4 Sì AI REFERENDUM
per l'acqua pubblica, per affossare il nucleare e il "legittimo impedimento"
Documento dell'UP del PMLI

Il 12 giugno e 13 giugno prossimi l'elettorato italiano è chiamato ad esprimersi su 4 importanti quesiti referendari.
I primi due referendum intendono abrogare le norme dei governi di "centro-destra" e di "centro-sinistra" che completano la privatizzazione delle fonti, dei servizi e delle infrastrutture idriche, il terzo vuole cancellare la legge del governo Berlusconi che ha rilanciato la costruzione delle centrali nucleari su tutto il territorio nazionale, il quarto chiede di affossare lo "scudo giudiziario" (il famigerato "legittimo impedimento") che, insieme a numerosi altri provvedimenti golpisti, il nuovo Mussolini si è ritagliato addosso per sfuggire ai processi che lo vedono imputato.
Il PMLI invita le elettrici e gli elettori a votare quattro SÌ e si impegna a non far mancare il suo contributo, nell'ambito del fronte unito, per sensibilizzare e mobilitare il maggior numero di persone possibile. Siamo coscienti che raggiungere il quorum e portare alla vittoria i quattro referendum popolari non sarà affatto facile, visto che un recentissimo sondaggio rivela che appena il 7% degli italiani conosce il contenuto dei quesiti.
Confidiamo quindi innanzitutto sulla rete dei movimenti promotori, in primo luogo nel Forum italiano dei Movimenti per l'acqua pubblica che fin qui ha seminato molto bene, piantando solide radici su tutto il territorio nazionale. Vi aderiscono oltre 80 reti nazionali, più di 1.000 realtà territoriali e alcune centinaia di Enti Locali. Raccogliere la cifra record di oltre 1.400.000 firme contro la privatizzazione dei servizi idrici e portare in piazza il 26 marzo scorso a Roma oltre 300 mila manifestanti "è stato il coronamento - come si legge in un recente comunicato stampa - di una straordinaria esperienza dal basso, senza sponsorizzazioni politiche e grandi finanziatori, nel quasi totale silenzio dei mass-media".
Confidiamo nell'appoggio decisivo a questa impresa anche del "Popolo Viola", del movimento delle donne e del movimento dei precari, che hanno saputo riunire milioni di adesioni in oceaniche manifestazioni di piazza per denunciare le nefandezze del governo e invocarne le dimissioni.
Anche il movimento antinucleare, con la sua rete di associazioni ambientaliste e contro la guerra, è tornato a farsi sentire dopo le storiche lotte di piazza degli anni '80, e lascia ben sperare per la vittoria finale.
Noi crediamo che questo grande e straordinario fronte unito referendario debba continuare su questa strada e presidiare ogni giorno la piazza, che resta lo strumento più efficace per dare gambe, voce e visibilità alla campagna referendaria.
Occorre denunciare il vergognoso sabotaggio delle mobilitazioni popolari che stanno operando i liberisti e gli imperialisti interventisti, come Pierluigi Bersani e Giorgio Napolitano, ormai poco più che notai dei golpe istituzionali e costituzionali del neoduce di Arcore, o come il sindaco di Torino Sergio Chiamparino che è arrivato ad invitare pubblicamente il PD ad impegnarsi attivamente per far fallire i referendum sull'acqua.

I QUESITI CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA
Con il primo quesito si chiede di abrogare l'art. 23 bis sui "Servizi pubblici locali di rilevanza economica" del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito nella legge n. 133 del 6 agosto 2008, nonché l'art. 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135 convertito nella legge n. 166 del 20 novembre 2009.
Queste due leggi stabiliscono che la quasi totalità dei beni comuni e dei servizi pubblici sono privatizzabili e riducono a zero il potere di veto degli enti locali. In pratica, rendendo di fatto obbligatoria, su tutto il territorio nazionale, la privatizzazione dei servizi idrici, esse completano un processo durato oltre quindici anni a cui hanno contribuito attivamente anche i governi di "centro-sinistra" (in particolare gli ex-ministri Bersani e Lanzillotta).
Ricordiamo infatti che il grimaldello per avviare il processo di privatizzazione dell'acqua è iniziato nel lontano 1994 con la legge Galli n. 36 (governo Amato) che per la prima volta prevede la trasformazione della personalità giuridica dell'ente gestore, da pubblica a Società per Azioni (Spa), operante con le regole e le finalità del mercato capitalista e dove il pubblico, anche se mantiene la maggioranza del pacchetto azionario, diviene un imprenditore privato, la cui finalità principale è quella dei dividendi e della conquista di nuovi mercati. Si tratta di una legge-quadro che, da un lato, ha scardinato il vecchio sistema costituito da 8.000 soggetti che praticavano la gestione diretta o attraverso enti pubblici, e dall'altro, ha aperto la strada all'ingresso dei privati nella gestione delle ex-municipalizzate, trasformate in Spa. La legge Galli ha anche introdotto il criterio della copertura dei costi di gestione e manutenzione tramite le tariffe.
In seguito i contenuti più ultra-liberisti della legge Galli, degli accordi Gats dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e della direttiva europea Bolkestein (2006) sono stati recepiti subito dall'articolo 150 del "decreto ambientale" 152 (2006 - governo Berlusconi) che definisce come modalità di gestione del servizio idrico la sola forma societaria della Spa. Questo articolo era oggetto di un terzo referendum abrogativo ma è stato "inspiegabilmente" ritenuto inammissibile dalla Corte Costituzionale. Questa premessa, per spiegare che siamo chiamati ad abrogare soltanto parte degli ultimi decreti del governo Berlusconi, rispettivamente del 2008 e del 2009, che rappresentano il coronamento di una lunga serie di golpe istituzionali.
In particolare l'art. 23 della legge "balneare" 133/2008 inserisce i servizi pubblici, compresi l'acqua e i servizi idrici, nei beni di "rilevanza economica" che diventano quindi una merce come le altre nel mercato capitalistico, mentre l'art. 15 della legge 166/2009, nota anche come l'infame decreto Ronchi-Fitto (FLI-PDL), arriva a definire "eccezionale" l'affidamento diretto dei servizi a società a capitale pubblico, come le ex-municipalizzate e i consorzi intercomunali. Questo articolo è il più grave di tutti, in quanto obbliga gli enti locali a mettere sul mercato i servizi e le infrastrutture idriche, attraverso l'affidamento della gestione a soggetti privati o pubblico-privati (aziende miste) all'interno dei quali il privato sia scelto attraverso gara e detenga almeno il 40% del pacchetto azionario. Stabilisce anche che al 31 dicembre 2011 cesseranno tutti gli affidamenti "in house" (società in cui sia la proprietà che la gestione dipendono dalle istituzioni pubbliche), a meno che non si trasformino in società miste con almeno un 40% in mano ai privati.
Nel secondo quesito si chiede di abrogare il comma 1 dell'art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 (governo Berlusconi) limitatamente alla seguente parte: "dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito". Con la vittoria dei SÌ a questo referendum si vuole impedire al gestore del servizio idrico di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza prevedere un reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio. In pratica lo scopo è quello di spuntare gli artigli alle Spa (che siano multiutilities, multinazionali o aziende propriamente mafiose) che stanno imponendo ovunque un'odiosa e intollerabile impennata delle tariffe.
Abrogare questi tre articoli significa quindi stoppare la definitiva consegna al mercato dei servizi idrici. Si tratterà poi di battersi, con la lotta di piazza, per l'approvazione di una legge di iniziativa popolare, come quella già depositata in Parlamento, per cancellare la legge Galli e tutta la normativa successiva ed imporre, su tutto il territorio nazionale, una forma di proprietà e di gestione delle fonti, degli acquedotti e dei servizi di distribuzione, rigorosamente pubblica, gratuita e partecipata dalle masse popolari. Al fianco di questa legge rivendichiamo anche un serio piano per il risparmio idrico, per l'azzeramento degli sprechi delle risorse e del denaro pubblico, per il divieto di prelievo selvaggio delle fonti da parte di padroni e padroncini delle acque in bottiglia, per l'ammodernamento delle reti, a cominciare dalla Sicilia. Nel frattempo, in attesa del responso delle urne, occorre continuare a scendere in piazza per ottenere la moratoria delle gare in corso. Un obiettivo dettato dalla necessità di fermare alcune sporche operazioni, come quella sponsorizzata, senza vergogna, dai clerico-confindustrial-fascisti, Moratti e Formigoni, che hanno spinto il 22 dicembre scorso il Consiglio regionale della Lombardia a varare una legge che sopprime gli Ato regionali e obbliga alla messa a gara di tutti gli acquedotti.
 
Perché votare Sì
Ci sono quindi ottime ragioni, specifiche e generali, locali e internazionali, per votare in massa due grandi SÌ contro la privatizzazione dell'acqua. Riassumiamole:
Perché l'acqua è l'insostituibile principio della vita sulla terra e il diritto all'acqua deve essere garantito a ogni persona e alle masse popolari. Nessuno deve appropriarsi dell'acqua per farci profitti.
Perché le fonti, gli acquedotti e i servizi idrici e di depurazione sono un bene pubblico essenziale, appartengono a tutti e devono essere inalienabili.
Perché non possiamo permettere ai pescecani capitalisti italiani e stranieri di divorare la fonte primaria e il principio della vita individuale, sociale e produttiva e non possiamo neanche permettere che gli enti locali siano obbligati a consegnare la gestione dei servizi nelle mani degli speculatori, delle multinazionali e della mafia. In questo senso è lampante che il Decreto Ronchi è funzionale unicamente al giro d'affari legato alla grande operazione di svendita delle infrastrutture acquedottistiche del nostro Paese, dalle fonti ai rubinetti. Un giro d'affari stratosferico, stimato in 23 miliardi di euro, poiché riguarda 62 Ato (ambiti territoriali), 870 tra ex-municipalizzate e consorzi di gestione, con un totale di oltre 160 mila lavoratori impiegati. In prima fila per papparsi le municipalizzate troviamo le società quotate in borsa come la romana Acea, benedetta da Alemanno e dal papa, la lombarda A2A, nata dalla fusione delle municipalizzate di Milano e Brescia, controllata dall'Edison e proprietaria degli inceneritori di Brescia e di Acerra, e ancora l'Iride di Genova, la Smat di Torino, l'Hera di Bologna, l'Acquedotto Pugliese e Sicilacque spa, un'azienda quest'ultima creata ad hoc nel 2004 dal governatore Cuffaro, sulla quale, come le mosche sul miele, si sono lanciate Enel, la francese Veolia, gli onnipresenti Pisante. Seguendo un vecchio detto: chi controlla l'acqua di Palermo controlla il potere economico e politico sull'isola.
Perché anche in Italia la privatizzazione dell'oro blu è figlia della "globalizzazione" capitalista e imperialista, forgiata dalle selvagge politiche neoliberiste di rapina, saccheggio e sfruttamento, proposte e praticate attraverso le istituzioni preposte dall'imperialismo mondiale, quali il Fondo monetario internazionale (FMI), la Banca mondiale, la Banca centrale europea e il WTO, il cui unico fine è quello di mettere il loro lucchetto ai mari, fiumi e laghi dell'intero pianeta. Queste istituzioni servono gli interessi dei vampiri delle multinazionali, come Coca-Cola e Nestlè, che in tutto il mondo approfittano della penuria d'acqua per trasformarla in un oggetto di mercato, facendo delle privatizzazioni delle fonti e dei servizi la leva del loro dominio. Stringono accordi strategici con le multinazionali del cemento e delle "grandi opere" come l'Impregilo e con le grandi aziende miste "multiservizi", partorite dal modello francese, come Suez e Vivendi. Nascono così gigantesche concentrazioni economiche e finanziarie che impongono prezzi di monopolio, fanno profitti giganteschi orientando tutto il diritto a bere verso l'acqua in bottiglia, divorano gli appalti delle opere pubbliche e si garantiscono un flusso incontrollato di denaro pubblico. Un esempio è la multinazionale Acea che è diventata un impasto micidiale di acqua, rifiuti, energia sporca e cemento, e come un insaziabile parassita è pronta a divorare uno dei bocconi più grossi sul mercato, l'acquedotto campano e l'Ato2 Napoli-Caserta (172 comuni e bacino d'utenza di oltre tre milioni di abitanti).
Perché occorre abbattere il berlusconismo, il cui programma prevede che tutto quello che era prima dello Stato finisca nelle mani dei privati e dei grandi trust monopolistici. Privati devono essere l'elettricità, il gas, la raccolta e smaltimento dei rifiuti, gli acquedotti, i depuratori e le fognature, la telefonia fissa e mobile, la radio e la televisione, la scuola, l'università, la sanità e la ricerca, il trasporto aereo, ferroviario e marittimo, i beni demaniali e architettonici, le carceri, le "forze dell'ordine", la riscossione dei tributi, e chi più ne ha più ne metta.
Perché la privatizzazione delle fonti e dei servizi idrici è destinata ad aggravare la penuria d'acqua causata dalla siccità, dalla desertificazione, dall'inquinamento, dall'impoverimento delle falde sotterranee, dalla salinizzazione degli estuari, dall'alterazione del ciclo delle acque dovuto all'aumento delle temperatura. Seguendo questa scellerata politica nel mondo in meno di venti anni la disponibilità di acqua procapite è diminuita di un terzo e nei prossimi venti anni diminuirà di un altro terzo e ciò significa che al ritmo attuale oltre la metà della popolazione mondiale non avrà accesso all'acqua potabile entro i prossimi venti anni.
Perché la corsa alla privatizzazione va di pari passo con l'impennata nel costo dei servizi pubblici locali. E lo dimostra il fatto che in pochi anni gli affidamenti degli Ato ad aziende miste o private hanno comportato un balzo secco della bolletta. Se si paragonano le tariffe medie attuali a quelle del 2002 le tariffe per il servizio idrico sono aumentate addirittura del 65% (da 182 euro a 301). Un caso emblematico di questo sciacallaggio è avvenuto a Latina, dove il Comune è affiancato dalla multinazionale francese Veolia Water: i costi sono schizzati tra il 300 e il 3000% e si è arrivati al punto che le 700 famiglie che si sono autoridotte le bollette per protesta sono state costrette ad ingaggiare una battaglia per le strade con i tecnici della multinazionale che intendeva operare la criminale ritorsione del distacco delle utenze. Un altro esempio del salasso è Agrigento dove si registra la bolletta più alta del Paese nonostante che l'acqua arrivi solo due volte la settimana e solo in due terzi della città. Nella città siciliana il gestore privato che ha sestuplicato la bolletta è Girgenti Acque e si è scoperto che vende la preziosa risorsa vitale alla Coca-Cola per farne una bevanda gassata.
Perché in nessun caso la privatizzazione e il costo dei servizi corrisponde a un incremento della qualità dell'acqua, della manutenzione degli impianti e a piani di ammodernamento delle infrastrutture che riteniamo peraltro urgenti e necessari. Un esempio è l'Ato3 sarnese-vesuviano e il relativo acquedotto che da quando è stato consegnato nelle mani del consorzio di imprese Gori Spa è diventato come l'autostrada Napoli-Salerno, lavori perenni, fatti male apposta, interruzioni improvvise del servizio, cosche all'assalto dei subappalti, controlli zero. Del resto è noto che anche in Sicilia e Puglia dire grandi Spa è sinonimo di holding mafiose, che la fanno da padrone: si appropriano dei pozzi, delle infrastrutture e dei servizi idrici, aggravando la penuria d'acqua e trasformando persino i "depuratori" in discariche, mentre oltre il 50% dell'acqua potabile viene sprecato per dispersioni e carenze degli impianti.
Perché la privatizzazione si presenta combinata da un lato con i tagli al Mezzogiorno e agli enti locali che hanno aperto le porte alla svendita di strutture, infrastrutture, immobili, personale, dall'altra al federalismo municipale e fiscale che, spezzettando l'Italia in venti staterelli, aggraverà la diseguale distribuzione dell'acqua potabile e dei servizi tra zone ricche e povere, tra città e campagna. In questo senso la giungla di trust che si affollano per ottenere affidamenti e gare di appalto sono il preludio dell'era delle guerre regionali per il controllo dei grandi acquedotti da parte dei grandi trust legati alle borghesie regionali e per l'accesso alle fonti e alle utenze da parte dei vari predoni imperialisti.
Perché non è possibile neanche per un attimo dimenticare l'ecatombe idrica che è in atto nel Terzo mondo: un miliardo e quattrocento milioni di persone che non hanno accesso ad acqua sicura, due miliardi e 400 milioni di persone che non dispongono di impianti igienici adeguati, 2 milioni e 200mila persone, di cui circa 6 mila bambini al giorno, che muoiono a causa di malattie legate alla scarsa igiene dell'acqua, l'80% delle malattie presenti causato dall'acqua non potabile e da impianti igienici carenti.
Si tratta quindi non solo di una lotta "contro la privatizzazione, per la democrazia e la ripubblicizzazione dei beni comuni", ma anche di una lotta antifascista, antimperialista e anticapitalista. La vittoria dei SÌ in questi due referendum è una prima importante tappa della rivolta popolare per la riappropriazione delle risorse idriche, sottraendole al selvaggio sfruttamento capitalistico, che produce solo scarsità e morte, per garantire un reale diritto all'acqua alle generazioni attuali e future, non solo italiane ma del mondo intero.

IL QUESITO CONTRO LE CENTRALI NUCLEARI
Il terzo quesito chiede all'elettorato di abrogare il decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133, recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività....", limitatamente alle seguenti parti: art. 7, comma 1, lettera d: "realizzazione nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia nucleare".
Si tratta quindi di un'altra battaglia che è fondamentale vincere per mettere la parola fine alla miope e dissennata politica energetica del 4° governo del neoduce Berlusconi che calpesta impunemente la volontà del popolo italiano. Il quale, ricordiamo, si è già espresso contro il nucleare civile e militare con una valanga di voti nel referendum del 1987, con motivazioni ancora validissime e confermate una volta di più dalla catastrofe nucleare che sta avvelenando la terra, l'acqua e l'aria del Giappone e non solo. Una nuova valanga di SÌ infliggerebbe una batosta dura e senz'appello ai signori del nucleare, del governo e delle istituzioni.
Non bisogna quindi lasciarsi ingannare dall'annuncio di una moratoria di un anno sull'avvio della costruzione delle centrali fatta dal ministro dello sviluppo economico Romani. Egli, da buono stratega dell'antenna, ha solo raccolto la preoccupazioni del ministro Prestigiacomo sui contraccolpi elettorali di una ostentata minimizzazione dell'apocalisse in Giappone.
In campo nucleare nessun gradualismo può essere accettato. Del resto, quelli che contano, cioè il presidente dell'Eni, Scaroni, e il presidente della Confindustria, Marcegaglia, sono stati fin troppo chiari: in nessun caso intendono rinunciare al programma nucleare che è una torta da almeno 16 miliardi di euro e il primo presidente della nuova Enel privatizzata (dal governo D'Alema), Chicco Testa (ex "ambientalista"), ha persino inaugurato il "Forum nucleare italiano ", un'associazione "no-profit" a cui aderiscono Confindustria e imprese francesi, tedesche e americane: Ansaldo, Edison, Edf, Alstom, Enel, Eon, Terna, Westinghouse, Sogin, Suez, Tecnimont, oltre alla Cisl.
Per contrastare la propaganda berlusconiana, occorre anche chiarire che battersi per la vittoria dei Sì a questo referendum non è una battaglia contro il progresso tecnologico, economico, sociale e civile. È invece una battaglia contro l'uso perverso della scienza e della tecnologia da parte della classe dominante borghese in camicia nera che, in nome del suo unico dio, il profitto, calpesta il sacrosanto diritto alla salute, alla sicurezza e al benessere collettivi. Si può citare in questo senso la dichiarazione del fisico nucleare Carlo Rubbia, del Cern di Ginevra, che certo non è uno scienziato poco incline al compromesso, ma che ha sentito il dovere morale di rispondere a muso duro al nuclearista convinto ed ex-craxiano doc, Umberto Veronesi: "vai a vedere cosa è successo in Giappone", dandogli, neanche tanto tra le righe, del criminale. Forse Veronesi è diventato presidente dell'Agenzia nucleare italiana, perché sogna un Istituto dei tumori Spa accanto ad ogni centrale?

Perché votare Sì
1. Perché il rifiuto netto e totale delle centrali nucleari è una scelta a difesa della sicurezza, della salute e delle libertà collettive e individuali, a salvaguardia della vita della popolazione e dell'ambiente in cui viviamo noi e le generazioni future.
2. Perché le centrali nucleari sono incontrollabili strumenti di morte e distruzione. Come dimostrano non solo le catastrofi di Fukushima (Giappone), Tree Mile Island (Usa) e di Chernobyl (ex-Urss), ma anche le migliaia di incidenti che funestano la storia del nucleare in tutto il mondo. Lo dimostrano le piccole ma micidiali emissioni radioattive che colpiscono ogni giorno chi lavora nelle centrali e chi ci abita vicino e che hanno procurato uno stillicidio infinito di morti di tumore, che non è possibile neanche quantificare con precisione dal punto di vista epidemiologico.
3. Perché, come dimostra l'ecatombe giapponese, nessuna tecnologia al mondo può garantire la sicurezza assoluta delle centrali in caso di maremoti, alluvioni, terremoti, incidenti aerei o di altro tipo e in caso di attentati terroristici. Uno solo di questi eventi avrebbe conseguenze inimmaginabili, soprattutto in un Paese ad alta densità abitativa e ferma all'anno zero nella prevenzione dei rischi, come l'Italia.
4. Perché queste centrali rischiano di nascere già vecchie in quanto per realizzarle ci vorranno molti anni mentre la materia prima, l'uranio, andrà ad esaurirsi nel giro di 20-40 anni. Le principali miniere si trovano peraltro in Paesi del Terzo mondo e ciò significa che essi subirebbero nuove depredazioni e aggressioni imperialiste.
5. Perché il nucleare civile e il nucleare militare sono da sempre intrecciati, quasi indistinguibili, sin da quando le prime centrali furono progettate e costruite proprio per ammortizzare gli enormi costi derivanti dalla ricerca, con gli investimenti e gli impianti per la costruzione di bombe atomiche. Un esempio è la partecipazione italiana al Superphoènix, un reattore dal quale si ricavano ogni anno quantitativi di plutonio per una sessantina di bombe atomiche che vanno ad alimentare l'arsenale nucleare francese. Oggi che il nostro Paese è impegnato in tante missioni neocolonialiste dall'Iraq all'Afghanistan, dalla Libia al Kosovo, dall'Albania al Libano, ed è interessato quindi al più massiccio riarmo della storia repubblicana, non dobbiamo permettere che gli imperialisti e i guerrafondai possano applicare con estrema facilità la tecnologia e i settori produttivi connessi alle centrali nucleari civili alla produzione di ordigni nucleari. La lotta contro il nucleare in questo senso è parte inscindibile di quella contro l'imperialismo italiano.
6. Perché verrebbe imposto il controllo poliziesco a chi lavora nelle centrali e a tutti coloro che vivono nelle vicinanze. Come già avvenuto per alcuni mostri inceneritori come quello di Acerra e a molte delle megadiscariche campane, è certo che le centrali nucleari verranno dichiarate "siti di interesse strategico nazionale", e quindi militarizzate e sottratte al controllo delle popolazioni, delle istituzioni locali e della magistratura.
7. Perché non è stato ancora risolto il problema dello stoccaggio e dello smaltimento dei micidiali residui delle centrali nucleari a suo tempo chiuse. Queste scorie sono le più nocive tra i rifiuti pericolosi e continueranno ad esserlo per migliaia di anni. Vengono disseminate in tutto il mondo e ancora nessuno sa come disfarsene senza causare una contaminazione permanente dell'ambiente e del ciclo biologico o immani disastri anche a causa di banali incidenti durante il trasporto. Senza dimenticare che in un Paese ad alta densità mafiosa come l'Italia il nucleare finirebbe per alimentare le holding dedite al traffico di rifiuti radioattivi. Secondo il rapporto Ecomafia 2010 di Legambiente negli ultimi anni sono state identificate almeno dieci navi con rifiuti tossici e radioattivi affondate di proposito lungo le coste della penisola, mentre scorie radioattive sono massicciamente presenti nelle discariche, come quella di Pianura a Napoli, ma anche nell'asfalto delle strade, nel cemento dei palazzi, e persino, a cielo aperto, sui campi coltivati. Questi traffici internazionali, come quelli di armi, sono spesso coordinati dai servizi segreti (vedi il caso Ilaria Alpi).
8. Perché non ci vuole un mago per prevedere che le discariche legali e illegali dei rifiuti radioattivi sarebbero collocate soprattutto al Sud, come dimostra la decisione del generale Carlo Jean della Sogin di interrare i rifiuti delle vecchie centrali a Scanzano Jonico in Basilicata, nello splendido golfo di Policoro. Il governo Berlusconi fu costretto a rimangiarsi i rifiuti nucleari solo in seguito alla grandiosa ed esemplare rivolta di massa del popolo lucano. Oggi ci ritenta, con l'inaccettabile monetizzazione del rischio atomico, che nell'Italia federale dei tagli selvaggi agli enti locali, è un rischio più che concreto per le regioni del Sud. Non a caso in cambio di qualche manciata di spiccioli, il governatore Caldoro (PDL), prima del disastro in Giappone, non ci aveva pensato due volte a rompere il fronte del NO, dichiarando che la Campania era disposta ad ospitarle. Infine Berlusconi non ha mai nascosto l'intenzione di costruire le centrali anche contro il parere dei Comuni e delle Regioni interessate e questo è il motivo per cui il suo piano resta segreto.
9. Perché occorre impedire ad Enel e Eni, che vanno ripubblicizzate, di partecipare a società con enti stranieri per la costruzione e l'esercizio di centrali nucleari sia in Italia che all'estero. L'accordo Eni-Edf va considerato fuori legge, come è fuori legge l'asse di ferro che Berlusconi ha stabilito con il colosso energetico Gazprom, controllato dal neozar Putin.
10. Perché la costruzione delle centrali nucleari ha un costo esorbitante e non risolve nemmeno alla lontana il problema del fabbisogno energetico. Il taglio di ogni incentivo alle energie rinnovabili conferma invece che il nucleare, come il termo-incenerimento dei rifiuti, è una scelta alternativa e non complementare ad un serio piano per l'utilizzo delle fonti rinnovabili e per il risparmio energetico. La maggior parte degli esperti indipendenti concorda che se si incentivasse davvero l'utilizzo su larga scala delle fonti alternative, pulite e rinnovabili, di cui peraltro l'Italia è ricchissima, si supererebbe abbondantemente il modestissimo contributo di energia elettrica che si stima il nucleare fornirebbe (meno del 4%).
Si tratta quindi di una battaglia per chiudere per sempre il discorso sul nucleare in Italia. Poi si tratterà di allearsi con gli altri movimenti antinucleari che stanno prendendo piede nel mondo, a partire dai paesi disseminati di centrali nucleari come gli Usa, il Giappone, la Francia e la Germania. Si tratterà di estendere la lotta dal nucleare civile a quello militare, il che significa inevitabilmente inserirla in quella ancor più ampia per la pace e la denuclearizzazione del nostro Paese e del mondo intero, per la distruzione delle armi nucleari presenti sul territorio nazionale a cominciare dai missili della basi Usa e Nato.

IL QUESITO PER DIRE BASTA ALL'IMPUNITÀ DEL PREMIER
Il quarto quesito referendario chiede di abrogare l'art. 1, commi 1, 2, 3, 5 e 6, e dell'art. 2 della legge 7 aprile 2010, n. 51, recante "Disposizioni in materia di impedimento a comparire in udienza", come risultante a seguito della sentenza n. 23 del 13-25 gennaio 2011 della Corte costituzionale. 
Si tratta del famigerato "legittimo impedimento" che il Senato nero ha approvato il 10 marzo 2010, tramite due voti di fiducia. Lo scopo smaccato del nuovo Mussolini è quello di bloccare i processi Mills e Mediaset. Questa legge si applica infatti anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado essi si trovino alla data di entrata in vigore della norma (art. 1, comma 7). Fino ad ora gli ha permesso di far rinviare le udienze di 6 mesi in 6 mesi, fino a un totale di 18, accampando tutta una serie di motivi legati alle sue funzioni di governo, "nonché di ogni attività comunque co-essenziale alle funzioni di governo". In sostanza con questa norma si è potuto prendere semplicemente beffa delle convocazioni alle udienze firmandosi da sé la giustificazione. Quanto ad altri futuri processi, basterà tirarli per le lunghe - arte in cui avvocati e mezzi non gli mancano di certo - quanto basta per mandarli in prescrizione.
Il "legittimo impedimento" è uno scandalo perché è stato esteso anche a tutti i ministri ed è un vero e proprio golpe visto che ad attestare la veridicità di tali impedimenti non sono i giudici o una speciale commissione ma la presidenza del Consiglio stessa, che così "autocertifica" l'impossibilità di premier e ministri a presenziare alle udienze, senza possibilità di essere confutata. Per questo i giudici del Tribunale di Milano avevano sollevato l'eccezione di incostituzionalità. Il 14 gennaio 2011 la Corte Costituzionale si era espressa per il mantenimento della legge, con una sentenza che aveva abrogato solo alcune parti considerate incompatibili con gli artt. 3 e 138 della Costituzione. Il referendum cancellerebbe del tutto la norma.

Perché votare Sì
1. Perché, checché ne dicano la Consulta e il capo dello Stato Napolitano, il "legittimo impedimento" è palesemente incostituzionale e viola i più elementari principi del cosiddetto "Stato di diritto", come quella che campeggia nelle aule di Tribunale: "la legge è uguale per tutti". Si tratta quindi di un golpe istituzionale e costituzionale.
2. Perché, insieme alla "prescrizione breve", che prevede la cancellazione pura e semplice dei processi in corso, è una tenaglia micidiale con cui il neoduce Berlusconi tiene per il collo il parlamento nero e non lo mollerà finché non gli avrà concesso un'immunità ed un'impunità sicure dai processi in corso e futuri che lo riguardano.
3. Perché il "legittimo impedimento" serve a delegittimare quella parte della magistratura che non si è ancora allineata al regime neofascista, piduista e mafioso. Con il SÌ il popolo italiano ha quindi l'occasione di schierarsi dalla parte della magistratura milanese e dei giudici antimafia sottoposti ogni giorno a reti unificate alle offese, alle aggressioni e alle minacce di stampo terroristico che hanno come obiettivo finale il vecchio programma della P2: la sottomissione del potere giudiziario a quello esecutivo.
4. Perché vincere impedirebbe che il referendum si trasformi in un boomerang, in un'arma di propaganda del neoduce per legittimare il suo operato golpista dinanzi all'opinione pubblica. È vero infatti che in linea di principio, e dal punto di vista giuridico, il mancato raggiungimento del quorum di partecipazione non è generalmente considerato avere gli stessi effetti di una prevalenza dei voti contrari ma è vero anche che i lacché del neoduce non si farebbero certo scrupolo ad interpretarla in tal modo. Il quorum è quindi, anche in questo caso, il grande scoglio da superare.
Detto questo, bisogna essere chiari circa gli obiettivi del quesito: la via referendaria e quella giudiziaria per liberarci del dittatore fascista è troppo incerta e lenta. Gli intellettuali e i magistrati antifascisti dovrebbero riconoscerlo apertamente visto che fino ad oggi Berlusconi è sempre riuscito a farla franca. Anche se vincessero alla grande i SÌ a questo referendum, le armi e i mezzi che il premier ha a sua disposizione sono troppi. Può continuare tranquillamente ad utilizzare la via degli infiniti cavilli e rinvii, delle prescrizioni, del conflitto di attribuzione, delle leggi ad personam.
Tanto più che ora con il colpo di spugna del "processo breve" ("effetto collaterale": amnistia per migliaia di processi, tra cui quelli sui reati finanziari, sulle "morti bianche" dei lavoratori, sulle stragi colpose, come quelle di Viareggio e del terremoto de L'Aquila) sarà praticamente impossibile ottenerne la condanna e la pena. In più la sua maggioranza parlamentare gli consente sempre di poter approvare un nuovo Lodo Alfano che superi questa volta il vaglio della Corte Costituzionale, di ripresentare una legge sulla reintroduzione dell'immunità parlamentare, all'occorrenza di imporne un'altra per vietare le intercettazioni. Lo stesso disegno di legge Valentino sui "pentiti" di mafia rimane depositato al Senato come una bomba innescata da far esplodere all'occorrenza.
Per questi buoni motivi non ci illudiamo certo che sarà il referendum a liberarci di lui, tutt'al più creerà qualche disturbo in più ai suoi avvocati e giuristi, al massimo potrà rappresentare un sondaggio sul livello di indignazione che monta prepotente nel Paese. E pertanto, se non sarà certo neanche l'opposizione di burro del PD a fermarlo, e se è vano chiedere che Napolitano non firmi il "processo breve" come fa Di Pietro, per quanto ci riguarda non possiamo che ripetere, anche in questa occasione, che solo la piazza attraverso un nuovo 25 Aprile può essere l'epicentro delle rivolte popolari per abbattere finalmente questo tracotante dittatore con l'orbace e il suo odiato e criminogeno governo fascista.

COME SUPERARE LO SCOGLIO DEL QUORUM
Visto l'insieme delle condizioni di partenza, il rischio di una sconfitta non può essere sottovalutato. Per vincere è infatti necessario non solo che prevalgano i SÌ ma anche che si rechino alle urne almeno 25 milioni di elettrici e elettori. Grazie al controllo quasi assoluto dei mezzi d'informazione, le truppe del neoduce, così come quelle di Bossi e Casini (il cui suocero, Caltagirone, è un magnate dell'acqua, del cemento e della stampa), hanno già dato ordine ai rispettivi pennivendoli e giullari dell'etere per boicottare, con la congiura del silenzio, la campagna referendaria, puntando sull'astensionismo ancor prima che sulla disinformazione. Sono coscienti che anche nel loro campo sociale ed elettorale di influenza c'è chi potrebbe capitolare dinanzi alle argomentazioni degli attivisti per il SÌ.
Confidano invece nel fatto che è ormai dal lontano 1995 che, anche a causa della censura, talvolta dell'incomprensibilità dei quesiti, talvolta dell'uso scriteriato dello strumento referendario da parte dei Radicali dell'arci-imbroglione Pannella, non viene raggiunto il quorum. Da allora ben 23 volte su 24 la quota dei votanti è rimasta al di sotto del 30%. Se questo dovesse ripetersi, sotto attacco dei gerarchi del regime finirebbe l'istituto referendario stesso.
I tempi per la propaganda sono quindi ristretti e occorre non disperdere le energie su temi ed argomenti fuorvianti. Il più grande sforzo consiste nel bucare lo schermo televisivo e spezzare il black-out dei mass-media per informare correttamente l'opinione pubblica. Occorre fare leva sulla forza e il radicamento di tutte le forze politiche, sindacali, sociali, ambientali, culturali e religiose impegnate per far vincere i SÌ. In questi casi è di vitale importanza che le differenze ideologiche e strategiche tra le varie componenti vengano poste in secondo piano e che nessuno cada nella tentazione di salire sul piedistallo o di perseguire bassi interessi di bottega. Lasciarsi dividere sarebbe un'imperdonabile miopia.
Il PMLI in generale ed ogni sua istanza, militante e simpatizzante, è pronto a sviluppare il Fronte unito referendario all'interno dei propri luoghi di vita, di lavoro e di studio.
Ci impegniamo anche, per quanto ci è possibile, a coinvolgere il movimento studentesco, operaio e sindacale (in primo luogo la Cgil che si appresta allo sciopero generale), nonché il movimento dei precari, ma anche ad avere un rapporto paritario e di reciproco rispetto e sostegno con l'associazionismo cattolico per i 4 SÌ. Con questo spirito sosteniamo con entusiasmo l'indomito sforzo dell'ex missionario comboniano Alex Zanotelli per fare penetrare il messaggio anche nella base dei partiti di ispirazione cattolica, nel sindacalismo cattolico (Cisl), nelle parrocchie fino alla "sinistra" delle gerarchie ecclesiastiche.

Le forme di lotta
Per quanto riguarda le forme di lotta nessun limite: ben vengano le manifestazioni, come la straordinaria marcia da Menfi a Palermo che si è svolta dall'11 al 17 aprile, gli scioperi, le assemblee di quartiere e cittadine, i banchini, i comizi volanti, i volantinaggi, i presidi dinanzi alle sedi televisive, le bandiere ai balconi, i dibattiti. Ottima anche la diffusione di dvd, come "Draquila", e la proiezione collettiva di filmati e documentari sulle iniziative dei vari comitati.
Ben venga che i megafoni risuonino all'unisono da un capo all'altro della Penisola grazie agli strumenti telematici come i forum di discussione tematici, i portali come Facebook, Twitter, You tube, Skipe, ecc. Non vanno trascurate neanche le incursioni concordate in manifestazioni artistiche e culturali e in trasmissioni come Anno Zero, Report, Presa diretta, Ballarò, Che tempo che fa, ecc. Tra i comici sono sensibili a dare spazio alla battaglia Luttazzi, Guzzanti, Covatta, Grillo e i suoi amici, tra gli scrittori Gomez, Travaglio, Saviano, tra i cantanti c'è solo l'imbarazzo della scelta e il concerto del 1° Maggio a Roma potrebbe essere un'occasione, tra gli anchormen televisivi dovrebbero esserlo Santoro, Gabanelli, Iacona, Dandini. Si potrebbe convincerli divulgando i dossier di Greenpeace su Chernobyl, i racconti in diretta da Fukushima, le testimonianze di chi ha assaggiato sulla propria pelle cosa significa regalare l'acqua alle Spa: precarietà, licenziamenti, aumento incontrollato delle tariffe, dei costi degli allacciamenti, discriminazioni nella capacità di acquisto da parte dei più poveri, "cartelle pazze", supersfruttamento e lavoro nero, appalti e subappalti fuori da ogni controllo, depredazione del denaro pubblico.
L'auspicio è anche che l'IDV di Di Pietro e di De Magistris continui a fare il suo dovere a livello organizzativo in tutte le sedi e con tutte le forze, anche dopo la tornata elettorale amministrativa di maggio. Per quanto riguarda le scuole, le iniziative degli insegnanti saranno fondamentali per raggiungere anche le famiglie di chi vive in piccoli centri isolati. In queste occasioni va denunciato che è assurdo che la stragrande maggioranza degli studenti delle superiori non abbiano il diritto di voto su argomenti che riguardano direttamente la loro vita presente e futura.
Tutto ciò potrebbe non bastare, le masse più arretrate potrebbero disertare le urne e raccogliere l'invito ad "andare al mare", anche come reazione all'asfissiante ed estenuante bombardamento che subiranno nel mese di maggio in occasione delle elezioni amministrative parziali e degli eventuali ballottaggi. Occorre quindi un piano per attuare un vero e proprio bombardamento (telematico e di piazza) fino all'ultimo minuto consentito dalla legge. In questo senso il lavoro di ciascuno di noi, come convincere un amico, un parente, un collega, un conoscente a recarsi alle urne, anche se può apparire piccolo e ininfluente, potrebbe dimostrarsi determinante.
Il 12 e 13 giugno votiamo in massa 4 SÌ per l'acqua pubblica, per affossare il nucleare e il "legittimo impedimento".
Lottiamo uniti contro il massacro sociale e la demolizione dei servizi pubblici, acqua, scuola, università, sanità, ricerca!
Lottiamo uniti contro il nucleare, gli attentati alla salute e all'ambiente, le leggi salva-Berlusconi!

L'Ufficio politico del PMLI

Firenze, 9 Aprile 2011