Dopo essere stata spazzata via dal parlamento da parte degli astensionisti
Rifondazione si spacca in tre
Bertinotti e Giordano messi in minoranza perché vogliono sciogliere il partito. Gli ex DP di Ferrero, Essere comunisti di Grassi e L'Ernesto di Giannini si oppongono
Vendola vuol cambiare tutto. Da destra

Com'era inevitabile, dopo la catastrofe elettorale provocata dall'astensionismo, è cominciata la resa dei conti nel vertice del PRC ancora sotto shock per aver perso quasi tre milioni di elettori ed essere fuori dal parlamento e davanti allo spettro della dissoluzione. La prima conseguenza, ad una settimana di distanza dalle elezioni, è che gli equilibri nel Comitato politico nazionale del partito (Cpn), riunito d'urgenza su pressione degli ex di DP capeggiati dall'ex ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero e degli altri gruppi di minoranza, risultano completamente ribaltati rispetto a come erano usciti dall'ultimo congresso di Venezia del 2005, quello che sancì la svolta verso il governo di Prodi: Franco Giordano e con lui tutta la segreteria di Rifondazione hanno dovuto infatti dimettersi. Al loro posto è stato eletto un comitato di garanzia in cui i bertinottiani sono in minoranza e che gestirà l'attività ordinaria del partito fino al congresso nazionale che si terrà dal 17 al 20 luglio. Di fatto, quindi, il PRC si avvia praticamente spaccato in tre verso quell'appuntamento in cui si svolgerà la resa dei conti finale. Sempre che riesca ad arrivarci senza essersi dissolto nel frattempo per strada.
La settimana di passione era cominciata con la fuga ignominiosa di Bertinotti, che comunicava il suo "ritiro" da ogni ruolo dirigente per tornare a fare il "semplice militante politico", lasciando gli altri dirigenti a contemplare attoniti le macerie del partito. Non senza aver prima confermato però tutta la sua fiducia a Giordano esortandolo a non dare le dimissioni e andare avanti nel processo iniziato con la Sinistra arcobaleno: "A botta calda, subito dopo i primi risultati - dichiarava l'ormai ex guardiano della Camera - Giordano ha sollevato la questione del suo ruolo ma per quanto mi riguarda gli ho confermato la mia fiducia. Secondo me tutti quelli che stanno sulla tolda di comando dovrebbero rimanere al proprio posto in questo viaggio per una sinistra nuova, che deve continuare, andare avanti, è una necessità storica che la sconfitta ha reso ancor più drammatica. Con tutti quelli che ci stanno".
Chiaro l'intento dell'imbroglione trotzkista: mettersi al riparo dalla bufera aspettando che passi, lasciare tutto com'è al vertice del partito e continuare attraverso i suoi uomini nella fuga in avanti sulla strada già imboccata con la Sinistra arcobaleno. Ossia la strada dello scioglimento di Rifondazione per dare vita alla "sinistra moderna", infischiandosene dell'evidente fallimento di questo progetto decretato dal responso delle urne. Senza contare che dopo la batosta elettorale la Sinistra arcobaleno si è di fatto sciolta come neve al sole. Diliberto si era subito eclissato, facendo pubblicare su "Rinascita" un commento dal titolo significativo: "Bye bye Bertinotti". Il segretario del PdCI propone ora un progetto di riunificazione attraverso una "costituente comunista" ripartendo dalla falce e martello. Proposta rivolta particolarmente ai nuovi partiti trotzkisti nati dalle mini scissioni nel PRC come il PCL e Sinistra critica e a spezzoni del PRC come gli ex cossuttiani di Claudio Grassi, e che Giordano ha decisamente respinto. I Verdi, in gran parte e Bonelli in testa, guardano ormai al PD, che è pronto ad accoglierli. Sinistra democratica di Mussi e Salvi confida in Bertinotti e cerca di coinvolgere i socialisti di Boselli nella "sinistra moderna".

Sotto accusa la linea fallimentare di Bertinotti e Giordano
Ciononostante era attenendosi a questa linea ostinata di Bertinotti che Giordano proponeva di allargare la segreteria a Ferrero e agli altri esponenti dei gruppi di minoranza in ebollizione, per gestire insieme una fase costituente "con chi ci sta ci sta" per arrivare ad un "partito unico della sinistra", recuperando anche i singoli elettori che avevano votato PD. Nemmeno più, quindi, un "nuovo soggetto unitario e plurale" della sinistra, come era stato definito finora, ma addirittura un partito vero e proprio, magari riunendosi con SD e i socialisti, un nuovo imbroglio parlamentare da affiancare al PD per continuare a coprirlo a sinistra.
Ma le serrate trattative telefoniche di Giordano con Ferrero non approdavano a nulla, e anzi l'ex ministro operaista e trotzkista scopriva il gioco accusando il segretario di voler sciogliere il partito, o almeno di non essersi opposto a chi lo voleva sciogliere e diceva che nel nuovo "soggetto unitario" il comunismo sarebbe stato solo una "tendenza culturale": chiara l'allusione alle dichiarazioni di Bertinotti in campagna elettorale. Ferrero chiedeva perciò le dimissioni di Giordano e dell'intera segreteria del partito, la costituzione di un comitato di garanzia a cui affidare la direzione del partito fino al congresso, il riconoscimento del fallimento della Sinistra arcobaleno, e di "ripartire da Rifondazione" prima di riprendere un processo unitario a sinistra. Dalla sua parte si schierava l'ex DP Russo Spena, con la motivazione che pur non avendo "nostalgie per la falce e martello" non voleva lo scioglimento del partito. Anche per lui la Sinistra arcobaleno era finita, e oltre la Sinistra europea non si poteva andare. Alle richieste degli ex DP si univano, con motivazioni simili, anche l'ex bertinottiano Ramon Mantovani, Claudio Grassi, leader della corrente revisionista Essere comunisti e il leader della corrente revisionista de L'Ernesto, Fosco Giannini.
A questo punto i rapporti di forza si erano invertiti, rispetto alla maggioranza del 60 per cento che i bertinottiani avevano ereditato dal 6° congresso, e così Giordano ha dovuto presentarsi dimissionario al Cpn convocato per il 19 e 20 aprile. Non senza respingere le accuse di voler sciogliere il partito, e anzi accusando a sua volta Ferrero di un "tentativo di golpe" e di essere l'ultimo ad aver diritto di accusa per la catastrofe elettorale, visto che come ministro nel governo Prodi ne era stato tra i principali corresponsabili.
Al Cpn sono volati gli stracci. Giordano ha cercato di orientare la discussione sulla tesi "siamo tutti colpevoli", arrivando perfino a versare qualche lacrimuccia di sconforto. Ma la sua linea è stata subissata di critiche e di attacchi senza tanti riguardi. Lo stesso guardiano della Camera, che si è guardato bene dal partecipare ai lavori, non ne è stato risparmiato, per la sua spocchia salottiera e la sua lontananza dal partito. In un'atmosfera da ultima spiaggia in cui si mescolavano depressione e rabbia, sono volate anche accuse pesanti alla segreteria per la gestione del processo unitario e della campagna elettorale, per la manipolazione delle tessere e per le spese decise senza consultare gli organi dirigenti, secondo la logica dei fatti compiuti, lo sfoggio di auto blu e scorte da parte dei sottosegretari di Rifondazione, per il monopolio sfacciatamente bertinottiano del quotidiano "Liberazione" diretto da Sansonetti, e così via.

Un partito arrivato al capolinea
ll progetto bertinottiano del "nuovo partito della sinistra" e la fallimentare esperienza della partecipazione al governo Prodi ne sono uscite a pezzi. I bertinottiani - Franco Giordano, Gennaro Migliore, Nicola Fratoianni, Peppe De Cristofaro, Alfonso Gianni, Nichi Vendola, Patrizia Sentinelli e altri - sono apparsi isolati e in difficoltà, trincerati in sostanza dietro la tesi opportunista che il disastro è dovuto a una svolta a destra del Paese e nella società e non alle continue svolte a destra di Bertinotti e alla partecipazione fallimentare al governo Prodi, come sostenevano Ferrero, Grassi, Giannini e molti altri. Anche se tutti costoro si sono guardati bene dal fare autocritica e dallo spiegare perché siano rimasti al governo e solo ora siano venuti allo scoperto per dare battaglia alla segreteria bertinottiana e alla sua linea fallimentare. Per andare dove, poi? Sostanzialmente per tornare alla situazione ante-congresso di Venezia, cioè alla Sinistra europea, a cercare di rianimare quel partito della Rifondazione trotzkista che è ormai arrivato al capolinea e che non ha più ragione di esistere.
Alla fine si è andati alla conta, e la mozione dei bertinottiani ha ottenuto 70 voti, contro quella di Ferrero, Russo Spena, Grassi, Mantovani, Burgio, Vinci e altri che ne ha ottenuti 98. Quella de L'Ernesto, facente capo a Giannini ne ha ottenuti 16. Altri 5 sono andati alle mozioni delle minicorrenti trotzkiste di Claudio Bellotti, leader di "Falcemartello" e 1 a quella di Franco Russo. Il comitato di garanzia di 12 membri è stato spartito in proporzione ai voti delle mozioni, cosicché 6 membri vanno alla maggioranza di Ferrero, Russo Spena, Grassi e Mantovani, 5 ai bertinottiani di Giordano e 1 a Giannini.
Il PRC esce quindi non solo paurosamente ridimensionato da queste elezioni ma anche frantumato al suo interno e con l'ombra della scissione che ritorna ad aleggiare sulle sue spoglie. Anche perché i bertinottiani hanno incassato un duro colpo ma sono sempre decisi ad andare fino in fondo nella linea dello scioglimento del partito in un fantomatico "nuovo partito della sinistra". Il loro "campione" da mettere in pista in preparazione del congresso sarà naturalmente il trotzkista cattolico-gandhiano Nichi Vendola. Il quale, invece di prendere atto della sconfitta senza appello del progetto del suo padrino politico Bertinotti, la prende a pretesto per mettere il piede sull'acceleratore dello scioglimento di Rifondazione e della fuga in avanti verso la "sinistra unita".
"L'Arcobaleno è stato percepito come il logo che copriva cose vecchie. E anche probabilmente inefficaci rispetto all'agire politico", ha dichiarato infatti il governatore della Puglia a "l'Unità" del 16 aprile. Traduzione: la sconfitta non è del progetto della Sinistra arcobaleno, ma del partito che ancora sopravvive al suo passato, che va definitivamente "superato". Per il pupillo di Bertinotti il PRC ha quindi due sole strade davanti: "Una è quella del suicidio, attraverso la ritirata burocratica negli accampamenti ridotti dell'identità". L'altra è quella di continuare fino in fondo la sterzata a destra impressa con la Sinistra arcobaleno fino ad arrivare alla cancellazione stessa del PRC in quanto residuato novecentesco: "Per chi ha ancora dentro la propria testa una lezione di marxismo non dogmatico - così la spiega infatti il governatore della Puglia - è l'analisi spietata del mondo di oggi, la costruzione di un cantiere che non è il museo della gloria del passato ma che è il luogo plurale e aperto in cui una nuova soggettività possa interloquire con le domande e i problemi del ventunesimo secolo. Bisogna ricostruire il proprio campo, i propri strumenti dell'agire politico, cioè il cantiere dell'Arcobaleno, quello che non è mai partito, che è stato solo annunciato su una scheda elettorale".
Ecco perché gli autentici comunisti e quanti all'interno del PRC aspirano sinceramente al socialismo devono sottrarsi ai nuovi inganni e non possono non abbandonare al loro fallimentare destino neorevisionista e trotzkista i gruppi dirigenti e aprire un nuovo capitolo della loro militanza volgendosi verso il PMLI, il solo partito che si propone di dirigere il proletariato e le masse popolari italiane in avanti con forza e fiducia verso l'Italia unita, rossa e socialista.

23 aprile 2008