Al referendum di Bologna che col 59% ha sancito il no al finanziamento pubblico alle scuole paritarie e confessionali
Il governo Letta-Berlusconi si schiera per le scuole private
Gravissima ingerenza della ministra dell'Istruzione Carrozza (PD) nell'immediata vigilia del voto

Basta con i finanziamenti dello Stato alle scuole private. I soldi pubblici devono andare esclusivamente alla scuola pubblica: questo elementare e sacrosanto principio, sancito anche dall'articolo 33 della Costituzione del 1948, è stato inequivocabilmente ristabilito dalla maggioranza degli elettori di Bologna che sono andati a votare per il referendum consultivo di domenica 26 maggio. Era questa infatti la vera posta in gioco del referendum, promosso dal basso, contro la decisione della giunta di "centro-sinistra" capeggiata dal PD Virginio Merola, di destinare anche quest'anno un milione di euro alle 27 scuole materne private di Bologna, di cui 25 confessionali, quando l'anno scorso sono stati oltre 400 i bambini che non hanno trovato posto nelle scuole d'infanzia statali e comunali a causa dei continui tagli ai finanziamenti alla scuola pubblica.
Il no ai soldi pubblici alle scuole private (opzione A) ha vinto col 59% dei voti contro il 41% andato all'opzione B (mantenimento dell'attuale sistema misto pubblico-privato). Hanno partecipato al referendum circa 86 mila bolognesi, il 28,7% degli aventi diritto. Ciò ha fatto subito gridare al "flop" del referendum gli sconfitti sostenitori dell'opzione B e la stragrande maggioranza dei mass-media di regime, ma si tratta di un argomento del tutto pretestuoso, se si tiene presente che tantissimi bolognesi (persone anziane, e in generale chi non ha figli piccoli) non erano direttamente interessati alla consultazione. Inoltre, secondo i sostenitori del no rappresentati dal Comitato Articolo 33, a scoraggiare l'affluenza sono state anche la disorganizzazione e la disinformazione scientemente attuate dal Comune, al punto che per molti elettori non era facile perfino capire in quale seggio esercitare il diritto di voto.

Enorme sproporzione delle forze in campo
Ma il risultato del referendum acquista un valore ancor più significativo se si pensa all'enorme sproporzione tra le forze in campo. L'iniziativa del referendum era partita da un movimento spontaneo di mamme indignate per essersi viste negare il diritto agli asili nido pubblici a fronte della riconferma del finanziamento comunale a quelli privati, e via via si era esteso ad altre associazioni e realtà della vita civile, attirando anche la solidarietà di intellettuali, scrittori, giuristi, cantanti, attori, la Fiom e una parte della Cgil, i Cobas, la scuola di Barbiana intitolata a Don Milani, fino ad arrivare a spaccare i partiti nel Consiglio comunale e perfino la stessa giunta di "centro-sinistra". Dalla parte del comitato referendario, infatti, oltre al M5S si era schierata anche SEL, che pure sostiene e continua a sostenere la giunta Merola. E che pure, come ha fatto notare polemicamente il sindaco PD, nella Puglia governata da Vendola concede tranquillamente quei finanziamenti alle scuole private che a Bologna chiede invece di abolire.
Contro il referendum e per il mantenimento dei finanziamenti pubblici alle scuole paritarie si erano schierati invece tutti gli altri, vale a dire: la giunta e il Consiglio comunali pressoché al completo, il PD, il PDL, la Lega, l'UDC, i fascisti di Fratelli d'Italia, la Curia di Bologna dell'arcivescovo Carlo Caffarra, La Cei di Angelo Bagnasco, la Cisl, Comunione e Liberazione (CL), le cooperative "rosse" e quelle "bianche", gli industriali, i commercianti e, alla fine, anche lo stesso governo Letta-Berlusconi. Uno schieramento impressionante, fotocopia a livello cittadino delle "larghe intese" nazionali, che ciononostante non è riuscito a fermare la coraggiosa iniziativa referendaria, pur riuscendo a frenarla in parte utilizzando appieno la gigantesca macchina propagandistica a disposizione, formata dalla rete delle parrocchie, dall'apparato del PD, dai gazebo della Lega e di CL, nonché dai soldi della ricca borghesia bolognese e dalla stragrande maggioranza dei media locali e nazionali schierati sfacciatamente per il sì.
Lo stesso neopodestà Merola aveva apertamente cercato di inficiare preventivamente il risultato del referendum, dichiarando con arroganza sul supplemento locale del quotidiano dei vescovi, Avvenire, che anche se avesse vinto il no egli non avrebbe cambiato il suo programma elettorale, mantenendo comunque i finanziamenti alle private. A suo sostegno era intervenuto anche l'ex premier democristiano Romano Prodi, con una motivazione di tono gesuitico secondo cui non bisognava "bocciare un accordo (quello dei finanziamenti pubblici alle scuole private voluto dal suo governo nel 2007, ndr) che ha funzionato bene per tantissimi anni". Seguito a ruota, con le stesse motivazioni ipocrite, dall'economista bolognese Filippo Andreatta, una delle teste d'uovo più ascoltate dal premier Letta.

Il soccorso del governo agli anti referendari
Ma l'intervento ancor più grave e intollerabile è stato quello del governo Letta-Berlusconi, che si è ingerito indebitamente nella questione tramite una dichiarazione della ministra dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza (PD), che il 22 maggio, a pochissimi giorni dal referendum, si è schierata sfacciatamente per il sì al mantenimento dei finanziamenti pubblici alle scuole private e confessionali: "Dobbiamo pensare ai bambini che devono andare a scuola e garantire la copertura per tutti i bambini, quindi il mio interesse e del ministero è quello di appoggiare gli accordi che vedono il ruolo delle paritarie per coprire tutti i posti per i bambini", ha detto la ministra pronunciando per ben tre volte la parola "bambini". E ciò al chiaro quanto sporco scopo di impressionare le famiglie, insinuando il concetto che chi difende il principio costituzionale di negare i finanziamenti pubblici alle scuole paritarie giocherebbe sulla pelle dei bambini.
Le ha ben risposto a tono il segretario generale della Flc-Cgil, Domenico Pantaleo: "Alla ministra Carrozza - ha detto il sindacalista - chiedo di difendere la scuola pubblica, laica e inclusiva, anziché schierarsi a senso unico a favore delle scuole private paritarie. Proprio perché bisogna occuparsi delle bambine e dei bambini dovrebbe assicurare le risorse per generalizzare la scuola dell'infanzia. Siamo di fronte a una drammatica emergenza, molti enti locali, a partire da Bologna, non riescono più a garantire l'offerta pubblica e chiedono la statalizzazione delle scuole dell'infanzia comunali". E ha citato cifre del sindacato secondo cui sono già alcune centinaia le sezioni e perfino intere scuole, in Emilia, in Lombardia e in Toscana, per le quali viene richiesta la statalizzazione.
Secondo una docente di sociologia dell'Università di Venezia, Francesca Coin, per eliminare le liste di attesa nella scuola pubblica a Bologna servirebbero altre 12 sezioni a un costo di 90 mila euro ciascuna, e questo secondo una stessa delibera comunale del 9 ottobre 2012. Il che fa 1 milione e 80 mila euro, esattamente la cifra stanziata dal comune per le scuole private! Dunque, dove starebbe il danno per i bambini dall'abolizione dei finanziamenti alle private e la loro conseguente destinazione agli asili pubblici? È chiaro che si tratta solo di un argomento ipocrita e pretestuoso.
La verità è che, come ha dichiarato il collettivo di scrittori bolognesi Wu Ming, il significato di tanta avversione dei partiti delle "larghe intese" a questo referendum sta nel fatto che "si sta per sferrare l'attacco finale alla scuola pubblica, dopo anni di stillicidio a base di tagli e propaganda. Sarà probabilmente il governissimo Letta a farlo, con gli uomini di CL nei posti chiave. Quando di fronte ai bambini esclusi dalla scuola d'infanzia pubblica senti un Comune 'virtuoso' come quello di Bologna dire che possono rivolgersi a quella paritaria privata, a pagamento e confessionale, capisci che si sta cercando di cambiare in profondità il concetto di scuola. Di fatto si sta abbandonando l'idea della scuola come diritto universale".

29 maggio 2013