Il bagno di sangue non la ferma ma la estende
Rivolta del pane in Tunisia e Algeria
Protagonisti i giovani disoccupati in piazza anche per il lavoro e contro la corruzione dei governi

Il capo degli economisti della Fao recentemente aveva lanciato un allarme sull'aumento mediamente del 50% dei prezzi dei generi alimentari e sui conseguenti rischi di rivolte sociali nei paesi più poveri. non è giunta dunque inattesa l'eplosione della rivolta del pane nella regione del Maghreb, in Algeria e Tunisia, una rivolta di popolo che ha visto protagonisti i giovani, già colpiti da un altissimo tasso di disoccupazione.
Una rivolta contro i governi reazionari dei due paesi che hanno risposto con la repressione, la polizia ha ucciso almeno due dimostranti in Algeria e alcune decine in Tunisia, ma non hanno fermato la protesta.

Algeria
Le proteste in Algeria sono cominciate il 4 gennaio in seguito alla decisione del governo di aumentare tra il 20 e il 30% il prezzo dei prodotti alimentari di largo consumo, dal pane a riso, olio, zucchero e latte. Nel popolare quartiere di Bab el-Oued ad Algeri, che già era stato l'epicentro della rivolta del couscous del 1988, gruppi di giovani si scontravano con la polizia che usava non solo lacrimogeni e idranti ma anche le armi da fuoco. La protesta si allargava rapidamente ad altre città e continuava nei giorni successivi nonostante il governo annunciasse l'abolizione dell'aumento dei prezzi dei generi alimentari.
Il 7 gennaio una violenta battaglia si sviluppava nel centro di Algeri, tra i quartieri di Belcourt e Ruisseau, dove migliaia di giovani affrontavano con sassi, bastoni e molotov i reparti della polizia. Diversi gli edifici governativi assaltati e danneggiati. Una rivolta che si ripeteva nelle principali città, Orano, Tipaza, Djelfa, Ouargla, Blida, fino ad Annaba, Costantina e Tizi Ouzou, il capoluogo della Cabilia, dove centinaia di giovani hanno bloccato il centro della città berbera e eretto barricate con cassonetti e blocchi di cemento.
Il provvedimento criminale che aumentava in maniera esorbitante il prezzo dei generi alimentari era la scintilla che innescava la rabbia della popolazione in un paese cui non mancano risorse, a partire dai lauti introiti della vendita di petrolio e gas naturale, una ricchezza sperperata dal regime corrotto e che non tocca a larghi strati delle masse popolari il cui potere di acquisto è ridotto da un'inflazione ufficialmente al 4,5% e da una disoccupazione soprattutto giovanile intorno al 25%. Con l'inizio della crisi economica mondiale è iniziato pure l'aumento dei prezzi che si è impennato nel secondo semestre del 2010: negli ultimi due mesi il prezzo di beni essenziali come l'olio e la farina è raddoppiato.
"Lo stato continuerà a sovvenzionare il prezzo dei prodotti di prima necessità", affermava il ministro del Commercio mentre il governo prometteva il varo di un piano di investimenti per 286 miliardi di euro in quattro anni per creare lavoro e un milione di nuove abitazioni entro il 2014. Un intervento tardivo promosso dal presidente Abdelaziz Bouteflika che non smontava la protesta che anzi proseguiva in molte città. L'8 gennaio si registravano proteste e scontri nella capitale e in molte altre città a partire da quelle della regione della Cabilia dove i dimostranti bloccavano in diversi punti la strada nazionale.
Il governo non ha diffuso alcun dato ufficiale ma secondo la stampa locale ci sarebbero stati almeno due morti, decine di feriti e di arrestati.

Tunisia
Con un comunicato diffuso l'11 gennaio il governo tunisino sosteneva che sarebbero 21 le vittime degli scontri dei tre giorni precedenti nel paese, un bilancio ufficiale ritenuto non veritiero, i morti sarebbero almeno il doppio, da parte del regime che ha cercato di nascondere per settimane una protesta scoppiata in varie zone dell'interno del paese fin dalla metà di dicembre e che proprio l'11 gennaio è esplosa nella capitale con duri scontri tra la popolazione e la polizia in un quartiere periferico.
A scatenare la rivolta contro il regime del presidente Zine el-Abidine Ben Ali, al potere da 23 anni, sono stati i giovani, giovani anche laureati che sono il 60% dei disoccupati ma che non trovano lavoro e sono costretti a arrangiarsi o a emigrare. Il 17 dicembre nella città di Sidi Bouzid un giovane laureato che si arrangiava vendendo frutta era stato fermato dalla polizia che gli confiscava il banco ortofrutticolo perché privo di regolare licenza; per protesta il giovane si dava fuoco, morirà il 4 gennaio. Il gesto disperato del giovane scatenava la protesta nelal città, una protesta che si allargava in altre città dell'interno del paese, come Meknessi, Djelma e Menzel Bouzayane, quello più povero meno legato all'industria del turismo dove i salari arrivano a 130 euro al mese. Migliaia di dimostranti sfilavano per le strade e si scontravano con la polizia, a Menzel Bouzayane incendiavano tre automobili della polizia e assaltavano una sede della guardia nazionale e la sede del partito del presidente.
Manifestazioni contro il governo si susseguivano nei giorni successivi e riprendevano con ancora più forza dopo il 4 gennaio alla notizia della morte in ospedale del giovane di Sidi Bouzid. Il presidente Ben Ali prometteva nuovi posti di lavoro, modificava la composizione dell'esecutivo e rimuoveva il governatore di Sidi Bouziz ma non fermava la protesta dei disoccupati. Che si allargava agli studenti e ai lavoratori.
I centri della protesta erano sempre le città dell'interno e in particolare la regione di Sidi Bouziz dove alla protesta dei liceali si univa la popolazione che fronteggiava la repressione poliziesca.
L'8 gennaio anche il Sindacato Generale dei Lavoratori Tunisi appoggiava le lotte e le rivolte dei disoccupati, degli studenti e dei lavoratori, chiedendo urgenti riforme a favore dell'occupazione e denunciava diversi gravi atti di intimidazione subiti da sindacalisti e avvocati che difendevano i dimostranti arrestati e la repressione contro le manifestazioni. Una repressione che diventava feroce contro le manifestazioni dell'8 e del 9 gennaio durante le quali la polizia e l'esercito sparavano sui dimostranti e secondo radio indipendenti provocavano almeno una cinquantina di morti e molti feriti. Il bilancio delle manifestazioni dei due giorni, secondo queste fonti, sarebbe di 16 morti a Tala, 22 a Kesserine, 2 a Meknassi, uno a Feriana, 8 a Reguab dove la polizia non ha esitato a sparare sui cortei e contro chi tentava di dare un primo soccorso ai feriti.
Una violenta repressione che non sortiva l'effetto sperato dal regime tunisino, tanto che il 10 gennaio altre manifestazioni ancora più partecipate e numerose rispetto ai giorni precedenti si sono svolte in molte città, promosse in diversi casi dallo sciopero degli studenti delle scuole superiori che il governo decideva di chiudere d'autorità assieme alle università. In molti casi la polizia usava ancora le armi contro i dimostranti che reagivano come nella città di Jendouba incendiando la sede del partito di Ben Ali.

12 gennaio 2011