Libano
La rivolta armata di Hezbollah costringe il governo filo Usa a revocare le misure contro il movimento
Bush manda una nave da guerra per sostenere il governo Siniora

Il 10 maggio i responsabili di Hezbollah annunciavano il ritiro delle loro milizie dalle strade di Beirut, accogliendo la richiesta del generale Michel Suleiman, il comandante delle forze armate libanesi e candidato concordemente designato a ricoprire la carica di presidente del Libano al posto del predecessore Emile Lahoud che ha lasciato lo scorso 24 novembre.
Il Comando militare aveva chiesto a tutte le fazioni di ritirare i loro uomini armati, una volta accolte le richieste di Hezbollah di non smantellare la sua rete telefonica e di cancellare l'estromissione del responsabile della sicurezza dell'aeroporto di Beirut; le due decisioni adottate dal governo filo Usa di Fuad Siniora che la rivolta armata di Hezbollah ha costretto a cancellare.
Già nei due giorni precedenti i miliziani di Hezbollah avevano comunque consegnato all'esercito il controllo delle sedi dei partiti della coalizione di governo, occupati l'8 maggio a Beirut ovest, e le armi confiscate.
Il 7 maggio nella capitale era previsto uno sciopero con manifestazione indetto dai sindacati per chiedere l'aumento del salario minimo ben oltre le 500 mila lire libanesi (circa 330 dollari) proposte dal governo, nonché aiuti alle fasce sociali più deboli colpite duramente dall'aumento vertiginoso del costo della vita. Lo sciopero era annullato su pressione del governo che temeva reazioni soprattutto alla decisione presa il giorno precedente di dichiarare illegale la rete di comunicazioni via cavo installata dalla milizia sciita in alcune zone del Paese e l'avvicendamento del capo della sicurezza all'aeroporto internazionale di Beirut, accusato dal leader druso Walid Jumblatt, alleato di Siniora, di aver consentito a Hezbollah di installare telecamere nella zona dell'aeroporto per "monitorare l'arrivo di leader libanesi e stranieri da sequestrare o assassinare lungo la strada che porta all'aeroporto".
Centinaia di attivisti di Hezbollah e degli altri partiti dell'opposizione scendevano comunque in piazza e bloccavano la strada per l'aeroporto di Beirut per protestare contro i porvvedimenti del governo.
A fianco del governo Siniora si schierava la Casa Bianca che ammoniva Hezbollah a por fine immediatamente ai suoi tentativi di "alimentare disordini" in Libano. Seguita a tambur battente dal "neutrale" Onu che tramite il portavoce del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ventilava la possibilità di moodificare le regole d'ingaggio dell'Unifil, la missione internazionale in Libano del sud. Lo stesso desiderio espresso tra gli altri da Berlusconi dopo che l'inviato dell'Onu, Terje Roed-Larsen, aveva definito Hezbollah "una minaccia alla pace regionale". Dal coro contro Hezbollah risultava evidente che la questione della rete di comunicazione era il via a un nuovo tentativo del governo filo Usa di smantellare l'arsenale militare della resistenza libanese, come vogliono i paesi imperialisti, Stati Uniti e Israele in testa.
Giustamente Hezbollah ha reagito con forza. Tra l'8 e il 9 maggio le forze di Hezbollah e di Amal conquistavano il controllo di Beirut ovest superando la resistenza delle milizie dei partiti governativi, anch'esse armate, senza che nessuno dei paesi imperialisti si sogni di chiederne il disarmo.
Dirigenti di Hezbollah dichiaravano che la rete telefonica "è esclusivamente ad uso militare per consentire ai quadri, alle cellule e al comando della resistenza di comunicare senza essere ascoltati dal nemico", Israele, mentre le telecamere installate nei pressi dello scalo erano in funzione da oltre 20 anni e finora nessuno aveva protestato. Il leader di Hezbollah, Nasrallah, denunciava quindi che i due provvedimenti del governo erano l'equivalente di una "dichiarazione di guerra" contro il suo movimento.
"Sulla questione dell'aeroporto il problema è che è diventata la base della Cia e del Mossad", dichiarava Nasrallah, "sono loro che vogliono mettere le mani sullo scalo e non possiamo permettere che diventi la base dei servizi segreti stranieri". "È nostro diritto difenderci contro chi ci dichiara guerra", concludeva il leader Hezbollah, "io non voglio dichiarare guerra ma voglio dichiarare il diritto a difenderci. Non combattiamo, ma non accettiamo che ci sparino contro o che tocchino le nostre armi. Se vogliono il dialogo devono annullare il decreto illegittimo".
Nasrallah tra l'altro affermava che "le regole d'ingaggio della missione Unifil vanno bene così come sono e non vanno cambiate". In altre parole Hezbollah ha accettato il dispiegamento della forza Onu, dettato dalla risoluzione 1701 dell'11 agosto 2006 dopo la vittoria contro l'invasione sionista, col compito di vigilare sui confini israelo-libanesi e di assistere il governo libanese per realizzare "il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano". Non di realizzarlo come vorrebbero i paesi imperialisti. Che hanno infatti spedito i "caschi blu" in Libano e non casomai in Israele che era stato il paese invasore.
"A vincere è stato il Libano che si è opposto due estati fa all'aggressione armata di Israele e che non intende trasformarsi in una terra di conquista dei sionisti né in una colonia americana" sottolineava il vicesegretario di Hezbollah, Naim Qassem, che ribadiva l'appoggio del movimento all'elezione del generale Suleiman alla carica di presidente, il cui ruolo "di garante dell'unità della nazione può e deve essere rafforzato dalla costituzione di un governo di riconciliazione in cui ogni partito possa contare per ciò che realmente rappresenta".
Non è certo pienamente rappresentativo l'esecutivo di Siniora formato solo dai gruppi filo Usa. E che continua a avere l'aperto sostegno di Bush, manifestato dal minaccioso arrivo nelle acque libanesi della nave da guerra Uss Cole.

21 maggio 2008