Bertinotti, Giordano e Diliberto abbaiano ma non mordono
La "sinistra radicale" capitola sul welfare
La Confindustria e Dini esultano
Passa la legge contro i lavoratori e i precari imposta dal dittatore dc prodi

Il dittatore democristiano, Romano Prodi, coadiuvato dal sottosegretario Enrico Letta e dal ministro del Lavoro Cesare Damiano, con un tratto di penna ha cancellato quasi tutte le modifiche apportate dalla Commissione Lavoro della Camera, segnatamente quelle proposte dal PRC e dal PdCI, al Protocollo sul welfare sottoscritto il 23 luglio 2007 dai sindacati confederali e dalle associazioni padronali, e con un atto d'imperio di stampo presidenzialista e neofascista ha imposto il voto di fiducia. La cosiddetta "sinistra radicale" non è andata oltre a delle proteste verbali imbelli e inoffensive, e poi si è piegata in modo vergognoso al diktat del presidente del consiglio richiesto dal "centrista" Dini e dalla Confindustria. Ciò è quanto è successo in questi ultimi giorni fino a giungere al voto di fiducia, il 18° da quando è in carica il governo Prodi, di mercoledì 28 novembre conclusosi con 326 sì dei deputati dell'Unione, compresi quelli dei partiti di Bertinotti e di Diliberto, e 238 no espressi dai deputati dei partiti del "centro-destra".
Il testo approvato è stato dunque depurato di quei miglioramenti che in sede di discussione parlamentare erano stati apportati, piccoli per la verità e di scarsa entità, un testo molto vicino a quello firmato tra il governo e le "parti sociali" il luglio scorso, peggiorato in alcune parti visto che gli emendamenti proposti da Dini e da Mastella sono invece rimasti. Il testo approvato, diversamente da quello che vorrebbe far credere la propaganda governativa, non fa gli interessi dei lavoratori e dei precari. Infatti piace a Confindustria; diversi esponenti del "centro-destra" dichiarano apertamente che il Protocollo Prodi non si discosta dalle controriforme berlusconiane.
Questa conclusione vergognosa, prodotta dalla capitolazione della "sinistra radicale" che sta suscitando e susciterà inevitabilmente fortissimi malumori e dissensi tra l'elettorato e i militanti del PRC e del PdCI non ci stupisce più di tanto. Più volte abbiamo detto che Bertinotti, Giordano e Diliberto abbaiano ma non mordono. Più volte li abbiamo visti impegnati in dichiarazioni infuocate su questo o quel provvedimento di legge e poi, regolarmente, ingoiare un rospo dopo l'altro con un opportunismo senza pari. La Finanziaria 2007, il rifinanziamento dei contingenti militari all'estero, Afghanistan in testa, la costruzione della nuova base Usa a Vicenza, per ricordarne alcuni. Anche la Finanziaria 2008 attualmente in via di approvazione in parlamento gode del consenso dei partiti falsamente comunisti.

La vicenda del Protocollo Prodi
Sul Protocollo Prodi sul welfare, conviene ricostruire brevemente i fatti, incominciando col dire che sia il ministro Ferrero (PRC), sia il ministro Bianchi (PdCI), non votarono contro in consiglio dei ministri sulla proposta da portare al confronto con i sindacati e la Confindustria, per non dire di Mussi (SD) e Pecoraro Scanio (Verdi) che diedero il loro consenso. Una volta sottoscritti gli accordi del 23 luglio 2007 con contenuti assolutamente inaccettabili sia per la parte previdenziale (la mancata cancellazione dello scalone di Maroni), sia per quella relativa al mercato del lavoro e precarietà (sostanziale conferma della legge 30) sia infine per i provvedimenti sulla competitività (decontribuzione del lavoro straordinario e defiscalizzazione degli aumenti aziendali legati al premio di risultato), i leader del PRC e del PdCI, Giordano e Diliberto, mossero delle critiche ai suddetti accordi, specie in materia di lotta alla precarietà e si impegnarono ad apportare delle modifiche in sede di discussione parlamentare per trasformare il Protocollo in legge.
Con alle spalle l'imponente manifestazione del 20 ottobre a Roma, cui vi parteciparono un milioni di comunisti, o almeno soggettivamente comunisti, con l'obiettivo, tra i principali, di contestare il Protocollo Prodi sul welfare, i deputati PRC e PdCI in Commissione Lavoro di Montecitorio avevano proposto le seguenti modifiche, ottenendo il consenso della maggioranza. Sui contratti a termine, dopo 36 mesi previsti, anche sommando i diversi periodi contrattuali, una sola proroga di 8 mesi per poi passare al contratto di lavoro a tempo indeterminato. In tema di precariato, la cancellazione dello staff leasing, che permetteva alle aziende l'uso del lavoro interinale a tempo indeterminato. Sui lavori usuranti, la cancellazione delle ottanta notti per essere riconosciuto lavoratore notturno, quindi lavoro usurante con diritto dei benefici previdenziali previsti dall'accordo. Il che avrebbe significato ampliare la platea degli aventi diritto per esempio agli infermieri turnisti. Ma accanto a questi miglioramenti, tutto sommato, torniamo a dirlo, timidi e insufficienti, che non toccano l'elevazione dell'età pensionabile e i regali contrattuali e fiscali alle imprese, erano stati approvati degli emendamenti peggiorativi di Dini e Mastella, in primis, le deroghe per l'utilizzo del lavoro a chiamata (job on call) per i settori del turismo e dello spettacolo, una forma di contratto di lavoro superprecario, tra l'atro poco praticata e che negli accordi di luglio era stato cancellata.
Sembrava cosa fatta, e invece no. Prodi a seguito delle proteste di Dini che decide di uscire dall'Unione e formare un suo gruppo parlamentare denominato Liberaldemocratici e delle pressioni che provengono dagli ambienti confindustriali, martedì 27 annuncia il voto di fiducia sul maxiemendamento sul welfare non però come uscito dalla Commissione Lavoro, ma su un testo da lui corretto che, come detto, elimina gli emendamenti proposti da PRC e PdCI, salvo quello relativo all'abolizione dello staff leasing, ma lascia quelli proposti dai centristi. "Sostanzialmente poniamo la fiducia sull'accordo del 23 luglio", afferma il ministro Damiano.
E cosa fanno Giordano e Diliberto? Buttano all'aria il tavolo e sbattono la porta? No, si limitano a riunire i rispettivi gruppi parlamentari, borbottano borbottano e poi decidono di votare il testo di Prodi, sia pure scontando forti dissensi al loro interno. "Votiamo la fiducia al governo - dice infatti il segretario del PRC - per vincolo sociale che ci unisce ai nostri elettori ma il vincolo politico, oggi, non c'è più. Da gennaio - aggiunge - si apre una nuova fase politica: o si ricontratta l'accordo con il Governo o una coalizione non c'è più". Patetico il lamento di Bertinotti sulla scelta del governo di porre il voto segreto che segna una "difficoltà nel rapporto tra l'esecutivo ed il Parlamento". Diliberto dal canto suo dichiara: "La delusione è tanta se il Parlamento è tenuto sotto ricatto da Dini e un altro senatore, cosa devono fare la sinistra? Smettere di svolgere il proprio ruolo?" Ma intanto hanno subito lo schiaffo di Prodi e rimandano sempre a un domani le decisioni, più che mature, da prendere. E a proposito di Dini, per come sono andate le cose può permettersi di sfottere: "Se devo giudicare dalle dichiarazioni degli esponenti del PRC, mi pare che stiano subendo una grossa sconfitta".
La richiesta di una verifica di governo per gennaio rappresenta una mossa tattica del vertice del PRC per giustificare il voto al maxiemendamento e per contenere le contestazioni interne, un bluff che non porta da nessuna parte. Una richiesta analoga l'hanno fatta anche Di Pietro per IdV, Mastella per l'Udeur e Boselli per lo SDI. Prodi ha risposto che un confronto sull'azione di governo era già in programma per l'inizio dell'anno. Ma solo per proseguire la strada fatta sin qui, non per cambiare indirizzo. C'è ancora il passaggio del maxiemendamento in Senato, ma non si prevede nulla di diverso da ciò che ha prevalso alla Camera.
Per noi anche se gli emendamenti introdotti dalla Commissione Lavoro non fossero stati cancellati, il Protocollo Prodi era da bocciare in toto. Fatta questa considerazione di fondo, non vi è dubbio, tuttavia, che da questa vicenda la "sinistra radicale" governativa, in testa PRC e PdCI, ne esce con le ossa rotte, umiliata e ridotta a palese ruota di scorta dell'esecutivo. Un fallimento clamoroso, che si aggiunge a quello più generale che caratterizza l'intera esperienza governativa nella coalizione dell'Unione della "sinistra" borghese.

29 novembre 2007