Stalin sull'antisemitismo e sulla liquidazione dei contadini ricchi
Per conoscere Stalin, abbiamo ripetuto più volte, bisogna conoscere anzitutto le sue opere, la sua vita e attività. Altrimenti si rischia di masticare e rimasticare quel cumulo di menzogne e calunnie sputate dai suoi più sfegatati nemici, gli anticomunisti, gli imperialisti, i revisionisti e i trotzkisti. Tanto più che queste calunnie finiscono per diventare le sole "verità" presenti sui mass media borghesi, in virtù del principio a suo tempo denunciato da Marx che le idee dominanti non sono altro che le idee della classe dominante.
Questi scritti di Stalin trattano innumerevoli e importanti questioni, alcune di principio, come la necessità di ricorrere permanentemente alla critica e all'autocritica per combattere tra l'altro "il ristagno, la corruzione dell'apparato, la crescita del burocratismo", altre cruciali per l'Urss del tempo (siamo nel 1930-'31), come la questione dell'antisemitismo e la politica sovietica di liquidazione della classe dei kulaki (i contadini ricchi russi).
Sull'antisemitismo Stalin scrive parole chiare e chiarificatrici, denunciandone il carattere sciovinista e razzista, mentre riafferma la più decisa avversione e repressione di tale fenomeno nell'Urss socialista. Se a tali inequivocabili parole si aggiunge la considerazione che gli ebrei non solo non erano discriminati ma occupavano non di rado posti chiave nelle istituzioni e nel governo sovietici, è facile comprendere quanto siano false le accuse di antisemitismo che gli anticomunisti muovono al grande maestro del proletariato internazionale.
Su tutte le altre questioni, come la politica di liquidazione dei kulaki, emergono la dialettica insieme alla fermezza di Stalin per sviluppare la lotta di classe nel socialismo, che nelle campagne si traduceva nella guerra senza quartiere ai kulaki, ovvero la continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato, tema che sarebbe poi stato completamente elaborato e sviluppato da Mao con la Grande rivoluzione culturale proletaria cinese.
Dunque non ci rimane che imparare da questo grande maestro, dal suo metodo e dai suoi preziosi insegnamenti.
Per mancanza di spazio rimandiamo ai prossimi numeri la pubblicazione della lettera di Stalin allo scrittore Gorki sulla necessità della critica e dell'autocritica.

Sull'antisemitismo
Risposta a una richiesta dell'Agenzia Telegrafica Ebraica d'America
Rispondo alla vostra richiesta.
Lo sciovinismo nazionale e razziale è una sopravvivenza di costumi antiumani che sono propri al periodo del cannibalismo. L'antisemitismo, quale forma estrema di sciovinismo razziale, è la più pericolosa sopravvivenza di cannibalismo.
L'antisemitismo è utile agli sfruttatori come parafulmine che eviti al capitalismo il colpo dei lavoratori. L'antisemitismo è pericoloso per i lavoratori come falso sentiero che li stacca dal giusto cammino e che li porta nella giungla. Per questa ragione i comunisti, quali conseguenti internazionalisti, non possono non essere inconciliabili e mortali nemici dell'antisemitismo.
Nell'URSS si persegue nel modo più severo con la legge l'antisemitismo come fenomeno profondamente avverso al sistema sovietico. Gli antisemiti attivi si puniscono, in base alle leggi dell'URSS, con la pena di morte.
I. Stalin
12 gennaio 1931
Pubblicato per la prima volta nel giornale "Pravda" N°329, 30 novembre 1936.


Sulla questione della politica di liquidazione dei kulaki come classe
Nel n°16 di "Krasnaja Zvezdà", nell'articolo "La liquidazione dei kulaki come classe", in generale indiscutibilmente giusto, si hanno due inesattezze nelle formulazioni. Mi pare necessario correggere queste inesattezze.
1. Nell'articolo è detto:
"Nel periodo di ricostituzione noi abbiamo perseguito una politica di limitazione degli elementi capitalistici della città e della campagna. Dall'inizio del periodo di ricostruzione siamo passati dalla politica di limitazione alla politica della loro eliminazione".
Questo principio è sbagliato. La politica di limitazione degli elementi capitalistici e la politica della loro eliminazione non rappresentano due differenti politiche. Sono una sola e stessa politica. La eliminazione degli elementi capitalistici della campagna è l'inevitabile risultato e parte integrante della politica di limitazione degli elementi capitalistici, della politica di limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki. La eliminazione degli elementi capitalistici della campagna non si può equiparare alla eliminazione dei kulaki come classe. La eliminazione degli elementi capitalistici della campagna è la eliminazione e il superamento di singoli reparti dei kulaki che non hanno sopportato la pressione fiscale, che non hanno sopportato il sistema dei provvedimenti limitativi del Potere sovietico. è comprensibile che la politica di limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki, la politica di limitazione degli elementi capitalistici della campagna non possa non condurre a una eliminazione di singoli reparti dei kulaki. Per cui la eliminazione di singoli reparti dei kulaki non può essere considerata altrimenti che come l'inevitabile risultato e parte integrante della politica di limitazione degli elementi capitalistici della campagna.
Questa politica si è da noi perseguita non soltanto nel periodo della ricostituzione, ma anche nel periodo della ricostruzione, ma anche nel periodo seguente il XV congresso (dicembre 1927), ma anche nel periodo della XVI¨ conferenza del nostro partito (aprile 1929), come pure dopo questa conferenza e fino all'estate del 1929 (cfr. la risoluzione "Sulle vie di una ripresa dell'agricoltura"), non si può non rilevare che la tesi della "limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki" o della "limitazione della crescita del capitalismo nelle campagne" procede sempre accanto alla tesi della "eliminazione degli elementi capitalistici delle campagne", sul "superamento degli elementi capitalistici delle campagne".
Che cosa significa questo?
Questo significa che il partito non separa l'eliminazione degli elementi capitalistici della campagna dalla politica di limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki, dalla politica di limitazione degli elementi capitalistici della campagna.
Il XV congresso del partito, come anche la XV¨-conferenza, stanno interamente sulla base della politica di "limitazione delle aspirazioni sfruttatrici della borghesia agricola" (risoluzione del XV congresso "Sul lavoro nelle campagne"), sulla base della politica di "approvazione di nuovi provvedimenti che limitino lo sviluppo del capitalismo nelle campagne" (cfr. la stessa), sulla base della politica di "risoluta limitazione delle tendenze sfruttatrici del kulak" (cfr. la risoluzione del XV congresso sul piano quinquennale), sulla base della politica di "offensiva contro il kulak" nel senso del "passaggio a una ulteriore, più sistematica e perseverante limitazione del kulak e del privato" (cfr. la stessa), sulla base della politica di una "ancor più decisa eliminazione economica" degli "elementi dell'economia privata capitalistica" nella città e nelle campagne (cfr. la risoluzione del XV congresso sul rapporto del CC).
Dunque, a) ha sbagliato l'autore dell'articolo citato, presentando la politica di limitazione degli elementi capitalistici e la politica della loro eliminazione come due differenti politiche. I fatti ci dicono che noi abbiamo qui a che fare con una sola e comune politica di limitazione del capitalismo, parte integrante e risultato della quale è l'eliminazione di singoli reparti dei kulaki.
Dunque, b) ha sbagliato l'autore dell'articolo citato, affermando che l'eliminazione degli elementi capitalistici della campagna si è iniziata soltanto nel periodo della ricostruzione, nel periodo del XV congresso. In realtà l'eliminazione ha avuto luogo anche prima del XV congresso, nel periodo della ricostituzione, e dopo il XVI congresso, nel periodo della ricostruzione. Nel periodo del XV congresso è stata soltanto rafforzata la politica di limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki con nuove misure aggiuntive, in rapporto con il che ha dovuto rafforzarsi anche l'eliminazione di singoli reparti dei kulaki.
2. Nell'articolo è detto:
"La politica di liquidazione dei kulaki come classe deriva interamente dalla politica di eliminazione degli elementi capitalistici, essendo essa la continuazione di questa politica in una nuova fase".
Questo principio è inesatto e quindi sbagliato. Va da sè che la politica di liquidazione dei kulaki come classe non possa cadere dal cielo. Essa è stata preparata da tutto il precedente periodo di limitazione e quindi di eliminazione degli elementi capitalistici delle campagne. Ma questo ancora non significa che essa non si distingua radicalmente dalla politica di limitazione (e di eliminazione) degli elementi capitalistici della campagna, che essa è come una continuazione della politica di limitazione. Dire come fa il nostro autore significa negare l'esistenza di una svolta nello sviluppo delle campagne a partire dall'estate del 1929. Parlare così significa negare il fatto che noi abbiamo compiuto in questo periodo una svolta nella politica del nostro partito nelle campagne. Parlare così significa creare una qualche copertura ideologica agli elementi di destra del nostro partito, che ora si aggrappano alle decisioni del XV congresso contro la nuova politica del partito così come si aggrappò a suo tempo Frumkin alle decisioni del XIV congresso contro la politica di introduzione dei colcos e dei sovcos.
Da che cosa ha preso le mosse il XV congresso, che ha proclamato un rafforzamento della politica di limitazione (e di eliminazione) degli elementi capitalistici delle campagne? Dal fatto che, nonostante questa limitazione dei kulaki, i kulaki, come classe, tuttavia devono restare fino a un certo periodo di tempo. Su questa base il XV congresso ha lasciato in vigore la legge sulla rendita della terra pur sapendo benissimo che gli affittuari, nella loro massa, sono dei kulaki. Su questa base il XV congresso ha lasciato in vigore la legge sull'ingaggio del lavoro nelle campagne, esigendo una sua precisa messa in pratica. Su questa base è stata ancora una volta dichiarata la inamissibilità della dekulakizzazione. Queste leggi e queste decisioni contraddicono forse la politica di limitazione (e di eliminazione) degli elementi capitalistici della campagna? Assolutamente, no. Queste leggi e queste decisioni contraddicono forse la politica di liquidazione dei kulaki come classe? Assolutamente, sì! Quindi, queste leggi e queste decisioni conviene ora metterle da parte nelle regioni a collettivizzazione integrale, la cui sfera di diffusione cresce non già di giorno in giorno, ma di ora in ora. D'altronde, esse sono già state messe da parte dal corso stesso del movimento colcosiano nelle regioni a collettivizzazione integrale.
è forse possibile, dopo di questo, affermare che la politica di liquidazione dei kulaki come classe è la continuazione della politica di limitazione (e di eliminazione) degli elementi capitalistici delle campagne? è chiaro che non si può.
L'autore del citato articolo dimentica che non è possibile eliminare la classe dei kulaki in quanto classe con misure di limitazione fiscale o altre, lasciando nelle mani di questa classe i mezzi di produzione col diritto di un libero utilizzo della terra e conservando nella nostra pratica la legge sull'ingaggio di lavoro nelle campagne, la legge sulla rendita e il divieto di dekulakizzazione. L'autore dimentica che con una politica di limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki è possibile far conto soltanto sulla eliminazione di singoli reparti dei kulaki, il che non contraddice ma, al contrario, presuppone la conservazione, fino a un certo periodo di tempo, dei kulaki come classe. Per eliminare i kulaki come classe, per fare questo non basta una politica di limitazione e di eliminazione di suoi singoli reparti. Per eliminare i kulaki come classe occorre spezzare in aperta battaglia la resistenza di questa classe e privarla delle sue fonti produttive di esistenza e di sviluppo (libero utilizzo della terra, mezzi di produzione, rendita, diritto d'ingaggio del lavoro, ecc.).
Questa è una svolta verso una politica di liquidazione dei kulaki come classe. Senza di questo le chiacchiere circa la eliminazione dei kulaki come classe altro non sono che una vuota ciarla utile e vantaggiosa soltanto ai deviazionisti di destra. Senza di questo è impensabile qualsiasi seria, e tanto più integrale, collettivizzazione delle campagne. Questo l'hanno ben inteso i contadini poveri e medi delle nostre campagne, che sferzano i kulaki e attuano la collettivizzazione integrale. Questo, ancora, non lo intendono, evidentemente, alcuni nostri compagni.
Dunque, l'odierna politica del partito nelle campagne è non la continuazione della vecchia politica, ma una svolta dalla vecchia politica di limitazione (e di eliminazione) degli elementi capitalistici della campagna verso una nuova politica di liquidazione dei kulaki come classe.
I. Stalin
"Krasnaja Zvezdà" n°18, 21 gennaio 1930.

Risposta ai compagni di Sverdlovsk

1 - Domande
1. Nelle tesi sulla tattica del PCR(b) approvate dal III congresso del Komintern, Lenin parlò della presenza di due classi fondamentali, nella Russia sovietica.
Al presente, invece, noi parliamo della liquidazione dei kulaki e della nuova borghesia come classe.
Questo significa forse che qui da noi, durante la Nep, si è formata una terza classe?
2. Nel vostro intervento alla conferenza degli specialisti agrari marxisti avevate detto: "Se ci atteniamo alla Nep, è perchè essa serve alla causa del socialismo. Quando essa cesserà di servire alla causa del socialismo la manderemo al diavolo". Ebbene, in che modo si deve intendere questa "mandata", e per quale via essa dovrà compiersi?
3. In che modo al partito, sulla base dei decisivi successi nella collettivizzazione e nella liquidazione dei kulaki come classe, sarà necessario modificare la parola d'ordine che oggi definisce i rapporti tra il proletariato e i differenti strati dei contadini: "Riuscire ad accordarsi con il contadino medio, senza rinunciare nemmeno per un istante alla lotta contro il kulak e poggiando stabilmente soltanto sui contadini poveri" (Lenin)?
4. Con quali metodi deve realizzarsi la liquidazione dei kulaki come classe?
5. L'attuazione simultanea di due parole d'ordine - una per le regioni a collettivizzazione integrale: liquidazione dei kulaki come classe, e l'altra per le regioni dove non c'è collettivizzazione integrale: contenimento e graduale sostituzione dei kulak, - non può forse portare a che, in queste ultime regioni, il kulaki si autoliquidi ( che cioè dilapidi le proprietà e i mezzi di produzione)?
6. La liquidazione dei kulaki come classe, l'inasprimento della lotta di classe, nonché la crisi economica e lo slancio dell'ondata rivoluzionaria nei paesi capitalistici, quale influsso possono avere sulla durata della "tregua"?
7. Come guardate, voi, alla possibilità che una tracrescenza dello slancio rivoluzionario che oggi investe i paesi capitalistici si trasformi in una situazione immediatamente rivoluzionaria?
8. Come si deve affrontare la valutazione di quei nuovi spostamenti che nella classe operaia si caratterizzano con la decisione, da parte di interi reparti, di entrare nelle fila del partito, dal punto di vista degli ulteriori reciproci rapporti tra il partito e la classe operaia?
9. In rapporto alle enormi proporzioni assunte dal movimento colcosiano, all'ordine del giorno si pone la questione di un allargamento dell'organizzazione di partito nelle campagne. Quale deve essere la nostra politica riguardo ai limiti di tale allargamento, e in merito alla accettazione di differenti gruppi di colcosiani all'interno del partito?
10. In che modo vi disponete nei riguardi delle dispute che si svolgono tra economisti in merito ai principali problemi dell'economia politica?

2 - Risposta del compagno Stalin
Sulla prima questione. Sì, Lenin ha parlato di due classi fondamentali. Ma certo egli ben sapeva dell'esistenza anche di una terza classe capitalistica (i kulaki e la borghesia capitalistica di città). I kulaki e la borghesia capitalistica di città, come classe, non si sono certamente "formati" soltanto dopo la introduzione della Nep. Essi esistevano anche prima della Nep, sia pure come classe secondaria. Nei suoi primi stadi di sviluppo la Nep ha in un certo qual modo facilitato la crescita di questa classe. Ma essa, ed in misura ancor maggiore, ha a sua volta aiutato la crescita del nostro settore socialista. Il passaggio del partito ad una offensiva sull'intero fronte, invece, ha repentinamente invertito l'azione nel senso di un indebolimento e della distruzione della classe dei capitalisti delle campagne e, anche se in parte, di quelli delle città.
Si deve poi notare, per la precisione, che il partito non ha affatto dato l'indicazione di estendere la parola d'ordine della liquidazione dei kulaki come classe anche alla nuova borghesia cittadina. Occorre infatti vedere la differenza che c'è tra i nepmen - ormai da tempo sostanzialmente privati di una loro base produttiva, e che quindi più non dispongono di un peso sia pure minimamente serio nella nostra vita economica, - e i kulaki che, invece, fino a tempi recenti hanno goduto di un enorme peso economico nelle campagne, e che soltanto oggi priviamo della loro base produttiva.
Ho l'impressione che alcune nostre organizzazioni dimentichino questa differenza e che anche tollerino l'errore, cercando così di "integrare" la parola d'ordine della liquidazione dei kulaki come classe con quella della liquidazione della borghesia delle città.
Sulla seconda questione. La nota frase del mio discorso alla conferenza degli specialisti agrari marxisti la si deve intendere nel senso che noi "manderemo la Nep al diavolo" quando non sarà più necessario permettere una certa libertà di commercio privato, vale a dire quando una tale permissione darà solamente dei risultati minimi; quando sapremo conseguire la possibilità di avviare legami economici tra città e campagne per il tramite di nostre organizzazioni commerciali, e dunque anche facendo a meno del commercio privato, con la sua circolazione privata e la sua ammissione di una certa ripresa del capitalismo.
Sulla terza questione. Va da sé che nella misura in cui l'estensione dei collettivi della maggior parte delle regioni dell'URSS andrà crescendo, i kulaki saranno liquidati, - per cui questa parte della formula di Ilic verrà a cadere. Per ciò che invece riguarda i contadini medi e quelli poveri nei colcos, man mano che procederà la meccanizzazione e la trattorizzazione dei colcos essi confluiranno in un unico reparto di lavoratori della campagna collettivizzata. E quindi, conformemente a ciò, in avvenire dovranno scomparire dalle nostre parole d'ordine anche i concetti di "contadino medio" e di "contadino povero".
Sulla quarta questione. Il principale metodo di attuazione della liquidazione dei kulaki come classe è il metodo della collettivizzazione di massa. Per cui tutti i restanti provvedimenti dovranno essere uniformati a questo metodo principale. Tutto ciò che contraddice a un tale metodo, o che comunque ne indebolisce l'incidenza, dovrà essere respinto.
Sulla quinta questione. Non ci si può rappresentare le parole d'ordine "liquidazione dei kulaki come classe" e "contenimento dei kulaki" come se esse fossero due parole d'ordine a sé stanti e con pari diritti. Dal periodo del passaggio alla politica di liquidazione dei kulaki come classe quest'ultima parola d'ordine ha cessato di essere quella principale, mentre la parola d'ordine sul contenimento dei kulaki nelle regioni che sono prive di una collettivizzazione integrale si è ora trasformata, da autonoma che essa era, in una parola d'ordine ausiliaria, - vale a dire di complemento rispetto a quella principale, - e che in queste ultime regioni ha per l'appunto il compito di facilitare la preparazione delle condizioni per il passaggio alla parola d'ordine principale. Per cui, come voi stessi vedete, la collocazione della parola d'or dine sul "contenimento dei kulaki" si è radicalmente mutata nelle odierne nuove condizioni, rispetto a quella che essa occupava un anno fa ed anche prima.
Purtroppo c'è anche da rilevare che alcuni dei nostri organi di stampa non tengono affatto conto di questa particolarità.
è possibile e probabile che nelle regioni ancora prive di una collettivizzazione integrale una certa parte dei kulaki, nell'attesa di una "rikulakizzazione", desideri o decida di "autoliquidarsi", "dilapidando beni e mezzi di produzione". E contro di ciò, naturalmente, è necessario lottare. Dal che, però, non ne consegue che si debba permettere una rikulakizzazione intesa non come parte dell'opera di collettivizzazione, ma come opera a sè stante perseguita in epoca precedente e in assenza della collettivizzazione. Permettere questo significherebbe, infatti, rimpiazzare nei colcos la politica di socializzazione dei beni confiscati ai kulaki con altra politica che invece sarebbe di spartizione di questi stessi beni a tutto vantaggio dell'arricchimento personale di singoli contadini. Una tale sostituzione sarebbe certamente un passo indietro, e non in avanti. Contro una eventuale "dilapidazione" dei beni in proprietà dei kulaki" esiste infatti un solo mezzo possibile, - intensificare il lavoro di collettivizzazione nelle regioni ancora prive di una collettivizzazione integrale.
Sulla sesta questione. I mezzi e le condizioni da voi elencati possono sì ridurre significativamente i termini della "tregua". Ma essi devono anche rafforzare ed accrescere i mezzi della nostra difesa. Moltissimo qui dipende dalla situazione internazionale, dallo sviluppo delle contraddizioni nel campo del capitalismo internazionale e dall'ulteriore evolversi della crisi economica internazionale. Ma questo è già un altro problema.
Sulla settima questione. Non è possibile fissare un confine invalicabile tra "ripresa rivoluzionaria" e "situazione immediatamente rivoluzionaria". Non è possibile, per esempio, dire: "fino a questa linea noi abbiamo una ripresa rivoluzionaria, e al di là di essa, invece, si ha il salto ad una situazione immediatamente rivoluzionaria". Porre il problema in questi termini lo possono soltanto degli scolastici. Di solito la prima passa nella seconda in un modo, per così dire, "impercettibile". Il compito sta invece nel preparare oggi stesso il proletariato alle decisive battaglie rivoluzionarie, senza attendere il momento dell'"offensiva" di una cosiddetta situazione immediatamente rivoluzionaria.
Sulla ottava questione. Il desiderio di interi reparti ed officine di entrare nel partito è certamente indice di un grandioso slancio rivoluzionario da parte di masse di milioni di operai, un segno inequivocabile della giustezza della politica del partito, il sintomo di una approvazione a voce alta di questa politica da parte delle più larghe masse della classe operaia. Da questo, però, non ne consegue che si debba accettare nel partito tutti coloro che desiderino entrarvi. Nei reparti e nelle officine si hanno persone d'ogni tipo, e dunque finanche dei sabotatori. Per la cui ragione il partito deve assolutamente mantenere in vigore il più che provato metodo dell'accesso individuale di chi desidera entrare nel partito, dell'ammissione individuale al partito. A noi non serve soltanto la quantità, ma anche la qualità.
Sulla nona questione. Va da sé che nei colcos la crescita dei ranghi del partito assumerà ben presto dei ritmi più o meno rapidi. Come pure è auspicabile che gli elementi del movimento colcosiano che più si sono temprati nella lotta contro i kulaki, e in particolare se provenienti dai braccianti o dai contadini poveri, trovino modo di applicare le proprie forze nelle fila del partito. è sottinteso, inoltre, che l'accesso individuale e l'ammissione individuale debbano essere qui applicate con una insistenza particolare.
Sulla decima questione. Mi sembra che nelle dispute tra economisti vi sia molto di scolastico e di artificioso. Se infatti di tali dispute si dovessero gettar via le squame, gli errori principali sarebbero i seguenti:
a) nessuna delle parti ha saputo applicare come si deve il metodo della lotta su due fronti: contro il "rubassimo" (da I.I.Rubin, noto economista dell'epoca), e contro il "meccanicismo";
b) entrambe le parti, attratte da astrazioni talmudizzate (il Talmud è il libro sacro degli ebrei che fissa e detta delle norme di comportamento etico-rituale, e dunque Stalin le intende come aprioristiche e artificiose, n.d.r), hanno eluse le principali questioni dell'economia sovietica e dell'imperialismo mondiale, sprecando così due anni di lavoro su temi astratti e naturalmente a tutto vantaggio e nell'interesse dei nostri nemici.
Saluti comunisti,
G. Stalin
9 febbraio 1930