Con il micidiale piano ospedaliero di Caldoro e i tagli del governo Monti
La sanità pubblica in Campania è allo sfascio
A Napoli liste d'attesa infinite, lavoratori super-stressati; Cardarelli, Loreto Mare e Vecchio Pellegrini al collasso, ovunque affollamento e caos, pazienti in barella e condizioni igieniche da Terzo mondo
Le masse popolari in piazza: "no allo smantellamento del Ssn"
Dal nostro corrispondente della Campania
Il settore della sanità pubblica in Campania ha accumulato, negli ultimi anni, un deficit stratosferico. Con l'intermediazione della società di "cartolarizzazione", la Soresa Spa, "il debito" è stato messo nelle mani delle banche. Con la scusa di ripianare questo "pozzo senza fondo", e assecondare i creditori della sanità privata convenzionata, si susseguono, spietati, e senza soluzione di continuità, i tagli dei governi, che stanno mettendo in discussione l“esistenza stessa del servizio sanitario napoletano e campano.
Come se non bastasse sulle ossa fracassate degli ammalati sta piombando anche il carro-armato del governatore Stefano Caldoro. Il piano sanitario ospedaliero varato dalla sua giunta il 31 luglio del 2010, sulla scia del precedente predisposto dalla giunta Bassolino, prevede infatti la dismissione di altri 1.297 posti letto, di cui ben 765 solo nella città di Napoli. Si tratta di un provvedimento inaccettabile che fa precipitare la media regionale ad appena 3 posti letto per mille abitanti (fanalino di coda in Italia e Europa), di cui appena 0,43 per 1.000 per la lungo-degenza e la riabilitazione (settore interamente nelle mani dei predoni della sanità privata).
Per quanto riguarda la città di Napoli, alla fine del 2009 è stato chiuso l'ospedale Gesù e Maria di Piazza Mazzini, con annesse strutture universitarie: centinaia di pazienti, compresi i trapiantati di fegato, nonché il personale dei reparti, degli ambulatori e dei servizi è stato costretto ad elemosinare ospitalità in altre strutture cittadine. È stata poi la volta del Pronto Soccorso (PS) dell'Ospedale Ascalesi (nel pieno centro di Napoli).
Nell'autunno scorso le masse popolari partenopee esasperate sono scese in strada per opporsi alla chiusura anche del pronto soccorso dell'Ospedale San Gennaro, presidio nevralgico per il popoloso quartiere "Sanità": una raffica di manifestazioni e presidi assedia la sede regionale in Via S. Lucia. Occupate per alcuni giorni le strutture della clinica convenzionata "Villa Russo" di Miano e dell'importante poli-ambulatorio dell'ex-distretto 42, anch'essi destinati alla "dismissione". Blocchi stradali si registrano anche a Torre del Greco, per opporsi alla chiusura del PS dell'Ospedale Maresca. Qualche mese prima all'Ospedale S. Paolo di Fuorigrotta: una indimenticata infermiera muore dopo una protesta estrema contro il mancato pagamento degli stipendi mentre presidi e sit-in di lavoratori e pazienti si susseguono contro la chiusura dell'apprezzato e molto frequentato ambulatorio di agopuntura e fitoterapia (il commissario straordinario e la giunta Caldoro prima impongono ai pazienti il pagamento diretto delle prestazioni poi decidono di tenere fuori le "medicine non convenzionali" dai "Lea regionali").

Situazione insostenibile
Il quadro che emerge da queste coraggiose lotte è che la situazione sia dei servizi sanitari territoriali che ospedalieri a Napoli e in Campania è insostenibile e attraversa ogni comune, quartiere, distretto, presidio. È un vero proprio inferno: medici e operatori che vanno in pensione non vengono sostituiti da nuovi assunti, prestazioni e ricoveri si basano sul lavoro straordinario, pazienti sballottati da una struttura all'altra, liste di attesa che si accorciano solo per chi ha "le conoscenze giuste". Anche i lavoratori delle ditte di pulizie, lavanderia e guardiania (lavoro semi-nero e quasi sempre in subappalto), sempre più spesso non ricevono gli stipendi, mentre quasi quotidiane sono le proteste per ritardi nei soccorsi ed errori diagnostici e terapeutici.
Al Cardarelli, al Loreto Mare e al Vecchio Pellegrini, i tre principali ospedali cittadini, la cui gestione quotidiana è sempre stata drammatica, l'affollamento ha toccato livelli spaventosi che non si registrano neanche nei Paesi del Terzo mondo. Nell'ospedale di Via Marina giungono notizie di ammalati sistemati sul pavimento per mancanza di barelle, di pazienti costretti a firmare liberatorie che sollevano i medici da ogni responsabilità su possibili infezioni causate dallo stato di sporcizia in cui versano le sale operatorie, di sospensioni delle attività ordinarie del presidio per mancanza dei requisiti minimi di igiene e sicurezza. I reparti dell'ospedale collinare sono un lazzaretto, dove persino i corridoi sono occupati quotidianamente dalle barelle. Intanto, il mastodontico Ospedale del Mare, progettato dal "geniale" architetto Renzo Piano in piena "zona rossa" alle falde del Vesuvio, è ancora un sogno. O meglio, uno scheletro, a fronte di un ulteriore lievitamento dei costi per 44 milioni di euro.
In questo contesto di diritto alla salute quotidianamente calpestato, l'accisa regionale è altissima e le addizionali Irpef e Irap sono ai massimi livelli consentiti dalla legge. Anche gli odiosi ticket, nonostante le incredibilmente lunghe liste d'attesa, stanno schizzando alle stelle. Sono aumentati a 50 euro per la prima visita e a 25 euro per la seconda, più il "contributo di solidarietà" di 10 euro per i non-esenti e 5 per gli esenti (disoccupati e familiari sotto 800 euro mensili, pensionati con il minimo, nucleo familiare sotto 1.000 euro). Sempre più spesso i pazienti (chi può permetterselo) per un esame urgente o per non interrompere una terapia a causa di chiusure improvvise e attese infinite, sono costretti a rivolgersi ai centri privati, i soli che dal collasso degli ospedali campani hanno tutto da guadagnare.

Arretra la lotta alle patologie tumorali
La condizione più disperata la vivono le persone colpite da patologie tumorali, cresciute esponenzialmente negli ultimi anni, grazie alla politica del Commissariato rifiuti, fondata sulle mega-discariche, i Cdr, le ecoballe e gli inceneritori. Mancano i registri dei tumori, la prevenzione è all'anno zero! Altro scandalo: all'Istituto Nazionale per la cura dei tumori "Fondazione Pascale" da luglio scorso non si eseguono più terapie alle pazienti affette da tumori alla mammella, per lo smantellamento di quasi tutto il reparto di Radioterapia. Motivazione? I macchinari obsoleti sarebbero pericolosi. Non dubitiamo, peccato però che - come ha denunciato il "Movimento di lotta per la Sanità Pubblica" - il direttore del dipartimento, Paolo Muto è socio di una catena di centri radioterapici sparsi per Napoli e per tutta la Regione!
Emblematici sono anche i dati dell'emigrazione sanitaria, concentrata come sempre sulla direttrice Sud-Nord. In Campania 11 ammalati su 100 intraprendono il "viaggio della speranza" fuori regione (con annesso trasferimento di finanziamenti pubblici verso la regione ospitante), solo 3 provengono invece da altre zone del Paese per avere assistenza e cura nella regione.
Le responsabilità di tutto ciò sono dei governi, delle istituzioni borghesi in camicia nera a tutti i livelli, dei politici di tutti i partiti del regime neofascista, dei manager, ma anche degli sciacalli della sanità privata, che costituiscono il vero governo occulto della sanità in Campania, e possono essere definiti a pieno titolo "borghesia mafiosa".
Incurante di tutto ciò e del fatto che in dieci anni sono tagliati dallo Stato ben 2 miliardi alla sanità campana, il governo Monti e il ministro della salute Renato Balduzzi, promettono che se i governatori, con i cosiddetti "piani di rientro regionali, di Asl ed ospedali", non riusciranno a ridurre l'entità dei debiti (7,5 miliardi per l'intero Paese, di cui circa 750 milioni spettano alla Campania), sono in arrivo nuove stangate. L'aumento dei ticket in Campania - secondo notizie non smentite da Palazzo S. Lucia - potrebbe essere pari al 20 per cento per recuperare risorse aggiuntive per 200 milioni in due anni: per le visite specialistiche si pagherebbero tra 66 e 70 euro; per i codici bianchi si passerebbe da 50 a 60 euro; la ricetta per le cure termali salirebbe a 12 euro mentre in media tra ricetta e farmaco si spenderebbero circa 4 euro contro i 3,50 di oggi.

8 febbraio 2012