Grazie al voto di fiducia alla Camera e con la pronta e compiacente firma di Napolitano
Lo scudo fiscale della vergogna che premia gli evasori e i mafiosi è legge
L'inqualificabile assenteismo dei parlamentari PD spiana la strada al diktat di Berlusconi e Tremonti

Il vergognoso scudo fiscale di Berlusconi e Tremonti, che premia gli evasori e favorisce il riciclaggio dei proventi mafiosi è legge. Il parlamento nero lo ha approvato definitivamente il 2 ottobre con il voto della Camera: 270 a favore, 250 contro e 2 astenuti. Giusto in tempo per consentire a Napolitano di far finta di "esaminarlo" per un giorno, prima di firmarlo in tempo utile ad evitare la decadenza del decreto che lo conteneva e che sarebbe scaduto il 3 ottobre. E stavolta senza nemmeno la foglia di fico della "letterina di accompagnamento", come quella che aveva allegato alla firma delle nuove leggi razziali fasciste di Berlusconi e Maroni.
Lo scudo fiscale consente agli evasori fiscali, agli speculatori e ai truffatori che hanno esportato illegalmente capitali nascondendoli nei paradisi fiscali all'estero, di farli rientrare legalmente in Italia pagando una ridicola tassa del 5% diluita in cinque anni, e con la più assoluta garanzia dell'anonimato, eccetto il caso di sospetto terrorismo. E l'impunità comprata a così buon prezzo non riguarda solo il pur grave reato di evasione fiscale, che da solo basta a far rivoltare e gridare allo scandalo ogni cittadino onesto che ha pagato le tasse, ma si estende a tutta una serie di reati penali che vanno dalla falsificazione e distruzione di documenti contabili al falso in bilancio, una vera e propria amnistia mascherata. E tutto ciò senza neanche la garanzia che tali capitali, una volta condonati, rimangano in Italia per essere investiti nell'economia nazionale e non riprendano invece la via dell'estero per ingrassare la speculazione internazionale.
Il vantaggio per lo Stato, poi, è irrisorio ed effimero, dato che si parla di un gettito previsto di 5 miliardi di euro una tantum, a fronte di 300 miliardi calcolati di capitali esportati; gettito che ammesso si realizzi davvero rappresenterebbe comunque solo una goccia nel mare del debito pubblico. Ed è oltremodo disgustoso e rivoltante che per giustificare questa ennesima legge vergogna il governo, appoggiato in pieno in questo dalla Confindustria, sventoli i soldi dello scudo come necessari a finanziare la scuola, la ricerca, la sanità ed altri servizi pubblici che sono stati taglieggiati proprio dal governo stesso. "I capitali che entreranno determineranno un forte ingresso di alcuni miliardi di euro nelle casse dello Stato, soldi sacrosanti che serviranno per chi ne ha bisogno", ha dichiarato il neoduce Berlusconi nominando, con impareggiabile faccia di bronzo, i settori dell'università e della sanità. E il suo portavoce Bonaiuti ha raddoppiato la demagogia aggiungendo che questi soldi serviranno anche "per difendere i posti di lavoro e crearne di nuovi".

Un regalo per il neoduce e il blocco sociale che lo sostiene
La verità è che lo scudo della vergogna serve invece proprio al neoduce per risolvere i suoi conti con la giustizia in quanto maggior esportatore di fondi neri nei paradisi fiscali, e a consolidare il blocco sociale che lo sostiene. È un sontuoso regalo a sé stesso e ai suoi amici e grandi elettori capitalisti, evasori fiscali, speculatori finanziari, industriali ed edilizi, mafiosi e piduisti. Non si possono infatti ignorare gli allarmi lanciati da vasti settori della magistratura, quella più impegnata sui fronti della lotta alla criminalità organizzata, circa la manna rappresentata per quest'ultima dallo scudo fiscale come comodo mezzo per "ripulire" i proventi dei traffici di droga e di altre attività mafiose e reinvestirli nell'economia legale. Di certo non possono bastare a dissipare questi fondati timori le sole dichiarazioni "rassicuranti" e troppo comode di Tremonti, secondo cui "la criminalità non utilizzerà lo scudo fiscale perché i capitali criminali o sono già in Italia 'sbiancati' oppure resteranno all'estero". Il fatto è che non lo potremo mai sapere, grazie all'anonimato - unico caso nel mondo - concesso dal governo a chi si avvale dello scudo.
Ma per Vittorio Emanuele Napolitano, evidentemente, queste "rassicurazioni" sono bastate ed avanzate per avallare con la sua firma questa ennesima legge vergogna. Si dice anzi che l'esame finale della Camera, sbrigato in pochi giorni a colpi di voti di fiducia, di forzature procedurali e di tagli ai tempi degli interventi, sia stato accuratamente concordato e organizzato dal terzetto Tremonti, Fini, Napolitano, per arrivare in tutti i modi a varare il provvedimento prima della scadenza e lasciare un margine di tempo al capo dello Stato per fingere di esaminarne la correttezza prima di firmarlo. Una disgustosa sceneggiata, questa, dal momento che il rinnegato del Quirinale aveva già fatto sapere che l'avrebbe firmato comunque, ignorando le raccolte di firme e gli accorati appelli a respingerlo provenienti da più parti.

L'ipocrisia di Napolitano e l'assenteismo del PD
La prova più lampante di ciò si è avuta quando, poche ore prima della firma, durante una visita in Basilicata, Napolitano ha perso le staffe e si è scagliato con arrogante stizza contro un passante che lo aveva invitato a non firmare, accusando lui e tutti quelli che gli rivolgevano quell'invito di non sapere nulla della Costituzione, in quanto egli non ha alcun potere di respingere una legge del parlamento, perché tanto sarebbe stata ripresentata e a quel punto sarebbe stato obbligato a firmarla. Una tesi, la sua, ipocrita e pilatesca perché nulla gli avrebbe impedito di manifestare almeno il suo dissenso dallo scudo della vergogna, rinviandolo alle Camere e interpretando così un diffuso sdegno popolare. Anche se poi il governo neofascista e mafioso l'avrebbe ripresentato, ciò sarebbe stato a sua onta e avrebbe marcato comunque il suo isolamento politico e morale di fronte alla parte onesta del Paese.
Invece il rinnegato del Quirinale si è rivelato ancora una volta il più zelante soccorritore del governo del nuovo Mussolini, a dimostrazione di quanto poco valgano le suppliche e gli appelli ad essere il "garante" della Costituzione che gli rivolgono certi settori dell'opposizione parlamentare ed extraparlamentare. Non a caso la destra fascio-leghista lo porta in palmo di mano, perché gli ha avallato finora tutti i suoi provvedimenti più neri. E se qualcuno, come Di Pietro, sia pure anche con i suoi noti fini elettoralistici, si azzarda ad accusarlo di aver commesso un "atto di viltà" firmando lo scudo della vergogna, ecco che l'intero parlamento nero insorge sdegnato contro il leader dell'IdV e in difesa del capo dello Stato, senza distinzione tra destra e "sinistra" borghese.
A proposito di quest'ultima, anzi, va detto che se lo scudo è passato così facilmente nel parlamento nero, una parte della colpa è anche sua. Già al Senato il PD era uscito dall'aula invece di dare battaglia fino in fondo e votare no. Alla Camera, poi, per ben due volte avrebbe potuto bocciare il provvedimento, approfittando delle numerose assenze tra i deputati della maggioranza, se non ci fossero state altrettanto numerose assenze tra le sue stesse file, che si sono sommate a quelle dell'UdC e ad alcune dell'IdV. La prima volta è successo per la votazione sulla pregiudiziale di costituzionalità, dove sono mancati per assenza, oltre a 8 dell'UdC e 2 dell'IdV, ben 59 voti del PD, pari al 27,3% dei deputati di questo partito. Assenze definite con pietoso eufemismo "fisiologiche" dal suo capogruppo Antonello Soro.
La seconda volta è stato addirittura nella votazione finale, dove la maggioranza ha prevalso di solo 20 voti grazie ancora ai vuoti nelle file del PD; ben 22 assenti, che hanno accampato le scuse più pietose, prevalentemente "di salute", e che avrebbero potuto fare, se presenti, la differenza arrivando a bocciare clamorosamente il provvedimento. Un tasso di assenteismo tale da far sospettare l'inciucio, o quantomeno, sotto sotto, una scarsa voglia di mettersi contro le lobby bancarie e industriali interessate al varo del provvedimento. Non a caso diversi manifestanti lo hanno rimproverato ai vertici del PD nei cartelli di protesta portati alla manifestazione nazionale del 3 ottobre a piazza del Popolo.

7 ottobre 2009