dei 900 milioni di contadini che hanno moltiplicato scioperi e proteste in varie parti del paese.
Per evitare che la situazione sociale diventi esplosiva lo stesso premier Wen Jiabao nella relazione di apertura dei lavori dell'Assemblea nazionale ha indicato la necessità di ridimensionare il tasso di crescita economica, che negli ultimi anni ha portato la Cina a essere la sesta economia mondiale. Il tasso di crescita nel 2003 è stato superiore al 9%, indice di una corsa all'arricchimento spaventoso di un pugno di capitalisti, di una corsa alla ricerca del profitto mentre i redditi dei lavoratori sono compressi. Nella provincia del Guangdong che nell'ultimo decennio ha avuto una crescita media del 10% il salario medio di un operaio è rimasto all'incirca quello del 1993; d'altra parte il reddito medio nelle campagne è aumentato di meno di un terzo di quello dei residenti nelle città allargando la forbice già esistente.
Nel corso degli ultimi 10 anni si sono moltiplicate le proteste operaie e gli scioperi contro le privatizzazioni e i licenziamenti del settore statale. Dalle strette maglie dell'informazione controllata dal governo è uscito il crescendo degli scioperi che dai 12 mila del 1993 erano oltre 200 mila nel 2000. In condizioni ancora peggiori si trovano i 900 milioni di contadini che sono spinti alla miseria da redditi sempre più bassi a fronte della crescita dei prezzi delle sementi e delle macchine agricole e dallo smantellamento a la privatizzazione dei servizi sociali; sono stimati in oltre 100 milioni quelli che hanno abbandonato le campagne per ingrossare le baraccopoli a ridosso delle grandi città in cerca di un lavoro.
17 marzo 2004