L'università pubblica è allo sfascio
Diminuiscono le iscrizioni. Aumentano i disoccupati e i precari tra i laureati. Il ministro Profumo vuole l'abolizione del valore legale della laurea. No a qualsiasi aumento delle tasse universitarie
Lottiamo per l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti

L'università pubblica italiana è allo sfascio. Questa l'estrema sintesi che si può trarre dai dati diffusi dal Ministero dell'Istruzione, dal Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario italiano e da AlmaLaurea.
Il primo dato che balza all'occhio è il drastico crollo degli immatricolati: meno del 60% dei diplomati dell'anno precedente si è iscritto all'università per l'anno accademico 2011-2012, dato più basso da 30 anni. Il dato peggiora nel Mezzogiorno, dove meno della metà dei diplomati si è iscritto all'università.
Questo crollo è causato principalmente dal forte peggioramento delle condizioni economiche delle masse popolari come conseguenza delle macellerie sociali imbastite dal governo del neoduce Berlusconi e dal governo Monti della grande finanza e della UE, che oltre a massacrare i lavoratori e i pensionati, hanno inferto duri colpi all'istruzione pubblica. Se pensiamo ai tagli miliardari all'istruzione, al taglio del 95% al diritto allo studio e alla penuria di fondi per le borse di studio, che non riescono a coprire tutti gli idonei, si capisce come l'università stia diventando un vero e proprio miraggio per gli studenti provenienti dalle famiglie più povere e disagiate.
Non è certo un incentivo ad immatricolarsi il dato sull'occupazione dei laureati, diffuso dal 14° Rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati, compilato da AlmaLaurea. Da esso innanzitutto risulta che, dopo un anno, non hanno ancora trovato lavoro il 19,6% degli studenti con laurea specialistica, il 19,4% degli studenti con laurea di base (che certifica il fallimento del 3+2) e il 18,6% dei laureati a ciclo unico (come medicina). Ancora una volta, i più penalizzati sono i laureati del Sud.
Fra i laureati che lavorano, però, solo il 34% ha un contratto a tempo indeterminato, mentre gli altri si perdono nella giungla dei contratti precari, malpagati e supersfruttati. Il guadagno mensile netto in media fatica ad arrivare ai 1.100 euro, con un crollo rispetto al 2007 fra l'11 e il 13%, e con le donne che, pur costituendo il 60% circa dei laureati in Italia, non arrivano nemmeno a 1.000 euro.
A fronte di questa situazione, che certifica il dissesto più totale dell'università pubblica in Italia, evidentemente influenzata dalla foga liberista del governo e dalla partnership con Confindustria, inaugurata lo scorso novembre con l'accordo che sottomette l'università ai privati, la Conferenza dei Rettori il 23 febbraio ha proposto "la pura e semplice abrogazione dell'art. 5 del DPR 306/97", ossia la norma che obbliga la tassazione studentesca al di sotto del 20% dell'importo del finanziamento statale (tetto che comunque è già sforato da 33 atenei pubblici su 62), lasciando presagire un'altra stangata sulle studentesse e gli studenti. Il tutto con la placida connivenza di Monti e Profumo, i quali anzi hanno in mente di aumentare le tasse regionali per il diritto allo studio e non hanno certo rinunciato all'idea di sostituire le borse di studio con i prestiti d'onore.
Nonché di cancellare il valore legale della laurea, che di fatto, almeno nel privato, è già inesistente. L'abolizione del valore legale, considerato da Profumo e dalla sua predecessore Gelmini come la panacea di tutti i mali dell'università, argine al baronato (Il Sole 24 Ore del 31.01.2012 ha già criminalizzato sul nascere le proteste affermando, con piglio gelminiano, che "i maggiori difensori dello status quo saranno baroni, sindacati e studenti lazzaroni") e addirittura (populisticamente) per impedire la predominanza delle lauree rilasciate da soggetti privati, in realtà si inserisce nel processo di demolizione dell'istruzione pubblica e fa assai gola a chi vuole lucrare sull'università privatizzata, in quanto accentuerebbe la concorrenza fra atenei. Infatti le "credenziali" dei laureati non sarebbero più valutate in base al voto della laurea, ma a fare la differenza sarebbe l'università di provenienza, e quindi assisteremo ad una divisione fra atenei di serie A (cioè quelli costosi e "prestigiosi" che sono riusciti ad accaparrarsi i maggiori sostegni privati, diverse delle quali, come la Bocconi e la Cattolica, sono guardacaso "rappresentate" nel governo) contro atenei di serie B, C e a scendere. Superfluo precisare che gli atenei "eccellenti" verrebbero riservati ai rampolli delle famiglie borghesi che potrebbero permetterseli, per formarsi come futuri quadri del capitalismo, mentre agli studenti di estrazione popolare, che invece dovranno diventarne i manovali, sarà riservata una formazione di livello inferiore. Nulla da invidiare al "Piano di rinascita democratica" della P2 di Gelli ed alla politica scolastica di Mussolini e del suo degno allievo Berlusconi.
Michele Orezzi, coordinatore nazionale dell'Unione degli Universitari (UdU), ha scritto che: "Questo sistema universitario sta precipitando in un burrone. Non ci fermiamo a denunciare i rincari delle tasse, è ora di darci un taglio. È necessario quanto prima ridiscutere il sistema di tassazione prevedendo una diminuzione degli importi e un sistema nazionale e la vera discussione sul diritto allo studio non può che essere la necessità di garantire l'art. 34 della Costituzione e quindi la copertura totale degli studenti idonei alla borsa di studio. Se così non sarà, siamo pronti alla mobilitazione in ogni ateneo e in ogni città".
In realtà non c'è tempo da perdere, perché il governo Monti ha già dato più volte prova di stare dalla parte della grande finanza, del capitalismo e della borghesia, contro le masse lavoratrici e popolari, il caso più recente e clamoroso è l'abolizione dell'art. 18 e l'instaurazione di relazioni industriali di stampo mussoliniano, e perciò non ha nessuna intenzione di fare marcia indietro. Fin da subito, a partire dalle facoltà e dagli atenei, bisogna costruire una grande mobilitazione nazionale delle studentesse e degli studenti per cacciare il governo Monti e per l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti, legandola strettamente alla mobilitazione dei lavoratori di tutte le categorie, dei precari, dei pensionati, dei disoccupati e delle larghe masse popolari, per gridare forte e chiaro: Monti vattene!

28 marzo 2012