Il primo frutto amaro delL'"Accordo di produttività"
Respingere il contratto separato e insoddisfacente dei metalmeccanici
È stato firmato da FIM-CISL, UILM, UGL e FISMIC. La FIOM esclusa dal negoziato
Il presidente di Federmeccanica: "Una svolta verso la flessibilità"

Mentre centinaia di migliaia di lavoratori metalmeccanici gremivano le piazze per il primo giorno di sciopero generale di 8 ore indetto dalla FIOM il 5 e 6 dicembre scorsi per protestare proprio contro l'esclusione dalle trattative del maggiore sindacato dei metalmeccanici e per chiedere il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL), i crumiri dirigenti di FIM-CISL, UILM, UGL e FISMIC hanno pugnalato ancora una volta alle spalle i lavoratori firmando alla chetichella il rinnovo triennale 2012-2014 del (CCNL) accettando servilmente la proposta di Federmeccanica e Assistal basata sul modello Marchionne delle relazioni industriali mussoliniane.
Il contratto, a dir poco insoddisfacente, è il primo frutto amaro dell'"Accordo di produttività" sottoscritto il 21 novembre scorso dalle parti sociali ma non dalla CGIL, che riguarda circa 1.600.000 lavoratori, una quota importantissima della classe operaia italiana in massima parte iscritti proprio alla FIOM.
Esso rappresenta l'ultimo atto di un attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori e alle tutele sindacali sferrato dal governo del neoduce Berlusconi con l'accordo separato del gennaio 2009 e l'accordo del 28 giugno 2011 (firmato anche dalla CGIL) e poi proseguito e portato alle estreme conseguenze dal governo della grande finanza, della UE e della macelleria sociale, Monti.
Innanzitutto va chiarito che il contratto rinnova non solo la parte economica ma anche la parte normativa. Esso, rispetto al precedente accordo firmato il 28 gennaio 2008 da tutte le sigle sindacali e poi sostituito dal contratto separato del 15 ottobre 2009, non firmato dalla FIOM, e valido per il triennio 2010-2012, in cambio di un misero aumento salariale di poche decine di euro, fissa nuove regole capestro per quanto riguarda l'organizzazione e gli orari di lavoro, gli straordinari, mansioni e qualifiche, flessibilità del lavoro, tutele delle malattie, previdenza integrativa sanitaria, ecc. Mentre per la parte economica riserva agli aumenti salariali un misero piatto di lenticchie.

La parte retributiva
Sul piano retributivo infatti è previsto un aumento di 130 euro lorde mensili per il quinto livello di inquadramento, sui tre anni di vigenza dell'accordo, spalmate in tre trance. 35 euro il 1 gennaio 2013, 45 euro il 1 gennaio 2014 e 50 euro il 1 gennaio 2015. Per gli altri inquadramenti sotto il quinto saranno inferiori, a partire da 81 euro mensili per il primo livello, o superiori fino ad arrivare ai 170 euro mensili per il settimo livello. Per i lavoratori dipendenti di imprese in cui non esiste la contrattazione di secondo livello è previsto un aumento, per la voce detta perequativa, di 30 euro sotto forma di salario accessorio, da 455 a 485 euro lordi annuali. Considerando il primo livello di qualifica, la retribuzione lorda passa quindi da 1218 a 1299 euro lordi mensili entro il 2015, pari ad un aumento del 6.6% circa in tre anni, in media 2,2% annuo. Insomma un'autentica miseria che è inferiore all'inflazione e non garantisce nemmeno il mantenimento del potere d'acquisto dei salari nemmeno rispetto al meccanismo peggiorativo di indicizzazione previsto dall'accordo del gennaio 2009, non sottoscritto dalla CGIL. Infatti il tasso di inflazione calcolato in base all'indice armonizzato dei prezzi al consumo IPCA (al netto dei beni energetici), secondo gli ultimi dati Istat, nel periodo 2010-2012, è stato superiore al 7%, con media annuale superiore al 2%. Ciò significa che l'aumento contrattuale copre a mala a pena l'inflazione misurata dall'indice IPCA. In soldoni non ci sarà nessun "aumento delle retribuzioni per un guadagno di produttività" e neppure uno "spostamento della quota del salario da contratto nazionale al contratto aziendale o territoriale", come indicato nel recente Accordo di produttività del novembre 2012.
Non a caso nell'accordo sottoscritto è precisato fra l'altro che, per favorire accordi per l'incremento di produttività ed eventualmente fruire dei benefici fiscali e contributivi che saranno definiti dal governo in relazione all'Accordo del novembre 2012, "potrà essere stabilita una diversa decorrenza della seconda e della terza trance di aumenti minimi con spostamento in avanti fino a dodici mesi. Al termine di ciascun periodo di differimento i minimi dovranno in ogni caso essere incrementati degli importi previsti alla tabelle precedente". Da cui si deduce che una quota di salario ora regolata dal contratto nazionale passa al contratto decentrato e viene subordinata, ossia effettivamente pagata, solo se il governo decide eventuali "vantaggi fiscali" e comunque posticipata per due trance finanche di 12 mesi. Infatti nel contratto è specificato che le aziende possono posticipare gli aumenti previsti del 1 gennaio 2014 e del 1 gennaio 2015 dopo dodici mesi.
In buona sostanza gli aumenti retributivi previsti con il nuovo CCNL e sbandierati ai quattro venti dai vertici sindacali firmatari dell'accordo sono abbastanza sicuri solo per l'ammontare indicato con la prima tranche e si riducono a 35 euro per il quinto livello, con valore minimo di 22 euro per il primo livello e valore massimo di 46 euro per il settimo livello, un incremento pari a circa il 2% rispetto ai minimi contrattuali precedenti e ben al di sotto del tasso di inflazione IPCA del triennio; mentre per la seconda e la terza tranche demandate alla contrattazione di secondo livello è tutto da vedere anche perché è sicuro che i padroni non si faranno certo sfuggire l'occasione per avanzare ulteriori pretese e vanificare gli aumenti magari aumentando ulteriormente lo sfruttamento salariato.
Per la prima volta quindi i minimi salari, a parità di mansione, non sono più uguali per tutti i lavoratori perché, con la contrattazione aziendale, gli aumenti potranno essere differiti di 12 mesi, e quindi diversi da fabbrica a fabbrica, sia in caso di crisi che di nuovi insediamenti produttivi o, anche, per usufruire di sgravi fiscali e contributivi.

La parte normativa
Peggio della parte economica risulta la parte normativa del contratto che di fatto cancella 40 anni di lotte e conquiste operaie per quanto concerne l'inquadramento, il salario, flessibilità e orario di lavoro, la tutela delle malattie e la previdenza integrativa sanitaria.
In deroga al CCNL sposta al secondo livello e consegna nelle mani dei padroni la gestione di alcuni di questi importanti istituti fra cui: l'orario individuale di lavoro che può essere aumentato fino a 144 ore annue nelle aziende con oltre 200 dipendenti e fino a 152 ore nelle aziende con meno di 200 dipendenti introducendo come unico vincolo per le imprese il limite di 120 ore di utilizzo complessivo tra ore di flessibilità e ore di straordinario obbligatorio. Aumento del 50% del monte ore annuo di straordinario obbligatorio: nelle aziende con più di 200 dipendenti si passa dalle attuali 40 ore a 80 ore; in quelle con meno di 200 si passa dalle attuali 44 a 88 ore annue: Aumentano da 64 fino a 80 ore annue anche le ore di flessibilità. In particolare è previsto che il padrone possa godere di maggiori flessibilità per "necessità improvvise" che d'ora in avanti può essere richiesta al lavoratore anche senza alcuna casuale giustificativa (stagionalità, picchi produttivi, attività di istallazione e montaggio) e tale prestazione può anche superare i limiti massimi fino ad oggi previsti (8 ore sul primo turno del sabato, 6 ore su due turni al sabato, 32 ore di prestazione minima settimanale).
Ulteriormente penalizzati anche i periodi di malattia breve, quelli di durata entro i 5 giorni. Saranno retribuiti al 100% solo i primi tre giorni dei primi tre periodi di malattia. A partire dal quarto periodo di malattia la retribuzione si riduce al 66% e poi al 50% per il quinto periodo ed oltre. Nel precedente contratto la penalizzazione scattava dopo il settimo periodo di malattia nel triennio. Non solo. Il nuovo contratto non prevede più che i primi tre giorni di malattia siano retribuiti al 100% qualora il lavoratore abbia già usufruito di analogo istituto in precedenza per tre volte. Inoltre è previsto lo slittamento della mezz'ora di mensa a fine turno e la monetizzazione di tre PAR che di fatto significano 3 giorni di lavoro in più all'anno.
In tema di rappresentanza sindacale nel contratto, sulla base dell'Accordo Interconfederale del giugno 2011, firmato anche dalla CGIL, viene di fatto negato il diritto dei lavoratori a scegliere il sindacato che li deve rappresentare in sede negoziale. È previsto che i sindacati che rappresentano almeno il 5% dei lavoratori hanno diritto di negoziazione con le associazioni di rappresentanza delle imprese a livello nazionale e decentrato.

FIOM esclusa, i padroni esultano
Non a caso la FIOM, pur contando su 358.722 iscritti nel 2011, pari al 22% del lavoratori metalmeccanici, pur essendo il sindacato più rappresentativo del settore, dal momento che gli iscritti a FIM-CISL e UILM-Uil sono inferiori in numero (dichiarati 200.000 per la FIM e 90.000 per la UILM) è stata esclusa dal tavolo per il rinnovo del contratto nazionale. Una vicenda non molto diversa da quanto accaduto in FIAT con l'accordo di gruppo non sottoscritto dalla FIOM con conseguente esclusione non solo da ogni forma di confronto successivo, ma anche dagli organismi di rappresentanza aziendali, le RSU ed anche, come è noto e provato in sede legale, con effetti discriminatori nelle assunzioni nella nuova Fabbrica Italia degli ex lavoratori dipendenti FIAT iscritti alla FIOM.
Ecco perché alla notizia della firma i padroni con alla testa il presidente di Federmeccanica Pierluigi Ceccardi hanno esultato e insieme ai vertici sindacali collaborazionisti firmatari dell'accordo hanno festeggiato l'evento con un comunicato congiunto a pagamento su tutti i maggiori quotidiani a livello nazionale. A rivelare il contenuto dell'amaro calice che si vuol fare ingoiare ai lavoratori ci ha pensato lo stesso Ceccardi che ha dichiarato: "sintetizzando in una parola il senso del contratto, sarebbe flessibilità... Abbiamo raggiunto il più avanzato punto di equilibrio possibile - ha aggiunto il capo di Federmeccanica - in questa situazione così grave. Il contratto segna, per la prima volta, una chiara discontinuità rispetto al passato. Era l'obiettivo che ci eravamo prefissi con le 'linee guida' per il rinnovo, definite dopo un ampio confronto con la base. Le maggiori innovazioni riguardano l'orario, con un pacchetto di ore aggiuntive gestibili su iniziativa dell'azienda; le norme anti-assenteismo, la possibilità di modulare in azienda gli aumenti salariali, realizzando un buon equilibrio tra la funzione di garanzia del contratto nazionale e l'esigenza di più produttività e flessibilità in azienda".

Occorre lo sciopero generale
Dunque, altro che contratto "soddisfacente sul piano normativo ed economico... antidoto alla crisi" come sostiene il capo dei crumiri della CISL Raffaele Bonanni.
Altro che "FIM e UILM hanno fatto l'unica cosa giusta che può fare un sindacato per far crescere i salari: firmare i contratti" come ha detto l'altro capo dei crumiri della Uil Luigi Angeletti.
Questo rinnovo contrattuale, firmato senza il minimo coinvolgimento e l'avallo dei lavoratori, va immediatamente respinto con una grande mobilitazione operaia e una dura lotta di piazza perché mira a far uscire il capitalismo italiano dalla sua crisi di competitività attraverso il supersfruttamento e la schiavizzazione dei lavoratori in cambio di un'elemosina; riscrive le regole della contrattazione e della rappresentanza sindacale e assesta un colpo mortale al CCNL spostando il peso della contrattazione sindacale da quella collettiva nazionale a quella articolata aziendale e interaziendale legando rigidamente ogni aumento salariale all'aumento della produttività e della competitività delle imprese e subordinando le normative sUGLi orari e sull'organizzazione del lavoro, nonché gli stessi diritti finora inalienabili dei lavoratori, alle esigenze produttive delle aziende e all'andamento dei mercati e dei profitti dei pescecani capitalisti.
Occorre perciò mobilitare in massa gli operai e i lavoratori e unire tutte le forze di coloro che non accettano questo accordo capestro in una grande battaglia per respingerlo nel sindacato, nelle fabbriche e nelle piazze. E anche per chiedere alla CGIL una prova di orgoglio proclamando senza indugi e unitariamente ai "sindacati di base" lo sciopero generale nazionale di 8 ore con una grande manifestazione a Roma per affossarlo.

19 dicembre 2012