Al XVI Congresso
IL PARTITO REVISIONISTA E FASCISTA CINESE APRE LE PORTE AI CAPITALISTI
Il 4 novembre si riuniva a Pechino il comitato centrale del Partito comunista cinese, l'ultima riunione prima del'apertura del XVI congresso che doveva eleggere la nuova leadership del paese dopo i tredici anni in cui la direzione è stata nelle mani di Jiang Zemin e celebrare i "successi economici" capitalistici, privatizzazioni e licenziamenti di massa compresi, di questi tredici anni; a Liaoyang, nel nordest del paese, manifestavano 1.500 operai contro i licenziamenti nelle principali industrie della città e per richiedere il pagamento dei salari arretrati. Due episodi che rappresentano in sintesi la distanza abissale tra le precarie condizioni di vita degli operai e delle masse popolari e la cricca della nuova generazione di discepoli di Deng Xiaoping che guideranno almeno per i prossimi cinque anni il partito revisionista e fascista cinese. Un partito che nel XVI congresso, tenutosi a Pechino dall'8 al 15 novembre, ha deciso di aprire le sue porte ai capitalisti.
Cancellato ogni riferimento a Mao e moltiplicati quelli a Deng, il segretario Jiang Zemin, che è anche capo dello Stato e presidente della Commissione militare, nella relazione al congresso ha glorificato i successi ottenuti sotto la sua direzione sulla strada del completamento delle riforme capitalistische avviate da Deng. E a completamento di queste riforme ha dedicato un intero capitolo della relazione all'applicazione della teoria delle cosiddette "tre rappresentanze". Una teoria avanzata già nel luglio 2001 durante le celebrazioni dell'80° della fondazione del Pcc secondo la quale il partito deve essere composto da operai, contadini e dai nuovi strati sociali, cioè i nuovi capitalisti. "L'organizzazione - ha spiegato infatti Zemin - si deve aprire ai nuovi capitalisti imprenditori e ai professionisti liberali". Ha affermato che "la Cina cambia e il partito deve cambiare appunto accogliendo nel suo seno i nuovi strati sociali". Che diventano, secondo Zemin, una delle "pietre miliari" della costruzione del partito. Il compito di proseguire l'opera capitalista e imperialista è affidato al successore Hu Jintao, che si è fatto le ossa nelle repressioni delle proteste in Tibet nel 1988 da segretario del partito nella regione autonoma e eletto segretario generale al congresso, e a Wen Jiabao, uno dei protagonisti delle trattative per far entrare la Cina nel Wto, candidato premier per sostiutire a marzo prossimo Zhu Rongji.