STALIN: MI AUTOCRITICO PER I MIEI ERRORI

PREFAZIONE DI STALIN AL PRIMO VOLUME DELLE OPERE

Qui di seguito proponiamo  la Prefazione scritta da Stalin al primo volume delle Opere, pubblicato dall'Istituto Marx-Engels-Lenin a Mosca nel 1946.
Benché gli scritti di Stalin fossero stati pubblicati in numerosi volumi a sé stanti, solo allora il Comitato centrale del Partito Comunista (bolscevico) dell'Urss decideva di raccogliere organicamente e quindi di pubblicare le opere di Stalin. In quella occasione quest'uomo d'acciaio che aveva eroicamente condotto il suo popolo e l'intero paese sovietico nell'impresa di bloccare e poi annientare il mostro nazifascista, con ciò guadagnandosi la riconoscenza eterna dei popoli del mondo intero, questo grande maestro del proletariato internazionale, che aveva difeso e sviluppato il marxismo-leninismo nelle condizioni terribili in cui avvenne la costruzione del primo Stato socialista al mondo, non ha alcuna esitazione a denunciare pubblicamente i suoi errori per le posizioni assunte in quel periodo su due importanti questioni. E lo fa senza meschine furberie che attenuino i suoi errori passati e senza tatticismi che li giustifichino in qualche misura, regalandoci un'altra preziosa lezione circa il carattere, lo stile e le finalità della autocritica marxista-leninista, vitale e indispensabile per ciascuno di noi e per l'intero Partito.
La prima questione riguarda il programma agrario relativamente alla rivendicazione della spartizione tra i contadini oppure della nazionalizzazione delle terre sottratte alla nobiltà. E Stalin va in profondità alla ricerca delle radici degli errori presenti prevalentamente nei suoi tre scritti giovanili: "La questione agraria'', "Sulla questione agraria'' e "Sulla revisione del programma agrario'', confermando senza difficoltà che non aveva ancora compreso la complessità e l'importanza della proposta di Lenin a causa della sua insufficiente preparazione teorica e dell'inadeguato approfondimento dell'argomento.
La seconda questione riguarda la tesi, esposta nella sua opera "Anarchia o socialismo?'', secondo cui la vittoria della rivoluzione socialista non può avvenire se non dopo la trasformazione del proletariato in maggioranza della popolazione. Anche in questo caso egli fa una radiografia esatta delle ragioni storiche che distinguono il capitalismo della libera concorrenza rispetto all'imperialismo e spiega che Lenin non aveva ancora formulato la legge dell'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico del capitalismo imperialista.
Noi crediamo che queste parole di Stalin siano il modo più naturale e inconfutabile per smentire tutti i calunniatori di Stalin, da Fini a Berlusconi fino a Cossutta e Bertinotti, che lo demonizzano con una sistematica propaganda degna di Goebbel, dipingendolo come dittatore sanguinario e spietato che metteva se stesso al di sopra di tutto e di tutti e imponeva con la violenza le sue idee e decisioni schiacciando ogni dissenso e liquidando ogni oppositore.
Per costoro la borghesia e il liberalismo sono campioni di una democrazia universale e senza aggettivi, mentre il proletariato e i marxisti-leninisti sono come il diavolo solo perché si propongono di distruggere il sistema capitalista e costruire il socialismo.
I lavori inclusi nel primo volume delle Opere sono stati scritti nel primo periodo di attività dell'autore (1901-1907), quando l'elaborazine dell'ideologia e della politica leninista non era ancora terminata. Ciò vale in parte anche per il secondo volume delle Opere.
Per comprendere e valutare questi scritti nel modo dovuto, bisogna considerarli come lavori di un giovane marxista, che non era ancora un marxista-leninista completamente formato. E' perciò comprensibile che in questi scritti siano rimaste tracce di alcune tesi, poi invecchiate, dei vecchi marxisti, che in seguito furono superate dal nostro partito. Mi riferisco a due questioni: la questione del programma agrario e la questione delle condizioni della vittoria della rivoluzione socialista.
Come si vede dal primo volume (vedi gli articoli sulla Questione agraria), l'autore sosteneva allora il punto di vista della spartizione delle terre della nobiltà fondiaria per darle in proprietà ai contadini. Al congresso di unificazione del partito, dove si discusse la questione agraria, la maggioranza dei delegati bolscevichi "pratici''(1) aderirono al punto di vista della spartizione, la maggioranza dei menscevichi erano per la municipalizzazione, Lenin e i rimanenti delegati bolscevichi erano per la nazionalizzazione della terra, ma nel corso della lotta fra i tre progetti, quando si vede che non c'era da sperare nell'approvazione del progetto di nazionalizzazione, Lenin e gli altri nazionalizzatori unirono i loro voti a quelli dei fautori della spartizione.
I fautori della spartizione avanzavano tre considerazioni contro la nazionalizzazione: a) i contadini non accetteranno la nazionalizzazione delle terre padronali, poiché le vogliono ricevere in proprietà; b) i contadini si opporranno alla nazionalizzazione perché la riterranno una misura che abolirà la proprietà privata delle terre che già allora erano proprietà privata dei contadini; c) anche se si riuscirà a superare l'opposizione dei contadini alla nazionalizzazione, tuttavia noi marxisti non dobbiamo sostenere la nazionalizzazione, perché dopo la vittoria della rivoluzione democratico-borghese, lo stato in Russia non sarà socialista, ma borghese, e l'esistenza di un grande fondo di terre nazionalizzate, nelle mani dello stato borghese, rafforzerà smisuratamente la borghesia, a danno degli interessi del proletariato.
Inoltre, i fautori della spartizione partivano dal presupposto, accettato dai marxisti russi, compresi anche i bolscevichi, che dopo la vittoria della rivoluzione democratico-borghese si sarebbe iniziato un periodo più o meno lungo di pausa della rivoluzione, un periodo d'intervallo fra la rivoluzione borghese vittoriosa e la futura rivoluzione socialista, durante il quale il capitalismo avrebbe avuto la possibilità di uno sviluppo più libero e potente e si sarebbe diffuso anche nel campo dell'agricoltura, la lotta di classe si sarebbe approfondita e sviluppata in tutta la sua ampiezza, la classe dei proletari sarebbe aumentata numericamente, la cosicenza e l'organizzazione del proletariato si sarebbero elevate al livello voluto, e che solo dopo tutto ciò sarebbe potuto sopraggiungere il periodo della rivoluzione socialista.
Si deve notare che questo presupposto di un lungo intervallo fra le due rivoluzioni non incontrò al congresso nessuna obiezione da nessuna parte; inoltre sia i fautori della nazionalizzazione e della spartizione che i fautori della municipalizzazione ritenevano che il programma agrario della socialdemocrazia della Russia dovesse contribuire all'ulteriore e più potente sviluppo del capitalismo in Russia.
Sapevamo noi bolscevichi "pratici'' che Lenin, a quel tempo, si metteva dal punto di vista della trasformazione della rivoluzione borghese in Russia in rivoluzione socialista, dal punto di vista della rivoluzione ininterrotta? Sì, lo sapevamo. Lo sapevamo dal suo opuscolo Due tattiche (1905) e anche dal suo famoso articolo L'atteggiamento della socialdemocrazia verso il movimento contadino, del 1905, in cui affermava: "noi siamo per la rivoluzione ininterrotta'', "non ci fermeremo a metà strada''. Ma noi "pratici'' non approfondivamo la questione e non ne comprendevamo la grande importanza, data la nostra insufficiente preparazione teorica e data anche l'indifferenza propria dei pratici per le questioni teoriche. Come è noto, Lenin, per una qualche ragione, non sviluppò allora e non utilizzò al congresso, per giustificare la nazionalizzazione, gli argomenti della teoria della trasformazione della rivoluzione borghese in rivoluzione socialista. Non li utilizzò forse perché non riteneva ancora matura la questione e giudicava che la maggioranza dei bolscevichi "pratici'' al congresso non fossero preparati a capire e ad assimilare la teoria della trasformazione della rivoluzione borghese in quella socialista?
Soltanto qualche tempo dopo, quando la teoria leninista della trasformazione della rivoluzione borghese in Russia in rivoluzione socialista divenne la linea direttiva del partito bolscdvico, i dissensi sulla questione agraria sparirono nel partito, poiché fu chiaro che in un paese come la Russia, dove le condizioni particolari di sviluppo creavano il terreno per la trasformazione della rivoluzione borghese in rivoluzione socialista, il partito marxista non poteva avere nessun altro programma agrario se non quello della nazionalizzazione della terra.
La seconda questione concerne i problemi della vittoria della rivoluzione socialista. Come risulta dal primo volume (vedi gli articoli Anarchia o socialismo?), l'autore si atteneva allora alla tesi, ben nota fra i marxisti, in forza della quale una delle condizioni principali della vittoria della rivoluzione socialista è la trasformazione del proletariato in maggioranza della popolazione, cosicché in quei paesi dove il proletariato non è ancora la maggioranza della popolazione, per l'insufficiente sviluppo del capitalismo, la vittoria del socialismo è impossibile.
Questa tesi si riteneva allora come generalmente ammessa fra i marxisti russi, compresi i bolscevichi, così come fra i partiti socialdemocratici degli altri paesi. Ma l'ulteriore sviluppo del capitalismo in Europa e in America, il passaggio dal capitalismo preimperialista al capitalismo imperialista, infine la legge, scoperta da Lenin, dell'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico dei diversi paesi, dimostrarono che questa tesi non corrisponde più alle nuove condizioni di sviluppo, che la vittoria del socialismo è pienamente possibile in singoli paesi dove il capitalismo non ha ancora raggiunto il punto culminante del suo sviluppo e dove il proletariato non costituisce la maggioranza della popolazione, ma dove il fronte del capitalismo è abbastanza debole per essere travolto dal proletariato. Così nacque la teoria leninista della rivoluzione socialista negli anni 1915-1916. Com'è noto, la teoria leninista della rivoluzione socialista parte dalla premessa che la rivoluzione socialista vincerà non necessariamente in quei paesi dove il capitalismo è più sviluppato, ma in quei paesi innanzitutto dove il fronte del capitalismo è debole, dove al proletariato riesce più agevole rompere questo fronte e dove esiste un livello sia pur medio di sviluppo del capitalismo.
Con ciò si esauriscono le osservazioni dell'autore riguardo agli scritti raccolti nel primo volume.

G. V. Stalin

Gennaio 1946
 
NOTE
1. I bolscevichi chiamavano "pratici'' quei militanti che, nel paese, consacravano la loro attività ad organizzare il partito e le masse lavoratrici e a dirigere l'attività quotidiana. Con questa denominazione, essi si distinguevano dai gruppi che all'estero si consacravano principalmente al lavoro di elaborazione teorica e politica.