Bertinotti rinuncia alla lotta per il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato
VEDIAMO IN CONCRETO LA PROPOSTA DEL PRC PER IL ``SALARIO SOCIALE''
Un sussidio temporaneo e revocabile per una parte dei disoccupati, che impone l'accettazione di un qualsiasi lavoro e prevede incentivi per i padroni che ``assumono''
Della proposta di legge n.6722 per l'``Istituzione della retribuzione sociale'', presentata nel febbraio scorso alla Camera dai deputati del PRC, con primo firmatario il segretario neorevisionista e trotzkista Fausto Bertinotti, e rilanciata alla fine di luglio, abbiamo già scritto in un articolo pubblicato sul n.35/2000 de Il Bolscevico. Nella circostanza si è preferito principalmente chiarire la natura e gli scopi di questa proposta la quale, in sintesi, si muove nell'ambito della politica sussidiaria di stampo riformista neoliberale ed è usata da un lato in modo ingannatorio (vedi la parola d'ordine che gli fa da sfondo: ``redistribuire la ricchezza, cambiare la vita'') per catturare il voto di sinistra e tentare di recuperare quello astensionista, e dall'altro come merce di scambio per attuare un ``patto di non belligeranza'' verso la legge finanziaria attualmente in discussione in parlamento e per dare i voti al polo di ``centro sinistra'' nelle politiche della primavera 2001.

ROVESCIATI I TERMINI DEL PROBLEMA

In questo secondo articolo vogliamo approfondire i contenuti di questo disegno di legge (ddl) composto da 14 articoli, che a noi paiono fuorvianti e riduttivi perché rovesciano i termini della questione: pongono cioè in primo piano il sussidio per disoccupazione - peraltro non per tutti i disoccupati - invece della richiesta del lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato per tutti i disoccupati e i lavoratori. Ci appaiono contradditori perché, nello stesso momento in cui affermano di voler combattere il lavoro precario e gli incentivi ai padroni, ripropongono incentivi finalizzati ad assunzioni anche temporanee e a tempo parziale. E ripropongono contenuti nient'affatto ``alternativi'' e non dissimili nella sostanza dalle proposte come quelle del ``reddito minimo di inserimento'' (Rmi) già in vigore nella fase sperimentale e, in una certa misura, persino col decreto legislativo approvato nel giugno scorso che detta le regole per il funzionamento del nuovo collocamento ``riformato'' per gestire un ``mercato del lavoro'' massimamente flessibilizzato.
Niente da dire sui dati, le caratteristiche e la composizione della disoccupazione in Italia richiamati in premessa della proposta di legge. Nell'ambito dell'Unione europea, il nostro Paese è tra quelli che presenta un quadro drammatico: detiene le percentuali più alte di disoccupazione in generale (11,1%) e di quella giovanile in particolare (32% sotto i 25 anni, 49% fino a 34 anni); il 75% dei senza lavoro è composto da disoccupati di lunga durata, cioè oltre i 12 mesi; il 90% delle nuove assunzioni nel corso degli ultimi due anni sono avvenute con contratti a termine, a tempo parziale, interinale e atipico; il lavoro precario, superflessibile, sottopagato e senza nessuna garanzia sindacale ha raggiunto ben 4 milioni di unità, ossia il 20% dell'insieme degli occupati. A questi dati bisognerebbe aggiungere quello drammatico concernente la disoccupazione nel Mezzogiorno, stranamente ``dimenticato'' da Rifondazione, pari al 21,1%, con un massimo del 71% di disoccupazione giovanile a Reggio Calabria. Invece c'è molto da dire sul modo opportunista e riformista borghese in cui il PRC affronta il problema della disoccupazione e del diritto al reddito, cioè non contestando frontalmente e fino in fondo la politica economica e finanziaria liberista del governo e in ultima analisi il modo di proprietà e di produzione capitalistici che sono all'origine del fenomeno, non rivendicando un lavoro vero a tutti gli effetti, ma puntando alla semplice quanto illusoria ``redistribuzione del reddito'' e di conseguenza a una politica sussidiaria.

IL SUSSIDIO NEL DETTAGLIO

Giacché il ``salario sociale'' proposto dal PRC, sfrondato da alcuni aspetti demagogici di contorno destinati ad essere depennati in sede di trattativa, altro non è che un sussidio tutto sommato di cifra modesta, temporaneo, destinato non a tutti i disoccupati ai quali viene imposta la condizione dell'accettazione di un lavoro qualsiasi pena la revoca del sussidio, con incentivi per i padroni che si degneranno di assumere entro il tempo della durata del ``salario sociale'' anche a tempo parziale i soggetti interessati.
Infatti del ``salario sociale'' potranno usufruire solo coloro che possiedono le seguenti condizioni: compimento della maggiore età, o se studenti, al termine degli studi, iscritti alla prima classe del collocamento da almeno 12 mesi, residenza nel nostro Paese da almeno 18 mesi (articolo 1). La durata della corresponsione della ``retribuzione sociale'' (articolo 3) è limitata ad un massimo di 3 anni elevabile a 4 per coloro che abbiano superato i 45 anni di età o siano residenti in aree con un tasso di disoccupazione superiore a quello nazionale. Lo stesso articolo prevede che non vadano considerati, nel computo della durata della corresponsione del sussidio, i contratti di lavoro inferiori a quattro mesi. L'articolo 4 stabilisce in un milione di lire mensili per 12 mesi esentasse l'entità della ``retribuzione sociale'' da erogare. L'articolo successivo, il n. 5, precisa che i periodi coperti dal ``salario sociale'' sono riconosciuti ai fini pensionistici.
Nell'articolo 8 del ddl è prevista la possibilità per i fruitori della ``retribuzione sociale'' di essere occupati in lavori di ``pubblica utilità'' presso amministrazioni pubbliche ed enti pubblici economici che dovranno integrare la retribuzione e la contribuzione sociale al pari delle condizioni previste nei contratti di lavoro dei settori d'impiego. Gli incentivi alle imprese sono fissati nell'articolo 9: il ``datore di lavoro'' pubblico o privato che assuma uno dei soggetti in questione entro i 3 anni previsti beneficia di un contributo pari al 50% del salario sociale del periodo restante, ridotto della metà se l'assunzione è a tempo parziale. L'articolo 10 stabilisce che soggetti interessati possano avviare una attività imprenditoriale e perciò ottenere in un'unica soluzione l'intero ammontare del ``salario sociale''. Nell'articolo 12 è richiesto l'innalzamento dell'indennità di disoccupazione fino al 70% della retribuzione di riferimento e comunque non inferiore all'importo del ``salario sociale'' per una durata massima di 12 mesi. Infine gli aspetti più demagogici di cui si accennava, ossia un ``pacchetto'' per l'accesso gratuito ad alcuni servizi pubblici (articolo 5) e l'intervento dello Stato, alla scadenza della durata della ``retribuzione sociale'', per offrire al lavoratore rimasto in una condizione di disoccupato un lavoro temporaneo nel pubblico impiego nei settori di ``pubblica utilità''.
Per concludere: oltre alle considerazioni più generali già dette, parlando di indennità di disoccupazione non era meglio rivendicare un reddito pari al salario medio dell'industria per tutti i senza lavoro? Perché un sussidio a tempo, quando per esempio lo stesso Rmi non prevede limiti temporali? Perché riproporre l'odioso e brutale vincolo dell'accettazione di una qualsiasi offerta di lavoro per avere diritto al suddetto sussidio? Con quale coerenza si sostiene la cancellazione degli incentivi alle imprese se poi si ripropongono e per giunta nemmeno collegati ad assunzioni a tempo pieno e a salario intero? Perché insistere sulle assunzioni a tempo per lavori di ``pubblica utilità'' dopo l'esperienza fallimentare dei ``lavori socialmente utili''? Perché limitare la richiesta per l'accesso gratuito ai servizi (trasporti urbani e metropolitani, servizio sanitario, scuola pubblica, formazione professionale), ai soli fruitori del ``salario sociale'' invece che all'insieme delle masse popolari, come propone il nostro Partito?