Quale cambiamento?

La strepitosa vittoria referendaria del 12-13 giugno ha fatto venire alla ribalta i comitati referendari e la miriade di movimenti e organismi di base che di quella vittoria sono stati i principali protagonisti e che ora, finiti i meritati festeggiamenti per il bel risultato così tenacemente e coraggiosamente perseguito, si interrogano su come, con chi e verso quali obiettivi proseguire la lotta.
Anche i partiti della "sinistra" borghese, passata la sorpresa per il travolgente successo di quella battaglia, di cui non portano alcun merito, adesso si interrogano, ma su come sfruttarla opportunisticamente per i propri interessi politici a livello elettorale, parlamentare e governativo. Il Partito democratico del liberale Bersani, ad esempio, che fino a ieri era stato favorevole al nucleare e alla privatizzazione dell'acqua, e solo all'ultimo tuffo si era accodato alla battaglia referendaria, adesso se ne attribuisce quasi il merito, mettendosi a intrigare con il Terzo polo del democristiano Casini e del fascista ripulito Fini per improbabili governi di "emergenza", magari a guida Tremonti, e con la Lega neofascista, secessionista e razzista di Bossi per staccarla dall'abbraccio col PDL.
Anche il liberale e presidenzialista Di Pietro sta giocando sporco con la vittoria referendaria, cercando di sminuirla del suo significato politico antiberlusconiano e antigovernativo per accreditarsi come "moderato" e "affidabile" per un nuovo governo della borghesia.
Ci sono poi i partiti della "sinistra" trotzkista, come Sinistra, ecologia e libertà di Vendola (SEL), la Federazione della sinistra di Ferrero e Diliberto (FDS), e altri personaggi come Roberto Saviano, che cercano di cavalcare l'ondata messa in moto dai referendum, il cosiddetto "vento del cambiamento", per sfruttarne strumentalmente la spinta: vuoi per accrescere potere contrattuale col PD e tirarlo, come propone l'ex bertinottiano della SEL, Franco Giordano, sul quotidiano trotzkista il manifesto del 20 giugno, verso la ricostruzione di una "Nuova sinistra" e un nuovo "centro-sinistra" fondati sul meccanismo presidenzialista liberale borghese delle primarie; vuoi per sperare di rientrare nel gioco elettorale, da cui erano stati tagliati fuori dalla batosta del 2008, mettendosi a rimorchio dei movimenti di lotta sui beni comuni, come traspare in modo alquanto sfacciato in un editoriale di Paolo Ferrero su Liberazione del 15 giugno, dove propone la creazione di una "Costituente dei beni comuni", per dare "una spinta decisiva ad un cambiamento profondo e la ripresa del cammino della democrazia".
Vuoi, infine, per ricondurre i movimenti di lotta nel quadro di una democrazia borghese "autenticamente liberale", come fa Saviano con un'intervista a La Repubblica del 17 giugno, che nei confronti dei movimenti referendari ripete l'operazione legalitaria, pacifista e riformista dei suoi precedenti interventi del dicembre scorso (sempre guarda caso sul quotidiano liberale di De Benedetti, Mauro e Scalfari) nei confronti dei movimenti studenteschi. Cercando stavolta di contrapporli scorrettamente tra di loro come diametralmente opposti, in quanto secondo lui "il movimento dei giovani ha saputo rinunciare alla strada della violenza e ha rilanciato nuove forme di comunicazione, di aggregazione". E questo dopo aver esaltato i "nuovi colori", come il viola e l'arancione, dai quali invita i partiti a lasciarsi "contaminare": un modo furbetto per invitare i partiti a riassorbire i movimenti nel gioco parlamentare e istituzionale. Approfittando del fatto che "non c'è per ora un percorso definito, non c'è un solo e unico programma", e tutto questo, secondo lui, "ha un sapore rivoluzionario. Sa di rivoluzione liberale così come la intendeva Gobetti".

Liberalismo o difesa dei beni comuni?
Di fronte a tutte queste sirene interessate a sfruttarne l'enorme bacino elettorale, stanno i comitati referendari e i movimenti in difesa dei beni comuni, un grande soggetto composito formato da centinaia di associazioni, circoli, movimenti, gruppi, cooperative ecc.: dai Forum dell'acqua ai Centri sociali; dagli ambientalisti del WWF, di Italia Nostra e di Legambiente, alle associazioni culturali e sportive laiche come ARCI e UISP; dalla rete Lilliput ad associazioni religiose di base, come Pax Christi, gli Scout dell'Agesci, l'Azione cattolica, le Acli, ai partiti tra cui il PMLI.
È vero che questo vasto e composito fronte non ha una direzione e un programma unici, ma che c'entra il liberalismo di cui vaneggia Saviano? Il liberalismo è esattamente agli antipodi della concezione della difesa dei beni comuni che anima il movimento. Nel quale, per quanto riguarda il futuro, prevale per il momento l'idea di continuare sulla strada di lottare su singoli e specifici obiettivi, come per esempio la ripubblicizzazione dell'acqua privatizzata, mantenendo l'autonomia ma anche non rifiutando di interloquire con i partiti e le istituzioni, per avanzare passo passo verso la sottrazione di tutti i beni comuni dalla logica del privato e del profitto, nell'illusione che sia possibile realizzare tale obiettivo all'interno del sistema economico, politico e istituzionale capitalistico.
È quel che emerge, per esempio, da un editoriale di Riccardo Petrella, creatore del "Contratto mondiale sull'acqua", su il manifesto del 15 giugno, in cui propone di costituire gli "Stati generali del governo dei beni comuni"; che dovrebbero essere convocati dal capo dello Stato entro la fine dell'anno e presentati e discussi in una sessione speciale del parlamento: "A momenti di grande fermento innovatore nella società occorre rispondere con grandi momenti di innovazione culturale politica e istituzionale", conclude infatti Petrella.
Sicuramente molti obiettivi di lotta concreti del movimento in difesa dei beni comuni sono da condividere, e il nostro Partito non certo da oggi ha dato e darà il suo contributo affinché essi siano conquistati. Basti pensare che il PMLI ha partecipato con il suo organo Il Bolscevico, i suoi militanti e i suoi simpatizzanti alla raccolta delle firme per i due referendum sull'acqua, nonché ai comitati per il sostegno ai referendum e alla battaglia referendaria, ma fin da diversi anni era sceso risolutamente in campo nella battaglia per la ripubblicizzazione dell'acqua, mentre ancor più antico è il suo impegno contro l'uso del nucleare in Italia e degli inceneritori. Per non parlare, naturalmente, della strenua e incessante battaglia condotta contro tutte le leggi-vergogna, tra cui il "legittimo impedimento", e agli attacchi alla magistratura del nuovo Mussolini.

La questione inevitabile del socialismo
Per il PMLI questa battaglia referendaria è stata anche un importante banco di prova per sperimentare nel vivo della lotta e tra le masse la sua linea del fronte unito, e perciò non può che sostenere attivamente le iniziative e le lotte concrete dei movimenti in difesa dei beni comuni che si svilupperanno a partire dalla vittoria referendaria. Tuttavia noi marxisti-leninisti non possiamo non porre loro il problema del quadro politico complessivo in cui queste lotte si svolgeranno. È veramente possibile, nel quadro inamovibile di questo sistema economico capitalistico, procedere da una battaglia all'altra su obiettivi specifici fino a conquistare una democrazia sostanziale, in cui i beni comuni siano strappati stabilmente alla speculazione e al profitto privati che imperano in tutti i campi dell'economia e della vita civile? Non è forse quella tra i concetti di beni comuni e proprietà privata, interessi collettivi e profitto individuale, pianificazione razionale delle risorse e libero sfruttamento di esse in nome della proprietà privata e del libero mercato, una contraddizione insanabile connaturata con il sistema capitalistico stesso?
In altre parole occorre chiedersi se sia mai possibile immaginare di realizzare concretamente un diverso modello "più sostenibile" di economia all'interno del capitalismo, che per sua natura tende sempre a cercare di realizzare il massimo profitto infischiandosene delle conseguenze per le persone, la società e l'ambiente. E se si ammette che ciò non è realisticamente credibile, né a livello teorico, né a livello di esperienza pratica (si pensi anche soltanto alle grandi cooperative, che sono diventate oggi macchine per fare profitto al pari delle altre imprese capitalistiche, dopo essere nate come associazioni di lavoratori in alternativa ad esse), occorre porsi inevitabilmente il problema del socialismo. L'unica società che si basa veramente e radicalmente sul principio della difesa dei beni comuni in contrapposizione alla loro appropriazione privata e al profitto.
È vero, il vento è cambiato, ma è ancora un vento borghese, perché non mette in discussione il sistema capitalistico e il suo ordinamento istituzionale. È giusto perciò lottare per difendere con le unghie e coi denti i beni comuni e conseguire importanti risultati in queste lotte, ma occorre anche non perdere mai di vista la prospettiva strategica del socialismo, senza la quale si finisce inevitabilmente per cadere in pericolose illusioni riformiste, parlamentari e governative destinate, come l'amara esperienza dei governi di "centro-sinistra" ha già ampiamente dimostrato, a svanire nel nulla lasciando tutto come prima e peggio di prima.
In ogni caso non c'è da cullarsi sugli allori, perché se è vero che con la vittoria dei quattro referendum è stata assestata una sonora sberla al neoduce Berlusconi e a tutte le cricche nemiche giurate dei beni comuni, rimane però tuttora apertissima e urgente la questione di un nuovo 25 Aprile per abbattere il nuovo Mussolini e il suo governo neofascista, prima che compia altri scempi politici e sociali.

22 giugno 2011