Stalin: Questioni di politica agraria nell'URSS
Discorso alla Conferenza degli agrari-marxisti

27 dicembre 1929
Compagni! Un fatto fondamentale della nostra vita sociale ed economica nel momento presente, un fatto che rivolge a sé l'attenzione generale, è il fatto della colossale crescita del movimento colcosiano.
Il tratto caratteristico dell'odierno movimento colcosiano consiste nel fatto che nei colcos entrano non soltanto singoli gruppi di contadini poveri, come era avvenuto finora, ma nei colcos è entrato nella sua massa anche il contadino medio. Il che significa che il movimento colcosiano si è trasformato da movimento di singoli gruppi e strati di contadini lavoratori in un movimento di milioni e milioni di masse fondamentali di contadini. Con il che, tra l'altro, si deve spiegare quel fatto di importanza capitale che il movimento colcosiano, che ha assunto il carattere di possente e crescente slavina antikulak, spazza via dal proprio cammino la resistenza del kulak, abbatte i kulaki e apre la via ad un'ampia edificazione socialista nelle campagne.
Ma se noi abbiamo ragione di inorgoglirci dei successi pratici dell'edificazione socialista, la stessa cosa non si può dire dei successi del nostro lavoro teorico nel campo della economia in generale e nel campo dell'agricoltura in particolare. Per di più, occorre anche riconoscere che ai nostri successi pratici non fa seguito il pensiero teorico e che noi abbiamo un certo scarto tra i successi pratici e lo sviluppo del pensiero teorico. Inoltre è necessario che il pensiero teorico non soltanto segua quello pratico, ma che lo oltrepassi armando i nostri pratici nella loro lotta per la vittoria del socialismo. Io qui non mi dilungherò circa l'importanza della teoria. A voi essa è già abbastanza nota. È noto che la teoria, se essa è realmente una teoria, dà ai pratici la forza dell'orientamento, la chiarezza della prospettiva, la certezza nel lavoro e la fiducia nella vittoria della nostra causa. Tutto questo ha e non può non avere una enorme importanza nell'opera della nostra edificazione socialista. Il guaio invece è che noi cominciamo ad arrancare proprio in questo campo, nel campo dell'elaborazione teorica delle questioni della nostra economia.
Con che cosa altrimenti spiegare il fatto che da noi, nella nostra vita sociale e politica, abbiano ancora corso diverse teorie borghesi e piccolo borghesi circa le questioni della nostra economia? Con che cosa spiegare che queste teorie e teoruzze non incontrano ancora oggi una dovuta resistenza? Con che cosa pure spiegare che una serie di fondamentali princìpi dell'economia politica marxista-leninista, che sono il più sicuro antidoto contro le teorie borghesi e piccolo borghesi, si prendono a dimenticare, non si popolarizzano nella nostra stampa e, chissà perché, non si avanzano in primo piano? È così davvero difficile comprendere che senza una intransigente lotta contro le teorie borghesi sulla base della teoria marxista-leninista è impossibile conseguire una completa vittoria sui nemici di classe?
La nuova pratica genera un nuovo approccio ai problemi dell'economia del periodo di transizione. E in modo nuovo si pone ora la questione della NEP, delle classi, dei ritmi di edificazione, dell'alleanza e della politica del partito. Per non rimanere indietro rispetto alla pratica occorre ora occuparci della elaborazione di tutti questi problemi dal punto di vista della nuova situazione. Senza di ciò è impossibile un superamento delle teorie borghesi che intasano le teste dei nostri pratici. Senza di ciò è impossibile lo sradicamento di queste teorie che vanno acquistando la viziosità dei pregiudizi. Poiché soltanto nella lotta contro i pregiudizi borghesi nella teoria è possibile conseguire un consolidamento delle posizioni del marxismo-leninismo.
Consentitemi ora di passare a una caratteristica di alcuni di questi pregiudizi borghesi detti teorie e di dimostrare la loro inconsistenza quanto al chiarimento di alcuni problemi nodali della nostra edificazione.

I - La teoria dell'"equilibrio"
Voi certamente saprete che tra i comunisti ha sempre più corso la teoria dell'"equilibrio" tra i settori della nostra economia nazionale. Questa teoria, di certo, non ha niente in comune con il marxismo. Tuttavia essa, questa stessa teoria, viene propagandata da tutta una serie di persone del campo dei deviazionisti di destra.
Secondo questa teoria si presume che noi si abbia innanzitutto un settore socialista - e questo a suo modo è un compartimento, - e che, oltre a ciò, abbiamo un settore non socialista o, se volete, capitalistico, - e questo è un altro compartimento. Entrambi questi compartimenti stanno su differenti rotaie e tranquillamente procedono a gran velocità senza urtarsi l'un l'altro. Secondo la geometria è noto che le linee parallele non si incontrano. Tuttavia gli autori di questa rimarchevole teoria pensano che qualche volta queste parallele possano incontrarsi e che, quando si incontrano, da noi si ha il socialismo. Inoltre questa teoria non tiene conto del fatto che dietro i cosiddetti "compartimenti" stanno le classi e che il movimento di questi "compartimenti" avviene in ordine a una accanita lotta di classe, cioè una lotta non per la vita ma per la morte, una lotta in base al principio del "chi vincerà?".
Non è difficile comprendere che questa teoria non ha niente in comune con il leninismo. Come pure, non è difficile comprendere che questa teoria ha oggettivamente quale suo scopo quello di difendere le posizioni dell'azienda contadina individuale, di armare gli elementi kulak con una "nuova" arma teorica nella loro lotta contro i colcos e di screditare le posizioni dei colcos.
Tuttavia essa, questa teoria, ha ancor oggi corso nella nostra stampa. E non si può dire che essa incontri una seria resistenza e tanto più una distruttiva opposizione da parte dei nostri teorici. Con che cosa altrimenti spiegare questa incongruenza, questa arretratezza del nostro pensiero teorico?
Inoltre basta soltanto estrarre dal tesoriere del marxismo la teoria della riproduzione e contrapporla alla teoria dell'equilibrio dei settori perché di quest'ultima teoria non rimanga alcuna traccia. In realtà la teoria marxista della riproduzione insegna che la società contemporanea non può svilupparsi senza accumulare anno dopo anno e che accumulare è impossibile senza una riproduzione allargata anno dopo anno. Questo è chiaro e comprensibile. La nostra grande industria socialista centralizzata si sviluppa in base alla teoria marxista della riproduzione allargata, dato che essa cresce ogni anno di entità, ha proprie accumulazioni e avanza a passi di sette leghe.
Ma la nostra grande industria non esaurisce affatto l'economia nazionale. Al contrario, nella nostra economia nazionale predomina ancora la piccola azienda contadina. Si può forse dire che la nostra piccola azienda contadina si sviluppi secondo il principio della riproduzione allargata? No, non lo si può dire. La nostra piccola azienda contadina non soltanto non realizza, nella sua massa e annualmente, la riproduzione allargata ma, al contrario, assai di rado ha la possibilità di realizzare persino la riproduzione semplice. È forse possibile far avanzare a ritmo accelerato la nostra industria socialista se si dispone di una simile base agricola come la piccola azienda contadina, incapace di una riproduzione allargata e che inoltre costituisce la forza prevalente nella nostra economia nazionale? No, non si può. È forse possibile, nel corso di un periodo di tempo più o meno lungo, basare il Potere sovietico e la edificazione socialista su due differenti fondamenta, - sulla base della più grande e unita industria socialista e sulla base della più smembrata e arretrata azienda contadina a piccola produzione mercantile? No, non si può. Questo, un giorno o l'altro, porterebbe alla fine a un completo dissesto dell'intera economia nazionale.
Ma dove sta l'uscita? L'uscita sta nel rafforzare l'agricoltura, nel renderla in grado di accumulare, di attuare la riproduzione allargata e di trasformare in tal modo la base agricola dell'economia nazionale.
Ma come rafforzarla? Per far questo esistono due vie. Esiste la via capitalistica, che consiste in un rafforzamento dell'agricoltura mediante l'introduzione in essa del capitalismo, una via che porta a un immiserimento dei contadini e a uno sviluppo delle imprese capitalistiche nell'agricoltura. Questa via è da noi respinta come via incompatibile con l'economia sovietica.
Esiste però un'altra via, la via socialista, che consiste nella introduzione dei colcos e dei sovcos nell'agricoltura, una via che porta a una unificazione delle piccole aziende contadine in grandi aziende collettive armate di tecnica e di scienza e che hanno la possibilità di svilupparsi ulteriormente perché queste aziende possono realizzare la riproduzione allargata.
Quindi la questione sta in questi termini: o una via oppure l'altra, o indietro - verso il capitalismo, oppure avanti - verso il socialismo. Non c'è e nemmeno può esserci nessuna terza via.
La teoria dell'"equilibrio" non è che il tentativo di indicare una terza via. E proprio perché è destinata a una terza (inattuabile) via, essa è utopistica e antimarxista.
Per cui ecco che basta soltanto contrapporre la teoria della riproduzione di Marx alla teoria dell'"equilibrio" dei settori perché non rimanga traccia di quest'ultima teoria.
Perché questo non viene fatto da parte dei nostri agrari-marxisti? A chi è necessario che la ridicola teoria dell'"equilibrio" abbia corso nella nostra stampa mentre la teoria marxista della riproduzione è lasciata nel dimenticatoio?

II - La teoria della "spontaneità" nell'edificazione socialista
Passiamo ora al secondo pregiudizio presente nell'economia politica, alla seconda teoria di tipo borghese. Ho qui presente la teoria della "spontaneità" nell'opera di edificazione socialista, una teoria che non ha niente in comune con il marxismo ma che viene assiduamente predicata dai nostri compagni del campo della destra.
Gli autori di questa teoria affermano all'incirca quanto segue. Da noi c'è stato il capitalismo, l'industria si è sviluppata su di una base capitalistica mentre la campagna ha seguito la città capitalistica in modo spontaneo, per corso naturale, trasformandosi a immagine e somiglianza della città capitalistica. Se così è stato durante il capitalismo, perché non può succedere la stessa cosa anche in una economia sovietica? Perché non può la campagna, la piccola azienda contadina, seguire per corso naturale la città socialista trasformandosi per via spontanea ad immagine e somiglianza della città socialista? Gli autori di questa teoria, su questa base, affermano poi che la campagna può seguire la città socialista in ordine a un corso naturale. Di qui la domanda: dobbiamo noi forse scalmanarci tanto per la formazione di sovcos e colcos quando invece la campagna può seguire anche in tal modo la città socialista?
Ecco a voi ancora una teoria che ha oggettivamente a suo scopo quello di offrire una nuova arma nelle mani degli elementi capitalistici della campagna nella loro lotta contro i colcos.
L'essenza antimarxista di questa teoria non ammette alcun dubbio.
Non è forse strano che i nostri teorici ancora non abbiano trovato il tempo di sbarazzarsi di questa strana teoria che intasa le teste dei nostri pratici-colcosiani? Non c'è dubbio che il ruolo guida della città socialista rispetto al villaggio individuale dei piccoli contadini è grande e inapprezzabile. Su questo propriamente si basa il ruolo trasformatore dell'industria nei riguardi dell'agricoltura. Ma basta forse questo fattore perché il villaggio di piccoli contadini segua da sé, per corso naturale, la città nell'opera di edificazione socialista? No, non basta.
Nel capitalismo la campagna seguiva per via spontanea la città, e questo perché l'economia capitalistica della città e l'economia individuale di piccola produzione mercantile del contadino sono, alla loro base, un'economia dello stesso tipo. Certo, la piccola economia mercantile del contadino non è ancora una economia capitalistica. Ma essa, alla sua base, è dello stesso tipo dell'economia capitalistica, poiché si appoggia sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. Lenin ha mille volte ragione quando parla, nelle sue osservazioni sul libretto di Bucharin "L'economia del periodo di transizione", di una "tendenza capitalistico-mercantile dei contadini" in contrapposizione alla "tendenza socialista del proletariato". Con il che propriamente si spiega il fatto che "la piccola produzione genera il capitalismo e la borghesia continuamente, ogni giorno, ogni ora, in modo spontaneo e su scala di massa" (Lenin).
Si può forse dire che la piccola economia mercantile contadina sia alla sua base dello stesso tipo che la produzione socialista della città? È evidente che questo non lo si può dire senza rompere con il marxismo. Altrimenti Lenin non avrebbe detto che "fintanto noi vivremo in un paese di piccoli contadini, per il capitalismo in Russia ci sarà una più solida base che non per il comunismo".
Dunque, la teoria della "spontaneità" nell'opera di edificazione socialista è una teoria marcia e antileninista.
Quindi, affinché il piccolo villaggio contadino segua la città socialista è ancora necessario, oltre al resto, introdurre nelle campagne le grandi aziende socialiste nella forma dei sovcos e dei colcos quali basi del socialismo che possano condurre dietro alla città socialista le masse fondamentali dei contadini.
Di conseguenza la teoria della "spontaneità" nell'edificazione socialista è una teoria antimarxista. La città socialista può condurre a sé il piccolo villaggio contadino non altrimenti che introducendo nelle campagne i colcos e i sovcos e trasformando il villaggio in un nuovo modo socialista.
È strano che la teoria antimarxista della "spontaneità" nell'edificazione socialista non abbia finora incontrato una debita resistenza da parte dei nostri teorici-agrari.

III - La teoria della "stabilità" della piccola azienda contadina
Passiamo ora al terzo pregiudizio presente nell'economia politica, alla teoria della "stabilità" della piccola azienda contadina. A tutti sono note le obiezioni dell'economia politica borghese contro la famosa tesi del marxismo circa i vantaggi della grande azienda dinanzi alla piccola che avrebbe forza soltanto nell'industria, ma che non ha un suo impiego nell'agricoltura. I teorici social-democratici del tipo di un David o di un Hertz, che predicano questa teoria, hanno cercato con questo di "appoggiarsi" sul fatto che il piccolo contadino è saldo e paziente, disposto ad assumersi qualsiasi privazione pur di difendere il proprio pezzo di terra e che, considerato ciò, nella lotta contro la grande azienda in agricoltura la piccola azienda contadina mostra solidità.
Non è difficile comprendere che una tale "stabilità" è peggiore di qualsiasi instabilità. E nemmeno è difficile comprendere che questa teoria antimarxista ha quale suo scopo soltanto una cosa: elogiare e consolidare gli ordinamenti capitalistici che portano alla miseria masse di milioni di piccoli contadini. E proprio perché essa ha un tale scopo, proprio per questo ai marxisti è così facilmente riuscito di battere questa teoria.
Ma il problema ora non sta in questo. Il problema sta nel fatto che la nostra pratica, la nostra realtà, offre oggi nuovi argomenti contro questa teoria, mentre i nostri teorici stranamente non vogliono o non possono utilizzare questa nuova arma contro i nemici della classe operaia. Ho qui presente la pratica di distruzione della proprietà privata sulla terra, la pratica di nazionalizzazione della terra che si ha qui da noi, la pratica che emancipa il piccolo contadino dalla sua schiavistica devozione al pezzo di terra e che, con ciò stesso, facilita il passaggio dalla piccola azienda contadina alla grande azienda collettiva.
In realtà che cosa ha legato, che cosa lega e che cosa legherà il piccolo contadino dell'Europa occidentale alla sua piccola azienda mercantile? Innanzitutto e principalmente l'esistenza di un suo proprio pezzo di terra, l'esistenza della proprietà privata sulla terra. Egli per anni ha accumulati i denari per acquistare un pezzo di terra, l'ha poi acquistato e, com'è comprensibile, non vuole separarsene preferendo sopportare privazioni d'ogni genere, di cadere nella barbarie e nella miseria, e questo solo per difendere il suo pezzetto di terra quale base della sua azienda individuale.
Si può forse dire che questo fattore, in tale sua forma, continui ad agire anche da noi, nelle condizioni degli ordinamenti sovietici? No, non lo si può dire. E non lo si può dire perché da noi non c'è proprietà privata sulla terra, da noi non c'è nemmeno quella schiavistica devozione del contadino verso il pezzo di terra che si ha in Occidente. Questa circostanza poi non può non facilitare il passaggio della piccola azienda contadina sui binari dei colcos.
Ecco dov'è una delle ragioni del fatto che da noi, nelle condizioni di una nazionalizzazione della terra, alle grandi aziende delle campagne, ai colcos delle campagne, riesce così facile dimostrare la loro superiorità dinanzi alla piccola azienda contadina.
Ecco dov'è il grande valore rivoluzionario delle leggi agrarie sovietiche che hanno distrutto la rendita assoluta, che hanno abolito la proprietà privata sulla terra e che hanno stabilito la nazionalizzazione della terra.
Da questo ne deriva che noi abbiamo a nostra disposizione un nuovo argomento contro gli economisti borghesi che proclamano la stabilità della piccola azienda contadina nella sua lotta contro la grande azienda.
Allora perché questo nuovo argomento non si utilizza a sufficienza da parte dei nostri teorici agrari nella loro lotta contro tutte le possibili teorie borghesi?
Effettuando la nazionalizzazione della terra noi siamo partiti, tra l'altro, dai presupposti teorici dati nel terzo volume de "Il Capitale", nel famoso libro di Marx "Teorie del plusvalore", e nei lavori agrari di Lenin che rappresentano un ricchissimo tesoro del pensiero teorico. Ho qui presente la teoria della rendita terriera in generale e la teoria della rendita terriera assoluta in particolare. Ora è chiaro che i principi teorici di questi lavori sono stati brillantemente confermati dalla pratica della nostra edificazione socialista nelle città e nelle campagne.
Ciò che non è comprensibile è perché le teorie antiscientifiche "sovietiche" di economisti del tipo dei Cajanov debbano avere libero corso nella nostra stampa mentre i geniali lavori di Marx, Engels e Lenin sulla teoria della rendita terriera e sulla rendita terriera assoluta non debbano popolarizzarsi e avanzarsi in primo piano, debbano restare nel dimenticatoio.
Voi forse ricorderete il noto opuscolo di Engels "La questione contadina". E ricorderete di certo con quanta cautela Engels affronti la questione del passaggio dei piccoli contadini sulla via dell'azienda associata, sulla via dell'azienda collettiva. Consentitemi di citare il corrispondente passo dell'opuscolo di Engels:
"Noi stiamo decisamente dalla parte del piccolo contadino; noi faremo tutto il possibile perché gli sia più sopportabile vivere, per facilitargli il passaggio alla associazione nel caso che egli si decida a questo; nel caso stesso che egli ancora non sarà in condizione di prendere questa decisione, noi cercheremo di concedergli più tempo possibile per rifletterci sul suo pezzo".
Vedete anche voi con quanta cautela Engels affronti la questione del passaggio della azienda contadina individuale sui binari del collettivismo. Con che cosa spiegare una così, a un primo sguardo, esagerata cautela di Engels? Da che cosa partiva egli in questo? È evidente che egli partisse dall'esistenza della proprietà privata sulla terra, dal fatto che il contadino ha il "suo pezzo" di terra da cui a lui, al contadino, è difficile separarsi. Così sono infatti i contadini in Occidente. Così sono i contadini nei paesi capitalistici dove esiste la proprietà privata sulla terra. È dunque comprensibile che qui sia necessaria una grande cautela.
Si può forse dire che da noi, nell'URSS, si ha la stessa situazione? No, non lo si può dire. E non lo si può perché da noi non c'è proprietà privata sulla terra che tenga legato il contadino alla sua azienda individuale. Non lo si può perché da noi si ha la nazionalizzazione della terra, il che facilita l'opera di passaggio del contadino individuale sui binari del collettivismo.
Ecco dov'è una delle ragioni di quella relativa facilità e rapidità con cui da noi, negli ultimi tempi, si sviluppa il movimento colcosiano.
È dunque spiacevole che i nostri teorici agrari non abbiano ancora cercato di svelare con la dovuta chiarezza questa differenza tra la situazione com'è qui da noi e in Occidente. Inoltre un tale lavoro avrebbe il più grande valore non soltanto per noi lavoratori sovietici, ma anche per i comunisti di tutti i paesi. E questo perché per la rivoluzione proletaria nei paesi capitalistici non è indifferente che laggiù si costruisca il socialismo, fin dai primi giorni dalla presa del potere da parte del proletariato, sulla base di una nazionalizzazione della terra o senza una tale base.
In un mio recente intervento sulla stampa ("Un anno di grande svolta") io svolsi certi argomenti a favore della superiorità della grande azienda nell'agricoltura dinanzi alla piccola azienda avendo presenti i grandi sovcos. Non è il caso di dimostrare che quegli argomenti si riferiscono interamente e pienamente anche ai colcos come a grandi unità economiche. E parlo non soltanto dei colcos evoluti, che dispongono di una base di macchine e trattori, ma anche dei colcos primari che rappresentano, per così dire, il periodo manifatturiero dell'edificazione colcosiana e che si appoggiano sull'inventario contadino. Ho qui presenti quei colcos primari che oggi vengono creati nelle regioni a collettivizzazione integrale e che si appoggiano sulla semplice struttura degli strumenti di produzione contadini.
Prendiamo, per esempio, i colcos della regione di Chopr nell'ex territorio del Don. A un primo sguardo questi colcos a quanto pare non si distinguono dal punto di vista tecnico dalla piccola azienda contadina (pochi macchinari, pochi trattori). Nel frattempo però la semplice struttura degli strumenti contadini nelle viscere dei colcos hanno sortito un tale effetto quale non si sognavano nemmeno i nostri pratici. In che cosa si è espresso questo effetto? Nel fatto che il passaggio sui binari dei colcos ha prodotto un ampliamento della superficie a semina del 30, 40 e 50%. Con che cosa spiegare questo effetto "da capogiro"? Col fatto che i contadini, essendo impotenti nelle condizioni del lavoro individuale, si sono trasformati nella più grande forza riunendo i propri strumenti e unificandosi nei colcos. Col fatto che i contadini hanno acquisito la possibilità di lavorare anche le terre abbandonate e dissodate, lavorate con difficoltà nelle condizioni del lavoro individuale. Con il fatto che i contadini hanno avuto la possibilità di prendere nelle proprie mani le terre da dissodare. Col fatto che si è avuta la possibilità di adoperare i terreni abbandonati, piccoli pezzetti di proda, ecc.
La questione della lavorazione delle terre abbandonate e da dissodare ha un enorme valore per la nostra agricoltura. Voi sapete che il perno del movimento rivoluzionario in Russia nei vecchi tempi è stato la questione agraria. Voi sapete che il movimento agrario ha avuto quale uno dei suo scopi la distruzione della penuria di terra. Molti allora pensavano che la penuria di terra fosse assoluta, cioè che in Russia non si avessero più terre libere utili alla lavorazione. Ma che cosa ne è venuto in realtà? Ora è del tutto chiaro che di terre libere ce n'erano e ne sono rimaste nell'URSS a decine di milioni di ettari, ma che di lavorarle con i propri pietosi mezzi il contadino non aveva alcuna possibilità. E proprio perché il contadino non aveva la possibilità di lavorare la terra da dissodare e quella abbandonata, proprio per questo egli si è affidato alle "terre tenere", alle terre cioè che già appartenevano ai proprietari terrieri, alle terre adatte alla lavorazione anche con le sole forze dell'inventario contadino e nelle condizioni di un lavoro individuale. Ecco in che cosa consisteva la base della "penuria di terra". Non fa meraviglia quindi che il nostro Zernotrust, armato di trattori, abbia ora la possibilità di adoperare venti milioni di ettari di terre libere, non occupate dai contadini e che non possono essere lavorate nell'ordine di un lavoro individuale e con le sole forze dell'inventario del piccolo contadino.
L'importanza del movimento colcosiano in tutte le sue fasi - nella sua fase originaria e in quella più evoluta in cui esso è armato di trattori, - consiste tra l'altro nel fatto che i contadini ricevono ora la possibilità di adoperare le terre abbandonate e da dissodare. In ciò è il segreto dell'enorme ampliamento delle aree a semina durante il passaggio dei contadini al lavoro collettivo. In questo è una delle basi della superiorità dei colcos rispetto all'azienda contadina individuale.
Non è il caso di dire che la superiorità dei colcos dinanzi all'azienda contadina individuale diviene ancor più indiscutibile quando in aiuto ai colcos primari, nelle regioni a collettivizzazione integrale, vengono le nostre stazioni di macchine e trattori e le colonne, quando gli stessi colcos ricevono la possibilità di concentrare nelle proprie mani trattori e macchine combinate.

IV - Città e campagna
Esiste un pregiudizio coltivato dagli economisti borghesi riguardo alle cosiddette "forbici" a cui occorre dichiarare guerra come a tutte le altre teorie borghesi che purtroppo hanno diffusione nella stampa sovietica. Ho qui presente la teoria circa il fatto che la Rivoluzione d'Ottobre avrebbe dato ai contadini meno che la rivoluzione di Febbraio, cioè che la Rivoluzione d'Ottobre, per dirla propriamente, non avrebbe dato niente ai contadini.
Un tempo questo pregiudizio venne agitato nella nostra stampa da uno degli economisti "sovietici". In verità egli, questo economista "sovietico", in seguito ebbe a rigettare questa sua teoria. (Voce: "Chi è?"). È Groman. Ma questa teoria venne poi raccolta dall'opposizione trotzkista-zinovievista e utilizzata contro il partito. Per cui non c'è nessuna ragione di affermare che essa oggi non ha più corso nei circoli dell'opinione pubblica "sovietica".
Questa è una questione molto importante, compagni. Essa riguarda il problema dei rapporti reciproci tra la città e la campagna. Essa riguarda il problema della distruzione della contrapposizione tra città e campagna. Essa riguarda la più che attuale questione delle "forbici". Credo quindi che valga la pena di occuparci di questa strana teoria.
È giusto dire che i contadini non hanno ricevuto niente dalla Rivoluzione d'Ottobre? Rivolgiamoci ai fatti.
Ho tra le mani una certa tabella del noto statistico comp. Nemcinov pubblicata nel mio articolo "Sul fronte del grano". Da questa tabella risulta evidente che nel periodo prerivoluzionario i proprietari terrieri "producevano" non meno di 600 milioni di pudy di grano. Per cui i proprietari terrieri erano allora detentori di 600 milioni di pudy di grano.
I kulaki, secondo questa tabella, "producevano" allora 1900 milioni di pudy di grano. È questa una forza molto grande di cui allora i kulaki disponevano.
I contadini poveri e medi, secondo la stessa tabella, producevano 2500 milioni di pudy di grano.
Tale era il quadro della situazione nelle vecchie campagne, nelle campagne di prima della Rivoluzione d'Ottobre.
Quali mutamenti sono avvenuti nelle campagne dopo l'ottobre? Prendo qui le cifre dalla stessa tabella. Si prenda, per esempio, l'anno 1927. Quanto producevano in quell'anno i proprietari terrieri? È chiaro che non producevano niente e che nemmeno potessero produrre, e questo perché i proprietari terrieri erano stati distrutti dalla Rivoluzione d'Ottobre. Voi capite che questo doveva servire quale grande sgravamento per i contadini, poiché questi si erano liberati dal giogo dei proprietari terrieri. E questo certamente è un grande vantaggio per i contadini, da essi ricevuto a seguito della Rivoluzione d'Ottobre.
Quanto produssero i kulaki nell'anno 1927? 600 milioni di pudy di grano al posto dei 1900 pudy. Per cui ne risulta che i kulaki si sono indeboliti nel periodo successivo alla Rivoluzione d'Ottobre di più di un terzo. Voi capirete che questo non poteva non alleggerire la condizione dei contadini poveri e dei medi.
E quanto produssero nel 1927 i contadini poveri e medi? 4 miliardi di pudy al posto dei 2500 milioni di pudy. Quindi, i contadini poveri e i medi, dopo la Rivoluzione d'Ottobre, presero a produrre 1,5 miliardi di pudy di grano in più che nel periodo prerivoluzionario.
Ecco a voi dei fatti che dicono che i contadini poveri e medi ricevettero un colossale vantaggio dalla Rivoluzione d'Ottobre.
Ecco che cosa ha dato la Rivoluzione d'Ottobre ai contadini poveri e ai medi.
Come è possibile, dopo di questo, affermare che la Rivoluzione d'Ottobre non ha dato niente ai contadini?
Ma questo non è tutto, compagni. La Rivoluzione d'Ottobre ha distrutto la proprietà privata della terra, ha distrutto la compravendita della terra, ha stabilito la nazionalizzazione della terra. Che cosa significa questo? Questo significa che il contadino, per produrre grano, non ha affatto bisogno ora di acquistare la terra. Per l'innanzi egli accumulava per anni i mezzi per procacciarsi la terra, si riempiva di debiti e cadeva in miseria solo per poter acquistare la terra. E le spese per l'acquisto della terra ricadevano certamente sul valore di produzione del grano. Ora invece il contadino non ne ha più bisogno. Ora egli può produrre il grano senza acquistare la terra. Di conseguenza, centinaia di milioni di rubli che i contadini spendevano per l'acquisto della terra restano ora nelle tasche dei contadini. Questo facilita il contadino o non lo facilita? È chiaro che lo facilita.
Ancora. Fino agli ultimi tempi il contadino era costretto a grattare la terra con il vecchio inventario e nel sistema del lavoro individuale. A chiunque è noto che il lavoro individuale, armato dei vecchi e oggi ormai inutili strumenti di produzione, non offre quel vantaggio che è necessario per vivere in modo passabile, per elevare sistematicamente la propria condizione materiale, per sviluppare la propria cultura e avviarsi per l'ampia via dell'edificazione socialista. Oggi, dopo un accresciuto sviluppo del movimento colcosiano, i contadini hanno la possibilità di unire il proprio lavoro con il lavoro dei loro vicini, di riunirsi in colcos, di dissodare le terre incolte, di utilizzare le terre abbandonate, di ricevere una macchina e un trattore e di innalzare in tal modo la produttività del proprio lavoro di due se non di tre volte. Questo cosa significa? Questo significa che il contadino adesso ha la possibilità, grazie all'associazione in colcos, di produrre assai più di prima e con lo stesso dispendio di lavoro. Questo significa, quindi, che la produzione di grano diventa molto più a buon mercato di quanto lo fosse fino agli ultimi tempi. Infine, questo significa che, stante la stabilità dei prezzi, il contadino può ricevere per il suo grano assai più di quanto aveva ricevuto finora.
Come è possibile, dopo tutto questo, affermare che la Rivoluzione d'Ottobre non ha dato vantaggi ai contadini?
Davvero non è chiaro che le persone che dicono una tale fandonia mentono in tal modo sul partito e sul Potere sovietico?
Ma cosa ne segue da tutto questo?
Ne segue che la questione delle "forbici", la questione della liquidazione delle "forbici" deve ora essere posta in modo nuovo. Ne segue che se il movimento colcosiano crescerà ai ritmi odierni, le "forbici" saranno distrutte nel più breve tempo. Ne segue che la questione dei rapporti tra città e campagna si pone su un terreno nuovo, che la contrapposizione tra città e campagna sarà scalzata a ritmo accelerato.
Compagni, questa circostanza ha il più grande valore per l'intera nostra edificazione. Essa riforma la psicologia del contadino e rivolge il suo volto verso la città. Essa crea il terreno per la distruzione della contrapposizione tra la città e la campagna. Essa crea il terreno necessario affinché la parola d'ordine del partito "verso la campagna" si completi con la parola d'ordine dei contadini colcosiani "verso la città".
In questo non c'è niente di straordinario dato che ora il contadino riceve dalla città la macchina, il trattore, l'agronomo, l'organizzatore e, infine, un diretto aiuto per la lotta e il superamento dei kulaki. Il contadino del vecchio tipo, con la sua bestiale sfiducia verso la città come verso un predatore, passa ora in secondo piano. Lo sostituisce un nuovo contadino, il contadino colcosiano, che guarda alla città con la speranza di ricevere da qui un reale aiuto produttivo. Al posto del contadino di vecchio tipo, che temeva di sprofondare nella povertà e solo furtivamente di elevarsi alla posizione del kulak (mi possono privare del diritto elettorale!), si ha un nuovo contadino che dispone di una nuova prospettiva - di entrare nel colcos e di uscire dalla miseria e dall'ignoranza per porsi sull'ampia via di una ripresa economica e culturale.
Ecco come la cosa viene a trasformarsi, compagni.
È così increscioso, compagni, che i nostri teorici agrari non abbiano preso tutte le misure per fare piazza pulita ed estirpare dalle radici tutte le possibili teorie borghesi che cercano di smitizzare le conquiste della Rivoluzione d'Ottobre e il crescente movimento colcosiano.

V - Sulla natura dei colcos
I colcos, come tipo di economia, sono una delle forme dell'economia socialista. Di questo non può esserci alcun dubbio.
Uno degli oratori è qui intervenuto anche smitizzando i colcos. Egli credeva che i colcos, come organizzazioni economiche, non avessero niente in comune con una forma socialista di economia. Io devo dichiarare, compagni, che una tale caratteristica dei colcos è del tutto erronea. Non può esserci dubbio che essa, questa caratteristica, non ha niente in comune con la realtà.
Con che cosa si determina un tipo di economia? È evidente, dai rapporti degli uomini nel processo della produzione. Con che cos'altro, pure, si può determinare un tipo di economia? Ma davvero nel colcos si ha una classe di persone che sono proprietarie dei mezzi di produzione e una classe di persone che sono prive di questi mezzi di produzione? Davvero nel colcos si ha una classe di sfruttatori e una classe di sfruttati? Davvero il colcos non rappresenta una socializzazione dei fondamentali mezzi di produzione su di una terra che appartiene allo Stato? Che ragione si ha di affermare che i colcos, come tipo di economia, non rappresentano una delle forme dell'economia socialista?
Certo, nei colcos si hanno delle contraddizioni. Certo, nei colcos si hanno sopravvivenze individualistiche e persino kulake che ancora non hanno perso vigore ma che senz'altro devono decadere col passare del tempo, a misura del rafforzamento dei colcos e a misura della loro macchinalizzazione. Ma davvero si può negare che i colcos, nel loro insieme, presi tutti con le loro contraddizioni e insufficienze, i colcos, come fatto economico, rappresentano in sostanza una nuova via di sviluppo delle campagne, una via di sviluppo socialista delle campagne in contrapposizione alla via kulaka e capitalistica di sviluppo? Davvero si può negare che i colcos (e parlo dei colcos, non degli pseudocolcos) rappresentino nelle nostre condizioni la base e la leva dell'edificazione socialista nelle campagne, cresciute in disperate battaglie contro gli elementi capitalistici?
Non è forse chiaro che i tentativi di alcuni compagni di smitizzare i colcos e di dichiararli come una forma borghese di economia sono privi di qualsiasi fondamento?
Nel 1923 da noi ancora non c'era un movimento colcosiano di massa. Nel suo opuscolo "Sulla cooperazione" Lenin aveva presenti tutte le forme della cooperazione, sia le sue forme inferiori (di fornitura e di vendita), sia le superiori (forma colcosiana). Che cosa egli disse allora sulla cooperazione, sulle imprese cooperative? Ecco una citazione dall'opuscolo di Lenin "Sulla cooperazione":
"Nel nostro esistente sistema le imprese cooperative si distinguono dalle imprese capitalistiche private come imprese collettive, ma non si distinguono dalle imprese socialiste se esse sono basate sulla terra e con i mezzi di produzione che appartengono allo Stato, cioè alla classe operaia".
Dunque, Lenin prende le imprese cooperative non di per sé, ma in rapporto con il nostro esistente sistema, in rapporto con il fatto che esse funzionano su di una terra che appartiene allo Stato, in un paese dove i mezzi di produzione appartengono allo Stato e poi, considerandoli in tale ordine, Lenin afferma anche che le imprese cooperative non si distinguono dalle imprese socialiste.
Così dice Lenin delle imprese cooperative in generale.
Non è forse chiaro che a maggior ragione la stessa cosa si può dire dei colcos del nostro periodo?
Con il che, tra l'altro, si spiega anche il fatto che Lenin ritiene la "semplice crescita della cooperazione", nelle nostre condizioni, come "identica alla crescita del socialismo".
Vedete dunque anche voi che, smitizzando i colcos, il succitato oratore ha compiuto un grossolano errore contro il leninismo.
Da questo errore poi deriva un altro suo errore e che riguarda la lotta di classe nei colcos. L'oratore ha così bellamente dipinto la lotta di classe nei colcos che si potrebbe pensare che la lotta di classe all'interno dei colcos non si distingua affatto dalla lotta di classe al di fuori dei colcos. Inoltre, si potrebbe pensare che essa diventi là ancor più esasperata. Del resto non soltanto l'oratore citato ha peccato in questa faccenda. Le chiacchiere sulla lotta di classe, gli squittii e le strida riguardo alla lotta di classe nei colcos costituiscono ora un tratto caratteristico di tutti i nostri strilloni "di sinistra". Al tempo stesso ciò che è più comico in questo squittìo è che questi pigoloni "vedono" la lotta di classe là dove essa non c'è o quasi non esiste, ma non la vedono laddove essa esiste e trabocca.
Ci sono elementi di lotta di classe nei colcos? Sì, ci sono. Non possono non esserci elementi di lotta di classe nei colcos se in essi ancora si conservano sopravvivenze di psicologia individualistica o persino kulaka, se in essi è ancora presente una certa ineguaglianza di condizione materiale. Si può forse dire che nei colcos la lotta di classe è equivalente alla lotta di classe al di fuori dei colcos? No, non lo si può. Proprio in questo consiste l'errore dei nostri parolai "di sinistra", - che essi non vedono questa differenza.
Che cosa significa la lotta di classe al di fuori dei colcos, prima della formazione dei colcos? Significa lotta contro un kulak che possiede gli strumenti e i mezzi di produzione e che soggioga a sé i contadini poveri con l'aiuto di questi strumenti e mezzi di produzione. Questa lotta rappresenta una lotta non già per la vita, ma per la morte.
E che cosa significa la lotta di classe sulla base dei colcos? Significa innanzitutto che il kulak è stato sconfitto e privato degli strumenti e dei mezzi di produzione. Significa, in secondo luogo, che i contadini poveri e medi si sono riuniti nei colcos sulla base di una socializzazione dei principali strumenti e mezzi di produzione. Significa, infine, che la questione riguarda la lotta tra gli stessi membri dei colcos, dei quali gli uni non si sono ancora liberati delle sopravvivenze individualistiche e kulake e cercano di utilizzare a proprio vantaggio una certa ineguaglianza presente nei colcos, mentre gli altri desiderano sradicare dai colcos queste sopravvivenze e questa ineguaglianza. Non è forse chiaro che soltanto dei ciechi non possono vedere la differenza tra la lotta di classe sulla base dei colcos e la lotta di classe al di fuori dei colcos?
Sarebbe sbagliato credere che una volta dati i colcos si sia fatto tutto il necessario per la costruzione del socialismo. E tanto più sbagliato sarebbe credere che i membri dei colcos si siano trasformati in socialisti. No, occorre ancora lavorare molto per riformare il contadino colcosiano, per correggere la sua psicologia individualistica e farne cosi un autentico lavoratore della società socialista. Questo sarà fatto tanto più rapidamente quanto più rapidamente i colcos saranno meccanizzati e quanto più rapidamente essi saranno trattorizzati. Il che però non sminuisce affatto la grandissima importanza dei colcos quale leva di una trasformazione socialista delle campagne. La grande importanza dei colcos consiste proprio nel fatto che essi rappresentano la principale base per l'applicazione di macchine e trattori nell'agricoltura, nel fatto che essi costituiscono la principale base per una riforma del contadino, per una rielaborazione della sua psicologia nello spirito del socialismo. Lenin aveva ragione quando disse:
"L'opera di rielaborazione del piccolo agricoltore, di rielaborazione di tutta la sua psicologia e delle usanze, è opera che richiederà delle generazioni. Risolvere questa questione nei riguardi del piccolo agricoltore, risanare per cosi dire tutta la sua psicologia, lo può soltanto la base materiale, la tecnica, l'impiego di trattori e di macchine nell'agricoltura su scala di massa, l'elettrificazione su scala di massa".
Come si può negare che i colcos siano propriamente quella forma di economia socialista attraverso la quale è solo possibile che si associno molti milioni di piccoli contadini individuali alla grande azienda, con le sue macchine e i suoi trattori quali leve di una ripresa economica, quali leve di uno sviluppo socialista dell'agricoltura?
I nostri parolai "di sinistra" di tutto questo se ne sono dimenticati.
Come pure, anche il nostro oratore se n'è dimenticato.

VI - Gli spostamenti di classe e la svolta nella politica del Partito
Infine la questione degli spostamenti di classe presenti nel paese e dell'offensiva del socialismo contro gli elementi capitalistici delle campagne.
Nell'ultimo anno il tratto caratteristico del lavoro del nostro partito consiste nel fatto che noi, come partito e come Potere sovietico:
a) abbiamo dispiegato una offensiva sull'intero fronte contro gli elementi capitalistici delle campagne,
b) questa offensiva ha dato e continua a dare, come è noto, dei risultati positivi assai sensibili.
Che cosa significa questo? Questo significa che dalla politica di limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki noi siamo passati ad una politica di liquidazione dei kulaki come classe. Il che significa che noi abbiamo eseguito e continuiamo ad eseguire una delle decisive svolte in tutta la nostra politica.
Fino agli ultimi tempi il partito stava su di una posizione di limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki. È noto che questa politica venne proclamata ancora all'VIII Congresso del partito. Essa, questa stessa politica, venne nuovamente sollevata quando vi fu la introduzione della NEP e all'XI Congresso del nostro partito. È a tutti memorabile la nota lettera di Lenin sulle tesi di Preobrazenskij (1922), dove egli ritorna nuovamente sulla questione della necessità di condurre propriamente una tale politica. Essa infine venne confermata dal XV Congresso del nostro partito e noi l'abbiamo perseguita fino agli ultimi tempi.
Era forse giusta questa politica? Sì, essa era allora indiscutibilmente giusta. Avremmo potuto noi cinque o tre anni fa intraprendere una tale offensiva contro i kulaki? Avremmo potuto noi allora far conto su un successo di tale offensiva? No, non avremmo potuto. Sarebbe stato il più pernicioso avventurismo. Sarebbe stato il più pernicioso gioco all'offensiva. E questo perché senz'altro avremmo fatto fiasco su questo e, fatto ciò, avremmo rafforzate le posizioni dei kulaki. Perché? Perché da noi ancora non c'erano quei punti d'appoggio nelle campagne nella forma di un'ampia rete di sovcos e di colcos su cui sarebbe stato possibile basarsi in una risolutiva offensiva contro i kulaki. Perché noi allora non avevamo la possibilità di sostituire la produzione capitalistica del kulak con la produzione socialista dei colcos e dei sovcos.
Negli anni 1926-1927 l'opposizione trotzkista-zinovievista impose con forza al partito una politica di immediata offensiva contro i kulaki. Il partito però non si avviò verso questa pericolosa avventura, poiché esso sapeva che le persone serie non possono permettersi di giocare all'offensiva. L'offensiva contro i kulaki è una cosa seria. Non la si può confondere con una declamazione contro i kulaki. E non la si può altresì confondere con una politica di scalfimento dei kulaki a cui con forza l'opposizione trotzkista-zinovievista voleva legare il partito. Fare una offensiva contro i kulaki significa piegare i kulaki e liquidarli come classe. Al di fuori di questi scopi l'offensiva non è che una declamazione, una scalfitura e una vuotaggine; tutto ciò che è desiderabile è soltanto una autentica offensiva bolscevica. Fare una offensiva contro i kulaki significa predisporsi alla cosa e colpire i kulaki, ma colpirli in modo che essi non possano più risollevarsi in piedi. Questo si chiama da noi, da noi bolscevichi, una autentica offensiva. Avremmo potuto noi, cinque o tre anni fa, intraprendere una tale offensiva facendo conto su di un successo? No, non avremmo potuto.
In realtà il kulak nel 1927 produceva più di 600 milioni di pudy di grano, e di questa somma ne vendeva al di fuori del villaggio circa 130 milioni di pudy. Questa è una cosa abbastanza seria e con la quale non si può non fare i conti. E quanto producevano allora i nostri colcos e sovcos? Circa 80 milioni di pudy, dei quali venivano portati sul mercato (grano commerciale) circa 35 milioni di pudy.
Giudicate voi, - potevamo allora sostituire la produzione del kulak e il grano commerciale del kulak con la produzione e il grano commerciale dei colcos e dei sovcos? È chiaro che non potevamo.
Che cosa avrebbe significato in tali condizioni intraprendere una offensiva risolutiva contro i kulaki? Avrebbe senz'altro significato fare fiasco, rafforzare le posizioni dei kulaki e rimanere senza più grano. Ecco perché noi non potevamo e non dovevamo allora intraprendere una risolutiva offensiva contro i kulaki malgrado le avventuristiche declamazioni della opposizione trotzkista-zinovievista.
E oggi? Come stanno oggi le cose? Oggi da noi si ha una sufficiente base materiale per colpire i kulaki, per piegare la loro resistenza, per liquidarli come classe e per sostituire la loro produzione con la produzione dei colcos e dei sovcos. È noto che nel 1929 la produzione di grano, nei colcos e nei sovcos, costituiva non meno di 400 milioni di pudy (200 milioni di pudy in meno della produzione complessiva dell'economia kulak nel 1927). È noto - poi che nel 1929 i colcos e i sovcos hanno prodotto grano commerciale per più di 130 milioni di pudy (cioè più che il kulak nel 1927). È noto infine che nel 1930 la produzione complessiva di grano dei colcos e dei sovcos sarà non meno di 900 milioni di pudy (cioè più che la produzione complessiva del kulak nel 1927), mentre essi produrranno grano commerciale per non meno di 400 milioni di pudy (cioè incomparabilmente più che il kulak nel 1927).
Così da noi stanno oggi le cose, compagni.
Ecco quale spostamento si è da noi prodotto nell'economia del paese.
Come vedete, da noi oggi, si ha la base materiale necessaria a sostituire la produzione del kulak con la produzione dei colcos e dei sovcos. E proprio per questo la nostra risoluta offensiva contro i kulaki ha oggi un indubbio successo.
Ecco come occorre lanciare l'offensiva contro i kulaki se si vuol parlare di una offensiva reale e risolutiva e non invece limitarsi a una vacua declamazione contro i kulaki.
Ecco perché negli ultimi tempi si è passati da una politica di limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki a una politica di liquidazione dei kulaki come classe.
Ma come fare con la politica di dekulakizzazione, - si può forse permettere la dekulakizzazione nelle regioni a collettivizzazione integrale?, ci chiedono da più parti. È una domanda ridicola! La dekulakizzazione non si poteva permettere fintanto che noi stavamo sul punto di vista di una limitazione delle tendenze sfruttatrici dei kulaki, fintanto che noi non avevamo la possibilità di passare ad una risoluta offensiva contro i kulaki, fintanto che da noi non c'era la possibilità di sostituire la produzione del kulak con la produzione dei colcos e dei sovcos. Allora la politica di inammissibilità della dekulakizzazione era necessaria e giusta. Ma oggi? Oggi è un'altra cosa. Oggi noi abbiamo la possibilità di condurre una risoluta offensiva contro i kulaki, di piegare la loro resistenza, di liquidarli come classe e di sostituire la loro produzione con la produzione dei colcos e dei sovcos. Oggi la dekulakizzazione viene svolta dalle stesse masse dei contadini poveri e medi che attuano la collettivizzazione integrale. Oggi la dekulakizzazione nelle regioni a collettivizzazione integrale non è più una semplice misura amministrativa. Oggi la dekulakizzazione rappresenta laggiù una parte integrante della formazione e dello sviluppo dei colcos. Per cui è ridicolo e non serio diffonderci ora sulla dekulakizzazione. Dove non c'è rimedio il pianto è vano.
Non meno ridicola appare un'altra questione: che si possa lasciar entrare il kulak nel colcos. Certo che non lo si può far entrare nel colcos. E non si può perché egli è un nemico giurato del movimento colcosiano.
Conclusioni
Tali sono, compagni, le sei questioni nodali oltre le quali non può passare il lavoro teorico dei nostri agrari-marxisti.
L'importanza di queste questioni consiste innanzitutto nel fatto che la loro elaborazione marxista offre la possibilità di svellere dalle radici ogni sorta di teorie borghesi talvolta diffuse - con nostro fastidio - dai nostri stessi compagni comunisti e che intasano le teste dei nostri pratici. Ma sradicare queste teorie e spazzarle via si sarebbe dovuto ormai da tempo. E questo perché soltanto in una intransigente lotta contro queste e consimili teorie può crescere e rafforzarsi il pensiero teorico degli agrari-marxisti.
L'importanza di queste questioni, infine, consiste nel fatto che esse conferiscono un volto nuovo ai vecchi problemi dell'economia del periodo di transizione. In un modo nuovo si pone ora la questione della NEP, delle classi, dei colcos e della economia del periodo di transizione.
Occorre svelare l'errore di coloro che intendono la NEP come un arretramento e soltanto come un arretramento. In realtà Lenin, ancora quando la Nuova Politica Economica venne introdotta, disse che la NEP non si esaurisce affatto in un arretramento, ma che essa significa con ciò stesso una preparazione per una nuova e risoluta offensiva contro gli elementi capitalistici della città e della campagna.
Occorre poi svelare l'errore di coloro che credono che la NEP sia necessaria soltanto per il legame tra la città e la campagna. A noi non è necessario un qualsiasi legame tra la città e la campagna. A noi è invece necessario un legame che assicuri la vittoria del socialismo. E se noi sosteniamo la NEP, questo è perché essa serve la causa del socialismo. Ma quando essa cesserà di servire la causa del socialismo noi la manderemo al diavolo. Lenin disse che la NEP va introdotta sul serio e per lungo tempo. Ma egli non disse mai che la NEP va introdotta per sempre.
Occorre altresì porre la questione di una popolarizzazione della teoria marxista della riproduzione. Occorre elaborare la questione dello schema di costruzione del bilancio della nostra economia nazionale. Quello che nel 1926 la Direzione Centrale di Statistica ha pubblicato in forma di bilancio dell'economia nazionale non è un bilancio ma un gioco di cifre. E così pure non serve il metodo con cui Bazarov e Groman trattano il problema del bilancio dell'economia nazionale. Lo schema del bilancio dell'economia nazionale dell'URSS deve essere elaborato da marxisti rivoluzionari, se essi in generale vogliono occuparsi della elaborazione dei problemi dell'economia del periodo di transizione.
Sarebbe anche bene che i nostri economisti marxisti formassero uno speciale gruppo di studiosi per l'elaborazione dei problemi economici del periodo di transizione così come essi si pongono oggi.