I sionisti aggrediscono Gaza
Oltre 100 i morti, almeno 350 i feriti. Un viceministro sionista, come i nazisti, minaccia l'Olocausto per i palestinesi
Hamas: "Israele è stato costretto a ritirare i soldati sconfitti"

La mattina del 3 marzo il regime sionista di Tel Aviv annunciava il ritiro degli oltre mille soldati, che nei giorni precedenti avevano invaso il nord della striscia di Gaza, e il loro rischieramento appena fuori dei confini. Il ritiro potrebbe essere solo una tregua dell'operazione "Caldo Inverno", il nome dato all'aggressione a Gaza nel quadro della guerra che i sionisti imperialisti hanno dichiarato al governo di Hamas, durante l'annunciata visita in Israele del segretario di stato americano Condoleezza Rice a sentire le dichiarazioni dei dirigenti di Tel Aviv. Resta intanto il grave bilancio di vittime palestinesi, 115 morti in gran parte civili e 350 feriti. E resta il fatto che per le milizie di Hamas essere riuscite a contenere l'attacco sionista rappresenta una vittoria.
L'aggressione lanciata dalle forze sioniste aveva registrato una escalation a partire dal 27 febbraio quando in diversi raid degli aerei israeliani erano rimasti uccisi una trentina di palestinesi. Gli attacchi erano concentrati nel nord della striscia contro le postazioni di lancio dei razzi palestinesi verso le cittadine di Sderot e Ashkelon. Reparti speciali sionisti colpivano anche in Cisgiordania a Nablus dove compivano un agguato a membri della resistenza palestinese. Nella città tra l'altro nei mesi scorsi sono stati dispiegati centinaia di agenti scelti dell'Anp del presidente Abu Mazen per "imporre il rispetto della legge" e che di fatto sono agli ordini del responsabile militare dell'ambasciata statunitense a Tel Aviv, il generale Keith Dayton.
Alla fine di febbraio l'offensiva sionista si è concentrata sul campo profughi di Jabalya e nella vicina Tufah, nel nord della Striscia di Gaza, presi d'assalto da un migliaio di soldati appoggiati da carri armati e dall'aviazione che hanno trovato una tenace resistenza da parte dei militanti di Hamas e della Jihad islamica.
Il 29 febbraio durante i funerali delle vittime il premier palestinese Ismail Haniyeh affermava che i palestinesi non temono l'invasione: "gli israeliani non hanno forse tenuto sotto occupazione militare la Striscia di Gaza per 38 anni? E cosa hanno ottenuto? Non sono certo riusciti a spezzare la determinazione dei palestinesi a lottare per la libertà". E denunciava il presidente dell'Anp Abu Mazen di coprire i raid sionisti con la falsa affermazione di pochi giorni prima quando intervistato dal quotidiano al-Hayat aveva sostenuto che ''membri di al-Qaeda hanno raggiunto i territori palestinesi e Gaza in particolare. Penso che la presenza di al Qaeda sia stata resa possibile dall'aiuto di Hamas, specialmente a Gaza''. Secondo il legittimo governo di Hamas gli elementi a cui si riferiva Abu Mazen erano ''ex agenti dei servizi palestinesi, legati dunque all'Anp" e quindi l'operazione era una montatura allo scopo di giustificare future operazioni militari israeliane.
L'1 marzo a Ramallah centinaia di persone protestavano contro i massacri sionisti a Gaza nel centro della città, analoghe manifestazioni si svolgevano in diverse altre località della Cisgiordania nel corso di uno sciopero generale in segno di lutto e di protesta.
Il vice ministro della difesa israeliano, il laburista Matan Vilnai dichiarava che "se i lanci di Qassam si intensificano e i razzi raggiungono distanze maggiori, i palestinesi si attireranno un olocausto ancor più grande, perché useremo tutto ciò che è necessario alla nostra difesa". Minacciava quindi per i palestinesi un olocausto come quello patito dagli ebrei per mano dei nazisti. Un portavoce del ministero precisava successivamente che Vilnai aveva usato la parola nel senso letterale di "disastro" e che "non intendeva alludere in alcun modo a un genocidio" senza però nulla togliere alla gravità dell'affermazione.
Un dirigente di Hamas, Sami Abu Zuhri, ribatteva: "stiamo fronteggiando i nuovi nazisti che vogliono uccidere il popolo palestinese". Mentre il leader in esilio dei Hamas, Khaled Meshaal, accusava Israele di stare compiendo "un vero e proprio olocausto" nella Striscia di Gaza
Il 2 marzo finalmente l'Onu si occupava di Gaza e tramite il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon osava avanzare una timida osservazione contro "l'uso eccessivo della forza" da parte di Israele. Il premier sionista Olmert la respingeva e il ministro della Difesa, il laburista Ehud Barak, affermava che "noi continueremo la nostra azione con tutta la forza".
A fronte della larga solidarietà palestinese contro l'aggressione a Gaza, ribadita nelle numerose manifestazioni in tutta la Cisgiordania anche l'1 marzo il presidente palestinese Abu Mazen annunciava la sospensione dei negoziati con Israele. "Il governo israeliano ha deciso di lanciare una guerra ingiusta e massacra il nostro popolo. Porta la completa responsabilità per il blocco del processo di pace", affermava Abu Rudeina, il portavoce del presidente. Questa sospensione, precisava, sarà in vigore "fino alla fine della aggressione". Una precisazione necessaria tanto che già il 5 marzo, dopo la visita della Rice a Ramallah, annunciava la ripresa dei negoziati.
Preoccupati per un nuovo stop agli inconcludenti negoziati avviati dopo il vertice imperialista di Annapolis si erano subito dichiarati gli Usa che tramite il portavoce della Casa Bianca Gordon Johndroe affermavano che "le violenze devono essere fermate e i colloqui devono essere ripresi". Olmert annunciava la sospensione dell'attacco, una "pausa" nella guerra contro il governo di Hamas a Gaza. E il presidente della Commissione parlamentare per gli affari esteri e la difesa israeliano, Zahi Hanegbi, precisava che "entro breve tempo il governo prenderà la decisione che le forze armate lanceranno la guerra per abbattere il regime terroristico di Hamas e per assumere il controllo sull'Asse Filadelfi (il confine fra Gaza e l'Egitto) e sul nord della Striscia di Gaza".
Il 3 marzo a Gaza nel corso di una manifestazione Hamas celebrava la vittoria. "Questo ritiro è il segno del fallimento dei soldati israeliani contro i combattenti delle Brigate di Ezzedine Al-Qassam", affermava un portavoce del movimento islamico, e il premier Ehud Olmert "dovrebbe imparare la lezione".

12 marzo 2008