La polizia li aggredisce con manganelli e lacrimogeni
Rivolta dei migranti rinchiusi nel Cie di Lampedusa

Quella esplosa il 18 febbraio scorso nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Lampedusa, ribattezzato anche come la "Guantanamo italiana" era una rivolta annunciata. Una bomba ad orologeria che poteva solo esplodere e che alla fine è esplosa. Dopo giorni di tensioni e proteste, il 18 febbraio, è scoppiata la rivolta tra gli oltre 800 tunisini trattenuti da più di cinquanta giorni nel Cie di Contrada Imbriacola. In molti si sono scagliati contro i cancelli ed hanno cominciato a scuoterli. La situazione è degenerata con l'intervento di polizia e carabinieri in tenuta antisommossa che hanno caricato selvaggiamente i migranti con i manganelli e un fitto lancio di lacrimogeni, trasformando il Cie in un inferno. A quel punto alcuni migranti si sono "riparati" all'interno della prima palazzina dormitorio cercando di difendersi con quel che potevano, lanciando sanitari, materassi, porte in lamiera. Poi è divampato il fuoco, che in pochi minuti ha avviluppato l'edificio con fiamme alte anche dieci metri, distruggendo i locali della mensa e parte dei dormitori.
Il bilancio degli incidenti è di almeno 70 feriti fra contusi e intossicati, la stragrande maggioranza migranti.
La rabbia covava da giorni nel Cie Lampedusa. Il sovraffollamento, le condizioni disumane, la lunga detenzione e le notizie provenienti da coloro che erano stati portati via e rimpatriati ha fatto esplodere la rabbia.
Lunedì 16, dopo lo "spostamento" di altri 150 tunisini alla volta del Cie di Ponte Galeria (Roma) in attesa del rimpatrio, circa 300 migranti degli 863 rimasti a Lampedusa avevano iniziato uno sciopero della fame. È probabile che la rivolta di mercoledì 18 sia stato il tentativo di passare ad azioni di lotta più decise. Ma, secondo quanto denuncia l'europarlamentare del PRC Agnoletto, ci potrebbe essere anche un'altra versione dei fatti. Alcuni tunisini trasferiti da Lampedusa a Torino hanno raccontato di essere stati picchiati da polizia, carabinieri e guardia di finanza. Secondo le testimonianze, alle 12 di mercoledì le "forze dell'ordine" hanno fatto irruzione nel capannone in cui si trovavano da tre giorni in sciopero della fame e li hanno malmenati. Gli immigrati raccontano che la rabbia è esplosa quando per la seconda volta hanno cercato di obbligarli a firmare un documento che retrodatava il loro arrivo di 60 giorni.
Intanto, una ventina di tunisini accusati di essere i responsabili della rivolta sono stati arrestati e trasferiti nel carcere di Agrigento. Mentre circa trecento migranti sono stati trasferiti in altri Cie sparsi per la penisola.
Ma le fiamme e gli incidenti hanno riacceso la polemica che nelle ultime settimane, dopo la rivolta dei migranti di fine gennaio e dello sciopero generale della popolazione di Lampedusa, si era soltanto sopita.
E perfino il sindaco di Lampedusa, Dino De Rubeis, è tornato ad attaccare il governo chiedendo le dimissioni di Maroni, "responsabile del fallimento totale dell'operazione". Ossia la trasformazione dall'oggi al domani della struttura di Contrada Imbriacola, da centro temporaneo di primo soccorso (organizzato per ospitare circa 350 persone per 48 ore) a Centro per l'identificazione ed espulsione, dove i migranti verranno trattenuti, anche fino a 18 mesi se passerà l'emendamento contenuto nel "pacchetto sicurezza", col chiaro tentativo di trasformare Lampedusa nel più grande carcere d'Europa, in un immenso lager in cui segregare i migranti in attesa del rimpatrio coatto.

25 febbraio 2009