Sulla spinta di Bertinotti appoggiata dal Comitato politico nazionale
Rifondazione trotzkista svolta verso l'alleanza governativa con l'Ulivo e Di Pietro
Non è d'accordo la corrente trotzkista di Ferrando. La corrente revisionista-trotzkista di Grassi alla fine si allinea. In bilico la direzione di Curzi di "Liberazione". Rifondazione si rifonda anche come partito. Bassolino già promette ministri al falso partito comunista
Per gli anticapitalisti e fautori del socialismo non c'è che la scelta del PMLI
Via libera alla svolta voluta da Bertinotti verso l'alleanza governativa con l'Ulivo e Di Pietro. Il Comitato politico nazionale (CPN) di Rifondazione riunito il 28 e 29 giugno, ha infatti approvato a larghissima maggioranza (68 sì, 14 no e 1 astenuto) il documento finale presentato dal segretario con il quale viene aperto un "nuovo processo sociale e politico" che porterà alla "costruzione dell'alternativa al governo delle destre".
Alla fine, com'era prevedibile, anche la corrente revisionista-trotzkista di Grassi (che comprende anche il direttore di "Liberazione" Sandro Curzi) e la corrente trotzkista di Livio Maitan, che in un primo tempo si erano dissociate, hanno finito con allinearsi e hanno votato il documento di Bertinotti. Contraria solo la minoranza trotzkista di Marco Ferrando, Grisolia e Malerba, che chiede, attraverso una petizione interna, il congresso straordinario.

I MOTIVI DELLA SVOLTA
"Battere Berlusconi", è la giustificazione ufficiale della svolta. Ma per farlo non era certo necessario tornare a portare acqua al mulino dell'Ulivo che in realtà ha spianato la strada all'ascesa del neoduce e ancora oggi continua a coprirne la reale natura neofascista.
Il motivo principale che ha spinto Bertinotti verso la svolta sembra piuttosto la necessità di impedire la dissoluzione del partito. Ormai gli stessi dirigenti ammettono che Rifondazione è in una crisi profonda e che non è riuscita a capitalizzare in termini organizzativi ed elettorali i movimenti che si sono sviluppati in questi anni nonostante le ampie aperture e il rapporto privilegiato instaurato con essi.
Una crisi testimoniata anche dall'esito delle recenti elezioni amministrative parziali dove il PRC sostanzialmente perde consensi, specie là dove non si presenta alleato col "centro-sinistra" che, al contrario, ha ripreso un po' fiato.
In sostanza, i movimenti non portano forza al PRC ma al "centro-sinistra", vanificando ogni illusione sulla possibilità di costruire una "sinistra di alternativa" e minando l'esistenza stessa di Rifondazione.
Ecco che Bertinotti ha pensato bene di rimangiarsi la "svolta" del '98 quando Rifondazione decise di togliere l'appoggio al governo Prodi dopo averne condiviso le peggiori nefandezze come il "pacchetto Treu", le privatizzazioni, la legge anti-immigrati, le finanziarie di "lacrime e sangue", il "patto di stabilità" europeo e l'entrata dell'Italia nell'Euro e tante altre. Allora, accortosi che le emorragie a sinistra mettevano in discussione l'esistenza del partito decise di tornare all'opposizione parlamentare.
Si parlò di definitiva "svolta a sinistra", ma per noi fu solo una svolta di tipo opportunistico e tattico, non strategico, tant'è vero che Rifondazione ha continuato ad essere alleata del "centro-sinistra" in una multitudine di governi comunali, provinciali e regionali.
Bertinotti in questi anni ha sempre negato la possibilità di nuovi accordi nazionali con l'Ulivo, ha parlato della necessità di "rompere la gabbia dell'Ulivo" e che la "sinistra di alternativa" poteva nascere solo attraverso una "rottura col centro" da parte della sinistra dell'Ulivo. Poi all'improvviso sono venuti gli accordi elettorali per le amministrative 2003 che oltre all'Ulivo comprendevano anche l'Italia dei valori dell'anticomunista Di Pietro; l'appoggio a esponenti della Margherita come Gasbarra a Roma; l'esaltazione dell'accordo di programma con Illy in Friuli-Venezia Giulia; il riconoscimento del centro dell'Ulivo "la cui presenza è fondamentale nella coalizione" (Bertinotti al "Messaggero" del 27 giugno); la riapertura del dialogo con Rutelli, Fassino e soprattutto D'Alema che addirittura viene intervistato da una ossequiosa Rina Gagliardi, ben nota anticomunista luxemburghiana trotzkista, su "Liberazione".

IL CARATTERE DELLA SVOLTA
Ed eccoci all'ennesima svolta. Una svolta non solo annunciata ma già in atto visto che dirigenti del PRC (Paolo Ferrero e Alfonso Gianni) partecipano alle commissioni programmatiche paritetiche con Treu e Mastella già formalmente istituite con l'incontro PRC-Ulivo del 6 marzo scorso.
Una svolta di carattere generale e strategica questa volta. Non è infatti semplicemente il ritorno al punto di partenza, ossia a un accordo puramente elettorale come era il "patto di desistenza" e l'appoggio esterno al governo Prodi. Ora ciò che si prospetta da entrambe le parti è un accordo di tipo governativo e programmatico che elevi Rifondazione a partito di governo vero e proprio con tanto di ministri. Bertinotti nella sua relazione al CPN ha infatti parlato chiaramente di voler ricercare "un'intesa programmatica" e non semplicemente un'intesa elettorale col "centro-sinistra".
Ed è quello che sostanzialmente gli chiedono i rinnegati dirigenti dei DS che pretendono in Rifondazione un partner affidabile e leale fino in fondo. Proprio durante i lavori del CPN, Piero Fassino da Firenze è tornato a fare pressioni: "Non servono accordi tattici e desistenze che rischiano di essere prive di credibilità. Ci vuole una intesa per il governo dell'Italia. Quindi discutiamo di un programma di governo".
Qualche giorno prima era intervenuto anche il governatore della Campania Antonio Bassolino che addirittura è già arrivato a promettere ministri al falso partito comunista. "Io dico che per battere il Polo - ha dichiarato Bassolino al `Corriere della Sera' del 17 giugno - bisognerà trovare un rapporto con le forze esterne all'Ulivo, e il rapporto con il PRC sarà essenziale. Ma siccome si tratta di vincere e poi di governare, è impensabile ripetere l'intesa elettorale del '96. Anche Bertinotti ne è consapevole, sa che è indispensabile un accordo politico e programmatico". Pertanto, continua Bassolino, "se vinceremo le elezioni, dovranno esserci anche ministri di Rifondazione nell'esecutivo. Questo è il passo in avanti che bisogna fare, anche se so bene quanto sarà complicato mettersi d'accordo".
E Bertinotti apprezza le aperture di Bassolino perché "confermano l'importanza dell'interlocuzione dell'Ulivo con il PRC, smentendo in maniera netta e determinata chiunque pensava di prendersi qualche rivincita contro di noi" ("Liberazione" del 18 giugno).

COPERTURA A "SINISTRA" DELL'ULIVO
Bertinotti avverte che nell'attuale fase vi sono due rischi: "Il primo: diventare la sinistra del centrosinistra. Il secondo: chiamarci fuori dalla politica, pensando che ormai l'alternanza ha vinto e dunque conviene ridurci a pratiche extraistituzionali. Entrambe queste strade sono errate e devastanti e non saprei indicare qual è la peggiore". Checché ne dica Bertinotti, fra queste due ipotesi, non vi sono alternative reali, tant'è vero che egli stesso non riesce a prospettarne un'altra possibile. La scelta compiuta porta direttamente il PRC ha ricoprire anche a livello governativo nazionale il ruolo di copertura a sinistra dell'Ulivo. Con l'aggravante che Rifondazione vuole portare nelle braccia di un eventuale governo di "centro-sinistra" anche i movimenti, sul modello del governo del presidente brasiliano Lula, peraltro già in crisi di consensi.
Dice infatti Bertinotti: "Per superare questa fase ci può aiutare la lezione latino-americana. Sia chiaro, non c'è nessun Lula alle porte in Italia, però è importante imparare quell'esperienza di un accumulo di forze, di istituzione di movimento, di esperienza sociale. Questo è il problema che noi oggi poniamo alla sinistra d'alternativa. Questo è il problema che poniamo alle forze di opposizione per imporre un'agenda di temi e per stabilire un'intesa programmatica".
Per giustificare questa ignobile svolta, Bertinotti sostiene che il quadro del "centro-sinistra" è cambiato. A noi non sembra. I relativi successi elettorali l'hanno solo reso un po' più baldanzoso e fiducioso sugli esiti dei futuri appuntamenti elettorali.
Ma l'Ulivo, la sua natura, il suo carattere, i suoi programmi, i suoi dirigenti, non sono cambiati affatto. Ha votato la spedizione italiana in Iraq, si è opposto al referendum sull'art. 18, ha coperto l'assalto di Berlusconi al "Corriere della Sera", ha farfugliato di fronte al golpe istituzionale per salvare Berlusconi dai processi (pezzi dell'Ulivo, come Sdi e Udeur, si sono addirittura astenuti), è sostanzialmente d'accordo con il progetto della Costituzione europea, e quindi con la nuova organizzazione politica, istituzionale e militare dell'imperialismo europeo, si ostina a coprire il governo del neoduce Berlusconi e il ruolo di supporto di Ciampi, rifiutandosi di ammettere che siamo in pieno regime neofascista, proprio come la sinistra borghese sottovalutò e in questo modo spianò la strada a Mussolini.
A dire il vero, su questo ultimo punto, l'intesa fra Bertinotti e l'Ulivo sembra completa. Infatti anche il capofila dei neorevisionisti e dei trotzkisti italiani, continua a negare l'esistenza di un regime e la reale natura neofascista del governo Berlusconi. Nella sua relazione si tiene ben distante da darne alcuna definizione. Afferma che "la nostra interpretazione sulla natura e il comportamento del governo Berlusconi è indubbiamente diversa da quella del centrosinistra", ma poi non dice qual è l'interpretazione di Rifondazione.

ANCHE SVOLTA ORGANIZZATIVA
Oltre alla svolta politica, Bertinotti pretende anche una svolta organizzativa perché, come ha concluso la sua relazione al CPN "la riforma politica e la riforma organizzativa vanno assieme".
Bertinotti non è soddisfatto dei passi compiuti dopo il 5• Congresso (aprile 2002) quando furono tagliati i ponti con l'esperienza storica del socialismo e con i grandi maestri del proletariato internazionale e il partito fu proiettato sui movimenti. Già qualche settimana prima, in Direzione, si era nuovamente lamentato di trovare ancora ritratti di Stalin nelle sezioni, segno che il "processo di innovazione" non è stato ancora compiuto fino in fondo. Così prospetta ora "una nuova forma di organizzazione" che possa colmare il "deficit di innovazione" e portare ad "un partito che stia al di là dell'esperienza del '900". Ossia al di là dell'esperienza del movimento operaio nazionale e internazionale e del modello di partito bolscevico. Secondo Bertinotti il PRC deve costruire una rete che "deve stare dentro il tessuto dei movimenti e della società".
In quest'ambito rientra anche il ruolo di "Liberazione" e lo scontro fra Bertinotti e Curzi, la cui direzione resta in bilico. Esplosa sulla vicenda del "Corriere della Sera", la contraddizione fra Curzi e la segreteria riguarda proprio il ruolo del giornale in questo processo di "innovazione" e, soprattutto, rispetto alla svolta. Accusata la direzione di aver prodotto un giornale fin qui non schierato "prevalentemente" con la maggioranza del partito, ora Bertinotti pretende un giornale completamente allineato.
Mentre Curzi sostiene un giornale di tipo "generalista" sul modello "di giornale prospettato da Gramsci", la condirettore Rina Gagliardi, che guida per conto di Bertinotti l'attacco a Curzi, gli preferisce "un quotidiano di alternativa". Secondo il segretario del PRC "Liberazione" deve infatti "scommettere sui movimenti e sulle culture critiche".
Sulla rifondazione di Rifondazione avremo modo di tornare in seguito, anche perché Bertinotti ha annunciato su questo tema l'avvio di "una ricerca teorico-culturale sulla forma partito dal Novecento ad oggi" che sfocerà fra tre-quattro mesi in un "convegno davvero importante", dal quale, in teoria, dovrebbe uscire disegnata questa "nuova forma organizzativa".

L'OPPOSIZIONE INTERNA
Anche questa volta l'opposizione interna ha abbaiato, ma si è guardata dal mordere.
La corrente revisionista-trotzkista di Grassi e quella trotzkista di Livio Maitan hanno alzato un po' la voce nella prima direzione nazionale del 17 giugno, hanno abbassato assai i toni in quella del 24 giugno, si sono completamente e opportunisticamente accucciate nel CPN dove sono giunte a votare il documento del segretario. In particolare, la corrente di Grassi non è mai stata contraria a riaprire il dialogo col "centro-sinistra". Essa però non ha digerito di essere stata scavalcata da Bertinotti e dai suoi fidi che hanno tessuto in prima persona e direttamente col vertice dell'Ulivo la trama dell'accordo, senza avvalersi dei rapporti privilegiati che questa corrente da sempre tiene con la sinistra diessina.
La corrente di Grassi ha posto infatti solo il problema dei modi e dei tempi del riavvicinamento all'Ulivo. Essa preferirebbe che si partisse da un'intesa con quelle forze che hanno fatto parte del Comitato per il Sì al referendum sull'articolo 18, come Verdi, sinistra DS, PdCI, per poi passare al confronto con l'intero Ulivo. Ipotesi comunque bocciata da Bertinotti e i suoi che non intendono aspettare tempi lunghi e vogliono subito avviare la trattativa col "centro-sinistra".
Un po' meno accondiscendente l'opposizione della corrente trotzkista di Ferrando che ha presentato un proprio documento che è stato bocciato e ha ottenuto solo 9 sì e 5 astensioni e sta raccogliendo firme all'interno del partito per una petizione che richiede il congresso straordinario.
La corrente Ferrando comunque non smentisce se stessa e il suo endemico opportunismo.
Per quanto riguarda il "centro-sinistra", pur contraria a un accordo di governo, sarebbe disposta a soccorrere l'Ulivo là dove c'è bisogno (per esempio nei collegi a rischio) attraverso "accordi tecnici". Senza considerare che non ha storto il naso sugli accordi programmatici per le elezioni amministrative. In più nel loro documento i dirigenti trotzkisti parlano di "un'alternativa di classe a Berlusconi", ma manco osano pronunciare la parola socialismo. Essi sono per costruire un "polo di classe anticapitalistico" che "miri a cacciare Berlusconi" con l'obiettivo di una generica e indefinita "alternativa dei lavoratori".
Insomma, se non è zuppa è pan bagnato.

SCEGLIERE IL PMLI
Per gli anticapitalisti e fautori del socialismo che ancora militano nel falso partito comunista di Bertinotti si impone una scelta definitiva: abbandonare al suo destino il PRC e scegliere il PMLI.
Abbattere il capitalismo e la classe dominante borghese, conquistare il socialismo e poi il comunismo è quello a cui aspirano da sempre gli autentici comunisti. Un autentico comunista non può stare in un partito che di comunista non ha niente, che non pone come suo obiettivo storico il cambiamento della società e il socialismo che è la discriminante fondamentale e irrinunciabile insieme all'anticapitalismo e all'antimperialismo.
Un autentico comunista avversa tutti i governi borghesi, sia quelli espressione della destra, sia quelli espressione della "sinistra" borghese. Il governo del neoduce Berlusconi va buttato giù, ma deve essere la piazza e la lotta di classe a farlo, e a un autentico comunista non può bastare che esso venga sostituito con un governo della "sinistra" borghese, che comunque fa gli interessi della classe dominante borghese in camicia nera e dell'imperialismo italiano. Occorre lottare per buttar giù Berlusconi tenendo ferma la rotta verso il socialismo.
Ma questo lo possiamo fare solo se daremo tutte le nostre energie intellettuali e materiali al Partito del proletariato, della riscossa e della vittoria, al Partito che da oltre 26 anni si batte coerentemente per l'Italia unita, rossa e socialista, il PMLI.