Relazione di Massi Lucente alla seconda riunione dei marxisti-leninisti lombardi tenutasi a Milano il 13 ottobre 2007
Le principali questioni politiche in Lombardia

Qui di seguito pubblichiamo la relazione che ha tenuto il compagno Massi Lucente alla seconda riunione dei marxisti-leninisti lombardi tenutasi il 13 ottobre nella sede della Cellula "Mao Zedong" di Milano.
Grazie al suddetto compagno per la prima volta nella sua storia il Partito ha un quadro completo della situazione politica in Lombardia. Ora i compagni lombardi hanno una visione chiara del carattere, della natura politica, economica e di classe della giunta Formigoni, che costituisce la principale contraddizione politica lombarda, e della posizione opportunista, codina e collaborazionista del PD e della "sinistra radicale", che costituiscono la contraddizione secondaria non essendo al potere in regione.
Da ciò discende il lavoro politico a livello regionale incentrato sulle principali questioni concrete a livello politico, sociale ed economico, distinguendo i due diversi tipi di contraddizione.
Ora tutto il Partito sa quale ruolo nefasto la borghesia lombarda ha svolto nella storia passata, in particolare in riferimento al fascismo, e sta svolgendo oggi in riferimento al neofascismo, al secessionismo e al federalismo.
Dobbiamo quindi ringraziare il compagno Lucente per questo suo prezioso contributo e invitarlo a proseguire nella sua analisi storica e attuale della Lombardia e nella denuncia dell'operato della giunta Formigoni, del PD e della "sinistra radicale".
Se in poco più di un anno della sua militanza nel Partito, egli infatti è della leva Nerina "Lucia" Paoletti, è riuscito a produrre la relazione che pubblichiamo, contando sulle proprie forze e nel breve tempo che ha avuto a disposizione, vuol dire che continuando a unire le sue qualità intellettuali e il suo sapere alla sua conoscenza del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della linea del PMLI, egli può dare dei contributi ancora più grandi in base alle esigenze della sua Cellula, dei compagni lombardi e dell'intero Partito. Ci contiamo e ne siamo certi.
 
Compagne e compagni,
nel corso del '900 la borghesia lombarda, forte delle sue industrie e della notevole ricchezza prodotta, è riuscita più volte a pesare in modo determinante sui processi politici, economici e sociali dell'intera Italia. Quando c'è riuscita ha portato avanti, in nome del capitalismo, progetti di trasformazione del Paese di stampo eversivo, xenofobo, guerrafondaio e imperialista. Le infauste storie dei Mussolini, dei Craxi, dei Berlusconi, dei Bossi, tra loro legate da un terribile filo nero, quello del fascismo e del neofascismo, sono cominciate tutte dalla nostra regione. Per questo, l'attuale situazione politica ed economica della Lombardia merita uno studio il più possibile attento e preciso.
Tramite il dogma del federalismo, i padroni lombardi stanno oggi guidando un processo in realtà separatista del Nord, trovando rappresentanza politica non solo nella Casa del fascio, ma anche nel "centro-sinistra". Il nascituro PD lombardo ancora non ha visto la luce, ma ha già la testa ben rivolta verso destra ed è pronto, se gli eventi lo richiedessero, a tagliare il cordone ombelicale col "centro-sinistra" romano identificato, assimilando la lezione niente meno che delle camicie nero-verdi leghiste, col Palazzo lontano dalle masse. La Lombardia si conferma così per la borghesia laboratorio di strani incroci e di eversivi esperimenti, tanto audaci quanto ferocemente antipopolari.

I questione politica: il secessionismo bipartisan
A conferma di quanto stiamo dicendo, ricordiamo che nel corso di quest'anno i politici borghesi lombardi hanno registrato un nero primato: si sono posti ufficialmente all'avanguardia del processo secessionistico perseguito da tutta la borghesia del Nord Italia, principalmente da quella lombardo-veneta. Il 3 aprile 2007, infatti, con i voti sia della Casa del fascio sia delle forze più a destra dell'Unione, la Lombardia è divenuta ufficialmente la prima Regione ad aver approvato una risoluzione nella quale si chiedono allo Stato, in base a quanto sancito dall'art. 116 della Costituzione, maggiori competenze legislative. Non a caso, le camicie nero-verdi della Lega Nord hanno definito quel 3 aprile 2007, "una data storica".
La Regione rivendica più autonomia in dodici ambiti: ambiente; beni culturali; giustizia di pace; organizzazione sanitaria; comunicazione; protezione civile; previdenza complementare integrativa "su base regionale"; infrastrutture; ricerca scientifica e tecnologica; università per arrivare a "costruire il Sistema universitario regionale" (proposto dall'Ulivo); cooperazione transfrontaliera (anch'essa richiesta dall'Ulivo) e sistema bancario regionale (rivendicato dall'Italia dei valori) per "far fronte alle esigenze e alle peculiarità del sistema imprenditoriale regionale". L'Unione è stata compatta solo nel bocciare ulteriori "devoluzioni" in tema di sanità, soltanto perché "spetta già alle Regioni".
Da questo semplice elenco, possiamo osservare come le forze "moderate" del "centro-sinistra" non si siano limitate soltanto a votare a favore dell'eversiva risoluzione come semplici e sbadati schiacciabottoni, il che già sarebbe gravissimo, ma siano pienamente e perfettamente complici del processo secessionista. Infatti, hanno votato a favore della risoluzione rivendicando oltretutto il merito di aver riformato nel 2001 il Titolo V della Costituzione, con l'allora in carica governo Amato, che ha costituzionalizzato il principio del federalismo fiscale e promosso una forma di regionalismo anche differenziato, aprendo così a un federalismo competitivo o asimmetrico, in altre parole a misura dei particolari interessi padronali e fortemente antipopolare.
Agli interessi della borghesia del Nord si sono piegati anche PdCI e PRC, che hanno votato no alla risoluzione bipartisan, ma solo perché i primi vorrebbero "maggiore attenzione alle esigenze dei cittadini", come aveva blaterato il consigliere super-assenteista del PdCI Bebo Storti con un fumoso linguaggio antimarxista-leninista e interclassista; i secondi hanno votato no ma, come se volessero tranquillizzare il futuro Partito Democratico, del quale s'apprestano a fare da sgabello, con Mario Agostinelli hanno espresso "la volontà di essere parte attiva in questo processo". Come dire: per il PRC i tempi non sono ancora maturi per sbracarsi a favore del federalismo, ma se fosse un processo guidato dal PD, il semaforo da arancione diverrebbe verde. E infatti due giorni fa, giovedì 11 ottobre, c'è stata a Montecitorio, in Commissione Affari Costituzionali, presieduta dal rinnegato Luciano Violante (DS), un'ampia convergenza tra Unione, "sinistra radicale", Lega Nord e AN sulla riforma della Costituzione, a partire dalla riesumazione delle proposte avanzate nella scorsa legislatura proprio dalla Casa del fascio, proposte come ricordiamo giustamente bocciate dal referendum popolare del giugno 2006. Solo i forza fascisti del neoduce Berlusconi si sono opposti a questa convergenza, ma solo per non fornire alcuna stampella che consenta la sopravvivenza del governo Prodi e dunque per spingere alle elezioni entro la prossima primavera.
Perciò, con la complicità di tutte le forze politiche regionali, la Lombardia si è posta alla testa di un processo che apre a un futuro ordinamento federalista dell'intera repubblica.
La prima questione politica ci permette di raggiungere una prima evidenza: tutte le forze politiche del parlamento lombardo, siano esse di "centro-destra" o di "centro-sinistra" rappresentano in primo luogo, seppure con sfumature diverse, gli interessi della borghesia lombarda. All'apparenza solo il PRC regionale, nonostante le sue ambiguità, sembra in qualche modo resistere, seppure a fatica, all'egemonia della borghesia e ai suoi progetti eversivi. Ma appunto, come vedremo, è solo un'apparenza.

II questione politica: il federalismo fiscale e la nascita dell'Ulivo del Nord
La seconda "data storica" per la borghesia lombarda è stata il 19 giugno scorso, quando il Consiglio regionale ha approvato una proposta di legge sul federalismo fiscale chiaramente secessionista. Il testo prevede di trattenere in regione l'80% dell'Iva contro l'attuale 38,55%, in questo modo le entrate aumenterebbero da 8,5 a 19 miliardi di euro. Inoltre, è previsto il superamento dell'addizionale Irpef, che oggi vale 1,5 miliardi di euro, da sostituire con un'"imposta regionale sul reddito personale", il cui valore stimato è di 4,5 miliardi di euro. Ma non è tutto. La regione vuole mantenere l'intero gettito delle accise sulla benzina, dell'imposta sui tabacchi e sul gioco, più la possibilità di tassare autonomamente i redditi fondiari e la revisione dell'impostazione del fondo di solidarietà nazionale. E' anche previsto un sistema che andrà a premiare le regioni più virtuose e a sanzionare quelle che non sapranno fare buon uso delle nuove disponibilità. Un principio punitivo pensato per le regioni del Mezzogiorno.
Ebbene, su questa proposta di legge regionale, che mira a rendere a tutti gli effetti la Lombardia uno Stato nello Stato, i "moderati" del "centro-sinistra" e i Verdi sono riusciti ad astenersi, suscitando perfino l'ilarità del Corriere della Sera del 20 giugno 2007 che, con tono soddisfatto, ha rimarcato: "L'Ulivo a non passare per nemico del federalismo fiscale ci tiene proprio". Quindi, su questo tema secessionista, dobbiamo registrare un'attrazione tanto fatale quanto ripugnante tra la Casa del fascio formigoniana e, a partire proprio da questa questione, l'autoproclamatosi Ulivo del Nord, più il pezzettino di "sinistra radicale" dei Verdi.
Di qui, dalle questioni di cassa, nasce l'esigenza dei politici e dei parlamentari borghesi lombardi di fondare un Partito Democratico federalista e federato, libero di decidere le alleanze in proprio e aperto alle intese col "centro-destra" lombardo su temi come le infrastrutture, la "sicurezza" ovvero la militarizzazione del territorio e la repressione dei sotto-proletari, la sussidiarietà, il superamento del welfare dei diritti e la riforma regionale della scuola a misura degli interessi di Confindustria.
Sul tema del federalismo fiscale, l'Ulivo del Nord è giunto a incalzare il "centro-sinistra" romano, arrivando a smarcarsi agli occhi della borghesia regionale dalle presunte lentezze e titubanze del governo Prodi, favorevole sì al federalismo fiscale ma per nulla intenzionato a lasciare le ricche casse lombarde in gestione solo ai politici del Nord, siano essi di "centro-destra" o di "centro-sinistra".
Dunque, la seconda questione politica è la contraddizione in famiglia tra le forze "moderate" dell'Unione più il cespuglietto di "sinistra radicale" rappresentato dai Verdi, da un lato, e il governo Prodi, dall'altro. Questa contraddizione esprime la potente frattura apertasi tra la borghesia lombarda, che evidentemente ha egemonizzato il "centro-sinistra" regionale, e la borghesia nazionale. Questa contraddizione, ancora più chiaramente della prima, manifesta i progetti separatisti dei sciur padrun.

III questione politica: PRC e PdCI federalisti e sgabelli della "borghesia produttiva" nazionale
Nella "sinistra radicale" lombarda non sono solo i Verdi ad aver calato le brache davanti alla borghesia. Infatti, neppure PRC e PdCI, che si sono opposti al federalismo fiscale formigoniano rappresentano un'alternativa valida per le masse. Infatti, i vertici regionali di ambedue i partiti falsamente comunisti appoggiano comunque il federalismo fiscale del dittatore democristiano Romano Prodi, il cui disegno di legge del 28 giugno scorso non solo frantuma a sua volta l'unità d'Italia e delle masse popolari, ma penalizza scientemente le regioni più povere. Sembra una contraddizione ma non lo è. Il PdCI lombardo, infatti, si rifa alla storia del PCI revisionista storicamente a favore del decentramento amministrativo, perciò su quell'esempio si arriva pure a sostenere che attualmente il federalismo fiscale è un problema "ineludibile" da affrontarsi "senza alcuna posizione preconcetta". Il PRC lombardo, invece, con Mario Agostinelli ha accusato di "sabotaggio" il federalismo fiscale formigoniano, in quanto proposto "proprio quando va in porto il federalismo fiscale del Governo".
Anche in questo caso, cosa ci si poteva aspettare dal partito del narcisista Bertinotti, teorizzatore per la crescita del Paese della necessità di un'alleanza tra "borghesia produttiva" e classe operaia? Oppure, come dimenticare le parole di Alfonso Gianni, sottosegretario allo sviluppo economico del governo Prodi e fido scudiero di Bertinotti, a una festa di Liberazione a Bergamo nell'agosto 2006, davanti a una platea di militanti sconcertati, egli ha avuto la faccia tosta di spiegare "che c'è borghesia e borghesia" e che il PRC è entrato nel governo Prodi proprio per creare in Italia, visto che non c'è, "una borghesia produttiva" sensibile alle sorti del Paese!
Altro che emancipazione della classe operaia, non sia mai, prima che ci scappi una rivoluzione! Per il PRC è meglio che i proletari abbassino la testa, che in caso di bastonata dall'alto siano ligi al dogma cristiano idealista e capitolazionista della non-violenza e porgano l'altra guancia, perché l'importante è sostenere questa fantomatica "borghesia produttiva" che il PRC sta creando e avere fiducia nei Marchionne di turno e nel gruppo dirigente di Finmeccanica che, come aveva spiegato Gianni a Bergamo, "anche se fanno profitti grazie alle guerre, essendo presenti nell'industria militare, è un gruppo che pensa in termini di politica industriale; con loro si può parlare".
Analizzando il tema del federalismo fiscale siamo giunti alla terza questione politica davanti a noi: a differenza dei Verdi, il PRC e il PdCI lombardi non hanno ancora subito l'egemonia della borghesia regionale e del suo disegno eversivo; tuttavia, sono ormai proni agli interessi del grande capitale. Abbiamo visto che sono giunti fino a teorizzarla questa sottomissione. PRC e PdCI sono quindi a favore dell'antipopolare federalismo fiscale fortemente voluto dai padroni, l'importante è che lo spezzatino d'Italia non sia cucinato da una specifica borghesia regionale, quanto piuttosto dalla "borghesia produttiva" nazionale nel suo complesso, espressione del grande capitale imperialista e tuttavia interessata anche alla solidità e tenuta del mercato interno. Per le masse, cambiando l'ordine dei fattori, il risultato non cambia!
Compagne e compagni,
un'analisi precisa di questa terza questione politica, relativa al rapporto tra PRC e PdCI e borghesia regionale e nazionale è fondamentale, perché seppure in modo indiretto parla pure di noi, nel senso che ci permette di comprendere che oggi il PMLI è davvero l'unico partito dalla parte del proletariato, l'unico partito in cui il proletariato prende coscienza di se stesso come classe in sé e per sé. In questo senso il PMLI è l'unico partito dove il proletariato può davvero lottare per il socialismo, senza mai correre il rischio di riuscire a evitare la padella di Formigoni, solo per cadere nella brace di Prodi o, domani, di "Silvio" Veltroni.

IV questione politica: le convergenze con Formigoni alla base della nascita del PD del Nord
Il forzafascio-cattolico Formigoni, con cui il nascente Partito Democratico del Nord non si vergogna di tubare a ogni buona occasione, da tre legislature sta sviluppando una politica sociale fortemente antioperaia e antipopolare. Solo negli ultimi mesi abbiamo assistito a nuovi capitoli nella privatizzazione dell'acqua, al pdl sulla liberalizzazione dei servizi pubblici e sull'aumento degli affitti delle case popolari, al taglio in agosto del 7,45% dei servizi sociali (asili nido, l'assistenza domiciliare ai minori, ai disabili, agli anziani non autosufficienti, i centri ricreativi estivi, le comunità alloggio), al continuo sabotaggio della scuola e della sanità pubblica. Sono tutti provvedimenti scellerati e lobbystici che a causa della compiacenza della stampa borghese e delle ambigue complicità dell'opposizione parlamentare non si impongono come temi di dibattitto nell'opinione pubblica.
Quando parliamo di complicità di tale opposizione non stiamo facendo propaganda come fanno i borghesi. Ci riferiamo a fatti politici accaduti nel corso dell'ultimo anno e mezzo, su molteplici questioni. Pensiamo alla sanità: si sta privatizzando tutto ciò che respira, fino il 118, complice l'indifferenza dei DS e il piagnucolare del PRC che davanti a un simile provvedimento si è limitato a rimpiangere i bei tempi di Alessandro Cé, l'ex assessore regionale alla Sanità leghista, cacciato da Bossi per i suoi dubbi sulla privatizzazione del servizio e ora passato ai cristiano federalisti, roba da Vandea! Pensiamo alla recente contro-riforma del "mercato del lavoro", con l'ennesima complice astensione di DS, Margherita e Verdi, una contro-riforma che ha regalato ai privati la gestione del collocamento oltre ai sempre ben accetti ricchi contributi regionali.
In questo caso il PRC per contrastare questa versione "padano liberista" della Legge 30, come l'ha definita la Rete regionale contro la precarietà, anziché mobilitare la base, chiamata però in piazza pochi mesi dopo per tenere in piedi il moribondo governo Prodi che rischiava giustamente di cadere da sinistra sull'Afghanistan, grazie a quei movimenti che Rifondazione dice di voler rappresentare, ebbene in quell'occasione il consigliere PRC Luciano Muhlbauer, giusto per sapere quello che già tutti sanno, in pratica per perdere tempo e non affrontare la questione, si era limitato a chiedere "una commissione d'indagine per accertarsi delle condizioni reali dei lavoratori in Lombardia", "sull'esempio del parlamento inglese di un secolo e mezzo fa".
Il "centro-sinistra" tira il carretto a Formigoni pure quando il ciellino ex dc sfoggia il suo peggior piglio dittatoriale, come ha fatto nel tentativo di imporre, nonostante le vincenti lotte dei cittadini, supportati dalle istituzioni borghesi locali, una nuova discarica a Inzago; sarebbe addirittura la terza su quel territorio della Provincia di Milano. Anche in questo caso, lo scorso luglio, abbiamo registrato un'astensione benevola dell'Unione a un emendamento dell'ultima ora della Casa del fascio che si riserva la possibilità di fare carta straccia della pianificazione delle Province in tema di rifiuti. È evidente che lo scopo del forza-fascio cattolico Formigoni è di tenersi una porta aperta per la costruzione della terza discarica a Inzago. E anche in questa politica anti-ambientale, che appare un accanimento alla qualità della vita della popolazione d'Inzago, l'Unione gli regge il moccolo.
Ampie convergenze si sono registrate pure sul tema delle infrastrutture. Pensiamo alla nascita dalla Cal, una società compartecipata al 50% dalla Regione e al 50% dallo Stato; in virtù di un impegno bipartisan che ha coinvolto pure Roma, è stato effettuato un investimento di 460 milioni di euro per realizzare, lungo i 35 km che separano Bergamo e Milano Est, la quarta corsia dell'A4, in buona sostanza "pagata dai cittadini con i pedaggi", come ha ammesso all'inaugurazione l'autoritario più che autorevole ministro alle Infrastrutture Di Pietro, per l'occasione a braccetto con Formigoni, in quanto "stanco del partito del no e dei veti". E già si pensa alla Brebemi, alla Pedemontana, alla Tem, tutte infrastrutture che servono alla circolazione su gomma delle merci dei padroni, ma che saranno pagate, grazie alle intese bipartisan, dai pendolari che raggiungono Milano in automobile.
Grazie al "centro-destra" e al "centro-sinistra" saranno loro a pagare con i pedaggi una sorta di tassa per il sostegno alla "competitività" delle imprese, l'inquinamento pestilenziale è in omaggio!
Infine, grazie alla convergenza con l'opposizione parlamentare, lo scorso marzo Formigoni è riuscito anche a rivoltare come un calzino la scuola lombarda, ridisegnandola sulle richieste di Confindustria. In sostanza, avvalendosi dell'autonomia, le scuole professionali e i gestori privati accreditati potranno sfornare manovalanza più o meno specializzata per le imprese, secondo le esigenze del mercato. Formigoni ha avuto l'indelicatezza di risuscitare in forma padana il "doppio canale" morattiano, ferendo così l'amor proprio di Fioroni che, battendo i pugni sulla scrivania, ha dichiarato "Il Ministro sono io ora!". Da qui, il 29 settembre scorso, lo stop alla "riforma" di Formigoni da parte del governo Prodi, che ha impugnato a sorpresa la legge davanti alla Corte costituzionale. L'unica cosa che divide profondamente Fioroni da Formigoni in tema di scuola è l'orgoglio del primo! Infatti, l'autonomia scolastica senza più un'indicazione unitaria e nazionale da seguire, i fondi alle scuole paritarie, gli incentivi al merito per gli insegnanti, la valutazione delle scuole, le aperture delle scuole alle imprese sono parole d'ordine di Fioroni, ligio non meno di Formigoni a soddisfare le richieste dei padroni.
Tutte queste convergenze con Formigoni stanno tenendo a battesimo la nascita del Partito Democratico del Nord, guidato da un gruppo dirigente che si è già fatto valere come utile zerbino della borghesia in qualità di neopodestà, presidenti di provincia e di regione (pensiamo a Chiamparino, Mercedes Bresso, Penati, Cacciari e così via), un gruppo dirigente talmente ammanicato con la borghesia del Nord che si è spinto talvolta a mostrare i denti persino a Prodi, Fassino, Rutelli e D'Alema, per ricordargli che al Nord il PD lo gestiscono loro. E qui al Nord e, per quanto detto finora, nella fattispecie in Lombardia si nota quant'è vero ciò che dicono i veltroniani: "il Partito Democratico nasce per rifondare la democrazia".
Sarà un caso che siano tutti veltroniani i leader del Nord? O che addirittura in Lombardia il veltroniano Maurizio Martina, colui che non perde occasione di sposare le proposte antisindacali di Ichino, che predica il superamento del "welfare dei diritti", che sostiene che "l'idea di un'integrazione fatta solo di diritti ci ha affascinato per troppo tempo", che indica la necessità per il Nord di "un nuovo patto fiscale che deve nascere proprio dal bisogno di superare un'idea troppo poliziesca del fisco", che difende le misure repressive antiproletarie e antisottoproletarie dei neopodestà, insomma colui che parla come un leader della Casa del fascio sia in pratica il candidato unico alla segreteria del PD regionale?
Partito Democratico del Nord significa autonomia politica delle sue diverse federazioni, superamento del bicameralismo perfetto, Senato delle Regioni, premierato forte come collante dei futuri venti staterelli e decisionismo dittatoriale: in poche parole picconamento da destra della Costituzione. Un partito quindi il PD nato nel laboratorio della borghesia settentrionale.
L'esperimento cominciato quasi trent'anni fa con la "grande riforma" piduista di Craxi sta trovando il suo compimento nella nascita di un partito federalista fino nella propria struttura, presidenzialista, imperialista e neofascista. Un partito nato per imbrigliare una volta per tutte il conflitto sociale, annacquando la storia politica e sindacale del movimento operaio italiano in un contenitore liberale e cattolico. Un risultato epocale che neppure cento Berlusconi, che vede "comunisti" dappertutto, che stimola pure gli istinti di lotta più sopiti della CGIL, che scatena l'antagonismo di massa dei movimenti, potrebbero mai raggiungere, se non al prezzo di una guerra civile.

V questione politica: il PD nasce per ingabbiare definitivamente nel capitalismo il proletariato lombardo
La quinta questione politica è la più importante, in quanto raccoglie in sé le precedenti e pone a sua volta la domanda fondamentale: può il proletariato essere definitivamente ingabbiato dalla borghesia? Può davvero riuscire questo esperimento che i padroni portano avanti dall'Unità d'Italia, da quando l'Italia ha gettato le basi di un capitalismo industriale e finanziario e ha scoperto la questione operaia? Dai fucili di Bava Beccaris si è passati al corporativismo mussoliniano, dal welfare dei diritti della prima Repubblica alla concertazione e alle tutele contrattate e contrattabili della seconda. Cosa ci riserverà invece l'eventuale Italia della terza repubblica? Che indicazioni possiamo trarre dall'esperimento settentrionale e, nello specifico, da quello lombardo? E' possibile liquidare nel liberalismo la storia politica e sindacale del movimento operaio? Consideriamo i fatti, ossia l'economia.
La Lombardia è la locomotiva d'Italia, per competere sui mercati internazionali tenta la fuga in avanti, ossia di liberarsi dei lenti vagoni del Centro-Sud. Roma, abbiamo visto, è disposta a impegnarsi a gettare tutto il carbone che ci vuole nella caldaia per far continuare alla nostra regione la sua corsa, ma vuole anche stare attenta a non assecondare troppo le ansie secessioniste di artigiani, commercianti e piccole imprese lombarde (maggiormente rappresentati attualmente da Forza Italia e Lega Nord), per ricondurle piuttosto con la nascita del PD e "un nuovo patto fiscale" nell'alveo dei più generali interessi del grande capitale. Infatti, secondo il rapporto della Banca d'Italia dello scorso luglio, la nostra regione è tra le più ricche d'Europa, nel 2006 sono stati registrati livelli di crescita mai raggiunti nel quinquiennio precedente. Il prodotto interno regionale è cresciuto del 2,3%, più della media nazionale; le esportazioni hanno registrato un boom del 9%. Tuttavia, la spesa per gli investimenti è rimasta debole e così, già quest'anno, il buon ritmo del 2006 sembra un ricordo. L'impressione è che siamo già in una fase di decelerazione e il raggio di crescita sembra andare attenuandosi. Anche perché se ora possiamo contare su un effetto trascinamento dell'1,6% lasciatoci in eredità dallo scorso anno, per il 2008 questo valore si prevede possa limitarsi allo 0,2%. Insomma, non c'è molto da stare allegri, soprattutto se si considera che il resto del Paese va pure peggio: la Lombardia riesce ancora a tenersi su livelli vicini alla media europea, ma l'Italia ha avuto un ulteriore arretramento.
Ecco perché il tema del secessionismo e della contraddizione tra borghesia nazionale e regionale si confermerà la questione politica centrale, a livello istituzionale, anche nei prossimi mesi. È evidente, dalle ultime mosse, che la borghesia farà leva sul proletariato come alleato; una spinta importante per raggiungere questo obiettivo è arrivata non a caso dallo stesso protocollo sul welfare di Prodi, l'inventore del PD, che con l'appoggio dei vertici confederali incentiva la contrattazione aziendale e territoriale e la detassazione del salario totalmente variabile, legato ai premi di produzione e ai profitti aziendali. È altrettanto evidente che queste misure introducono alla nascita di una contrattazione sindacati-imprese di tipo federalista, dove il PD federato è speculare alla futura Italia federalista e il sindacato sarà privato di una dimensione nazionale e unitaria.
La borghesia lombarda, che pur rappresentata dalla Casa del fascio ha già conquistato alla sua causa Cisl e Uil, qualora affidasse i propri interessi di classe al PD, non solo potrebbe saldare gli interessi di artigiani, commercianti e piccole e medie imprese con quelli del grande capitale, sanando così le proprie contraddizioni interne di classe, ma potrebbe normalizzare senza difficoltà pure la Cgil. Del resto, le aziende lombarde sono in concorrenza spietata con il resto del mondo, non fanno altro che ripetere i Bombassei di turno, quindi la pace sociale col proletariato e il suo ingabbiamento negli interessi di classe borghesi è un elemento di stabilizzazione. Già in questi giorni è partita una campagna, da parte di Confindustria, per la riduzione delle tasse in busta paga, accolta con favore pure dai vertici confederali. Ciononostante, non abbiamo paura di essere smentiti: l'alleanza dei padroni delle regioni ricche col proletariato è deleteria e suicida per quest'ultimo perché, come gli industriali lombardi e i sindacati confederali sanno benissimo, riporterebbe alle "gabbie salariali", che in realtà già ci sono dato che gli operai Fiat di Melfi guadagnano meno di quelli di Torino e ciononostante i problemi per quegli operai restano eccome. L'alleanza tra padroni e operai non solo è perciò negativa per il proletariato, ma pure impossibile sul lungo periodo.
Attualmente, la Lombardia sta stringendo partnership commerciali molto importanti con le economie emergenti (Cina, Russia, bacino del Mediterraneo), è il regno della produttività, è una delle regioni più ricche d'Europa, eppure deve fare i conti, secondo la Nota del Dipartimento Politiche Contrattuali Cgil Lombardia del 6 settembre 2007, con un continuo ridimensionamento delle imprese, la crisi del manifatturiero e la precarizzazione del lavoro. Non è tutto. Come ha ricordato l'Inaiol a ridosso della Festa del Primo Maggio di quest'anno, la "progredita" Lombardia figura in vetta nella classifica delle regioni in cui si è evidenziato il maggior numero di incidenti: 158mila infortuni denunciati nel 2006, quasi un sesto di tutta Italia. Per quel che riguarda gli infortuni mortali, va segnalato un incremento. Nel 2005 in tutta Italia i decessi erano stati 1.265, quota che è invece salita a 1.280 lo scorso anno. L'incremento maggiore si è registrato proprio in Lombardia dove si è passati dai 191 infortuni mortali del 2005 ai 230 del 2006 (+20,4%).
Perché parliamo tanto del 2006? Perché come abbiamo detto prima è l'anno in cui l'economia lombarda ha raggiunto i migliori risultati degli ultimi cinque anni e al tempo stesso è l'anno del record di infortuni e omicidi bianchi. E se questi dati gridano giustizia, sono nulla in confronto a quelli relativi alle malattie professionali, terribile piaga sottaciuta della classe operaia. Ecco il segreto della millantata imprenditorialità lombarda: l'iper-sfruttamento della classe operaia. Nell'edilizia, col mercato immobiliare e creditizio ad esso legato che continua a crescere, nel primo trimestre 2007 su tre imprese controllate da Inps, Inail e Direzione del lavoro due sono risultate fuorilegge!
E la stampa borghese parla di incidenti, magari di sbadataggine degli operai! Vergogna! Gli operai lombardi vivono anche con lo spettro delle delocalizzazioni e dell'indebitamento delle proprie famiglie, in netta crescita da quando la borghesia europea ha introdotto l'euro nel 2002, come ha ricordato solo un mese fa l'elaborazione della Cgia di Mestre.

Conclusione: cosa rende unico il PMLI e i suoi spazi d'azione politica
Tutti questi dati e analisi servono per comprendere a fondo quanto sia fuorviante la propaganda borghese di una regione ricca. Certamente, ricchi non sono i proletari. Perciò, facciamo nostra la consapevolezza di Mao. L'8 settembre 1944 il grande maestro del proletariato internazionale, dedito alla liberazione del popolo, nel discorso pronunciato per onorare la memoria del compagno Chang Szu-teh, disse: "Il popolo cinese soffre, è nostro dovere liberarlo, e dobbiamo dedicare a questa lotta tutte le nostre forze".
Noi sappiamo che il popolo lombardo soffre! Oggi solo il PMLI è pieno di affetto per il popolo, comprende le sue sofferenze e le sue esigenze, ha fiducia in esso e nelle sue lotte. Solo un vero marxista-leninista può guardare con fiducia al futuro delle masse, perché stando all'analisi fin qui condotta egli è l'unico che può comprendere che la borghesia nazionale e lombarda, che ha egemonizzato pure il "centro-sinistra", che si sta costruendo un partito su misura col PD federalista, presidenzialista, imperialista e neofascista, con cui sanare le proprie contraddizioni di classe interne e con cui normalizzare la Cgil arrivando così a liquidare la legittimità del conflitto sociale e la storia del movimento operaio in un contenitore liberale e cattolico, ebbene questa borghesia sta solo semplificando i contrasti di classe, sta solo aiutando le masse a comprendere chi siano gli amici degli oppressori e chi gli amici degli oppressi. Come direbbero Marx ed Engels: "La società intera si va sempre più scindendo in due campi nemici, in due classi direttamente opposte l'una all'altra: borghesia e proletariato".
Per i trotzkisti, gli opportunisti, i rinnegati e i revisionisti non c'è più posto tra le masse! Dove questi vedono la fine della lotta e la sconfitta, noi vediamo un nuovo inizio e la possibilità della vittoria! Quando questi reggono la coda alla borghesia, noi risvegliamo la coscienza politica delle masse popolari! Ora che la borghesia lombarda sta mostrando la propria faccia più ferocemente antioperaia e agli occhi del proletariato sta cominciando a spogliare della sua aureola il parlamentarismo, è giunta l'ora per noi di raddoppiare il coraggio e di "studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare" con rinnovati impegno e fiducia.
Viva le masse lombarde in lotta!
Viva il PMLI, il Partito del proletariato!
Viva l'Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri vinceremo!

24 ottobre 2007