Nella votazione sulla relazione di politica estera presentata dal rinnegato D'Alema
Il Senato neofascista riconferma la missione di guerra in Afghanistan e la stretta alleanza con gli USA
Vergognoso opportunismo della "sinistra radicale" che vota due mozioni interventiste della Casa del fascio accolte dal governo
Il 24 luglio scorso il ministro degli Esteri Massimo D'Alema si è ripresentato al Senato per illustrare le linee di politica estera del governo Prodi, ottenendone il consenso con la solita maggioranza risicata, nella fattispecie grazie al voto dei tre senatori a vita Levi Montalcini, Andreotti e Colombo. Sono state così confermate dal parlamento neofascista tutte le missioni militari italiane all'estero, e in particolare la missione di guerra in Afghanistan, che proseguirà - come ha detto D'Alema, "per un tempo non breve".
Questa volta, a differenza dell'analoga votazione del febbraio scorso, quando il governo andò sotto per pochi voti e si ebbe la crisi rapidamente risolta da Napolitano con il rinvio di Prodi alle Camere, non ci sono stati voti contrari nell'Unione, neanche da parte dei due senatori della volta precedente: il trotzkista Turigliatto ha pensato bene di non farsi neanche vedere in aula, e Rossi eletto nelle liste PdCI, dopo aver tentato invano, per "distinguersi" dal resto dell'Unione, di presentare una propria mozione per la "sospensione" della decisione di concedere la nuova base di Vicenza agli Usa, ha finito per uscire dall'aula anche lui al momento del voto per non mettere a rischio il governo (l'astensione al Senato equivale a voto contrario). Del resto ci ha pensato direttamente il cane guardiano del Senato, l'ex sindacalista crumiro Marini, a stopparlo dichiarando inammissibili le risoluzioni contenenti riferimenti ad argomenti attinenti a vicende già chiuse, come quella di Vicenza. Sono risultati comunque preziosi i voti dei 3 senatori a vita per mettere al sicuro il risultato (la votazione sul documento Finocchiaro che approvava le comunicazioni del governo è passato con 159 sì contro 153 voti contrari), e non sono mancate, come cinque mesi fa, le mozioni-trappola presentate dalla Casa del fascio per cercare di provocare spaccature nella maggioranza.
Sulla missione di guerra in Afghanistan, che rappresentava il tema più caldo della giornata, D'Alema ha recitato il solito copione fatto di ipocrisia e pii proponimenti, sostenendo che "la vera battaglia da vincere è la battaglia del consenso da parte della popolazione afghana", che la "conferenza di pace resta un obiettivo strategico", che lo scopo del governo italiano "non è permanere in Afghanistan a tempo indefinito, ma per quel tanto necessario ad aiutare quel paese a camminare sulle sue gambe in un tempo più rapido possibile, anche se non sarà un tempo breve", e così via. Riguardo alla cruda realtà delle stragi di civili causate dai selvaggi bombardamenti Usa e Nato, proprio in quei giorni fattesi più frequenti ed efferate, il capofila dei rinnegati se l'è sbrigata dicendo che è "inaccettabile sul piano morale continuare a causare vittime civili nell'ambito di operazioni contro il terrorismo". Sul piano materiale delle migliaia di civili massacrati nulla da eccepire, evidentemente.

Le "precisazioni" di D'Alema
Tanto gli è bastato, comunque, per ottenere il plauso entusiasta e convinto della cosiddetta "sinistra radicale", quella che in astratto avrebbe potuto covare qualche motivo di dissenso. E così per Russo Spena quella del ministro è stata "una relazione articolata e importante, di grande spessore", soprattutto per aver ribadito la "necessità di costruire la conferenza di pace per l'Afghanistan". E anche per la "sua spiegazione, chiara e puntuale, sul suo giudizio nei confronti di Hamas". Tutto ciò, per il capo dei senatori del PRC, unitamente alla "centralità del tema dell'Europa" posta da D'Alema, costituisce nientemeno che uno "spostamento serio dalla politica transatlantica degli ultimi anni".
Ad ogni buon conto D'Alema, siccome alcune agenzie di stampa avevano interpretato le sue parole sui bombardamenti di civili come un invito agli Usa a ritirare la missione Enduring freedom lasciando il campo alla sola Nato, il giorno dopo, in commissione Difesa della Camera, si è subito affrettato a precisare: "Non ho mai detto che gli americani debbano andarsene dall'Afghanistan: queste sono questioni serie su cui si rischia un caso diplomatico". Quanto poi a Hamas, la "spiegazione" di D'Alema c'è stata, ma nel senso esattamente opposto a quello inteso dall'orecchio da mercante di Russo Spena, perché in aula D'Alema ha respinto seccamente le illazioni su una sua presunta "apertura" all'organizzazione che rappresenta legittimamente la maggioranza della popolazione palestinese, ma che è trattata dall'Occidente alla stregua di un gruppo di terroristi: "Non ho mai proposto - ha detto scandendo apposta le parole il capofila dei rinnegati - che la comunità internazionale apra negoziati diretti con Hamas, ma la necessità di evitare di spingere Hamas tra le braccia di Al Qaida". La marcia indietro di D'Alema è stata poi completata con la sua sottolineatura della necessità di un "forte sostegno ad Abu Mazen per cercare di risolvere la crisi palestinese", alla faccia dello "spostamento serio" della politica estera italiana sognato dal PRC.

Unanimità interventista e filo Usa
Per il resto non c'è molto altro da dire, salvo un accenno alla solita gazzarra inscenata dalla Casa del fascio, con raffiche di mozioni-trappola elaborate dal fascioleghista Calderoli: mozioni formalmente in appoggio alla politica estera del governo, ma contenenti sempre qualche espressione per attizzare contraddizioni nella maggioranza e far inciampare un'altra volta il governo. Una tattica che da questo punto di vista si è rivelata inutile, ma che comunque un risultato significativo lo ha raggiunto lo stesso, quello di aver fatto votare quasi all'unanimità il Senato nero (Casa del fascio, Unione e buona parte della "sinistra radicale") su due ordini del giorno della destra: il primo ribadisce che "il rapporto con gli Stati Uniti è solidissimo e rappresenta un pilastro della nostra politica estera" e conferma "gli impegni assunti nelle missioni internazionali e i relativi supporti logistici sul nostro territorio nazionale"; formulazione quest'ultima che aggirando il divieto di Marini ribadisce tra l'altro il sì alla nuova base Usa di Vicenza, e più in generale la totale sottomissione del nostro territorio alle esigenze di guerra dell'imperialismo a stelle e strisce. Il secondo riconferma "l'impegno e la presenza in Afghanistan, pur profilandosi lunga e complessa, per la costruzione della pace e della stabilità".
Il comportamento della "sinistra radicale", PRC, PdCI e Verdi, su queste due mozioni prettamente interventiste e filo Usa ha raggiunto il vertice dell'opportunismo e del grottesco, riflesso del marasma che regna ormai dentro questi partiti, che non hanno avuto nemmeno la decenza di votare uniti almeno contro di esse. Per cui c'è stato chi ha votato contro, chi è uscito dall'aula, chi ha votato a favore solo della prima, come Salvi, Russo Spena, Grassi e la "pacifista" Menapace, e perfino chi a favore di tutte e due, come Armando Cossutta e Franca Rame, colei che per i suoi scrupoli di coscienza si doveva "dimettere" già diverse votazioni fa.

29 agosto 2007