Insoddisfacente la piattaforma degli "stati generali della conoscenza"

Gli "Stati generali della Conoscenza" si sono tenuti a Roma il 17 e 18 maggio.
Nel Comitato promotore dell'iniziativa figurano la FLC-CGIL, le organizzazioni studentesche UdS, ReDS, UdU e "Link", associazioni di professori, dottorandi e ricercatori (fra cui la "Rete 29 aprile"), "Libera", Legambiente e associazioni cattoliche. Esso ha favorito un intenso dibattito, che però non è uscito da binari fortemente riformisti.
L'assemblea ha visto circa 800 partecipanti ("studenti, docenti, ricercatori, lavoratrici e lavoratori precari della conoscenza, dottorandi, genitori insieme ai rappresentanti di associazioni impegnate nella cultura e nel sociale") nel complesso attivi e propositivi. Essa si è articolata in due sedute plenarie e nel lavoro di quattro seminari dai temi: "Conoscenza, Costituzione, diritti e welfare"; "Conoscenza: tempi, luoghi e relazioni per l'apprendimento permanente"; "Conoscenza: modalità, metodologie, processi" e "Conoscenza, sviluppo, lavoro".
La prima cosa che colpisce nel documento di base, nel comunicato finale e nelle relazioni dei seminari è la totale assenza, o quasi, di critiche al governo e a Confindustria che sono, come ben sappiamo, i principali responsabili dello scempio dell'istruzione e della ricerca pubbliche. Certo, si dice che non si è investito in istruzione e ricerca e che il neoliberismo ha fallito, ma questo non esaurisce affatto la questione. Tralasciare il discorso sulle responsabilità del governo e sugli interessi economici che hanno imposto il suddetto scempio (molto ben sentito, invece, dalle lotte dello scorso autunno e non solo) significa non individuare le cause di questa situazione, tanto meno le vie d'uscita.
In generale le relazioni dei seminari si concentrano più su questioni prettamente "tecniche" che politiche, su come realizzare una riforma della didattica, dell'insegnamento e della ricerca. Essenzialmente non si propone che un "cambio di rotta" del tutto interno al capitalismo (mai citato, mai messo in discussione), non viene mai rivolta una critica al "sistema economico" ma soltanto al modello che persegue attualmente. Anche l'ultimo seminario su "Conoscenza, sviluppo, lavoro" viaggia su questi binari e propone un "riposizionamento del sistema produttivo italiano sulla qualità e sulla innovazione". E, per quanto naturalmente condivisibile, il principio qui espresso che "Le politiche della conoscenza non devono essere subalterne al mondo economico, né limitarsi a una risposta puramente adattiva alle richieste del sistema produttivo" (queste parole sono peraltro esplicative del grado di critica al sistema economico in tutti i documenti dell'assemblea), restano parole vuote perché non si dice in che modo è possibile che ciò si realizzi. Sarebbe "bastato", in questa sede, anche condannare esplicitamente la presenza e lo strapotere dei privati all'interno degli organi dirigenti di scuola e università, questione che invece non è stata sfiorata neanche lontanamente.
Condivisibili, anche se risentono delle critiche poc'anzi illustrate, alcune proposte in tema di finanziamenti e welfare (piano straordinario per l'edilizia scolastica, taglio della spesa militare a favore di quella per l'istruzione e la ricerca...).
L'impressione generale che si ha dopo aver letto tutti i documenti è che si tratti di un insieme di "consigli" al capitalismo italiano per realizzare un modello economico che punti più sull'innovazione e sulla ricerca. Argomenti interessanti che venivano lanciati nel documento di base (la critica al "disinvestimento, economico e politico, nei sistemi di istruzione, formazione e ricerca che acuisce la divisione dei cittadini sulla base delle disponibilità economiche, dell'appartenenza sociale, culturale, tecnica e territoriale"; la lotta per la "'ripubblicizzazione' dei sistemi della conoscenza" e "il superamento di ogni forma di precarietà") sono rimasti nel documento di base o sono stati trattati in maniera parziale.
Tra l'altro vi sono alcuni punti assolutamente da respingere, come la mancata critica al federalismo (che anzi pare essere visto favorevolmente), l'appello ad una "forte valorizzazione delle autonomie" (non è chiaro se si intende l'autonomia scolastica e universitaria o quella territoriale, in entrambi i casi inaccettabile), e l'idea per cui "È fondamentale che vi sia un'azione regia da parte delle istituzioni". Come se non si sapesse a chi è in mano il Ministero dell'Istruzione. Ancora più inaccettabile l'esaltazione dell'apprendistato come avviamento naturale al lavoro.
La riforma della didattica, l'accesso all'istruzione e alla conoscenza anche in età avanzata, la stessa riforma del welfare studentesco e gli altri punti molto sentiti dall'assemblea, senz'altro sono importanti, ma al momento attuale ridurre un vasto momento di dibattito come questo ad una discussione (che rischia anche di rivelarsi autoreferenziale) sui metodi tecnici per realizzare questi obiettivi, come se fossero attuabili già domani, significa oggettivamente sprecare non solo tempo, ma anche un momento prezioso per rilanciare la lotta in difesa della scuola e dell'università pubbliche. Deve essere ben chiaro che, senza rovesciare il governo di Berlusconi, Tremonti e Gelmini, senza legare questa lotta a quella in difesa dell'istruzione pubblica, è impossibile ottenere delle conquiste su questo fronte vitale.
Pare che si terranno altre iniziative in autunno che porteranno ad una seconda assemblea nazionale nella primavera dell'anno prossimo. Se i compagni studenti avranno modo di partecipare, perlomeno ad assemblee territoriali, dovranno fare il possibile per illustrare questi punti ed elevare il tiro politico.

1 giugno 2011