Stalin: Conversazione con lo scrittore tedesco Emil Ludwig

13 dicembre 1931

LUDWIG-Vi sono straordinariamente grato per aver reso possibile ricevermi. Nel corso di più di vent’anni ho studiato la vita e l’attività delle più insigni personalità storiche. Mi pare di raccapezzarmi bene con gli uomini, ma per contro non capisco niente delle condizioni economico-sociali.
STALIN-Siete modesto.
LUDWIG-No, è realmente così. E proprio per questo farò delle domande che forse potranno sembrarvi strane. Oggi, qui al Cremlino, ho visto alcune reliquie di Pietro il Grande, e la prima domanda che voglio farvi è la seguente: ammettete un parallelo tra voi e Pietro il Grande? Vi ritenete come il continuatore dell’opera di Pietro il Grande?
STALIN-In nessun modo. I paralleli storici sono sempre rischiosi. Questo poi è insensato.
LUDWIG-Ma tuttavia Pietro il Grande fece moltissimo per lo sviluppo del proprio paese, per trasferire in Russia la cultura occidentale.
STALIN-Sì, certo, Pietro il Grande fece molto per l’elevamento della classe dei proprietari terrieri e per lo sviluppo della nascente classe mercantile. Pietro fece moltissimo per creare e rafforzare lo Stato nazionale dei proprietari terrieri e dei mercanti. Occorre dire altresì che l’elevamento della classe dei proprietari terrieri, l’appoggio alla nascente classe dei mercanti e il rafforzamento dello Stato nazionale di queste classi avvenne a scapito dei contadini feudali che allora venivano spellati.
Per ciò che mi riguarda, io sono soltanto un allievo di Lenin e scopo della mia vita è l’esserne un degno allievo.
Il compito a cui io dedico la mia vita consiste nell’elevamento di un’altra classe, e propriamente della classe operaia. Questo compito non è costituito dal rafforzamento di un qualsiasi Stato "nazionale", ma dal rafforzamento dello Stato socialista e quindi internazionale, per cui ogni rafforzamento di questo Stato concorre al rafforzamento dell’intera classe operaia internazionale. Se ogni passo del mio lavoro di elevamento della classe operaia e di rafforzamento dello Stato socialista di questa classe non fosse rivolto a consolidare e migliorare la condizione della classe operaia, riterrei la mia vita senza uno scopo.
Vedete anche voi che il vostro parallelo non regge.
Per ciò che riguarda poi Lenin e Pietro il Grande, quest’ultimo era una goccia nel mare, mentre Lenin è un intero oceano.
LUDWIG-Il marxismo nega il ruolo eminente della personalità nella storia. Non vedete voi una contraddizione tra la concezione materialistica della storia e il fatto che voi, tuttavia, riconoscete il ruolo eminente delle personalità storiche?
STALIN-No, qui non c’è contraddizione. Il marxismo non nega affatto il ruolo delle personalità eminenti o il fatto che gli uomini fanno la storia. In Marx, nella sua "Miseria della filosofia" e in altre opere, voi potete trovare delle parole sul fatto che proprio gli uomini fanno la storia. Ma è certo, tuttavia, che gli uomini fanno la storia non come può suggerire loro una qualsiasi fantasia, non come viene loro in testa. Ogni nuova generazione viene a incontrarsi con determinate condizioni che già si avevano pronte nel momento in cui questa generazione è nata. E i grandi uomini sono qualcosa solo in quanto sanno giustamente comprendere queste condizioni e come cambiarle. Se essi queste condizioni non le comprendono e vogliono mutarle così come suggerisce loro la fantasia, essi, questi uomini, vengono a trovarsi nella condizione di un Don Chisciotte. In tal modo, proprio secondo Marx, non si deve affatto contrapporre gli uomini alle condizioni. E sono proprio gli uomini che, se intendono correttamente le condizioni che hanno trovate già pronte e solo se comprendono in che modo mutare queste condizioni, fanno la storia. È così, almeno, che noi bolscevichi russi intendiamo Marx. E noi Marx l’abbiamo studiato non solo una decina d’anni.
LUDWIG-Trent’anni fa, quando studiavo all’università, numerosi professori tedeschi che si ritenevano dei sostenitori della concezione materialistica della storia ci inculcarono che il marxismo nega il ruolo degli eroi, il ruolo delle personalità eroiche nella storia.
STALIN-Questi erano dei volgarizzatori del marxismo. Il marxismo non ha mai negato il ruolo degli eroi. Al contrario, questo ruolo esso lo riconosce come rilevante, pur con tutte le riserve di cui ho appena detto.
LUDWIG-Attorno al tavolo dietro cui noi sediamo ci sono sedici sedie. All’estero, da un lato, si sa che l’URSS è un paese in cui tutto deve decidersi collegialmente, mentre dall’altro lato si sa anche che tutto si decide individualmente. Ma chi decide?
STALIN-No, individualmente non si può decidere. Le decisioni individuali sono sempre o quasi sempre decisioni unilaterali. In ogni collegio, in ogni collettivo si hanno uomini con l’opinione dei quali occorre fare i conti. In ogni collegio, in ogni collettivo si hanno uomini che possono esprimere anche opinioni errate. Sulla base dell’esperienza di tre rivoluzioni noi sappiamo che, all’incirca, su cento decisioni individuali non verificate e non corrette collegialmente, novanta di queste decisioni sono unilaterali.
Nel nostro organo direttivo, nel Comitato Centrale del nostro partito, che dirige tutte le nostre organizzazioni sovietiche e di partito, si hanno circa 70 membri. Tra questi 70 membri del CC vi sono i nostri migliori industriali, i nostri migliori cooperatori, i nostri migliori rifornitori, i nostri migliori militari, i nostri migliori propagandisti, i nostri migliori agitatori, i nostri migliori esperti dei sovcos, i nostri migliori esperti dei colcos, i nostri migliori esperti dell’azienda individuale contadina, i nostri migliori esperti delle nazioni dell’Unione Sovietica e della politica nazionale. In questo aeropago è concentrata tutta la saggezza del nostro partito. Ognuno ha la possibilità di rettificare qualsiasi opinione o proposta individuale. Se ciò non fosse, se le decisioni venissero prese individualmente, noi avremmo nel nostro lavoro serissimi errori. In quanto ognuno ha la possibilità di correggere gli errori delle singole persone, e dato che noi prendiamo in seria considerazione queste correzioni, le nostre decisioni sono più o meno giuste.
LUDWIG-Dietro di voi stanno decine d’anni di lavoro clandestino. E a voi sarà certo capitato di trasportare clandestinamente delle armi, della letteratura, ecc. Non ritenete forse che i nemici del Potere sovietico possano prendere a prestito la vostra esperienza e lottare contro il Potere sovietico con gli stessi metodi?
STALIN-Questo, certamente, è del tutto possibile.
LUDWIG-Non è forse in questo la causa del rigore e della inesorabilità del vostro potere nella lotta contro i suoi nemici?
STALIN-No, la principale causa non sta in questo. Si possono riportare alcuni esempi storici. Quando i bolscevichi giunsero al potere, dapprima essi diedero prova di indulgenza nei riguardi dei loro nemici. I menscevichi continuarono ad esistere legalmente e pure pubblicavano un proprio giornale. I socialisti-rivoluzionari, anche, continuavano ad esistere legalmente e avevano un loro giornale. Perfino i cadetti continuavano a pubblicare un proprio giornale. Quando il generale Krasnov organizzò la crociata controrivoluzionaria a Leningrado e cadde in mano nostra, secondo le condizioni del tempo di guerra noi potevamo quantomeno tenerlo in prigione o, per di più, fucilarlo. Invece noi lo lasciammo andare "sulla parola d’onore". E per cosa, poi? Presto ci fu chiaro che una simile indulgenza avrebbe soltanto minato la fortezza del Potere sovietico. Noi facemmo un errore nel mostrare una simile indulgenza verso i nemici della classe operaia. Se avessimo ripetuto anche in seguito questo errore, allora avremmo compiuto un delitto nei riguardi della classe operaia, avremmo tradito i suoi interessi. E questo, poco dopo, divenne del tutto chiaro. Molto presto si chiarì che quanto più indulgentemente ci saremmo disposti verso i nostri nemici, tanto maggiore sarebbe stata la resistenza che questi nemici avrebbero opposto. Poco dopo i socialisti-rivoluzionari di destra, Goz e altri, insieme ai menscevichi di destra organizzarono a Leningrado l’intervento controrivoluzionario degli junker a seguito del quale caddero molti nostri marinai rivoluzionari. Lo stesso Krasnov, che avevamo rilasciato "sulla parola d’onore", organizzò i cosacchi della guardia bianca. Egli si unì a Mamontov e, nel corso di due anni, condusse una lotta armata contro il Potere sovietico. Presto risultò che alle spalle di questi generali bianchi stavano gli agenti degli Stati capitalistici occidentali - Francia, Inghilterra, America ed anche il Giappone. Ci si persuase allora di come avevamo sbagliato nel mostrare indulgenza. Noi capimmo per esperienza che con questi nemici è possibile avere ragione soltanto nel caso che si applichi verso di loro la più implacabile politica di repressione.
LUDWIG-Mi pare che una notevole parte della popolazione dell’Unione Sovietica provi come un senso di paura e di timore dinanzi al Potere sovietico, e che su questo sentimento di paura si basi, in certa misura, la stabilità del Potere sovietico. Vorrei conoscere quale stato d’animo si crea in voi personalmente nel sapere che, nell’interesse del rafforzamento del potere, occorre suscitare paura. Ecco, voglio dire che nei rapporti con i vostri compagni voi agite con tutt’altri metodi, cioè non con i metodi di indurre al timore, mentre invece nella popolazione si suscita la paura.
STALIN-Vi sbagliate. E, del resto, il vostro errore è anche l’errore di molti. Davvero voi pensate che sarebbe stato possibile, nel corso di quattordici anni, tenere il potere ed avere anche il sostegno di masse di milioni di uomini solo grazie al metodo dell’intimidazione e della minaccia? No, questo è impossibile. Chi meglio di tutti seppe intimidire fu il governo zarista. Esso possedeva in questo campo una enorme e antica esperienza. La borghesia europea, e in particolare quella francese, aiutò in tutti i modi lo zarismo in questo e gli insegnò a impaurire il popolo. Nonostante questa esperienza, però, e nonostante l’aiuto della borghesia europea, la politica dell’intimidazione portò lo zarismo alla disfatta.
LUDWIG-Tuttavia i Romanov si ressero al potere per ben trecento anni.
STALIN-Sì, ma quante furono le rivolte e le sommosse nel corso di questi trecento anni: la rivolta di Stepan Razin, la rivolta di Emeljan Pugaciov, la rivolta dei Decabristi, la rivoluzione del 1905, la rivoluzione del febbraio 1917 e la rivoluzione d’Ottobre. Io non dico che le odierne condizioni della vita politica e culturale del paese non si distinguano radicalmente dalle condizioni dei vecchi tempi, quando le tenebre, l’incultura, la rassegnazione e l’avvilimento politico delle masse davano la possibilità ai "governanti" di allora di rimanere al potere per un periodo di tempo più o meno lungo.
Per ciò che riguarda poi il popolo, per ciò che riguarda gli operai e i contadini dell’URSS, essi non sono affatto così mansueti, remissivi e intimoriti come voi li descrivete. In Europa molti si rappresentano la gente dell’URSS alla vecchia maniera, credendo che nella Russia vivano persone in primo luogo remissive e, poi, secondariamente, indolenti. Questa è una immagine vetusta e radicalmente sbagliata. Essa si è creata in Europa fin dai tempi in cui i proprietari terrieri russi presero ad andare a Parigi a scialacquarvi il denaro arraffato e a oziare. Queste erano persone realmente abuliche e buone a nulla. Da qui si trassero certe conclusioni circa la "indolenza russa". Ma questo non può in alcun modo riguardare gli operai e i contadini russi, che si sono guadagnati e si guadagnano i mezzi per vivere con il loro proprio lavoro. È abbastanza strano ritenere come remissivi e indolenti dei contadini e degli operai russi che hanno fatto in breve tempo ben tre rivoluzioni, che hanno sconfitto lo zarismo e la borghesia e che, vittoriosamente, costruiscono ora il socialismo.
Voi mi avete appena chiesto se da noi decide tutto una sola persona. Mai e a nessuna condizione i nostri operai avrebbero tollerato ora il potere di una sola persona. Da noi anche le più grandi autorità si riducono a nulla, si trasformano in niente appena le masse operaie cessano di credere in loro, appena perdono il contatto con le masse operaie. Plechanov godeva di una autorità del tutto eccezionale. E cosa ne fu? Appena egli prese politicamente a zoppicare gli operai lo dimenticarono, si allontanarono da lui e lo dimenticarono. Un altro esempio: Trotzki. Trotzki pure godeva di una grande autorità, anche se, certamente, non come Plechanov. E cosa ne fu? Appena egli si allontanò dagli operai questi lo dimenticarono.
LUDWIG-Del tutto lo dimenticarono?
STALIN-Talvolta lo ricordano, ma con collera.
LUDWIG-Tutti con collera?
STALIN-Per ciò che riguarda i nostri operai, essi ricordano Trotzkij con collera, con risentimento e con odio.
Certo, c’è ancora una piccola parte della popolazione che teme realmente il Potere sovietico e che lotta contro di esso. Ho qui presenti i residui delle morenti classi liquidate e, innanzitutto, una minima parte dei contadini, - i kulaki. Ma qui il discorso non riguarda soltanto la politica di intimidazione di questi gruppi, che realmente esiste. È a tutti noto che noi bolscevichi non ci limitiamo all’intimidazione, e che andiamo avanti nel condurre l’opera di liquidazione di questo strato borghese.
Ma se si prende la popolazione lavoratrice dell’URSS, gli operai e i contadini lavoratori che rappresentano non meno del 90% della popolazione, essi stanno con il Potere sovietico, e la stragrande maggioranza di loro sostiene attivamente il regime sovietico. Essi sostengono il sistema sovietico perché questo sistema serve i radicali interessi degli operai e dei contadini.
In questo è il fondamento della solidità del Potere sovietico, e non in una politica cosiddetta di intimidazione.
LUDWIG-Vi sono molto riconoscente per questa risposta. Vi prego però di scusarmi se vi porrò una domanda che potrà sembrarvi strana. Nella vostra biografia si hanno dei momenti, per così dire, di azioni "banditesche". Siete interessato, voi, alla personalità di Stepan Razin? Qual è il vostro atteggiamento verso di lui quale "brigante ideale"?
STALIN-Noi bolscevichi ci siamo sempre interessati a tali personalità storiche come Bolotnikov, Razin, Pugaciov e altri. Noi vedemmo nelle azioni di questi uomini il riflesso della spontanea ribellione delle classi oppresse, della spontanea rivolta dei contadini contro il giogo feudale. Per noi ha sempre presentato un certo interesse lo studio della storia dei primi tentativi di simili rivolte dei contadini. Ma qui, certamente, nessuna analogia con i bolscevichi si può fare. Le singole rivolte contadine, anche nel caso che non fossero state "brigantesche" e non organizzate come quella di Stepan Razin, non possono portare a niente di serio. Le rivolte contadine possono portare al successo solo nel caso che si uniscano con le rivolte operaie e se gli operai stessi guidano le rivolte contadine. Soltanto una rivolta combinata con alla testa la classe operaia può portare allo scopo.
Inoltre, parlando di Razin e di Pugaciov, non si deve mai dimenticare che essi erano degli zaristi: intervenivano contro i proprietari terrieri, ma erano per lo "zar buono". Ecco qual era il loro motto.
Come vedete, l’analogia con i bolscevichi non regge in alcun modo.
LUDWIG-Permettete di farvi alcune domande sulla vostra biografia. Quando fui da Masarvk questi mi dichiarò di essersi sentito socialista già all’età di sei anni. Che cosa vi ha fatto socialista e quando?
STALIN-Non posso affermare che già a sei anni ci fosse in me un’attrazione verso il socialismo. E nemmeno a dieci o a dodici anni. Nel movimento rivoluzionario entrai all’età di quindici anni, quando mi legai con i gruppi clandestini dei marxisti russi che vivevano allora nel Caucaso. Questi gruppi ebbero su di me una grande influenza e infusero in me il gusto per la letteratura marxista clandestina.
LUDWIG-Che cosa vi spinse ad uno spirito di opposizione? Forse un cattivo trattamento da parte dei genitori?
STALIN-No. I miei genitori erano persone non istruite, ma mi trattarono in un modo niente affatto male. Altra cosa invece fu il seminario spirituale ortodosso dove io allora studiavo. Per protesta contro il regime ingiurioso e i metodi gesuitici che si praticavano nel seminario io ero disposto a diventare, e realmente diventai, un rivoluzionario e un sostenitore del marxismo quale teoria veramente rivoluzionaria.
LUDWIG-Ma davvero voi non riconoscete qualità positive nei gesuiti?
STALIN-Sì, in loro vi sono la sistematicità e la perseveranza nell’attuazione di cattivi scopi. Ma il loro metodo principale è la sorveglianza, lo spionaggio, l’insinuarsi nell’animo, la derisione, - che cosa può esserci di positivo in questo?
LUDWIG-Io osservo nel-l’Unione Sovietica una straordinaria attenzione per tutto ciò che è americano, direi un’ammirazione dinanzi a tutti gli americani..., vale a dire dinanzi al paese del dollaro, il più conseguente paese capitalistico. Questi sentimenti si hanno anche nella vostra stessa classe operaia e riguardano non soltanto i trattori e le automobili, ma anche gli americani in genere. Come lo spiegate?
STALIN-Voi esagerate. Da noi non esiste alcuna particolare attenzione per tutto ciò che è americano. Ma noi ammiriamo l’operosità americana presente in tutto, - nell’industria, nella tecnica, nella letteratura, nella vita. Noi non dimentichiamo mai che gli USA sono un paese capitalistico. Ma tra gli americani vi sono anche molte persone sane sotto il riguardo spirituale e fisico, sane per tutto il loro approccio verso il lavoro e il mestiere. Con questa operosità e con questa semplicità noi simpatizziamo. Nonostante che l’America sia un paese capitalistico altamente sviluppato, lì i costumi nell’industria e le usanze nella produzione contengono qualcosa del democratismo, il che non si può dire dei vecchi paesi capitalistici europei, dove in tutto rivive ancora lo spirito di arroganza dell’aristocrazia feudale.
LUDWIG-Voi non immaginate nemmeno quanto avete ragione.
STALIN- Chissà, forse me lo immagino.
Nonostante che il feudalesimo, come ordinamento sociale, già da tempo sia stato sconfitto in Europa, in essa sue notevoli sopravvivenze continuano ad esistere sia nella vita che nei costumi. L’ambiente feudale continua a separare e i tecnici, e gli specialisti, e gli scienziati, e gli scrittori, i quali tutti recano con sé usanze signorili nell’industria, nella tecnica, nella scienza e nella letteratura. Le tradizioni feudali non vi sono sconfitte fino in fondo.
Questo non si può dire certo dell’America, che è il paese dei "liberi colonizzatori", senza proprietari terrieri e senza aristocratici. Da qui i forti e relativamente semplici costumi americani nella produzione. I nostri operai dirigenti d’impresa che sono stati in America hanno subito rilevato questo aspetto. Essi, e non senza una certa piacevole sorpresa, hanno raccontato che in America nel processo della produzione è difficile distinguere dall’esterno l’ingegnere dall’operaio. E questo a noi piace, certamente. Tutt’altra cosa è in Europa.
Ma se proprio si vuole parlare delle nostre simpatie verso una nazione qualsiasi, o meglio verso la maggioranza di una qualsiasi nazione, allora occorre parlare delle nostre simpatie per i tedeschi. Le quali, poi, non si possono certo paragonare con i nostri sentimenti per gli americani!
LUDWIG-Perché proprio verso la nazione tedesca?
STALIN-Ma perché essa ha dato al mondo uomini come Marx e Engels. Basta constatare questo fatto proprio come un fatto.
LUDWIG-Negli ultimi tempi tra alcuni politici tedeschi si osservano seri timori che la politica di tradizionale amicizia tra URSS e Germania sarà messa in secondo piano. Questi timori sono sorti a seguito delle trattative dell’URSS con la Polonia. Se a seguito di queste trattative il riconoscimento degli attuali confini della Polonia da parte dell’URSS divenisse un fatto, questo significherebbe una pesante delusione per tutto il popolo germanico, che fino ad oggi ha ritenuto che l’URSS lottasse contro il sistema di Versailles e non si preparasse a riconoscerlo.
STALIN-So che tra alcuni uomini di Stato tedeschi si osserva una certa insoddisfazione e preoccupazione a proposito del fatto che l’Unione Sovietica, nelle sue trattative o in qualche trattato con la Polonia, non ha compiuto il passo che significava che l’Unione Sovietica desse la propria sanzione e garanzia ai possedimenti e ai confini della Polonia.
È mia opinione che questi timori siano sbagliati. Noi abbiamo sempre dichiarato la nostra disponibilità a concludere con ogni Stato un patto di non aggressione. Con una serie di Stati, infatti, noi abbiamo già concluso questi patti. Abbiamo dichiarato apertamente la nostra disponibilità a firmare un patto di non aggressione anche con la Polonia. Se dichiariamo di essere pronti a firmare un patto di non aggressione con la Polonia, questo lo facciamo non per amore della frase, ma per firmare realmente un tale patto. Noi siamo dei politici, se volete, di un genere particolare. Vi sono politici che oggi dicono o dichiarano una cosa e il giorno seguente dimenticano o negano ciò che essi stessi hanno dichiarato e senza nemmeno arrossire. Noi non possiamo agire così. Ciò che si fa all’esterno inevitabilmente diventa noto anche all’interno del paese, diventa noto a tutti gli operai e ai contadini. Se avessimo detto una cosa e ne avessimo fatto un’altra, avremmo perso la nostra autorità tra le masse popolari. Nel momento in cui i polacchi dichiararono la propria disponibilità a condurre trattative con noi sul patto di non aggressione, naturalmente noi convenimmo con loro e mettemmo mano alle trattative.
Che cos’è più pericoloso dal punto di vista dei tedeschi, in ciò che può accadere? Un mutamento dei rapporti verso i tedeschi, un loro peggioramento? Non ce n’è alcuna ragione. Noi, precisamente come i polacchi, dobbiamo dichiarare nel patto che non useremo la violenza o l’attacco per mutare i confini della Polonia e dell’URSS o per violare la loro indipendenza. Così come noi faremo questa promessa ai polacchi, precisamente così essi faranno a noi la stessa promessa. Senza un tale punto sul fatto che noi non condurremo alcuna guerra per distruggere l’indipendenza e l’integrità dei confini dei nostri Stati, senza di un tale punto il patto non si potrebbe concludere. Senza di ciò non sarebbe lecito parlare di un patto. È il massimo che noi possiamo fare.
È questo un riconoscimento del sistema di Versailles? No. O forse che questo è un rendersi garanti dei confini? No. Noi non siamo mai stati dei garanti della Polonia e mai ne diverremo, così come la Polonia non è stata e non sarà mai una garante dei nostri confini. I nostri amichevoli rapporti con la Germania rimangono tali e quali sono stati fino ad oggi. Questo è il mio fermo convincimento.
In tal modo i timori di cui voi parlate sono del tutto infondati. Questi timori sono sorti sulla base di voci diffuse da alcuni polacchi e dai francesi. Questi timori svaniranno quando renderemo pubblico il patto, se sarà firmato dalla Polonia. Tutti allora vedranno che esso non contiene niente contro la Germania.
LUDWIG-Vi sono molto riconoscente per questa dichiarazione. Permettetemi di farvi la seguente domanda: voi parlate di "egualitarismo", e nello stesso tempo questa parola ha anche una certa sfumatura ironica riguardo a un generale livellamento. Tuttavia, il generale livellamento è un ideale socialista.
STALIN-Un tale socialismo, secondo cui tutti gli uomini riceverebbero un unico e stesso stipendio, un’unica quantità di carne, un’unica quantità di pane, avrebbero le stesse abitudini e riceverebbero gli stessi prodotti in un’unica e medesima quantità, - ebbene, un tale socialismo il marxismo non lo conosce.
Il marxismo dice una cosa sola: fino a quando non saranno definitivamente distrutte le classi e fintanto che il lavoro, da mezzo per soddisfare la necessità primaria degli uomini, non sarà diventato un volontario lavoro per la società, gli uomini saranno retribuiti per la propria opera secondo il loro lavoro. "Da ognuno secondo le proprie capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro" - tale è la formula marxista del socialismo, e cioè la formula del primo stadio del comunismo, del primo stadio della società comunista.
Soltanto nello stadio superiore del comunismo, soltanto in presenza della fase superiore del comunismo ognuno, lavorando in conformità con le proprie capacità, riceverà per il proprio lavoro in conformità con i propri bisogni. "Da ognuno secondo capacità, ad ognuno secondo i bisogni".
È poi del tutto chiaro che persone differenti hanno ed avranno, nel socialismo, bisogni differenti. Il socialismo non ha mai negato la diversità dei gusti, della quantità e della qualità dei bisogni. Leggete come Marx ebbe a criticare Stirner per la sua tendenza all’egualitarismo, leggete la critica di Marx al Programma di Gotha del 1875, leggete i successivi lavori di Marx, Engels e Lenin, e vedrete con quale durezza essi attaccano il livellamento. Il livellamento, quale sua origine, ha un tipo di pensiero contadino-individuale, la psicologia della spartizione di tutti i beni in parti uguali, la psicologia di un primitivo "comunismo" contadino. Il livellamento non ha nulla in comune con il socialismo di Marx. Soltanto delle persone non a conoscenza del marxismo possono rappresentarsi la cosa così primitivamente come se i bolscevichi russi volessero riunire tutti i beni per poi dividerli in parti uguali. Così si immaginano la cosa le persone che non hanno niente in comune con il marxismo. Così si rappresentano il comunismo gente del tipo dei "comunisti" primitivi dei tempi di Cromwell e della rivoluzione francese. Ma il marxismo e i bolscevichi russi non hanno niente in comune con simili "comunisti" livellatori.
LUDWIG-Voi fumate una sigaretta. Dov’è la vostra leggendaria pipa, signor Stalin? Voi talvolta avete detto che le parole e le leggende passano, e che i fatti restano. Credetemi, all’estero milioni di persone che pure non sanno di certe vostre parole e fatti, tuttavia sanno della vostra leggendaria pipa.
STALIN-Ho dimenticato la pipa a casa.
LUDWIG-Vi farò ora una domanda che potrà fortemente stupirvi.
STALIN-Noi, bolscevichi russi, da tempo ormai abbiamo disimparato a stupirci.
LUDWIG-Anche noi in Germania.
STALIN-Sì, presto cesserete di stupirvi anche voi, in Germania.
LUDWIG-La mia domanda è la seguente: voi più volte vi siete esposto al rischio e al pericolo, e vi hanno perseguitato. Inoltre avete preso parte a delle battaglie. Una serie di vostri amici intimi sono caduti, mentre voi siete rimasto tra i vivi. Come lo spiegate? Credete forse nel destino?
STALIN-No, non ci credo. I bolscevichi e i marxisti non credono nel "destino". Lo stesso concetto di destino, il concetto di "sorte", sono un pregiudizio, una sciocchezza, una sopravvivenza della mitologia del tipo di quella degli antichi greci, per i quali la divinità del destino guidava il destino degli uomini.
LUDWIG-Questo significa forse che il fatto che non siete morto è un puro caso?
STALIN-Vi sono ragioni interne ed esterne l’insieme delle quali ha fatto sì che io non morissi. Ma del tutto indipendentemente da ciò, al mio posto ci sarebbe stato un altro, perché qualcuno doveva pur sedervisi. Questo "destino" è qualcosa di irregolare, qualcosa di mistico. Nella mistica io non ci credo. Certamente ci furono delle ragioni perché i pericoli mi passassero oltre. Ma poteva succedere una serie di altre circostanze, una serie di altre ragioni che avrebbero potuto portare a un risultato diametralmente opposto. Il cosiddetto destino qui non c’entra affatto.
LUDWIG-Lenin trascorse lunghi anni all’estero, nell’emigrazione. A voi invece è capitato di essere all’estero per molto poco tempo. La ritenete questa una vostra lacuna o, meglio, ritenete che siano stati più utili alla rivoluzione coloro che, trovandosi nell’emigrazione estera, ebbero la possibilità di studiare l’Europa da vicino, ma che tuttavia ruppero il contatto diretto con il popolo, oppure quei rivoluzionari che operarono qui, che conoscevano lo stato d’animo del popolo, ma che tuttavia conoscevano poco l’Europa?
STALIN-Da questo raffronto Lenin lo si deve escludere. Pochissimi di quelli che restarono in Russia erano così strettamente legati alla realtà russa e col movimento operaio all’interno del Paese come Lenin, nonostante che egli si trovasse da lungo tempo all’estero. Sempre, quando io giunsi da lui all’estero - negli anni 1906, 1907, 1912 e 1913, - vidi che aveva con sé mucchi di lettere provenienti dai pratici della Russia, ed egli sapeva sempre di più di coloro che erano rimasti in Russia. Egli ritenne sempre il suo soggiorno all’estero come un peso per sé.
Quei compagni che rimasero in Russia, che non andarono all’estero, sono certamente assai più nel nostro partito e nella sua dirigenza di quelli che furono emigranti; ed essi, sicuramente, hanno avuto la possibilità di rendersi più utili alla rivoluzione che non gli emigranti che si trovavano all’estero. E poi, nel nostro partito sono rimasti ben pochi emigranti. Su due milioni di membri del partito essi saranno non più di cento o duecento. Del numero di settanta membri del Comitato Centrale, non più di tre o quattro hanno vissuto nell’emigrazione.
Per ciò che riguarda poi la conoscenza dell’Europa e lo studio dell’Europa, certamente coloro che volevano studiare l’Europa avevano più possibilità di farlo trovandosi nell’Europa stessa. E in questo senso, quelli di noi che non vissero a lungo all’estero qualcosa hanno perso. Ma il soggiorno all’estero non ha affatto una importanza decisiva per lo studio dell’economia, della tecnica, dei quadri del movimento operaio, della letteratura d’ogni tipo - belletristica o scientifica che sia, - europea. Ad altre pari condizioni, sicuramente, è più facile studiare l’Europa soggiornandovi. Ma il difetto che hanno ricevuto coloro che non hanno vissuto in Europa non ha un grande valore. Al contrario, io conosco molti compagni che hanno vissuto per vent’anni all’estero, che vissero da qualche parte a Charlottenburg o nel quartiere Latino, che sedettero nei caffè per anni e che bevevano birra, e che tuttavia non seppero studiare l’Europa e non la compresero.
LUDWIG-Non ritenete voi che nei tedeschi, come nazione, l’amore per l’ordine sia più sviluppato che l’amore per la libertà?
STALIN-Tempo addietro in Germania rispettavano realmente molto le leggi. Nel 1907, quando mi capitò di vivere a Berlino due o tre mesi, noi bolscevichi russi non di rado ridevamo di alcuni amici tedeschi per questo loro rispetto delle leggi. Circolava, per esempio, un aneddoto sul fatto che quando il comitato socialdemocratico berlinese indiva una qualsiasi manifestazione per un determinato giorno e ora in cui dovevano arrivare i membri dell’organizzazione da tutti i sobborghi, il gruppo di duecento uomini di un sobborgo, sebbene fosse arrivato a tempo in città all’ora designata, non venne a trovarsi alla manifestazione perché per due ore stette sulla banchina della stazione e non si decise a lasciarla: mancava il controllore che prendeva i biglietti all’uscita e a nessuno resero i biglietti. Si raccontava poi che giunse un compagno russo, il quale indicò ai tedeschi una semplice via d’uscita da quella situazione: andarsene dalla banchina senza consegnare i biglietti...
Ma davvero oggi in Germania c’è qualcosa di simile? Davvero oggi in Germania rispettano le leggi? Davvero quegli stessi nazional-socialisti che, a quanto pare, dovrebbero più di tutti essere a guardia della legalità borghese non violano queste leggi, non distruggono i circoli operai e non uccidono impunemente gli operai?
E non parlo già degli operai, i quali, come a me sembra, da tempo hanno ormai perso il rispetto della legalità borghese.
Sì, i tedeschi sono notevolmente cambiati negli ultimi tempi.
LUDWIG-A quali condizioni è possibile una definitiva e completa unificazione della classe operaia sotto la guida di un unico partito? Perché, come dicono i comunisti, una simile unificazione della classe operaia è possibile soltanto dopo la rivoluzione proletaria?
STALIN-Una simile unificazione della classe operaia attorno al partito comunista può essere attuata più facilmente a seguito di una vittoriosa rivoluzione proletaria. Ma essa indubbiamente sarà attuata, in Costanza, anche prima della rivoluzione.
LUDWIG-L’ambizione è uno stimolo o un ostacolo nell’attività di una grande personalità storica?
STALIN-In differenti condizioni il ruolo dell’ambizione è differente. A seconda delle condizioni l’ambizione può essere un ostacolo o uno stimolo per l’attività di una grande personalità storica. Il più delle volte, però, essa rappresenta un ostacolo.
LUDWIG-La rivoluzione d’Ottobre è, in un certo senso, una prosecuzione e un completamento della grande rivoluzione francese?
STALIN-La rivoluzione d’Ottobre non è né una continuazione, né un completamento della grande rivoluzione francese. Scopo della rivoluzione francese era la liquidazione del feudalesimo per affermare il capitalismo. Invece lo scopo della rivoluzione d’Ottobre è la liquidazione del capitalismo per affermare il socialismo.

Bol’sevik, n° 8, 30 aprile 1932