Rapporto Istat
Disoccupati il 31% dei giovani

È un vero e proprio disastro per l'occupazione, giovanile in particolare, quello fotografato di recente dall'Istat per l'Italia (record negativo dal 2004) nell'ambito di una ricerca continentale compiuta da Eurostat.
La disoccupazione, infatti, sale all'8,9%, con oltre 2,2 milioni di senza lavoro. Le statistiche ufficiali non tengono però conto di altri dati che farebbero svettare ulteriormente il già preoccupante e inaccettabile tasso di disoccupazione: come fa notare la CGIL, i disoccupati salgono a 3 milioni se si aggiungono i cassintegrati, che invece vengono considerati "occupati" a pieno titolo.
Il dato più grave è quello della disoccupazione dei giovani fra i 15 e i 24 anni, che ha raggiunto il 31% a dicembre 2011, con un costante aumento annuo del 3%. Secondo la Cgia di Mestre il tasso supera il 38% se si tiene conto anche dei cosiddetti "scoraggiati", cioè coloro che hanno persino smesso di cercare lavoro. E comunque bisogna tener conto del fatto che moltissimi di questi giovani lavoratori hanno a che fare con contratti precari.
Per il solo Mezzogiorno, la disoccupazione giovanile era al 31% già a novembre.
C'è poco da vantarsi anche per il presunto "aumento" dell'occupazione femminile, che è in realtà una conseguenza statistica della diminuzione dei maschi occupati e che non cambia i livelli altrettanto allarmanti della disoccupazione fra le donne e le penalizzazioni retributive. Nel Sud, peraltro, le donne senza lavoro sono poco al di sotto del 40%.
Non consola nemmeno il sempre presunto "calo" degli inattivi, dovuto puramente al fatto che svariati anziani hanno superato "l'età da lavoro" (che andrà comunque ridimensionata in base alla "riforma" delle pensioni) e non sono stati sostituiti da giovani. Anziani che, peraltro, ora si trovano non solo senza lavoro ma anche, grazie alla suddetta "riforma", senza pensione.
Parole vuote, quelle della Fornero che assicura che garantire lavoro è la sua prima occupazione, perché accompagnate dalle ben più spregiudicate e gravi parole di Monti contro la "monotonia del posto fisso" e l'articolo 18, indicato come fonte di tutti i mali, mentre invece, come nota Fulvio Fammoni (Segreteria nazionale CGIL), negli ultimi sei anni i licenziamenti sono cresciuti del 35%. A ciò si aggiunge la macelleria sociale imbastita dal governo che, con la recessione che incalza, non farà che aggravare le sempre più insopportabili condizioni di vita delle masse lavoratrici e popolari. Non convince nemmeno l'invio di una "task-force" dalla Commissione europea per risolvere il problema.
Ci vorrebbero misure urgenti per garantire lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato a tutti, a partire dai giovani e dalle donne, lotta al precariato per la sua abolizione (e non per la sua "normalizzazione" come prevede il "contratto unico" alla Ichino-Fornero), atti concreti per impedire la chiusura degli stabilimenti e la delocalizzazione delle imprese e della produzione. Tutte cose che il governo Monti, impegnato a salvaguardare gli interessi della grande finanza e della borghesia, non ha nessuna intenzione di fare. Ecco perché dobbiamo liberarcene con una grande mobilitazione popolare.

8 febbraio 2012