Saviano: da Lenin a Turati
Sperticata esaltazione del riformismo che non ha precedenti negli ultimi tempi

In un articolo apparso il 28 febbraio scorso sul quotidiano "la Repubblica", dal titolo "Elogio dei riformisti", Roberto Saviano consiglia "a tutti quelli che si sentono smarriti a sinistra" di leggere l'ultimo libro di Alessandro Orsini, professore di sociologia politica all'università Tor Vergata di Roma e alla LUISS di Milano, dal titolo "Gramsci e Turati. Le due sinistre".
Cosa contiene questo libro di tanto interessante?
La tesi di Orsini, sperticatamente esaltata da Saviano, è semplice: "i comunisti hanno educato generazioni di militanti a definire gli avversari politici dei pericolosi nemici, ad insultarli ed irriderli". Al contrario "Filippo Turati, dimenticato pensatore e leader del Partito socialista, conduceva una tenacissima battaglia per educare al rispetto degli avversari politici nel tentativo di coniugare socialismo e liberalismo".
Da questa premessa Saviano comincia un lungo panegirico, che sorvola i temi più disparati, e che si concretizza in una sperticata esaltazione del riformismo, che non ha precedenti negli ultimi tempi. Propone una serie di citazioni di Gramsci contenute nel saggio, peraltro non meglio specificate ed estrapolate dal contesto storico, per dimostrare che il "rivoluzionario" segretario del PCI revisionista, morto nelle carceri fasciste, sarebbe stato, in confronto al riformista Turati, un personaggio squallido, intollerante, volgare e rozzo.
A questo proposito, e non certo perché abbiamo qualcosa a che spartire con il revisionismo di Gramsci, vale la pena di ricordare a Saviano che Filippo Turati, rappresentava l'ala destra del Partito socialista, che appoggiò (ministerialismo) prima il governo liberale Zanardelli e poi quello filocamorrista di Giovanni Giolitti (1903), che fu favorevole all'interventismo nel corso della carneficina inter-imperialista della 1° guerra mondiale, persino dopo la sconfitta di Caporetto (1917). Che si meritò pienamente l'appellativo di "opportunista" e "social-sciovinista" da parte di Lenin, il quale non usava "parolacce" ma definizioni di classe, precise, oggettive, confermate dall'operato di Turati alla vigilia dell'avvento fascista, quando affermava che "la lotta di classe porta alla distruzione dell'economia, costringendo il proletariato ad una miseria ancora più cruda", e che la rivoluzione bolscevica è un evento "incivile", "stupido" e "inesportabile".
L'articolo di Saviano, manco a dirlo, ha mandato in visibilio, tra gli altri, i leader del Nuovo Partito socialista italiano, orfani del neoduce Craxi, che di Saviano tessono ora apertamente le lodi. Il suo merito consisterebbe nell'avere sostenuto con forza il concetto che: "l'odio per i riformisti è il pilastro della pedagogia dell'intolleranza", che "la pedagogia dell'intolleranza edificata per un secolo dal Partito Comunista sopravvive ancora". Non appartiene certo al Sel di Vendola - specifica Saviano - né tanto meno al PD di Bersani (di cui il quotidiano che lo ospita è notoriamente megafono) ma "ad una certa sinistra che fuori del Parlamento vive di dogmi", "ai sopravvissuti di un estremismo massimalista che sostiene di avere la verità unica tra le mani". E più avanti, seguendo un vecchissimo schema comune a tutti i reazionari, assimila i rivoluzionari ai brigatisti, ossia agli "assassini dei giudici".
"Questo libro dimostra - prosegue Saviano - come nella cultura rivoluzionaria, il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori sia un bene perché accresce l'odio contro il sistema e rilancia l'iniziativa rivoluzionaria", secondo "il famigerato tanto peggio tanto meglio", "i riformisti al contrario sono realisti e tolleranti... non credono nella società perfetta, ma in una società migliore che innalzi progressivamente il livello culturale dei lavoratori e migliori le loro condizioni di vita anche attraverso la partecipazione attiva alla gestione della cosa pubblica".
In questi passaggi il sospetto è che Saviano menta sapendo di mentire, perché dovrebbe sapere che la teoria del "tanto peggio tanto meglio" non appartiene ai veri marxisti-leninisti, come risulta chiaramente dal Programma d'azione del PMLI; dovrebbe conoscere l'attività e le opere dei grandi Maestri del proletariato internazionale e gli insegnamenti che, ad esempio Lenin, ci ha lasciato sul riformismo (che rifiuta l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e dello Stato quale strumento di oppressione della classe dominante borghese), ma anche sul corretto rapporto, nelle diverse fasi storiche, tra tattica e strategia, tra riforme e rivoluzione, nonché sul tema dell'estremismo. Dovrebbe sapere che il PMLI ha sempre affermato che le sedicenti "Brigate rosse" non hanno nulla a che fare con i comunisti e non lavorano certo per la rivoluzione socialista, ma sono uno strumento al servizio della reazione, del golpismo, molto spesso persino delle mafie (ricorderà il legame tra le "Br" di Senzani e la Nco di Cutolo-Bardellino durante la "ricostruzione" del dopo terremoto in Irpinia o quello della Banda della Magliana con i servizi segreti e il Vaticano, prima, durante e dopo il sequestro Moro).
Dunque la domanda è: anche l'autore di Gomorra sta scivolando nell'opportunismo e nell'anticomunismo? Questo recente "infatuamento" per Filippo Turati non conferma il proverbio: "chi si assomiglia si piglia"?
Certo è che le calunnie e il livore di Saviano nei confronti dei militanti del PCI, che in migliaia hanno sacrificato la vita per liberare l'Italia, sono davvero nauseabonde, soprattutto quando arrivano a mettere sullo stesso piano l'odio e la violenza dei fascisti verso i comunisti e quella dei comunisti verso i fascisti durante la Resistenza. Nel solco del revisionismo storico vuole far credere che sbagliavano entrambi, finendo (suo malgrado?) per riabilitare il fascismo, come quando afferma che il solo crimine esecrabile commesso dalle squadracce mussoliniane nel corso del ventennio sia stato l'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti.
Il vizio di Saviano è quello stesso che lo ha portato da qualche anno alla sperticata esaltazione dell'imperialismo sionista di Israele: non specificare mai le ragioni e la natura di classe delle parti in guerra. Cancellare i fatti e le contraddizioni principali. Auspicare la pacificazione tra oppressi ed oppressori, tra sfruttati e sfruttatori. Negare che in Italia sia stato restaurato il fascismo sotto nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli, come la mattanza dei No Tav conferma.
Non commette così lo stesso imperdonabile "errore" di Turati, quando auspica di sostituire alla lotta di classe la pedagogia della pacificazione nazionale con il governo della sanguisuga Monti, spacciandola per "tolleranza"?
Premettendo che, nonostante tutte queste profonde divergenze, siamo disponibili al fronte unito anti-mafia, ci domandiamo, come fa uno scrittore acuto e preparato a non avere capito che il garante e i protettore primo della borghesia monopolistica mafiosa è il sistema capitalistico e lo Stato borghese che ne regge le sorti? Inoltre dovrebbe spiegarci come mai ha abbandonato il suo rapporto giovanile con Marx, Engels e Lenin dei quali nel 2001 richiese al PMLI i ritratti?
In conclusione, anche dalla biografia del giovane autore del libro sponsorizzato da Saviano apprendiamo che egli ha una duplice faccia: ha avuto il coraggio di denunciare il controllo baronale dei concorsi accademici e i metodi di intimidazione di stampo mafioso "degli outsider", ma anche di attaccare più volte alle spalle il grande movimento unitario contro la privatizzazione della scuola e dell'università arrivando a definire la controriforma della gerarca Gelmini: "un'ottima legge da molti punti di vista" (intervista a tv 2000 del 17-01-2010).

14 marzo 2012