In vigore per la guerra all'Afghanistan
RIESUMATO IL CODICE DI GUERRA
Anche autori di articoli "sgraditi'' potrebbero essere chiamati davanti alle corti militari
Zitto zitto, con la complice omertà di quasi tutti i mass-media del regime neofascista, il 23 gennaio scorso il Senato nero, a stragrande maggioranza, ha dato il primo via libera ad un provvedimento a dir poco mostruoso: la riesumazione del codice penale militare di guerra per l'intervento delle forze armate italiane in Afghanistan.
Si tratta del codice di guerra varato dal regime fascista nel '41, in pieno intervento imperialista a fianco della Germania di Hitler, che prevede espressamente anche la pena di morte, laddove all'articolo 183 si contempla la facoltà per un comandante di "passare per le armi'' quei soldati che si macchino di certi reati come lo spionaggio e altri "contro gli usi di guerra''. La riesumazione del codice militare di guerra, per la prima volta dal '45 ad oggi, è prevista nel decreto legge che autorizza la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, decreto che il governo varò il 1° dicembre scorso, dopo il via libera del parlamento nero all'intervento, e che il Senato ha ora approvato in prima lettura.
Come fu per la votazione sull'intervento in guerra solo il PRC, i Verdi, il PdCI e alcuni senatori DS in dissenso col proprio gruppo hanno votato contro, mentre il grosso del "centro-sinistra'' si è vigliaccamente accodato alla Casa del fascio nell'approvare questo provvedimento senza precedenti nella storia dell'Italia post-resistenziale. Un'infamia che i rinnegati dovranno pagare cara un giorno davanti al popolo italiano che gliene chiederà conto.
La gravità di ciò che è stato fatto passare così di soppiatto all'insaputa delle masse appare ancor più inaudita ove si consideri che sono soggetti al codice penale di guerra non solo i militari sul campo, ma chiunque in generale anche con lo scritto o con la parola rechi danno alle operazioni belliche: "Chiunque - recita infatti l'articolo 87 - al fine di denigrare la guerra, pubblicamente fa atti di vilipendio o profferisce parole di disprezzo o invettive contro la guerra, la condotta o le operazioni di essa, ovvero contro le forze armate dello Stato o coloro che vi appartengono, è punito con la reclusione militare fino a tre anni''. In base a questo principio, quindi, gli autori di articoli "sgraditi'' ai guerrafondai, potrebbero essere trascinati davanti ai tribunali militari.
Sono norme talmente mostruose, anche solo dal punto di vista del diritto borghese, che diversi magistrati si sono sentiti in dovere di mettere in guardia dalle loro possibili conseguenze. Per il magistrato del tribunale di Roma, Domenico Gallo, "con la reintroduzione di questo codice si scoperchia un vaso di Pandora con conseguenze devastanti per i diritti civili''.
Perfino il Procuratore generale presso la Corte militare di appello, Vindicio Bonagura, ha ammesso che il decreto del governo riporta in vita norme per le quali "sarebbero leciti, sul piano del diritto interno, fatti inconcepibili per la coscienza comune''.

26 giugno2002