A causa della crisi economica e finanziaria del capitalismo
Siamo in recessione
In tre anni bruciati il 24% dei posti di lavoro per i giovani. Nel 2012-2013 prevista la perdita di altri 800 mila posti rispetto al 2008. Nel 2012 Pil giù dell'1,6%. Calo dei consumi e salari falcidiati da tasse e inflazione

Lo avevano già ammesso il centro studi della Confindustria e l'Associazione delle banche (Abi), e ora è arrivata la conferma praticamente ufficiale dell'Istituto statale di statistica: l'Italia è in recessione.
Il 21 dicembre scorso l'Istat ha comunicato infatti che il trimestre luglio-agosto-settembre si è chiuso con una diminuzione dello 0,2% del Pil (prodotto interno lordo) rispetto al precedente trimestre del 2011. Anche se teoricamente per certificare la recessione occorrerebbe aspettare i dati dell'ultimo trimestre del 2011 (tecnicamente si parla di recessione quando si hanno due trimestri consecutivi di riduzione del Pil), tutte le fonti concordano sul fatto che il quarto trimestre risulterà ancor peggiore del terzo, e quindi di fatto è certo che siamo già ufficialmente in recessione.
È il risultato peggiore dal 2009, anno dell'ultima tra le cinque recessioni che si sono succedute dal 1980 ad oggi. Ed è anche nettamente sotto la media dell'intera eurozona, che nello stesso periodo ha segnato invece un aumento, sia pure minimo, dello 0,2% del Pil (+0,5% in Germania e +0,4% in Francia). Su base annua il dato del terzo trimestre fa abbassare la crescita dell'economia italiana allo 0,2% nel 2011, che quando arriveranno anche i dati del quarto trimestre risulterà sicuramente azzerata, se non addirittura negativa. Del resto, come rileva l'Istat, tutte le componenti della domanda interna risultano in calo. Nel periodo giugno-settembre, infatti, a fronte del solo aumento dell'1,6% delle esportazioni, sono calate invece le importazioni (-1,1%), la spesa delle famiglie (-0,2%), quella delle pubbliche amministrazioni (-0,6%) e gli investimenti (-0,8%). Anche ragionando per settori gli indicatori sono tutti negativi, con un -0,9% nell'agricoltura, -0,1% nell'industria e -0,3% nei servizi. Un andamento nettamente recessivo che è stato confermato in pieno dal successivo forte calo dei consumi delle famiglie che si è registrato a Natale.
Risultano quindi confermate le previsioni pessimistiche già avanzate dai principali centri studi, tra cui quello di Confindustria che ipotizza un calo del Pil dell'1,6% nel 2012 e dello 0,5% anche per l'intera eurozona. Anche l'Abi prevede per l'Italia un quadro recessivo nel 2012, sia pure meno drammatico rispetto a Confindustria (-0,7%) e di sostanziale stagnazione nel 2013 (+0,2%). Le differenze quantitative attengono alle diverse valutazioni dell'impatto recessivo delle due manovre estive del governo Berlusconi e di quella più recente del governo Monti, ma sul segno negativo i due centri studi concordano.
Secondo Confindustria, anzi, tra le conseguenze dirette della recessione nel 2013 ci saranno 800 mila posti di lavoro in meno rispetto al 2008, con un tasso di disoccupazione destinato a salire al 9%, anche per il mancato riassorbimento della cassa integrazione che attualmente tocca 1,2 milioni di persone. In tre anni, tra il 2008 e la prima metà del 2011, i giovani della fascia tra i 15 e i 24 anni hanno perso il 24,4% dei posti di lavoro, mentre quella tra i 25 e i 34 anni ha perso il 13,3%. Tra questi i più penalizzati sono stati i giovani con basso livello di istruzione: +10,6% i disoccupati con licenza media, ma anche diplomati e laureati hanno subìto un duro colpo, con un +3,1% e +3,9%, rispettivamente, di disoccupati. Anche l'Abi prevede un tasso di disoccupazione "molto sopra l'8%, a causa soprattutto di una riduzione degli occupati nel prossimo biennio". Riduzione che l'associazione interbancaria quantifica in 170 mila unità nel 2013 rispetto al 2011, e di 1,1 milioni rispetto al miglior risultato registrato nel 2007.
Sul fronte dei consumi la situazione è drammatica, per effetto delle ultime micidiali stangate e per il progressivo peggioramento del rapporto tra salari e inflazione. Con gli ultimi aumenti tariffari di gas, luce e trasporti (autostrade, benzina, treni pendolari, ecc.) decisi come tradizione anche per questo capodanno, sommati alle manovre Berlusconi e Monti (nuova Ici, pensioni, addizionali Irpef, bolli, Iva, ecc.), si calcola che sia già arrivata a oltre 2.100 euro la spesa in più a cui ciascuna famiglia dovrà far fronte nel 2012. Una cifra pazzesca, senza precedenti nella pur nutrita serie di stangate antipopolari da almeno 20 anni a questa parte. Inoltre la forbice tra le retribuzioni e l'inflazione ha ripreso ad allargarsi paurosamente nel 2011, tanto che quest'ultima (e sono solo i dati ufficiali, non quelli reali), sta ormai viaggiando a un ritmo doppio rispetto alle prime: 3,4% il livello di inflazione calcolato su base annua a novembre, contro un incremento di solo l'1,5% delle retribuzioni. È la forbice più alta registrata da almeno 15 anni a questa parte. Ed è solo il dato medio, perché vi sono settori, come la pubblica amministrazione, in cui gli stipendi hanno avuto crescita zero, mentre altri come l'agricoltura, l'informazione, il credito e le assicurazioni, hanno avuto incrementi nettamente sotto la media.
L'Ocse mette il nostro Paese al 22° posto per le retribuzioni (4 mila euro annuali sotto la media annua europea). Ma al 5° posto su 34 per la pressione fiscale sulla retribuzione media (46,9%). Un'erosione salariale che Federconsumatori calcola in 324 euro l'anno per una busta paga di 1.500 euro mensili e di 432 euro per una busta di 2 mila: "Un mese di spesa alimentare di una famiglia. Una situazione allarmante", denuncia l'associazione.
Ancor più scioccante il quadro previsionale dipinto dalla Voce.info, sulla base di stime effettuate dal Fondo monetario internazionale, facendo un confronto con la situazione al tempo della manovra Amato del 1992. Secondo la Voce applicando le stime del Fmi alle ultime manovre, tra il 2012 e il 2014 si avrebbe una perdita secca di Pil di 2,3 punti (un punto i primi due anni e lo 0,3 nel 2014). Ma questa analisi non tiene conto di due nuove variabili che vent'anni fa non c'erano: la prima è l'impossibilità di manovrare la leva della svalutazione, ciò che porterebbe la perdita di Pil a 5 punti nel triennio (2 per ciascuno dei primi due anni e 1 nel terzo). La seconda è l'effetto moltiplicatore delle manovre varate dagli altri Paesi e dal loro effetto recessivo sull'economia globale, ciò che potrebbe far scendere il Pil italiano fino a ben 8 punti.
Uno scenario a dir poco catastrofico, indotto dall'azzerarsi della dinamica del commercio internazionale per effetto delle conseguenze delle politiche di bilancio restrittive adottate contemporaneamente in quasi tutti i Paesi europei e negli Stati Uniti, il principale consumatore mondiale. La dimostrazione più evidente che la recessione è l'effetto più immediato e diretto della crisi economica e finanziaria del marcio sistema capitalistico mondiale, e che solo abbattendolo e sostituendolo col sistema socialista sarà possibile evitare i sempre peggiori scenari di disoccupazione, miseria e guerre che si preparano per i lavoratori e le masse popolari di tutti i Paesi.

4 gennaio 2012