Con l'approvazione definitiva del Senato nero, il DDL Gelmini è legge. Tutto il potere nelle mani dei manager e dei Cda; la nuova governance aziendalista sarà al servizio degli interessi del governo, dei privati, della Confindustria, del Vaticano e della mafia, nonché dei baroni a loro asserviti
Il governo Berlusconi uccide l'università pubblica e instaura l'università del regime neofascista
Smantellate le fondamenta dell'università pubblica per fare spazio al "modello privatistico". Il "diritto allo studio" sostituito dalla "meritocrazia". Falcidiate facoltà e corsi di laurea, soprattutto nel Mezzogiorno. Cancellata la figura del ricercatore a tempo indeterminato. Taglieggiato, precarizzato e gerarchizzato il personale. Napolitano firma ma invia una letterina al governo per salvare la faccia
La controriforma va abrogata

Il 30 dicembre scorso, la odiata controriforma Gelmini ha ricevuto il sigillo della firma del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Dunque essa è diventata legge dello Stato. Il famigerato e contestatissimo disegno di legge S.1905, presentato dal ministro Gelmini di concerto con i ministri Tremonti, Brunetta, Fitto e Meloni, era stato approvato dal Consiglio dei ministri nel novembre 2009, poi in prima lettura dal Senato il 29 luglio 2010 e, in forma lievemente modificata, il 30 novembre dalla Camera. Per la definitiva approvazione in terza lettura al Senato, il 22 dicembre scorso, ha ricevuto 161 voti a favore (PDL, Lega e FLI), 98 contrari (PD e IDV) e 6 astenuti (UDC, API, SVP e Unione Valdotaine).
Comprensibile l'arrogante esultanza dei vari gerarchi del governo in camicia nera, perché si tratta del pezzo grosso della piattaforma piduista nel campo dell'istruzione universitaria, la più grave e devastante delle controriforme che si sono abbattute, senza soluzione di continuità, sull'università pubblica a partire dalla legge Ruberti del 1990, allo scopo di demolirne le fondamenta, privatizzarla e fascistizzarla. Con la legge Gelmini il neoduce Berlusconi è infatti riuscito a costringere l'Italia a dire addio all'istruzione universitaria pubblica. Al suo posto è stato imposto un modello di università spietatamente di classe, gerarchica, meritocratica e manageriale, un modello (ideato da Gentile e aggiornato da Gelli e da Craxi) che estromette i figli della classe operaia e delle masse, mentre assicura larga presenza e pieni poteri ai privati nei Consigli di amministrazione (Cda). Sulla base di questi principi, e della conseguente riforma della "governance", è stato partorito un mostro tricefalo per abbattere il quale si sono battuti con coraggio le studentesse e gli studenti nonché la stragrande maggioranza dei lavoratori degli Atenei di tutto il Paese. È il modello di università che da oltre 60 anni era nel libro dei sogni dei neofascisti nostrani: un'università per i soli figli della borghesia, con modelli didattici, organizzativi e di finanziamento presi a prestito: 1) dal ventennio mussoliniano; 2) dalle attuali università cattoliche; 3) dalle costosissime università private statunitensi.

Metodi e obiettivi della legge
Il grimaldello utilizzato dal governo per scardinare l'attuale sistema nazionale dell'università pubblica è quello di concentrare le scarse risorse in pochi atenei (privati, privatizzati o in via di privatizzazione), ritenuti "virtuosi" o "eccellenti", e cancellare e/o ridimensionare il ruolo di tutti gli altri. "Senza oneri per lo Stato" è infatti la frase più ricorrente nel testo legislativo. Il che significa che anche formalmente si tratta di una "riforma" a costo zero, benché in realtà sia una "riforma" fondata sui tagli di Tremonti, in parte già attuati (con la stangata contenuta nella legge 133 del 2008) e in parte da attuare nel prossimo biennio, che compromettono fortemente il "diritto allo studio", la qualità di didattica e ricerca e la sicurezza lavorativa di precari ed esternalizzati, e spingono soprattutto le università più povere e del Sud, a "chiudere bottega" o a inasprire gli sbarramenti e ad aumentare quell'insieme intollerabile di tasse e balzelli che viene definita "contribuzione studentesca".
Un altro obiettivo non dichiarato di questa micidiale controriforma è infatti proprio quello di declassare e sfoltire drasticamente l'attuale sistema dell'istruzione del Mezzogiorno per sfollare ulteriormente gli Atenei del Sud come prescrivono i fascio-leghisti del Carroccio. Non a caso i nuovi criteri di valutazione delle università sono stati assegnati ad una agenzia filogovernativa (l'Anvur) che ha già preventivamente stilato una "lista nera delle università non virtuose" nella quale sono stati inclusi tutti gli atenei già dissestati e poveri del Sud a cui sono stati ulteriormente taglieggiate risorse, personale, corsi di laurea e facoltà.
Per effetto di questi provvedimenti molti atenei sono al collasso finanziario e altri sono dovuti ricorrere all'esercizio provvisorio. Un altro intento non dichiarato è quello di allineare rapidamente quel che resta dell'università e della ricerca pubblica alla controriforma del Pubblico impiego promossa dal ministro Brunetta e a quella del "mercato del lavoro" promossa dal ministro Sacconi, che si fonda sul nuovo modello contrattuale padronale e corporativo frutto dell'accordo separato tra governo, Confindustria e vertici sindacali collaborazionisti. Prevedendo di fatto che l'insieme dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici delle università ed enti di ricerca sia privatizzato ed equiparato a quello dei dipendenti privati non è difficile smentire la falsa teoria che afferma che i nuovi meccanismi del reclutamento universitario serviranno a scardinare le baronie. Essendo infatti le nuove assunzioni fondate sulla discrezionalità dei professori ordinari a capo dei dipartimenti, dunque sulla "chiamata diretta", sull'istituzionalizzazione del precariato e su contratti di diritto privato, il nuovo modello di organizzazione del lavoro sarà fonte del più sfacciato clientelismo e nepotismo non solo di stampo baronale, ma anche e soprattutto di stampo politico-mafioso. Non è da dimenticare infatti che, oltre a quello del governo, dei monopoli privati e del Vaticano, c'è un interesse preciso delle holding criminali locali e nazionali a fare parte dei nuovi organi di governo universitari per accaparrarsi le proprie schiere di quadri tecnici e di docenti al fine di assicurare un avvenire certo ai rampolli della borghesia fascista e mafiosa. Qualche esempio? Gli atenei "telematici", le università cioè che laureano a distanza, le quali, a seguito dei provvedimenti approntati dalla Gelmini, non solo potranno accedere alla quota di fondi destinati agli istituti non statali "in base al merito" ma potranno di colpo diventare Atenei parificati a tutti gli effetti, il che significa lauti finanziamenti sottratti alle università pubbliche e nuove basi clientelari per i Partiti di governo.
Non a caso Francesco Polidori, patron del Cepu, lo scorso agosto ha incontrato Berlusconi per mettergli a disposizione la sua "rete" per raccogliere consensi elettorali. Ecco che cosa ha detto lui stesso a Francesco Manacorda della Stampa: "Noi vendiamo formazione, dai corsi di recupero, all'inglese, all'università. Loro vendono politica. Ma in fondo il metodo non cambia e per me è un'occasione di business come le altre. Bisogna bussare a tutte le porte, ci vuole pressing e motivazione. Bisogna partire dalla sezione elettorale, ogni sezione in media 300 famiglie, e da lì scendere fino alla singola famiglia". Un altro esempio è l'università San Raffaele di Roma. Azionista di controllo è il gruppo Tosinvest fondato dal re delle cliniche convenzionate, Antonio Angelucci neodeputato del PDL: l'8% dell'Ateneo appartiene a Fininvest servizi, e un altro 8% a Mediolanum comunicazione, controllata dalla holding che fa capo a Ennio Doris e al premier.

Il contenuto
Nel corso delle prime due revisioni a palazzo Madama e a Montecitorio, il testo di legge "in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario", benché blindato, si è ampliato sino a costituire l'attuale conformazione di 29 articoli complessivi.
Il Titolo I norma essenzialmente l'organizzazione degli Atenei, dettando criteri ai quali le Università devono attenersi nella modifica dei propri Statuti, da realizzarsi entro sei mesi. I criteri sono immediatamente prescrittivi, e questa prima parte del testo si presenta quindi sotto forma di norma operativa piuttosto che di DDL. In estrema sintesi, si propone per gli Atenei un modello organizzativo fortemente gerarchico che marginalizza gli organi elettivi per condensare il potere negli organi di vertice: un'operazione scopertamente antidemocratica che corrisponde perfettamente alla vocazione aziendalistica e neofascista del governo. Si tratta della controriforma della "Governance" a seguito della quale tutto il potere passerà nelle mani dei Direttori generali, manager a tutti gli effetti ma sopratutto dei nuovi consigli di amministrazione che con rappresentanze di privati fino al 40%, avranno mano libera su assunzioni, spese, tasse e piani didattici, anche delle sedi distaccate. I Cda potranno provvedere alla fusione o federazione degli atenei (massimo 12 facoltà ciascuno), alla riduzione degli iscritti alla cancellazione di settori di attività "simili", se vorranno ottenere il marchio di "qualità" del ministero per accedere ai finanziamenti. È previsto l'ingresso delle "Fondazioni" private nell'ambito dell'amministrazione delle università. Parallelamente a questo accentramento di poteri funzionale alla privatizzazione, negli organi di gestione degli atenei è stata azzerata la rappresentanza di ricercatori, dei precari della ricerca e degli amministrativi, e significativamente ridotta la rappresentanza studentesca, con funzione meramente consultive. Un emendamento dell'IDV ha sancito l'impossibilità di avere parentele fino al quarto grado, per partecipare ai concorsi, con professori appartenenti al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata. Una norma che vorrebbe limitare il nepotismo, ma che, considerato il piano complessivo, è facilmente aggirabile.
Il Titolo II contiene la delega al governo a riordinare una quantità di materie tra cui l'istituzione di un "Fondo per il merito" gestito direttamente dal Ministero dell'Economia al di fuori dei canali del "diritto allo studio", le stesse norme sul "diritto allo studio" con la cancellazione delle borse di studio per gli studenti poveri in favore di "prestiti d'onore" per i soli meritevoli, i meccanismi di contabilità prevedendo il commissariamento degli Atenei in caso di dissesto (e rigidi controlli di spesa che si spingono fino a determinare il tetto della contrattazione integrativa d'Ateneo), i meccanismi premiali nell'attribuzione dei finanziamenti, la disciplina dell'orario docente (pari a 1500 ore di impegno complessivo annuo), la valutazione periodica ai fini dell'attribuzione degli scatti economici, la rimodulazione dei trattamenti economici dei docenti (prevedendo per cominciare che gli scatti biennali diventano triennali), ecc. Per le materie che riguardano direttamente il personale, ovviamente, non è prevista alcuna forma di contrattazione mentre alla meritocrazia neofascista è legato persino il superamento del blocco degli scatti stipendiali (solo per i "migliori" ricercatori e professori).
Il Titolo III definisce la riduzione dei Settori scientifico-disciplinari (su cui il CUN sta lavorando da tempo), l'istituzione dell'abilitazione scientifica nazionale come pre-requisito per i concorsi e gli avanzamenti di carriera e nuove norme sul reclutamento basate su concorsi interamente gestiti a livello locale dai singoli Atenei. Le Commissioni concorsuali saranno infatti composte dall'Ordinario che metterà (rectius: che chiederà che sia messo) il posto a concorso, e dagli amici suoi, che indicherà lui: a questo punto, che siano associati o ordinari, del posto o esterni, non cambia nulla. Come non cambia nulla la presenza di punteggi numerici in quanto il problema è nel manico! Spariscono anche le borse post-dottorali e il salto nel ruolo della docenza sarebbe garantito, forse, soltanto a 1.500 degli attuali ricercatori l'anno tra il 2011 ed il 2013. Il classico piatto di lenticchie a fronte del quale si prevede la definitiva messa in esaurimento del ruolo di ricercatore a tempo indeterminato. Come specchietto per le allodole sarebbero stati introdotti degli incentivi per consentire ai ricercatori italiani che hanno svolto un dottorato all'estero di poter tornare ad operare in Italia. Fino al 5% degli organici di ruolo per la stipula di contratti di docenza e ricerca potrà essere assegnata ad esperti esterni a titolo gratuito.
Dunque la legge non accoglie nessuna delle proposte che in questi anni sono state avanzate. In particolare, non solo non c'è il riconoscimento dei ricercatori come terza fascia docente, ma si accelera l'applicazione della messa a esaurimento. Non saranno più possibili assunzioni di ricercatori a tempo indeterminato; la "terza fascia" diventa solo un canale di reclutamento a tempo determinato. Vista la scarsità di risorse gli attuali ricercatori avranno, prevedibilmente, scarsissime probabilità di uscire da questo recinto, fatto di precarietà e di lavoro volontario, e nessuna garanzia che i futuri associati proverranno direttamente dal ruolo di ricercatore a tempo determinato, facilmente ricattabile e licenziabile. Piuttosto sempre per mancanza di fondi, le università potrebbero optare per licenziamenti di massa tra ricercatori e precari della ricerca in scadenza di contratto, assumendone di nuovi e limitando i costi con contratti di supersfruttamento maggiormente vantaggiosi. Condizione sempre più instabile e soggetta a ricatto, anche per figure come i lettori che attendono da decenni una risposta alla loro condizione.

Golpe procedurali e responsabilità bipartisan
Oltre al contenuto va denunciato anche lo squallido teatrino che ha preceduto l'approvazione di questa infame legge, con il parlamento trasformato in un bivacco per i manipoli del premier e l'ostruzionismo di cartone ostentato dal PD e dall'Italia dei Valori. Martedì il presidente dei senatori del partito di Bersani, Anna Finocchiaro, affermava: "stanno costruendo un mostro nella procedura legislativa durante la votazione degli emendamenti". Insieme al capogruppo del partito di Di Pietro, Felice Belisario, si appellava alla tesi che gli articoli 6 e 29 sono in contraddizione fra loro, e quindi era necessario un nuovo passaggio alla Camera. Una richiesta che si scioglieva come neve al sole all'alba del giorno dopo quando il ministro Gelmini prometteva che la questione sarà sanata in sede di conversione del decreto legge milleproroghe. Mercoledì la Giunta del regolamento di Palazzo Madama decideva a maggioranza di rinviare all'aula la decisione di un eventuale intervento di "coordinamento testi". La questione, forse su invito del nuovo Vittorio Emanuele III Napolitano, veniva congelata, e PD e IDV tornavano alla consueta omertà nei confronti del governo della macelleria sociale. Non più di qualche imbarazzato farfugliamento di fronte ai ripetuti e sfacciati strappi e colpi di mano alle procedure parlamentari, come quella promossa del presidente Renato Schifani che non aspettava neanche che tutti i senatori avessero votato prima di proclamare la bocciatura degli emendamenti, come le modifiche ex-post ai verbali d'aula da lui stesso probabilmente promosse per cancellare le prove degli scandali, come l'operato altamente sprezzante delle più elementari norme parlamentari affidato alla sua vice Rosi Mauro della Lega.
La capitolazione totale era affidata ancora una volta alle parole immensamente opportuniste del capogruppo del PD Anna Finocchiaro: "Una cosa che il ministro Gelmini non dice mai è che questa è una legge delega e che ci sono ancora circa 50 decreti attuativi da varare. Occorrerà che Camera e Senato tornino con le commissioni a occuparsene. Mi auguro che in quella sede si possa ancora fare qualche passo in avanti". Era il via libera del PD alla approvazione della legge Gelmini che instaura l'università del regime neofascista e nello stesso tempo il via libera alla trasformazione del parlamento in una sezione notarile del governo. Concordata quindi nell'ultima riunione dei capigruppo l'azzeramento della discussione, la seduta di giovedì si concludeva rapidamente con l'approvazione degli ultimi articoli e addirittura con un voto bipartisan "quasi unanime", come commentava Schifani, su di un articolo che, come ha detto il senatore Ignazio Marino, "è stato voluto dal PD e riguarda la valutazione dei progetti di ricerca" (sic!). Il ministro Gelmini si precipitava a Porta a porta per affermare: "abbiamo archiviato il '68" mentre il neoduce Berlusconi a schermi unificati per tre giorni di seguito ripeteva il monito: "governerò per tutta la legislatura"... e Napolitano firma la controriforma con una letterina al governo per salvare la faccia anche di fronte agli studenti che aveva illuso ricevendoli in delegazione.

5 gennaio 2011