Contro lo sperpero di denaro pubblico per la coppa delle Confederazioni, il mondiale di calcio e le olimpiadi e per il caro trasporti e la corruzione
Milioni di brasiliani in piazza per ospedali, scuole e trasporti
Due morti, decine di feriti, centinaia di arrestati
Il governo Roussef della "sinistra" borghese schiera l'esercito

Il 15 giugno la partita di calcio tra il Brasile e il Giappone, nella capitale Brasilia, ha dato il via alla Confederations Cup, la coppa delle Confederazioni, prova generale del Campionato mondiale di calcio che si terrà nel 2014. Fuori dello stadio decine di migliaia di manifestanti protestavano contro la corruzione e per lo sperpero di denaro pubblico nella organizzazione dei due eventi e delle olimpiadi che si terranno nel 2016; il governo della presidente Dilma Roussef per reperire i finanziamenti necessari per la costruzione in certi casi di opere faraoniche e in futuro inutili aveva inoltre aumentato il costo del biglietto dei mezzi pubblici.
Non vogliamo stadi di calcio ma ospedali, scuole e trasporti meno cari hanno gridato in piazza milioni di brasiliani nelle manifestazioni organizzate dai gruppi e le associazioni dei quartieri poveri, delle favelas, dalle organizzazioni studentesche, dal Movimento dei Sem Terra (Mst) e dalla maggior parte dei sindacati che erano già iniziate nei giorni precedenti e che col 15 giugno hanno seguito il calendario della Confederation Cup: la zona dello stadio di ogni città sede di partita era invasa da migliaia di manifestanti che si scontravano con la polizia. Il 20 giugno erano almeno un milione i dimostranti che sfilavano per le strade di Rio e decine di migliaia nelle altre città che davano vita alle più grandi manifestazioni di protesta della storia recente del Brasile. Il governo Roussef della "sinistra" borghese schierava l'esercito e financo i reparti speciali per reprimere la protesta.
"Il mio governo non può tollerare la violenza che sta dando una cattiva immagine del Brasile", affermava la Roussef, accusando i manifestanti di sciupare la vetrina apprestata dal governo in occasione delle iniziative sportive mondiali per dare un segnale della potenza dell'emergente imperialismo brasiliano e a sostegno delle sue ambizioni egemoniche quantomeno continentali. Come aveva tentato il socialimperialismo cinese con le ultime faraoniche olimpiadi di Pechino. Pensava che bastasse nascondere il sudicio sotto il tappeto ma il colpo di vento della protesta di piazza lo ha scoperto e mostrato al mondo.
Nei quasi 10 anni di governo della "sinistra" borghese, da Lula alla Roussef, il salario medio è cresciuto di poco mentre i prezzi di molti generi anche primari sono saliti alle stelle. Il servizio sanitario pubblico è peggiorato qualitativamente mentre prosperano le cliniche private al servizio delle classi medio alte. I piani sanitari delle assicurazioni private hanno delle tariffe mensili che spesso superano il salario minimo, inaccessibili per la stragrande maggioranza della popolazione. Stessa situazione nella scuola dove proliferano gli istituti privati accessibili solo alla borghesia. La stretta del governo è caduta pure sugli stadi dove i prezzi dei biglietti dei posti popolari sono saliti fino a 30 euro, una enormità per chi ha salari da fame.
Penoso e ipocrita il tentativo del governo di mobilitare calciatori come Pelé, leggenda del calcio brasiliano, che ha invitato i manifestanti a dedicarsi al tifo e non alla protesta: "dimentichiamo tutto questo disordine che scuote il Brasile, tutte queste proteste e ricordiamoci che la squadra brasiliana è il nostro paese e il nostro sangue". Un appello coperto da insulti nelle piazze e su internet. Altre stelle del calcio hanno espresso pubblicamente il loro appoggio alle proteste, appoggio apprezzato ma negli stadi molti tifosi gridavano "Brasile svegliati, un professore vale più di un campione".
La rabbia popolare era rinfocolata dall'enorme spreco di denaro pubblico per la coppa delle Confederazioni e i disastri della cementificazione delle nuove strutture sportive. A Brasilia la ristrutturazione dello stadio è costata oltre 400 milioni di euro e ha portato alla cancellazione del museo indigeno, di una scuola e di diversi impianti sportivi minori. A San Paolo circa 100 mila abitanti sono stati sfrattati dalle loro case per dare spazio a parcheggi e altre strutture. A Recife, dove sono classificati poveri i due terzi degli abitanti, il nuovo stadio è costato alle casse pubbliche oltre 200 milioni di euro e sarà utilizzato per ospitare 3 partite nella coppa del 2013 quest'anno e 5 nel campionato del 2014. Solo per costruire stadi moderni il governo spenderà oltre 3 miliardi di euro, spese faraoniche a scapito della qualità dei servizi sanitari e della scuola che unite al gigantesco livello di corruzione provocano un buco enorme nel bilancio pubblico. Non ripianato nemmeno dall'aumento delle tariffe dei servizi pubblici.
"Vogliamo scuole moderne come stadi", gridavano gli oltre 250 mila manifestanti in piazza il 17 giugno in almeno undici città del paese. Le amministrazioni comunali di sei città annunciavano la riduzione del prezzo dei trasporti pubblici ma era un passo insufficiente. La protesta saliva fino alle grandi manifestazioni del 20 giugno quando ben 80 città in tutto il paese erano teatro della protesta e degli scontri con la polizia e si contavano i primi feriti e arrestati. A Rio il sindaco schierava i blindati delle truppe d'assalto inviati dal governo Roussef e quando l'immenso corteo puntava verso il palazzo del comune scattava la repressione. Poliziotti in moto rincorrevano i manifestanti e lanciavano lacrimogeni fin dentro le porte spalancate delle case. Nei quartieri del centro della città la polizia dava vita a una caccia all'uomo, sparando proiettili di gomma e picchiando chiunque rimaneva a tiro, sfasciando bar e locali dove le persone in fuga si rifugiavano. Si contavano le prime vittime di un bilancio che al momento in cui scriviamo è di due morti, decine di feriti e centinaia di arrestati.
Il 22 giugno in un messaggio a reti unificate alla nazione la Roussef tentava di depotenziare le protesta annunciando che "presto vareremo un grande piano in tre punti per migliorare i servizi pubblici: destineremo il 6% delle entrate petrolifere all'istruzione, faremo arrivare medici dall'estero per coprire le carenze della sanità e faremo un piano nazionale per la mobilità". Se lo avesse voluto davvero avrebbe potuto farlo molto prima. E a conferma che quello che le interessava era cancellare la "cattiva immagine del Brasile" decideva di schierare anche l'esercito a protezione della gara in programma la sera stessa nella città di Salvador. Ma gli striscioni di protesta arrivavano lo stesso fin sugli spalti dello stadio mentre fuori si ripetevano gli scontri.

26 giugno 2013