Storia, leggi, conquiste e rivendicazioni della Sanità in Italia

PREMESSA
 
Storicamente la concezione della salute come problema riservato esclusivamente alla sfera privata dell'individuo, non presenta, in Italia, in generale incrinature fino alla metà dell'800. Il nascente sistema capitalistico e con esso l'ideologia liberale lascia la cura del benessere fisico alle possibilità di ogni cittadino, limitando l'intervento statale a forme marginali di beneficenza e controllo sociale dei malati poveri.
Nel frattempo le leggi della produzione e del profitto rendono disastrose le condizioni sanitarie dei lavoratori: donne e bambini anche piccolissimi sono sottoposti a un bestiale sfruttamento in fabbrica e nei latifondi, dilaga tra le masse popolari il triplice flagello della malaria, della pellagra e della tubercolosi, anch'esse provocate e aggravate dalla rivoluzione industriale e dal costante processo di urbanizzazione. Logicamente né lo Stato, espressione sempre della classe dominante borghese al potere, né gli imprenditori permettono ai lavoratori di interessarsi in problemi che riguardano la loro salute nei luoghi di lavoro e di vita. D'altra parte l'elevata mortalità infantile, il rischio di carestie ed epidemie generalizzate, l'aumento dei costi delle antiche istituzioni di benificenza-controllo ai poveri, ai malati, ai "folli" costituiscono un problema anche per loro. è verso l'inizio del XIX secolo che si comincia a tollerare in Italia la formazione delle prime associazioni di mutuo soccorso, o mutue. Si tratta di associazioni tra lavoratori che implicano la raccolta di un fondo comune attraverso autocontribuzione allo scopo di assistere i lavoratori in caso di malattia. Quest'ultima significa infatti per il lavoratore perdita di salario, senza il quale egli non può curare la malattia.
E' indubbio che la mutualità volontaria presenta per il sistema sociale borghese vantaggi di cui la borghesia liberale non tarda ad accorgersi. Essa incita al risparmio, alla temperanza e all'affezione al lavoro, il risparmio per lo più capitalizzato in banca, permette investimenti vantaggiosi e viene scaricata di un peso notevole la beneficenza pubblica che i padroni hanno sempre visto come un incitamento al non lavoro. Tipico della mutua è curare soltanto, soltanto riparare la forza-lavoro1, rifiutando qualsiasi scopo preventivo. Essa serve a restituire la forzo lavoro danneggiata a quell'uso che il capitale deve farne e bene o male associa l'operaio alla gestione del capitale sociale e lo coinvolge nella difesa dell'"ordine" capitalistico. D'altra parte è anche vero che i lavoratori in queste associazioni non si limitano a parlare di malattia, ma parlano di condizioni di vita e di lavoro e possono riconoscersi come membri di un'unica classe sociale con obiettivi ed interessi, magari opposti rispetto a quelli della borghesia al potere. Questo è un pericolo sempre presente nella mente degli imprenditori e dei pubblici poteri. Il risultato è un'altalena di permissività e repressioni, con una lunga serie di limitazioni e sospetti: si richiede che le mutue abbiano una forma interclassista, non facciano in nessun modo politica, non raccolgano un numero eccessivo di soci, vi facciano parte comunque i "soci onorari" cioè borghesi ricchi e filantropi, che aiutano a fare quadrare i bilanci e intanto controllano la situazione.
Nonostante il regime repressivo in atto contro qualsiasi forma di associazionismo politico dei lavoratori, le associazioni si vanno moltiplicando. Nella seconda metà dell'800 in Italia sono 1.164 di cui 703 nel nord. Nel 1886 vengono riconosciute dalla legge che esclude dai loro fini l'invalidità (determinata molto spesso dal principale evento patologico per i lavoratori cioè l'infortunio sul lavoro) e la vecchiaia, ed in compenso detta norme tali da permettere lo stretto controllo delle loro attività da parte delle istituzioni e dei padroni. Le spinte dunque vengono in grandissima parte dalle lotte dei lavoratori per "il diritto alla salute" contro lo sfruttamento senza limiti da parte dei padroni e fin dal principio appare chiaro che la salute è un problema essenzialmente sociale e politico determinato dallo scontro tra capitale e lavoro e che il suo controllo dipende dai rapporti di forza tra il proletariato, la borghesia e l'apparato statale in quanto espressione della classe dominante al potere. Dalla legge dell'epoca Crispi fino alla legge 883 del '78 tale scontro continuerà a manifestarsi in tutta evidenza.
Parallelamente alle mutue nascono gli ospedali moderni. Lo sviluppo della scienza medica si accompagna da un lato alle nuove "travolgenti" scoperte scientifiche: dal microscopio, allo stetoscopio, al termometro, alle analisi chimiche dei liquidi biologici, alle tecniche di identificazione dei batteri quali agenti causali delle malattie infettive, alle colture batteriche, agli antibiotici, ai raggi X, dall'altro alla nascita di tecnici superspecializzati che si concentrano negli ospedali. Per questi motivi l'ospedale che era stato in epoca romana, medioevale e rinascimentale essenzialmente luogo di isolamento, controllo, repressione e beneficenza verso le classi sfruttate ed oppresse, si trasforma lentamente in una istituzione pubblica alla quale cominciano ad afferire quei borghesi che, fino ad allora, erano stati curati esclusivamente a domicilio, dai loro medici personali. I medici del territorio, che soltanto le classi ricche potevano permettersi, divengono figure arcaiche e un po' patetiche il cui prestigio diminuisce coll'aumentare del prestigio dei ricercatori, dei medici, dei professori, dei tecnici dei nuovi ospedali. In questi luoghi la salute diviene un problema essenzialmente sanitario e gli interventi statali si concentrano sugli ospedali per aumentare i posti letto, i laboratori, le apparecchiature, gli esami clinici. Questa situazione, caratterizzata dallo sviluppo della medicina specialistica e dalla centralizzazione ospedaliera dell'assistenza sanitaria, che si svolge senza soluzione di continuità, sia pure tra mille contraddizioni, fino ai giorni nostri, conviene a tutti tranne ai malati: ai medici ospedalieri che aumentano potere e denari; all'industria privata che vende apparecchiature sempre più complesse e costose; ai produttori di farmaci, poiché l'atto medico per eccellenza è costituito dalla ricetta; all'autorità statale, che vede nella medicalizzazione e tecnicizzazione della salute una garanzia di ordine pubblico legata alla soppressione e all'occultamento delle componenti politiche e sociali del problema.
La salute diviene una merce da vendere, entrando a pieno titolo a far parte dell'universo del profitto, mentre gli elementi spontanei di autogestione e controllo dell'ambiente, presenti nelle prime associazioni operaie, scompaiono scalzati dalla presunta neutralità della scienza e della tecnologia ospedaliera. Nascono così gli ospedali moderni. Dal secolare calderone comune di assistenza, beneficenza e reclusione dei "pericolosi" (per la maggior parte poveri, "folli", malati e delinquenti) si demarca e si distacca da un lato l'assistenza sanitaria dall'altro il sistema carcerario, i manicomi ed una miriade di istituzioni per il controllo dei "diversi". Ancora oggi i malati di mente, i tossicodipendenti, i ragazzi "difficili" o i "barboni" (accomunati nella stragrande maggioranza dei casi dalla povertà) vengono contesi, sia materialmente che dal punto di vista legislativo, tra le istituzioni carcerarie, manicomiali ed ospedaliere che si ritrovano di nuovo unite, come nel medioevo, nella gestione della repressione, del controllo e dell'isolamento degli individui "socialmente pericolosi" per il regime borghese. Del resto gli ospedali portano ancora le tracce indelebili della loro origine conservando una ferrea gerarchia interna e una terminologia di tipo militare (reparti, divisioni, divise).
Il sistema mutualistico si estende progressivamente a nuove categorie di lavoratori. All'epoca del corporativismo fascista la mutualità di malattia trapassa dal regime volontario a quello obbligatorio; prima per singole categorie (gente di mare e dell'aria, 1929) o per singole malattie (tubercolosi, 1924; malattie professionali, 1935), più tardi in forma generalizzata con la creazione dell'Istituto per l'assistenza di malattia ai lavoratori (1943), che diventerà INAM nel 1947 assorbendo diverse assicurazioni nel frattempo divenute obbligatorie per legge o per forza di contratti collettivi. I padroni hanno compreso che è necessario per ottimizzare il rapporto conservazione-consumo della forza-lavoro controllare attraverso lo Stato, più o meno scopertamente, la mutualità. Il regime fascista da un lato fonda gli enti statali mutualistici dall'altro si scaglia contro le mutue volontarie con inaudita violenza. I medici intanto vengono convenzionati con il pagamento "a quota capitaria" ad avere il maggior numero possibile di assistiti e col pagamento "a notula" ad avere il maggior numero possibile di ammalati.
Nell'immediato dopoguerra la Costituzione democratico borghese sancisce all'art.32 "il diritto alla salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività". E a ben vedere si parla sì di salute come "diritto", ma è sempre diritto "dell'individuo" mentre il generico "interesse della collettività" rimane subordinato a quest'ultimo. L'"assistenza sanitaria e ospedaliera" è tra le materie attribuite alla potestà legislativa e amministrativa delle regioni. Si tratta di una potestà legislativa di tipo "concorrente", nel senso che le regioni legiferano "nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalla Stato". La Costituzione, che rappresenta un compromesso tra il proletariato e la borghesia in ultima analisi favorevole a quest'ultima, rimane a lungo inattuata e, in assenza delle regioni, l'azione pubblica in materia sanitaria viene preposto il ministero della sanità (istituito nel 1958). Il sistema rimane pertanto frazionato tra apparato statale articolato in periferia in vari uffici (medici e veterinari provinciali, ufficiali sanitari, uffici di sanità marittima, aerea e di confine), gli enti ospedalieri, le casse mutue pubbliche (INAM, INPS, INAIL, ENPAS, ENPDEDP, Inadel) e private (mutue aziendali e di categoria), enti territoriali (i comuni competenti per l'assistenza farmaceutica e veterinaria; le province competenti sui laboratori di igiene profilassi, di prevenzione dell'inquinamento atmosferico e di tutela antimalarica e tubercolare) ed altri enti nazionali assistenziali fra i quali l'ONMI, istituto fascista in difesa della razza, per l'assistenza alla maternità e prima infanzia. Il risultato è che non tutti i cittadini italiani hanno diritto all'assistenza sanitaria e che, anche tra gli aventi diritto essa è distribuita in maniera ineguale in base al reddito: un lavoratore dell'industria riceve un trattamento diverso rispetto ad un coltivatore diretto, un mutuato INAM da uno dell'INADEL e cosi via.
Alla vigilia della "riforma sanitaria" del 1978 esistono ancora più di 300 mutue diverse per struttura, amministrazione, normativa e diverse soprattutto nella qualità ed entità delle prestazioni erogate ai propri iscritti. Il principio assicurativo sul quale sono basate comportano due conseguenze: 1) per usufruire dell'assistenza l'assistito deve incorrere nell'evento morboso e deve avere effettivamente bisogno delle cure, bisogno accertabile dall'Ente assicuratore; 2) per usufruire dell'assistenza egli deve dimostrare di essere in possesso delle clausole contrattuali che maturano tale diritto (posizione categoriale o rapporto di lavoro, versamento contributi, diritto all'assistenza per i familiari in ragioni di determinate condizioni economiche, ecc).
Intanto il diritto universale e inalienabile alla salute inizia a fare parte stabilmente del bagaglio delle rivendicazioni del proletariato e delle masse popolari, che si amplieranno in ampiezza e profondità duranti la grande rivolta del '68, l'autunno caldo del '69 e per tutto il decennio successivo fino il grande movimento del '77 e alla "riforma sanitaria" del '78. Essa finalmente, decreterà la morte del sistema mutualistico che era da tempo in crisi, frazionato, corrotto e in perenne bancarotta e che la borghesia stessa aveva interesse, a causa del peso che aveva assunto sul bilancio dello Stato, a rivedere.

 
 
1. LE LOTTE PER LA SALUTE NEGLI ANNI '60 E '70

Le lotte per la salute emergono in tutta la loro ampiezza nella metà degli anni '60. Si profila una svolta storica poiché mentre le lotte precedenti erano state assai più rivolte alla difesa contro le malattie per tutelare la capacità di lavoro le nuove lotte sono contro la nocività del lavoro per tutelare l'integrità della salute. Nel 1964-65 c'era stata la crisi economica durante la quale il padronato aveva attuato una ristrutturazione degli impianti che aveva portato ad una maggiore meccanizzazione, ad un'intensificazione dello sfruttamento della forza-lavoro ed alla conseguente espulsione di mano d'opera dalle aziende. Centinaia di migliaia di lavoratori videro così aggravate le loro condizioni di vita poiché alla sofferenza dovuta alla disoccupazione, all'emigrazione e alla mancanza di alloggi, si aggiungeva quella per l'inesistenza di una rete di assistenza socio-sanitaria pubblica ed accessibile a tutti.
In quegli anni nelle fabbriche, sull'onda delle grandi lotte sindacali e politiche, si manifesta, come fenomeno di massa, una nuova consapevolezza del rapporto lavoro-profitto-malattia e si forma tra i lavoratori una visione autonoma delle relazioni fra scienza, produzione e ambiente. Si stampano, soprattutto nelle grandi fabbriche migliaia di volantini, centinaia di libretti, opuscoli, fascicoli che vengono letti e discussi nelle assemblee generali. Parlano delle condizioni barbare di sfruttamento in una fabbrica, in un reparto, del tema generale lavoro-salute-sfruttamento, delle mille sostanze velenose presenti nelle lavorazioni industriali, si raccolgono dati sull'ecatombe di "omicidi bianchi" e inchieste di vere e proprie stragi industriali. Nel periodo compreso tra la primavera 1968 e l'estate 1969 le lotte operaie, che avvengono per la prima volta anche al di fuori dalle strutture e della linea ufficiale dei sindacati, puntano direttamente all'organizzazione del lavoro, alle condizioni in fabbrica per estendersi a significative lotte generali (le pensioni, i salari, la casa, la scuola, i servizi sociali, i trasporti etc.). In questo periodo i lavoratori mettono in discussione e rifiutano la monetizzazione del rischio e la delega ai tecnici e lottano in prima persona per il controllo delle condizioni di lavoro e delle norme di sicurezza. La salute è, come il salario, rivendicata "variabile indipendente", ossia deve essere sganciata dalla produttività aziendale. Gli operai si riuniscono in assemblee generali, riscoprono la democrazia diretta e conquistano un nuovo e più democratico strumento di lotta, il Consiglio di fabbrica. Il risultato pratico è che, sul piano sindacale, nei contratti di lavoro e poi nello "Statuto dei lavoratori" viene sancito il diritto degli operai di intervenire nella determinazione delle condizioni ambientali in fabbrica e dei tempi, orari, ritmi, turni che incidono sulla salute. Viene identificato un quarto gruppo di nocività (nocività collegate all'organizzazione del lavoro, orari, ritmi, turni e all'alienazione del lavoro) che, aggiungendosi a quelli della nocività ambientale generica, della nocività ambientale specifica e della fatica fisica, determina e autentica finalmente una sofferenza operaia che sta oltre la malattia professionale e l'infortunio di cui alle tabelle assicurative. Nascono i "gruppi operai omogenei" come soggetto reale: produttivo, politico e scientifico. Infine nasce una nuova consapevolezza del rapporto tra fabbrica e "territorio": cioè l'intelligenza della fabbrica quale luogo di massima concentrazione di una nocività complessiva, intesa come sfruttamento capitalistico dell'uomo e dell'ambiente, che si estende in ogni "dove" sociale.
La coscienza del diritto alla salute nasce, come sempre, dalle drammatiche condizioni materiali di vita e di lavoro del proletariato e delle masse popolari. L'epidemia di colera, scoppiata a Napoli nel 1973, è una esplosione di chiarezza catartica, di ribellione generalizzata. A Napoli e in Campania si sviluppa una lotta generalizzata per la salute; da quelle delle ragazze paralizzate dalle colle, a quelle degli operatori della medicina scolastica, da quelle degli operai delle fabbriche, a quelle degli handicappati, da quelle delle donne per "sessualità e maternità cosciente" a quelle dei paramedici per corsi pagati e finalizzati; da quelle per la fine dell'isolamento dei malati mentali nei manicomi-ghetto a quelle per la creazione di centri socio-sanitari e consultori autogestiti nei quartieri popolari. Più in generale sul tema della salute si uniscono gli operai, gli studenti, i lavoratori, le donne e si battono per una sanità pubblica, gratuita, universale basata su strutture gestite dal basso di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione ramificate su tutto il territorio nazionale.
Sotto i colpi della lotta di classe l'ingiusto e discriminatorio sistema mutualistico comincia a morire e nasce l'esigenza di un nuovo sistema sanitario basato sulla realizzazione prioritaria delle unità sanitarie locali come centro della prestazione sanitaria, dei Distretti Sanitari di Base come articolazione operativa territoriale delle Usl, del controllo e della partecipazione dei lavoratori e delle masse popolari sulle strutture sanitarie, della limitazione e progressiva estinzione della medicina privata, della simbiosi tra servizi sanitari e servizi sociali, dell'eliminazione del divario che separa, anche in campo socio-sanitario, il Nord dal Sud del Paese.
In tutto il Paese si lotta per il diritto alla salute, che entra a fare parte da allora e definitivamente degli ideali e degli obiettivi della lotta di classe. Lo scontro tra capitale e lavoro intorno ai problemi della salute si concentra, dalla parte del capitale, sulla medicalizzazione della politica, dalla parte dei lavoratori sulla politicizzazione della medicina, come scelta di classe. Viene criticata la medicina borghese e le sue istituzioni: l'ospedale, il manicomio, le facoltà di medicina.

2. LA CRITICA DELLA MEDICINA BORGHESE

Le classi piccolo borghesi e medio borghesi e gli intellettuali gradualmente si scindono in due campi: da una parte quelli che si schierano con il progresso e il proletariato, dall'altra quelli che si schierano con la reazione, il governo e la classe dominante borghese.
Il vento fresco del '68 entra dovunque e sconvolge, spezzandolo in due, anche il mondo della medicina e della psichiatria.
Forte, e in mille forme, si leva la richiesta della socializzazione della medicina. Nasce un modo nuovo di vedere i problemi della salute sintetizzati nella cosiddetta "medicina sociale''. Chi vi aderisce tenta di capovolgere l'approccio ufficiale ai problemi sanitari della popolazione a favore di un approccio basato sui reali, e spesso drammatici, bisogni delle masse popolari povere. Ciò che la "nuova medicina sociale'' contesta con maggiore forza è la salute intesa come problema individuale e riferita all'organismo biologico: "non ha senso esaminare malattie o problemi sociali in astratto ma è necessario sempre riferirli alle diverse situazioni socio-culturali e più in generale alla divisione in classi della società''; "anche la distinzione tra problemi sociali e sanitari è falsa e arbitraria, ed ha lo scopo di nascondere la realtà, e cioè che tutti i problemi riguardanti la salute sono in primo luogo sociali e politici e determinati dall'oppressione di classe che è alla base del sistema capitalistico''.
Alcuni studi epidemiologici mostrano che la mortalità per bronchite cronica è sette volte più alta tra i lavoratori non specializzati rispetto ai professionisti ed agli amministrativi a reddito elevato, così come la mortalità perinatale, neonatale e infantile colpisce in massima parte le classi povere e le regioni del Sud; analogamente essere anziano costituisce una "malattia sociale'' in una società fondata sulla produttività e la competizione e che non tiene conto dei problemi dell'età avanzata, e degli inabili, nella "pianificazione'' architettonica e urbanistica; ancora, gli incidenti sul lavoro capitano quasi esclusivamente agli operai, molto meno agli impiegati, e per nulla ai padroni della medesima industria; gli incidenti ai bambini sono legati alle condizioni abitative, alla possibilità da parte degli adulti di occuparsene, alla presenza o meno di aree adatte al gioco etc; il problema delle nascite è maggiore per il proletariato e più in generale la salute della donna diventa un problema grave per le donne proletarie sottoposte al duplice sfruttamento tra le mura domestiche e sul posto di lavoro e ad un ulteriore carico di fatica per sopperire alle carenze dell'assistenza sociale e sanitaria.
Dato che la struttura sanitaria e quella che si occupa dell'assistenza e della previdenza sociale sono cresciute in maniera separata e distinta occorre modificare radicalmente la situazione, allo scopo di coordinare ed integrare i due sistemi, riformandoli radicalmente entrambi in direzione di un unico obiettivo: il benessere sociale della popolazione. Insomma si denuncia che la medicina borghese, dal punto di vista biologico, suddivide il paziente in organi e apparati, ciascuno di pertinenza di uno specialista diverso, mentre, anche sotto il profilo sociale, essa sballotta "il malato'' tra tecnici diversi. Il medico che si limita, per scelta o per ignoranza, a curare la malattia senza tenere conto del suo significato in un contesto più ampio, è infatti il medico ideale della classe dominante borghese, un fido garante dell'ordine pubblico: egli si limita infatti a sopprimere l'aspetto di denuncia e di rifiuto implicito nel processo morboso, senza cercare di eliminarne le cause. Perciò la medicina curativa, ufficiale e dominante è sempre e solo la medicina dei sintomi e la classe dominante è salvata da ogni responsabilità nella produzione della malattia in modo che quest'ultima appaia ineluttabile. Che senso ha fabbricare medici e malati disposti ad accettare la malattia come un destino ineluttabile? Ma è proprio in cambio di questa accettazione, di questo consenso che la classe dominate è talora disposta ad elargire i risultati del progresso tecnologico, quando è in grado di farlo, come un "favore'', non come un preciso "dovere''. L'aspetto caritativo è sempre stato l'aspetto di classe. Sui malati degli ospedali vengono sperimentate a livello di massa le nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche. La sperimentazione avviene cosi sulla classe dominata. Rendendosi utili, i malati poveri, pagano almeno in parte la "colpa'' di essere malati, ossia improduttivi. Questo aspetto della medicina istituzionale è legato indissolubilmente alla nascita della stessa istituzione come struttura caritativa.
Gli esponenti della nuova medicina sociale viceversa cominciano a comprendere che se si limita la medicina alle malattie "ufficiali'' sia pure per prevenirle, si eliminano dagli scopi di questa medicina proprio le malattie "sociali'' per eccellenza, cioè gli stati di malessere che compaiono allorché una situazione socioambientale si faccia insostenibile. Tali condizioni non rientrano nelle statistiche di morbosità e tuttavia la loro sempre maggiore importanza ed estensione e la loro ineguale distribuzione nelle diverse classi sociali, ne fanno un problema primario per la medicina sociale. Insomma definire, in accordo con l'ideologia dominante, la salute come "problema sanitario'' e quindi eminentemente medico, equivale a definire "gli incidenti sul lavoro'' come "un problema ortopedico''. Alla epatite virale, al colera o al tifo non si deve più rispondere con l'intervento "tampone'' del medico né con la vaccinazione ma con gli interventi preventivi sul suolo, sulle acque, sulle condizioni abitative, sulle diseguaglianze di classe, di sesso e territoriali in generale e nell'accesso alle prestazioni preventive e curative in particolare.
Analizzando le condizioni di salute degli anziani, delle donne, dei bambini, degli handicappati, dei tossicodipendenti, dei malati mentali, la nocività nei luoghi di lavoro e di vita, o gli incidenti infantili si scopre che anche qui il trattamento si limita all'intervento sulle situazioni singole o al tamponamento dei casi limite trascurando il momento preventivo e collettivo nell'ambiente fisico e sociale. La settorializzazione e frammentazione dell'esistenza, figlia anch'essa della divisioni in classi e della divisione del lavoro, ha il suo riscontro in una miriade di enti, istituzioni, uffici diversi, parassitari e disarticolati dal tessuto sociale il cui scopo ultimo è sempre e solo quello di occultare i disastri di un sistema basato sul massimo profitto, sullo sfruttamento e sulla proprietà privata dei mezzi di produzione .
Il sistema capitalistico è infatti interessato da una parte a consumare, e dall'altra a conservare la forza-lavoro. E alla medicina è affidato il compito di risolvere, nella razionalità scientifica, questa contraddizione del modo di produzione capitalista, che da una parte consuma e spegne la forza-lavoro, ma dall'altra parte ne ha bisogno per continuare ad alimentare se stessa. Per risolvere questa contraddizione il capitale deve assumere la gestione di tutti i momenti della medicina: la gestione del malato, la gestione del medico, la gestione dell'istituzione, la gestione dell'insegnamento e la gestione della ricerca scientifica ed in particolare medica.
Accanto a ciò il capitale ha sempre cercato in tutti i paesi di egemonizzare il controllo del farmaco poiché nella sua somministrazione scopre un momento di controllo della società. Non solo il farmaco è esclusivamente prodotto secondo le esigenze speculative dell'industria farmaceutica che è a sua volta governata dalle leggi capitalistiche di produzione, ma la sua violenza sulla pelle del malato diviene senza riguardo quando prende la forma della ricetta nella quale si materializza la connivenza tra il capitale dell'industria farmaceutica e la medicina borghese. Il sistema detta dunque alla medicina e al medico alcuni compiti: riparare la forza-lavoro, obliterare i danni prodotti dal sistema, mascherarne la responsabilità, deviare le domande insoddisfatte dei beni sociali, fungere da tranquillante sociale e così via. Per tali usi il farmaco è l'utensile più versatile; versatile è anche la sua produzione che non a caso si concentra soprattutto sugli ansiolitici, sui sedativi, sugli analgesici, sugli stimolanti, sui ricostituenti e su cose di questo genere. Il farmaco è una forma di violenza sulla realtà nella misura in cui la copre, la nasconde, le toglie voce e capacità di esprimersi.
L'individuo apparentemente confortato dall'assunzione di farmaci è spinto ad interiorizzare i conflitti, le pressioni che lo circondano, in lui nasce la malattia somatica e psichiatrica. Nel momento in cui il farmaco diventa un feticcio miracoloso a questo punto esso non è più soltanto un prodotto dell'industria farmaceutica ma di tutto il sistema, anzi diventa il vero punto d'incontro tra medicina borghese, scienza borghese e capitale.
Per sovvertire questo stato di cose ci si batte affinché la popolazione partecipi alla gestione, alla programmazione e al controllo dei servizi sanitari e sociali, evitando la delega in bianco a tecnici, burocrati o politicanti borghesi, per calare l'organizzazione socio-sanitaria, completamente da rifare, sui bisogni reali delle masse, da esse direttamente espressi. In questo quadro la educazione sanitaria vera è quella che induce alla maggiore partecipazione possibile della popolazione, nel suo diritto alla critica e al dissenso nei confronti di modelli imposti dall'alto e non discussi collettivamente, mentre alcune esperienze pilota di autogestione dei servizi sanitari e sociali sembrano preludere ad una più vasta deistituzionalizzazione della medicina.
Sull'onda della rivolta studentesca vengono occupate diverse facoltà di medicina da dove si sviluppa, anche con il contributo di alcuni professori ed intellettuali progressisti, una critica radicale e generale alle istituzioni centrali della medicina borghese quali gli ospedali, le facoltà di medicina e i manicomi.
In alcuni scritti e documenti della fine degli anni '70, per esempio si legge: "la classe dominante dopo aver creato la propria medicina ha creato anche un modo per essere medici ed un modo per essere malati. E ha istituito l'università come fabbrica del medico di classe e l'istituzione ospedaliera come fabbrica del malato di classe. In base a tali presupposti, non pare allora strano che l'università appaia incomprensibile sul piano dell'apprendimento e dell'efficienza, ne appare semplice negligenza lo stravolgimento della vita del ricoverato e la negazione dei suoi più elementari diritti. Una logica interna connette queste apparenti `anomalie', la logica di classe. Perciò diventa ingenuo chiedersi perché agli studenti si parla di nozioni, o al più di contenuti e non di metodo, perché ai malati si dà il cibo scadente ad ore stravaganti se non si comprende che il medico ideale per la classe dominante è un medico che, in ospedale, non si occupa della situazione del malato nell'istituzione, dell'igiene, dei servizi, del vitto ecc, si disinteressa dell'edilizia, sia o meno follemente irrazionale nei confronti dei malati che devono abitare nell'ospedale per un più o meno lungo periodo, ignora i problemi del personale tecnico ed infermieristico e così via, mentre il docente ideale è quello che si disinteressa dei problemi metodologici (che ignora) e didattici in generale, non si cura di controllare se quanto insegna e il modo in cui insegna sarà in qualche maniera applicabile nella pratica quotidiana e ignora tutti i problemi di ordine economico, lavorativo, familiare, sociale connessi con la malattia. In realtà il malato (e naturalmente il sano) non appartenente alla classe dominante, può rendersi conto quotidianamente che la sua salute, intesa come totale stato di benessere psicofisico, non è né protetta ne tutelata dalla categoria medica. L'esempio quasi emblematico del fatto che alla massima `irrealtà', al minimo potere di intervento reale nella realtà sociale, corrisponde un elevato `prestigio' offerto dalla classe dominante in cambio di un fedele appoggio e di una autoritaria difesa dei suoi principi è costituito senza dubbio dal tradizionale direttore di istituto universitario, la cui carriera non raramente è determinata dall'affiliazione alla massoneria'' "Del resto la semplice denuncia di tali situazioni, senza la ricerca dei rapporti interni che ne permettono e ne giustificano la sopravvivenza, ha puro valore caritativo: anche in questo caso si guarda al sintomo, non alla causa della disfunzione. Naturalmente è ancora più ingenuo aspettarsi cambiamenti reali dalle riforme di struttura (propagandate dal PCI, ndr), che del resto arrivano sempre in ritardo: con le riforme sarà possibile ottenere forse dei progressi formali....''(G. Bert, il medico immaginario e il malato per forza, Edizione medicina e potere, p.152)
è quanto avverrà puntualmente con la legge di "riforma'' 883 che in nessun modo riuscirà a scalfire la logica settoriale, iperspecialistica, gerarchica, feudale, alienante, antistudentesca ed antipopolare sulla quale sono fondati gli ospedali e le facoltà di medicina della classe dominante borghese.

3. IL COMPROMESSO DELLA LEGGE 883 DEL '78 CHE ISTITUIVA IL SSN

Il DPR 616 del 1977 trasferisce alle regioni, tra le altre, le funzioni relative all'"assistenza sanitaria ed ospedaliera'' oltre ad agricoltura e foreste, conservazione del suolo, urbanistica, viabilità, acquedotti e così via. Viene attuato il decentramento amministrativo delle funzioni inerenti la salute pubblica; nello stesso anno le mutue vengono sciolte definitivamente. Per la prima volta la salute diviene ufficialmente uno "stato di benessere'' e si parla di prevenzione, di igiene e sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro. La salute diviene formalmente e in via di enunciazione un problema collettivo e non privato e individuale; un diritto di tutti e non una beneficenza fatta ai poveri; un problema di prevenzione più che di riparazione; è il preludio alla "riforma sanitaria'' che viene partorita, sotto l'influsso ancora potente delle grandi lotte studentesche ed operaie del '68-69 per il diritto alla salute, dopo una gestazione durata almeno un trentennio, nel dicembre del 1978 con la prima legge quadro in materia del nostro Paese, la n. 883, che istituirà il servizio sanitario nazionale. Primo ministro era Andreotti (DC) e il ministero della sanità era diretto da Tina Anselmi (DC). Il PCI appoggiava dall'esterno il governo cosiddetto di "solidarietà nazionale''.
Esso si pone obiettivi ambiziosi in tema di educazione sanitaria, prevenzione, cura e riabilitazione degli eventi morbosi, riabilitazione degli stati di invalidità e inabilità, promozione della salubrità degli ambienti di vita e di lavoro, igiene degli alimenti, disciplina e informazione in tema di farmaci, formazione e aggiornamento del personale, nonché il superamento degli squilibri territoriali nelle condizioni socio-sanitarie del paese e l'uniformità delle condizioni di salute sul territorio nazionale (art.2). Vengono delineati alcuni progetti-obiettivo come "la sicurezza del lavoro, la tutela materno-infantile, la tutela della salute degli anziani e della salute mentale, l'eliminazione degli inquinanti''. Sono esplicitamente sanciti - sia pure sulla carta - l'uguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio, la partecipazione dei cittadini, il "collegamento e il coordinamento con gli organi, centri, istituzioni e servizi che svolgono nel settore sociale attività incidenti sullo stato di salute individuale e sociale''. Il metodo è quello della programmazione degli interventi da parte dello Stato e delle regioni. Vengono istituite le Unità sanitarie locali (Usl), in un ambito di 50.000-200.000 abitanti, intese "come il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni e delle comunità montane, i quali in un determinato ambito territoriale assolvono ai compiti del Servizio sanitario nazionale'' (SSN). Esse provvedono all'educazione sanitaria, all'igiene ambientale, alla prevenzione individuale e collettiva delle malattie fisiche e psichiche, alla protezione sanitaria materno-infantile, all'assistenza pediatrica e alla tutela del diritto alla "procreazione'' cosciente e responsabile, all'igiene scolastica in tutte le scuole, all'igiene e medicina del lavoro, alla prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, alla medicina dello sport, all'assistenza medico-generica e medico specialistica (infermieristica, ambulatoriale e domiciliare), all'assistenza ospedaliera, alla riabilitazione, all'assistenza farmaceutica e alla vigilanza sulle farmacie, all'igiene della produzione, lavorazione, distribuzione e commercio degli alimenti e delle bevande, alla medicina veterinaria, alle prestazioni medico-legali (art.14). Le USL vengono a loro volta articolate in distretti sanitari di base (in un ambito di 10.000-20.000 abitanti). Le Usl debbono "coincidere con gli ambiti di gestione dei servizi sociali'' (art.11).
La salute diviene dunque, sulla carta, un diritto inalienabile ed universale che lo Stato attraverso il Servizio sanitario nazionale dovrebbe garantire a tutti a prescindere dal reddito.
Tuttavia per comprendere più a fondo il significato delle legge 883 è indispensabile ricordare che essa è stata il frutto di un compromesso tra gli interessi del capitalismo monopolistico di Stato e i bisogni delle masse popolari rivendicati in un decennio di lotta al sistema, compromesso, in ultima analisi, sfavorevole al proletariato. Vedremo infatti nel prossimo paragrafo che la legge accoglierà solo parzialmente le rivendicazioni popolari in tema di salute preoccupandosi molto di più di escludere, deformare e rendere inattuabili quelle più avanzate e rivoluzionarie.
Il PCI revisionista e tutti i riformisti, difendendo a spada tratta questa legge e più in generale venerando lo Stato borghese (ed in particolare lo "Stato sociale'' borghese) come un'entità astratta e neutrale rispetto alle classi in lotta, contribuirono ad illudere il proletariato circa la possibilità di risolvere nell'ambito del sistema capitalistico le contraddizioni inconciliabili tra capitale e lavoro, tra profitto e sfruttamento, tra "diritto'' al profitto e diritto alla salute, tra proletariato e borghesia, tra medicina borghese e medicina proletaria, che viceversa non possono, fino in fondo e definitivamente, essere risolte che con la conquista del potere politico da parte del proletariato, con la distruzione della macchina statale borghese e con essa di tutta la sua sovrastruttura politica e giuridica.
 
LA SALUTE NEGLI AMBIENTI DI LAVORO

I lavoratori più avanzati rivendicano un'efficace medicina preventiva e l'adozione di adeguati strumenti di indagine e controllo degli impianti e della produzione al fine di individuare ed eliminare alle radici le cause delle malattie professionali e gli infortuni
Il riconoscimento del principio della partecipazione diretta dei lavoratori alla difesa della propria salute avviene al termine della stagione 1968-1969, quando il potere contrattuale della classe operaia è molto elevata, dopo le lotte per il rinnovo dei contratti condotte nell'autunno del '69 sull'onda della Grande rivolta del '68. Nel pieno dell'"autunno caldo'', la classe operaia italiana pone, al centro della lotta per la salute in fabbrica, il miglioramento dell'ambiente di lavoro e la difesa dell'integrità psico-fisica dei lavoratori dai rischi infortunistici e da malattie professionali e la convinzione che solo l'esperienza diretta, collettiva, dei lavoratori sottoposti ogni giorno a ritmi massacranti di lavoro in ambienti nocivi, poteva costituire un metro valido per misurare le ripercussioni che quei metodi di produzione avevano sulla salute dei lavoratori stessi. La valutazione degli effetti sulla salute dei diversi fattori di rischio individuati e la realizzazione delle cosiddette "mappe di rischio'' non doveva essere delegata dal "gruppo omogeneo'', cioè dal gruppo di lavoratori addetti alla stessa mansione ed esposti alla medesima condizione di lavoro, ai tecnici o ai medici di parte (aziendali) o che non avessero esperienza diretta delle situazioni di lavoro.
Di qui la lotta si allarga alla rivendicazione di un SSN che avrebbe dovuto prevedere la creazione di una rete diffusa di servizi socio-sanitari a livello territoriale presso ogni Usl tra cui quelli fondamentali di medicina preventiva a cui affidare il compito di promuovere l'intervento di bonifica e il controllo sui luoghi di lavoro.
Lo "Statuto dei lavoratori'', la legge 300/1970, recepisce in parte le richieste dei lavoratori ed afferma all'art. 9: "i lavoratori, mediante loro rappresentanza, hanno il diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica'' 2. A partire dallo stesso anno nascono spontaneamente, in varie regioni, dei "servizi di medicina del lavoro'' sul territorio, legati alle fabbriche. Tali servizi intendono privilegiare gli interventi di prevenzione primaria, l'intervento diretto dei lavoratori nella gestione della salute, far uscire gli operatori sanitari e sociali dall'arroccamento nelle cliniche del lavoro e negli ospedali per renderli capaci di agire sul territorio e in fabbrica, definire le cosiddette mappe di rischio. Molto importante è anche la rivendicazione della piena retribuzione salariale e della conservazione del posto di lavoro in caso di infortunio, malattia professionale, maternità e malattia in generale fino a completa guarigione e ristabilimento e l'estensione per le lavoratrici partorienti del congedo di parto a 4 mesi prima e 6 mesi dopo il parto con il diritto in questo periodo al salario pieno.
Con la legge 883 la tutela della salute dei lavoratori viene affidata esplicitamente alle Unità sanitarie locali, le quali "organizzano propri servizi di igiene ambientale e medicina del lavoro anche prevedendo ove non esistano, presidi all'interno delle unità produttive'' (art.21). "Il prefetto su proposta del presidente della regione stabilisce quali addetti ai servizi delle Usl ed a quelli multizonali assumono qualifica di `ufficiale di polizia giudiziaria', in relazione alle funzioni ispettive e di controllo relativamente all'applicazione della legislazione sulla sicurezza del lavoro''. Questi ultimi andranno a sostituire i vecchi ispettori del lavoro. Le ispezioni sul lavoro da parte delle Usl, secondo la 883, riguardano esclusivamente "la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro'', mentre quelle riguardanti più in generale le condizioni di lavoro (orario, lavoro dei minori etc.) restano di competenza dello Stato (viene però garantita ai padroni "la tutela del segreto industriale'').
La regione istituisce anche "i presidi multizonali per il controllo e la tutela dell'igiene ambientale, e la prevenzione degli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, prevedendo le forme di coordinamento di tali presidi con le Usl''. Viene approvato il modello di libretto sanitario personale, da distribuire a tutti i cittadini, comprendente l'eventuale esposizione a rischi in relazione alle condizioni di vita e di lavoro (art.27).
Come si vede con la legge 883 formalmente la sicurezza e la tutela della salute sul posto di lavoro acquista un'importanza primaria, estesa a tutti i settori di attività e non limitata alla fabbrica. Ma a guardare più a fondo c'è da notare che su questo aspetto la legge (al di là del fallimento alla quale sarà condannata dalla inefficienza, incapacità e corruzione dilagante dei "comitati di gestione delle Usl'' e dal progressivo svilupparsi della linea filopadronale dei sindacati confederali nelle fabbriche) non protegge quasi per niente i lavoratori dell'agricoltura, dell'edilizia, e i lavoratori delle aziende sotto i 15 dipendenti che hanno un potere contrattuale e sindacale molto limitato e non sono protetti dallo "Statuto dei lavoratori''. Altrettanto non garantiti dalla legge sono tutti i lavoratori nei periodi di crisi economica quando diventa massimo il ricatto sull'occupazione e sul posto di lavoro e il potere contrattuale dei lavoratori nel campo della salute si riduce notevolmente subordinandosi alla difesa del posto di lavoro. Praticamente inesistente infine sono gli strumenti di controllo e di tutela del lavoro a domicilio e del lavoro nero che in ogni caso sono la principale forma di reclutamento e sfruttamento della manodopera nelle regioni meridionali.
La situazione è talmente evidente che una commissione parlamentare di indagine sul lavoro in Italia nel 1988 sarà costretta a rilevare: 1) l'evasione dilagante degli obblighi di legge in materia di sicurezza del lavoro specie nel settore delle costruzioni e nel vastissimo mondo del lavoro in appalto e subappalto, in particolare al Sud, e delle microimprese; 2) gli elevatissimi tassi di infortuni, anche gravi e mortali, specie in alcuni comparti: edilizia, agricoltura e cantieristica; 3) l'insufficienza strutturale delle attività di vigilanza, dovuta per lo più al sottodimensionamento degli organici (al Centro-Nord) o all'assenza quasi totale (Sud e Isole) della rete dei servizi pubblici di prevenzione; 4) il mancato addestramento e formazione della manodopera giovanile avviata al lavoro con le nuove forme di lavoro a termine o precarie; 5) la scarsa presenza ed incisività dell'azione sindacale; 6) lo scarso controllo e potere contrattuale del sindacato sulle condizioni di lavoro, anche in settori a grande tradizione sindacale, in presenza di situazioni di crisi aziendale e di comparto.
 
LA SALUTE DELLE DONNE E DEI BAMBINI

Le lotte per l'emancipazione della donna si sviluppano in tutti i paesi occidentali, e soprattutto in Italia si intrecciano costantemente con le lotte per la salute.
Le donne si mobilitano in una vera e propria battaglia per "il diritto all'aborto'' che fino ad allora era stato regolarmente criminalizzato e condannato dalla morale dominante e dalle gerarchie ecclesiastiche, oltreché ignorato come fenomeno a livello medico e scientifico. In un paese in cui la stessa contraccezione era un argomento proibito dalla legge, l'aborto non poteva che essere considerata una pratica vergognosa e criminale: un omicidio. Il movimento proletario e femminile impose all'attenzione di tutti il rischio, per la salute della donna, costituito dalla sua obbligata clandestinità, nonché il vero e proprio racket dell'aborto clandestino, nella maggior parte dei casi eseguito in condizioni ad alto rischio.
La grande lotta per "il diritto all'aborto'' si affianca a quella per i consultori autogestiti, che spontaneamente sorgono in varie parti d'Italia, e nei quali il metodo d'intervento è quello di comprendere e spiegare la malattia attraverso il "sociale'', in opposizione all'ambulatorio ginecologico in cui viceversa la malattia si rinchiude sull'apparato riproduttivo della singola donna. Si sottolinea come la condizione lavorativa e sociale della donna condiziona in maniera determinante i rischi dovuti alla gravidanza e al parto (aborto spontaneo, malformazioni, basso peso alla nascita, ipossia, accidenti da parto, mortalità materna).
Da quelle prime esperienze germogliano tante iniziative e rivendicazioni, quali ad esempio la richiesta di potenziare e realizzare nuovi consultori autogestiti, adeguatamente attrezzati, con orari di apertura che tengano conto delle esigenze delle donne lavoratrici, dotarli di sufficiente personale ginecologico per l'apertura giornaliera, rendere pubblici i nomi dei medici obiettori e affiancarli con dei medici non obiettori, pubblicizzare l'esistenza e i servizi dei consultori, realizzare corsi di informazione sessuale e contraccettiva, da tenersi anche nelle scuole, informare circa i mezzi contraccettivi e la loro distribuzione gratuita, snellire le procedure burocratiche per l'aborto e il rilascio del certificato richiesto, senza alcuna intromissione nella vita privata e personale della donna. Si rivendica inoltre l'obbligo dello Stato di assicurare un'adeguata medicina preventiva e un funzionale servizio igienico e di profilassi nelle scuole. Per alleviare la schiavitù del lavoro domestico delle donne e per socializzare la vita dei quartieri si chiede la costruzione di centri sociali e di servizi, asili nido gratuiti e scuole materne in numero adeguato alle richieste di iscrizione.
I consultori autogestiti sono osteggiati fin dall'inizio dalle forze clericali e democristiane, dagli enti ed istituti privati operanti nel campo dell'assistenza sanitaria e sociale , della maternità e dell'infanzia, ed anche dai baroni della medicina. I quali hanno fatto di tutto per impedire che attraverso i consultori si affermasse a livello sociale una concezione della sessualità, dei rapporti uomo-donna e della famiglia più progressista e democratica, libera dai condizionamenti della morale e dell'ideologia cattolica.
Nel 1975 con la legge 698/1975 viene decretato lo scioglimento dell'Onmi, istituzione clerico-fascista, già sommersa dagli scandali per le condizioni indegne di reclusione dei minori ricoverati nei suoi istituti. Nello stesso anno la legge 405 istituiva i nuovi "consultori familiari'' affidandone le norme di funzionamento alle regioni e la gestione ai comuni. Questi consultori istituzionali vengono subito definiti "familiari'' per dare il senso di un servizio volto prettamente alla cura e all'assistenza dei nuclei familiari con prestazioni analoghe sostanzialmente a quelle fornite dall'ex-Onmi o dai consultori cattolici (assistenza sanitaria al puerperio e post-puerperio, visite ginecologiche e pediatriche).
In queste istituzioni le rivendicazioni delle donne vengono accolte in maniera molto parziale: l'accento è posto fortemente sulla famiglia e non sulla donna e tutto sommato gli obiettivi si limitano ad una informazione sulla contraccezione, sulla sessualità e la riproduzione tutt'altro che progressiste e scientifiche e all'assistenza socio-sanitaria per problemi fisici e psico-sociali all'interno di una istituzione che rimane specialistica in problemi femminili e chiusa alla realtà sociale.
Arriva la legge 883 del '78 che affida alle Usl anche "l'assistenza sanitaria materno-infantile, l'assistenza pediatrica e la tutela del diritto alla procreazione cosciente e responsabile'' (art.14). Le attività del consultorio vengono quindi assunte dalle Usl ed "integrate'', sulla carta, con quelle degli altri servizi, sia a livello di base (distretto), che a livello zonale e multizonale (ospedale). La legge inoltre prevede il diritto dei privati di istituire consultori e convenzionarsi con le Usl.
Nello stesso anno arriva la legge 194 sull'aborto che presenta però subito gravi limiti poiché: 1) affida ai consultori familiari i compiti di informazione e supporto all'aborto, con l'obiettivo palese di scoraggiare l'interruzione di gravidanza; 2) l'aborto necessita dell'assenso da parte di chi esercita la patria potestà nel caso di minori di 18 anni, o il ricorso al giudice tutelare quando vi sono difficoltà; 3) sancisce il diritto all'obiezione di coscienza che "esonera il personale sanitario ed ausiliario'' ad applicare una legge dello Stato richiesta dal paziente.
Queste procedure contribuiscono in maniera sostanziale ad affossare il diritto all'aborto, incentivando la continuazione delle pratiche clandestine, il ricorso alle strutture private e il versamento di tangenti per avere il posto in ospedale. Inoltre, negli anni successivi, poco o niente si fa perché i "consultori familiari e materno-infantili'' istituzionali servano al controllo e verifica dell'applicazione della legge sull'aborto e di aiuto concreto alle donne che vogliono interrompere la gravidanza. Sostanzialmente a causa dell'"ambiguità'' delle leggi 883 e 194, e delle palese volontà di disattenderle, le prestazioni legate all'aborto e alla maternità vanno subito peggiorando. Anche i consultori sbandierati ai quattro venti come il servizio privilegiato per le donne per affrontare tutti i problemi della salute, della maternità, della sessualità oltre che dell'accrescimento dei figli, si dimostrano un vero e proprio bluff; non solo sono scarsi e quasi inesistenti al Sud" (nel 1980 sono appena 917, di cui solo 100 nel Mezzogiorno, nessun consultorio nel Molise e solo 1 in Sicilia), non solo non funzionano, sono privi di personale e attrezzature adeguate, non offrono prestazioni in uno o più campi previsti dalla loro stessa istituzione ma il governo e le amministrazioni, che ne hanno la gestione politica e amministrativa, tendono subito a sopprimerli. Quei pochi che esistono inoltre soffrono di una pesante impostazione idealistica, retrograda ed antifemminile che si rispecchia nel tipo di prestazioni nel campo dell'informazione sessuale e contraccettiva, nelle prestazioni in campo pedagogico, pediatrico, dell'assistenza al puerperio e al post-puerperio sovente tutt'altro che scientifica. Vengono colonizzati da personale "obiettore'' che è autorizzato a rifiutarsi di procedere all'interruzione di gravidanza e di applicare la 194. Insomma delle rivendicazioni del movimento femminile vi rimane veramente poco e quel poco che c'è non funziona certo per rispondere alle esigenze economiche, sociali e personali delle masse e in particolare delle donne.
A tutte queste carenze si vanno ad aggiungere quelle organizzative delle strutture pubbliche nella assistenza alla gravidanza e al parto che contribuiscono, soprattutto al Sud 3, all'elevata mortalità perinatale, neonatale e all'alto tasso di handicap fisici e mentali. La medicina scolastica, anch'essa attribuita alle Usl, ben presto sostituisce alla prevenzione e all'educazione sanitaria, interventi inutili, irrazionali e dannosi che spesso si trasformano in una indiscriminata "caccia al deviante'' nelle scuole. Sui veri problemi e bisogni dei bambini e degli adolescenti la nuova "medicina scolastica'' delle Usl risulta ben presto totalmente assente, cosi come la cosiddetta "educazione sanitaria''.

 LA SALUTE DEGLI ANZIANI

 Il problema degli anziani è in grandissima parte il risultato della povertà e della situazione socio-ambientale. Esso necessita di una risposta che viene sintetizzata: 1) nella rivendicazione di servizi e interventi che permettano di mantenere l'anziano per quanto possibile autosufficiente ed inserito nella struttura sociale e nel proprio ambiente di vita attraverso la lotta alla sua esclusione; 2) nella riorganizzazione dell'ambiente per renderlo compatibile con i bisogni della popolazione anziana; 3) nell'assicurare agli anziani una adeguata pensione e un trattamento economico che faccia tabula rasa dell'elemosina statale che rafforza anche essa l'emarginazione ed esclusione sociale.
Le principali richieste concrete sono: l'abolizione dei reparti ghetto per lungo-degenti o di geriatria degli ospedali (istituiti con la legge 132/1968); la realizzazione nei quartieri popolari di strutture di riabilitazione pubbliche, nonché di centri pubblici di residenza e assistenza (case alloggio, case protette, ecc) per gli anziani anche non autosufficienti che sviluppino la socializzazione della vita di tutti coloro che vengono abbandonati a se stessi ed emarginati dal sistema del profitto capitalistico; la realizzazione di un servizio pubblico gratuito di assistenza domiciliare agli anziani, per prestazioni sanitarie, lavoro domestico e ogni altra esigenza; un'assistenza domiciliare completa ai non autosufficienti attraverso l'assunzione nei servizi distrettuali di un gran numero di ``infermieri e medici di comunità e d'equipe''.
In base alla legge 833/1978 ``le attività riabilitative vengono affidate alle Usl oltre che ai servizi ospedalieri'' (art.26). Dopo la legge però, per la stragrande maggioranza degli anziani poveri, non cambia nulla. Essi continuano a ricevere pensioni da fame, causa della loro ulteriore povertà ed inabilità, fino a quando non sono costretti a ricoverarsi in ospedale: qui molto spesso contraggono nuove malattie e cronicizzano i disturbi, fino al punto in cui vengono scaricati definitivamente dalla società in un ospizio o, per quelli che possono permettersela, in una casa di ``riposo'' privata (!) con la scusa che non hanno più bisogno di cure mediche.

LA SALUTE DEI ``MALATI MENTALI'', DEI DISABILI, DEGLI HANDICAPPATI E DEI TOSSICODIPENDENTI
 
Per i ``malati mentali'' si chiede la chiusura definitiva dei manicomi civili, degli ospedali psichiatrici e dei manicomi giudiziari. La contestazione nasce dalle denunce sugli orrori di questi veri e propri lager differenziati in reparti ``agitati'', ``suicidi'', ``senili'', etc, dove si utilizza ogni forma di ``contenzione forzata'' e di ``terapie sperimentali'': acqua bollente o gelida, elettroshock, induzione di febbre elevata, coma insulinico e simili. L'indignazione per lo stato di repressione, emarginazione ed abbandono dei ricoverati negli ospedali psichiatrici è generale e coinvolge gli infermieri, i medici, gli assistenti sociali, gli studenti, gli intellettuali e più in generale le masse popolari. La critica si allarga alle istituzioni psichiatriche, al sistema carcerario, agli istituti per minori disadattati, alle case di riposo per gli anziani. Ci si accorge che i degenti negli ospedali psichiatrici appartengono prevalentemente ad alcune classi sociali, al sottoproletariato e al proletariato. Si scoprono i legami delle istituzioni psichiatriche con la magistratura, la polizia, i poteri amministrativi che cooperano al controllo e alla repressione dei ``disturbatori'' dell'ordine pubblico. La ``malattia mentale'', la ``follia'' viene scoperta problema sociale e politico, non medico, psicologico e psichiatrico. Si rivendica l'abrogazione di tutta la legislazione manicomiale risalente all'età giolittiana, di tutta la materia riguardante accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori (Tso) e la costruzione di una rete di servizi extraospedalieri e territoriali di prevenzione e riabilitazione.
Nel 1978 viene varata la legge 180 che decreta la soppressione dei manicomi e i cui contenuti vengono ripresi nella legge 883 dello stesso anno; l'assistenza psichiatrica è trasferita alle regioni e tramite esse alle Usl; vengono riscritte le regole per l'utilizzo dei Tso che riguardano anche la profilassi delle malattie infettive e diffusive.
La legge è positiva e avanzata ma da più parti se ne denunciano le ambiguità. Di fatti non si occupa dei manicomi giudiziari (basta la qualifica di ``imputato'' per essere ricoverato in manicomio, secondo i principi classici della pericolosità e dell'internamento), prevede procedure farraginose e burocratiche per i Tso nelle quali è confermata la competenza giudiziaria 4, le case di cura private, che utilizzano da sempre modalità scandalose di gestione dei ``malati psichiatrici'' non molto diverse dai manicomi pubblici, possono continuare indisturbate le loro lucrose attività. Alle pecche della legge 180 si aggiungono la totale mancanza di strutture alternative sul territorio e una martellante campagna propagandistica ``sui pazzi in libertà'' orchestrata dai mass-media per terrorizzare l'opinione pubblica. Tutto ciò ostacolerà la chiusura dei manicomi e fermerà sul nascere l'applicazione delle parti più avanzate della legge 180, decretandone il fallimento. Da notare infine che la legge 883 prevede il ricovero obbligatorio in ospedale (Tso) anche ``qualora non vi siano le condizioni e le circostanze che permettano di adottare misure extraospedaliere tempestive e idonee''.
I servizi extraospedalieri quali i ``servizi di igiene mentale'' e i ``dipartimenti per la salute mentale'' delle Usl nonché i servizi deputati alla decronicizzazione e al reinserimento di malati per lungo tempo segregati negli istituti, si riveleranno ben presto pochi (scarsissimi al Sud) ed aperti per poche ore al giorno, con personale scarso e prevalentemente a tempo parziale. Cosicché il ricovero coatto nei cosiddetti ``repartini psichiatrici'' (per i più poveri) e nelle case di cura private (per i più ricchi), finisce col tempo col trasformarsi in un nuovo strumento di segregazione e di esclusione
5 mentre i casi cosiddetti ``meno gravi'', ``pre-psicotici'' o ``borderline'' sono per intero scaricati sulle spalle delle famiglie dei ``malati'', sole e private di qualsiasi supporto e aiuto da parte dei servizi pubblici.
Per quanto riguarda la salute degli handicappati e dei disabili, essi con l'appoggio degli operatori socio-sanitari, delle donne e delle masse popolari, rivendicano giustamente il diritto di vivere una vita normale e di inserirsi a tutti gli effetti nella società, di non essere esclusi dal mondo del lavoro, di avere una pensione adeguata, nonché l'abolizione delle barriere architettoniche nel territorio comunale, nelle strutture pubbliche, sui mezzi di trasporto pubblico, nelle abitazioni, nei luoghi di lavoro e di studio, un'assistenza completa e qualificata fin dalla scuola, la creazione di centri di riabilitazione psico-fisica e l'assistenza domiciliare.
Diversi studi chiariscono che l'integrazione sociale e l'assistenza socio-sanitaria ai bambini handicappati deve iniziare il più precocemente possibile, fin dall'asilo nido e dalla scuola materna mentre per i casi più gravi si rivendica la costruzione di ``istituzioni pubbliche aperte'' come le ``comunità alloggio'' e i ``centri residenziali'' ove sia possibile praticare una riabilitazione prolungata e gratuita. Anche in questo campo si contesta la medicina borghese che ``risponde'' con interventi settoriali e inadeguati in ``istituzioni chiuse'' (istituti per ciechi, per sordomuti, per subnormali, per handicappati mentali gravi, per disadattati, per soggetti con disturbi del linguaggio).
La legge 118 del 1971 affronta il problema dei mutilati e degli invalidi civili e fissa le norme per la concessione delle pensioni di invalidità, prevede delle indennità per la frequenza a corsi di formazione professionale ed istituisce sistemi di lavoro protetto per speciali categorie di inabili mentre il Dpr 384/78 propone una politica dettagliata di eliminazione delle barriere architettoniche, il trasporto gratuito a scuola e che ``l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvo i casi di gravi deficienze intellettive e di menomazioni fisiche di particolare gravità''. La legge 517/1977 prevede l'assistenza ad handicappati e disabili da parte del servizio socio-pedagogico e altre forme di sostegno.
Con la 883 vengono coinvolti nell'assistenza, accanto ai comuni, i ``servizi di medicina scolastica'' delle Usl ma complessivamente anche in questo ``settore'' la sovrastruttura giuridica capitalistica mostrerà ben presto la sua ipocrisia. L'eliminazione delle barriere architettoniche si scontra con le leggi del profitto e della speculazione edilizia rimanendo lettera morta; grazie all'infame accordo sindacale del 22 gennaio 1983 gli handicappati e disabili saranno esclusi dal mondo del lavoro e costretti a percepire l'elemosina dell'assistenza statale; gli asili e le scuole materne sono scarsi (quasi inesistenti al Sud); i servizi di igiene mentale vengono mantenuti fuori dalle scuole e non sono coordinati con gli altri servizi delle Usl; la medicina scolastica si limita ``alla caccia al deviante'' per cui i criteri per la definizione dei soggetti portatori di handicap è nei fatti lasciata alla discrezione degli insegnanti della scuola borghese che spesso classificano handicappati alunni poveri che in realtà non lo sono; si diffonde la pratica lombrosiana della valutazione del quoziente intellettivo; i centri alloggio e residenziali sono inesistenti e i centri di riabilitazione saldamente nelle mani dei privati. L'assistenza pubblica si limita quindi a forme marginali di beneficenza pubblica per i casi gravissimi (assegno di accompagnamento ai portatori di handicap gravi) e viene dunque anch'essa scaricata sulle famiglie, e in particolar modo sulle donne, mentre in quelle poche regioni dove esistono centri pubblici essi conservano l'aspetto di ``tetri contenitori per emarginati'' che rassomigliano più a dei lager che a dei centri di rieducazione vera e propria.
Nel generale movimento contro l'emarginazione sociale e l'istituzionalizzazione si distingue il fronte della tossicodipendenza dove i volontari si mobilitano per chiedere la costruzione presso le Usl di attrezzati centri di assistenza e cura dei tossicodipendenti, destinandovi adeguati finanziamenti pubblici. Si chiede che tali centri possano anche procedere alla somministrazione controllata dell'eroina con forme e modalità che evitino la ghettizzazione e il controllo poliziesco e giudiziario dei tossicodipendenti e li aiutino ad assicurargli un posto di lavoro. Di questo aspetto la legge 883 non si occupa nello specifico e ciò comporta il progressivo svilupparsi delle ``comunità terapeutiche'' e ``dei centri di disintossicazione e recupero'' gestite da privati o associazioni di volontariato. In alcune di esse, come è emerso per le strutture create e gestite dal padre-padrone Muccioli, si utilizzano metodi fascisti, non dissimili da quelli utilizzati negli ex-manicomi e i tossicodipendenti e i volontari sono, a loro insaputa, gestiti per manovre affaristiche e clientelari.

4.LE CAUSE DEL FALLIMENTO DELLA ``RIFORMA SANITARIA''
 
Da quanto detto si comprende la strategia della classe dominante, prima, dopo e durante la ``riforma'' del 1978, per annacquarla, svilirla e privarla di quei contenuti che il proletariato e le masse popolari avevano rivendicato nelle grandi lotte di quasi un ventennio.
Più in generale, per quanto riguarda l'impianto stesso della legge 883, la borghesia, attraverso la sua sovrastruttura giuridica, inserisce preventivamente un cancro, che contribuirà in misura notevole nei decenni successivi a corrodere il tessuto sul quale è impiantata la ``riforma sanitaria''. Questo cancro è la legge n.132 del 1968 che detta le norme generali riguardanti l'ordinamento ospedaliero e il personale sanitario. Essa riconosce la centralità dell'ente ospedaliero in tema di salute attribuendogli per di più, oltre all'attività di diagnosi e cura generica e specialistica, compiti in difesa attiva della salute, tra cui l'educazione igienico-sanitaria del malato e del suo nucleo familiare e persino attività extraospedaliere, quali l'istituzione di ambulatori, dispensari, consultori, centri per la cura e la prevenzione di malattie sociali e del lavoro(!), centri per il recupero funzionale, attività di ricerca indagini scientifiche e medico sociali. Il risultato è una colonizzazione del territorio da parte dell'ospedale, con la relativa diffusione metastatica di un modello di salute esclusivamente tecnicistico. L'istituzione ospedaliera continuerà dunque non solo ad assorbire la stragrande maggioranza delle risorse finanziarie dello Stato, ma, insieme ai nuovi Policlinici, a conservare il monopolio assoluto della formazione di tutto il personale sanitario, che non è altro che il monopolio della riproduzione della medicina della classe dominante, o meglio della sua ideologia di classe in campo sanitario.
L'organizzazione gerarchica, feudale, superspecialistica, chiusa delle facoltà di medicina e degli ospedali non vengono scalfiti dalla ``riforma sanitaria'', che se ne occupa solo superficialmente. ll cuore del sistema medico borghese è dunque preservato e continua ininterrotto a pompare ovunque il suo sangue reazionario, attraverso i suoi ambasciatori: i medici e il personale sanitario, formati e selezionati ideologicamente accuratamente a sua immagine e somiglianza.
Dunque un cancro, un cuore nero, l'amputazione di quella che doveva essere la seconda gamba del sistema sanitario e cioè la riforma del sistema assistenziale che non sarà mai attuata (Quella della Livia Turco, attualmente in discussione in parlamento non si può certo considerare una vera riforma); infine la privazione dell'ossigeno rappresentato dalla partecipazione reale dei malati e delle masse popolari al controllo, alla programmazione e alla gestione del sistema sanitario che, al di là delle consuete chiacchiere legislative, sarà sistematicamente evitato.
I piani sanitari nazionali e regionali e relativa programmazione, che sono il perno del sistema, sono varati in grosso ritardo o non lo sono affatto. Nel 1980 10 regioni non hanno ancora definito le aree di intervento delle Usl e il primo piano sanitario nazionale deve ancora vedere la luce. La maggior parte degli 86 (!) decreti delegati che avrebbero dovuto seguire immediatamente la legge 883 e precisarla non sono varati. è il caso per esempio del ``testo unico in materia di sicurezza del lavoro, che riordini la disciplina generale del lavoro e della produzione al fine della prevenzione degli infortuni sul lavoro e le malattie professionali......al fine di garantire la salute e l'integrità fisica dei lavoratori, secondo i principi indicati dalla presente legge (883)'' che sarà varato solo 15 anni dopo (legge antioperaia 626/94).
Subito dopo la ``riforma'' vengono liberati gli sciacalli nel tentativo frenetico di ripristinare i vecchi equilibri di potere tutti centrati sulle baronie universitarie ed ospedaliere, sul controllo politico, mafioso-affaristico-clientelare, dei consigli di amministrazione delle Usl e degli ospedali, sulla subordinazione dell'unità sanitaria e della medicina territoriale all'ospedale, sulla subordinazione della medicina pubblica alla medicina privata, sui proclami circa la presunta neutralità della scienza medica e la centralità del tecnico. Si delineano due campi: da una parte vecchi baroni, nuovi leoni, tutti indaffarati attorno al grande affare a chiedere, litigando tra di loro, milioni e miliardi per superstrutture tecniche per nuovi reparti, nuovi primariati e nuovi ospedali e dall'altra uno schieramento sociale che chiedeva, lottava, sperava ingenuamente che una legge potesse portare alla bonifica igienica e produttiva del territorio. L'illusione durò pochi mesi poiché come viene puntualmente denunciato dalle colonne de ``Il Bolscevico'' ``la sanità pubblica italiana è ridotta subito allo sfascio e il diritto alla salute non è affatto garantito rimanendo lettera morta sulla carta costituzionale e nella legge di `riforma'... lo sfascio del Ssn avviene per tre motivi fondamentali: 1) appena approvata la legge di `riforma' si scatena una violenta campagna stampa denigratoria; 2) si avvia un processo progressivo di privatizzazione del servizio e delle strutture mentre costanti sono i tagli alla spesa sanitaria, pagata per lo più dai lavoratori dipendenti con le trattenute previdenziali; 3) si sviluppa una ferrea lottizzazione ed una interessata incapacità gestionale da parte del governo e delle amministrazioni locali''.
In tutta Italia, e particolarmente nel Meridione, il denaro è gestito in modo mafioso da commissari governativi e presidenti regionali con aziende amiche dei politici che controllano appalti e subappalti per alimentare uno sfacciato clientelismo elettorale e intascare cospicue tangenti. Le Usl, molto spesso, sono sommerse dai debiti e gli operatori costretti ad operare in uno stato di irreversibile precarietà, abbandonati dalle istituzioni e senza la garanzia dello stipendio. Negli ospedali mancano i farmaci e gli strumenti sanitari ed è disastrosa la gestione del servizio, con paurosa carenza di strutture e personale, inefficienza, lottizzazione, clientelismo e corruzione che provocano liste di attesa infinite per i ricoveri e le visite ambulatoriali.
L'introduzione dei ticket sempre più costosi sui medicinali e le analisi colpiscono pesantemente i magri bilanci dei lavoratori e dei più bisognosi come gli anziani, chiarendo subito a tutti che la gratuità dell'assistenza è stata solo un'altra illusione giuridica!
Quando, nella seconda metà degli anni '80, per colpa dei revisionisti la lotta di classe in Italia perde la sua carica dirompente e comincia a rifluire, la borghesia, attraverso il suo apparato propagandistico (giornali, tv, libri, ecc), scatena una campagna per convincere le masse popolari della necessità di nuovi e più pesanti tagli e sacrifici per il bene del Paese. Per affrontare al meglio la sfrenata competizione economica mondiale che si staglia all'orizzonte dell'entrata dell'Italia nell'Europa unita imperialista, i vari governi affamatori che si succedono alla guida del Paese, si concentrano sullo smantellamento dello ``Stato sociale'', cavalcando strumentalmente le inefficienze e gli sprechi del sistema pubblico, e sulla privatizzazione di tutto ciò che è privatizzabile con l'obiettivo di cancellare diritti conquistati con decenni di lotte dal proletariato e dalle masse popolari. Uno degli argomenti preferiti, per assopire e limitare le lotte, è ``la necessità di ridurre il debito pubblico''. Per quanto riguarda la spesa sanitaria vedremo in seguito che il contributo dello Stato in realtà rappresenta soltanto una insignificante percentuale del Pil e che più della metà del fondo sanitario nazionale è finanziato con i contributi versati dai lavoratori. Qui intendiamo rispondere alla domanda: da dove viene lo sperpero di denaro pubblico e il misterioso ``debito pubblico'' che la borghesia da almeno un decennio utilizza per fare ingoiare alle masse popolari stangate, tagli e controriforme in ogni settore pubblico? Lenin in ``Stato e rivoluzione'', a proposito dello Stato scrive: ``Per mantenere un potere pubblico speciale, posto al di sopra della società, sono necessarie delle imposte ed un debito pubblico''. (Edizioni PMLI, p.10) ``L'imperialismo, epoca del capitale bancario e dei giganteschi monopoli capitalistici, epoca in cui il capitalismo monopolistico si trasforma in capitalismo monopolistico di stato, mostra in modo particolare lo straordinario consolidamento della `macchina statale', l'inaudito accrescimento del suo apparato burocratico e militare per accentuare la repressione contro il proletariato...''(idem, p.25) ``La burocrazia e l'esercito permanente sono dei `parassiti' sul corpo della società borghese, parassiti generati dalle contraddizioni interne che dilaniano questa società, ma parassiti appunto che ne `ostruiscono' i pori vitali''. (idem p.23)
Si pone qui la questione dei privilegi e della corruzione dei funzionari quali organi del potere statale, e la storia di tangentopoli e sanitopoli confermano ancora una volta che la società capitalistica è corrotta fino al midollo, in ogni parte del suo più o meno grande apparato di controllo politico, che essa ha bisogno della corruzione e del debito pubblico per mantenere quella forza pubblica che è lo Stato, organo di dominio e di oppressione di classe che stabilisce l'``ordine'', legalizzando e consolidando questa oppressione, al fine di moderare il conflitto tra le classi.
Dunque lo Stato ``rappresentativo'' moderno è sempre lo strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale, strumento che ha bisogno di essere foraggiato e che quindi porta sempre con sé un ``debito pubblico'', che più che un debito è un furto alle classi oppresse utilizzato esclusivamente per tenerle tali. Chiarisce Engels, ``Eccezionalmente tuttavia, vi sono periodi in cui le classi in lotta hanno forze pressocché eguali, cosicché il potere statale, in qualità di apparente mediatore, momentaneamente acquista una certa autonomia di fronte ad entrambe''. (idem, pp.10 e 11)
Proprio durante le grandi lotte degli anni '60 e '70 lo Stato borghese, ``in qualità di apparente mediatore'', si è momentaneamente trasformato nel cosiddetto ``Stato sociale'', formalmente equidistante dalle classi in lotta, raggiungendo un compromesso con le classi oppresse teso a moderarne e imbrigliarne la spinta rivoluzionaria. In quegli anni grazie alle grandiose mobilitazioni popolari la scuola, l'università, i trasporti, la sanità vengono sottratti al controllo diretto del capitale ed entrano a far parte e vengono gestiti dall'apparato statale borghese, il cui nucleo principale, indispensabile e portante è costituito sempre, fin dall'inizio, e in ogni sistema capitalistico, dall'esercito permanente, dalla polizia, dal carcere, dai manicomi e dalla burocrazia.
Questo nuovo, perfezionato e allargato sistema statale borghese (``Stato sociale''), rafforzato grazie all'illusoria e complice propaganda riformista e revisionista del PCI, è in grado di sopportare l'urto di una violentissima ondata di lotta di classe del proletariato che aveva portato quest'ultimo ad un passo dalla rivoluzione (che non può essere altro che la conquista del potere politico da parte del proleteriato, attraverso l'insurrezione armata e la distruzione della macchina statale borghese) ed ha assolto ``magnificamente'' la sua funzione di apparente mediatore e moderatore dei conflitti inconciliabili tra classi irreversibilmente nemiche. Una volta poi che la lotta di classe segna il passo e che i servi e rinnegati dirigenti del Pci tramutano il loro giuramento di fedeltà allo Stato borghese in giuramento di fedeltà al capitale, il capitalismo italiano può riorganizzare le forme del suo dominio politico, sfoltendo le competenze statali in campo sociale, centralizzando il potere dei suoi organi a tutti i livelli e svendendo nuovamente ai privati tutto ciò che non serve strettamente a controllare le classi sfruttate nel nuovo tornante storico caratterizzato da rapporti di forza diversi. Il ritiro progressivo dello Stato borghese dal ``sociale'', da un lato ci svela sempre di più la vera essenza dello Stato, e dall'altro chiarisce l'operazione di facciata che ha dovuto compiere negli anni caldi caratterizzati dal divampare della lotta di classe, per mantenere in piedi la proprietà privata dei mezzi di produzione, il profitto e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
ll PCI ha idealizzato lo Stato borghese, astraendolo, insieme alla sua sovrastruttura politica e giuridica dal sistema economico che lo regge e lo alimenta, ed ha inculcato così nelle masse l'illusione di una via riformistica al socialismo. Lenin, ancora in ``Stato e rivoluzione'', fa i conti con la repubblica democratica, il riformismo e il cretinismo parlamentare con queste parole: ``l'onnipotenza della `ricchezza' è, in una repubblica democratica, tanto più sicura in quanto non dipende da un cattivo involucro del capitalismo. La repubblica democratica è il migliore involucro politico possibile per il capitalismo; per questo il capitale, dopo essersi impadronito di quest'involucro fonda il suo potere in modo talmente saldo, talmente sicuro, che nessun cambiamento, né di persone, né di istituzioni, né di partiti nell'ambito della repubblica-democratico borghese può scuoterlo''. (Idem, p.11)
In fondo il PCI revisionista è stato prima il più grande difensore della ``riforma sanitaria del '78'' che istituiva il Ssn poi, trasformatosi nel mostriciattolo liberista del PDS poi DS e raggiunte le poltrone di governo in piena seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista, è divenuto il principale artefice della distruzione di quello stesso Ssn, attraverso una vera e propria controriforma sanitaria che in fondo persegue, per via parlamentare e governativa gli stessi obiettivi, (anche se con velocità diverse e strumenti più ``soft'') che gli ultraliberisti e neofascisti Pannella e Bonino avrebbero voluto raggiungere per via referendaria (abolizione del Ssn) 6
 

5. LA CONTRORIFORMA DE LORENZO

IL DEBITO PUBBLICO E LO SMANTELLAMENTO DEL SSN

Per comprendere il reale significato della controriforma sanitaria che, all'inizio dello scorso decennio, riscrive l'organizzazione della sanità italiana è in primo luogo indispensabile analizzare il contesto generale nella quale si inscrive.
I parametri di Maastricht impongono ai vari paesi dell'Unione europea la riduzione del debito pubblico quale condizione indispensabile per partecipare all'unione economico-monetaria europea e i governi affamatori tagliano la spesa sociale inaugurando una politica di lacrime e sangue che accomunerà poi tutti i governi che si succederanno alla guida del nostro Paese.
Già all'inzio degli anni '90 vengono raddoppiati i ticket sanitari e portati al 60% del loro costo, viene ulteriormente ristretta la casistica delle esenzioni ai soli malati cronici con conseguenze drammatiche per gli indigenti. A chi può pagare viene garantita la cura e l'assistenza, per gli altri indebitamento o assistenza insufficiente e di serie B. Eminenti studiosi, medici, scienziati e economisti, politici e industriali parlano della necessità delle privatizzazioni. Ed è proprio la necessità di tagliare la spesa sanitaria e di privatizzare la sanità che porta alla legge delega 421 del 1992. Quest'ultima appare essenzialmente imperniata su criteri opposti a quelli che ispiravano (anche se solo formalmente) la ``riforma sanitaria'', essendo finalizzata non tanto ad individuare le quote di bisogno sanitario da soddisfare sulla base di dati clinico-epidemiologici, quanto ad indicare le quote di finanziamento che, partendo dalle risorse messe a disposizione dalla legge finanziaria, vanno in sostanza ad individuare ``quanto'' dei singoli bisogni sanitari si può soddisfare con tali risorse. La priorità del bisogno sulla quale era fondata la stesura della legge 883 del 1978 che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale viene completamente ribaltata dalla priorità assoluta dei costi e delle spese.
Il decreto legislativo De Lorenzo n.502 arriva puntualmente nel '92 quando è in carica il primo governo Amato, seguito dal 517 nel corso dell'anno successivo, sotto il governo Ciampi. In essi si specifica nel dettaglio che lo smantellamento del Sistema sanitario nazionale così come era stato definito dalla legge di riforma del '78 (883), avviene trasformando le Usl e i grandi ospedali in aziende, svincolate dal controllo comunale, dotate di autonomia finanziaria, gestionale, patrimoniale, amministrativa, contabile e tecnica e dirette da un manager, con poteri sconfinati, il cui compito è di fare quadrare i bilanci (preferibilmente attraverso tagli ai servizi, ai posti letto, al personale, alla sicurezza, al consumo di farmaci, ecc.). A seguito di questa controriforma si apre la competizione tra le aziende nel mercato sanitario e riemergono prepotentemente le strutture private, accreditate e non, foraggiate dalle mille collusioni a tutti i livelli con le amministrazioni pubbliche, le giunte locali, le baronie universitarie ed ingigantite dalla politica sanitaria nazionale e regionale di distruzione o affamamento progressivo della sanità pubblica e del sistema sanitario nazionale. Vengono inoltre accorpate diverse Usl in unica Asl e drasticamente ridotti i distretti sanitari di base (articolazione operativa territoriale delle Usl) già drammaticamente carenti su tutto il territorio nazionale e sostanzialmente soppresso ogni approccio preventivo ai problemi sanitari della popolazione. Nel frattempo a livello nazionale, sempre con la scusa del ``debito pubblico'', si operano gli ennesimi tagli alla spesa sanitaria e alcune modifiche sostanziali ai parametri di assegnazione del fondo sanitario nazionale destinato alle regioni con grosse penalizzazioni per le regioni del Sud e delle Isole che sono ``costrette'', per limitare le spese, a centelinare i finanziamenti alle Asl e alle aziende ospedaliere e, per procacciarsi nuove entrate, a ritoccare di continuo e in aumento gli odiosi ticket su farmaci, prestazioni specialistiche, etc o inventarsi nuovi balzelli.
Le leve principali sulle quali poggia dunque la controriforma della Sanità, varata dai decreti legislativi 502/92 e 517/93 sono:
1) La regionalizzazione della sanità
2) La aziendalizzazione delle Usl
3) Il finanziamento pubblico alle assicurazioni e alle strutture private.

LA REGIONALIZZAZIONE DELLA SANITA'

L'articolo 13 della legge delega 421 del 1992 per quanto riguarda l'autofinanziamento recita al comma 1: ``le Regioni fanno fronte con risorse proprie agli effetti finanziari conseguenti all'erogazione di livelli uniformi di assistenza, all'adozione di modelli organizzativi diversi da quelli assunti come base per la determinazione del parametro capitario di finanziamento di cui all'art.1 (popolazione residente, mobilità sanitaria, consistenza e conservazione di impianti, strutture e dotazioni strumentali) nonché agli eventuali disavanzi di gestione delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere con conseguente esonero di interventi finanziari da parte dello Stato'' e al comma 2: ``Per provvedere agli oneri di cui al comma precedente le regioni hanno facoltà, di provvedere la riduzione dei limiti massimi di spesa per gli esenti previsti dai livelli di assistenza, l'aumento della quota fissa sulla singole prestazioni farmaceutiche e sulle ricette relative a prestazioni sanitarie, fatto salvo l'esonero totale per i farmaci salva-vita, nonché variazioni in aumento dei contributi e dei tributi regionali....''
Ecco la prima picconata al SSN: il perno del sistema sanitario diventa la Regione.
Da un lato il comune, che nella precedente organizzazione sanitaria sovraintendeva alle attività delle Usl, perde gran parte delle sue funzioni in campo assistenziale, dall'altro lo Stato perde d'un colpo la possibilità di programmare e verificare il riequilibrio territoriale delle condizioni sanitarie della popolazione, di poter programmare e verificare livelli uniformi di assistenza su tutto il territorio nazionale.
Il Piano sanitario nazionale perde di significato e viene sostituito da tanti piani sanitari regionali, che tra l'altro in molte regioni a distanza di dieci anni devono ancora vedere la luce.
La riduzione delle spese sanitarie dello Stato si attua dunque:

1) con la riduzione notevolissima del budget a disposizione del fondo sanitario nazionale (previsto nelle varie leggi finanziarie) da erogare alle regioni;
2) con la possibilità, ed evidentemente con l'assoluta necessità, delle regioni di sopperire autonomamente alla carenza di risorse finanziarie attraverso il cosiddetto federalismo fiscale (possibilità di riscuotere autonomamente tasse e tributi).

L'AZIENDALIZZAZIONE DELLE USL E DEGLI OSPEDALI

L'altro versante dell'assalto e sostanziale smantellamento del SSN proviene, come abbiamo detto, dalla trasformazione delle Unità sanitarie locali in aziende sanitarie (Asl). Esse pur rimanendo personalità giuridica pubblica ed enti strumentali della regione acquisiscono ``autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica''.
L'organizzazione delle neonate Asl viene mutuata dall'organizzazione delle aziende ed imprese private: a capo della Asl, con enormi poteri, vi è il manager che non deve necessariamente avere una preparazione specifica in campo sanitario, è assunto con contratto di lavoro privato ed è responsabile dell'andamento della azienda dal punto di vista essenzialmente economico.
La tendenza decisa verso la privatizzazione della sanità pubblica non si evidenzia soltanto dai punti sovraesposti ma è anche, e soprattutto, confermata dalla possibilità di accesso da parte delle Asl a finanziamenti da parte dei privati (oltre ai fondi regionali). Si instaura un sistema misto pubblico-privato con il coinvolgimento delle famiglie e del volontariato.
Il ``consiglio dei sanitari'' della Asl, che ha funzioni di consulenza tecnica alla direzione aziendale, è costituito a maggioranza da medici ospedalieri, il che conferma l'orientamento ospedaliero e curativo, più che territoriale e preventivo, della ``nuova'' sanità.
Per quanto riguarda i finanziamenti le regioni attribuiscono alle Asl ed aziende ospedaliere ``una quota del fondo sanitario nazionale non superiore all'80% dei costi complessivi delle prestazioni che l'azienda è nelle condizioni di erogare, rilevabile sulla base della contabilità''. Il resto entrerà alle aziende tramite ``prestazioni regolate da tariffe regionali, partecipazione alla spesa da parte dei cittadini, attività libero professionale, lasciti, prestiti, donazioni e rendite del patrimonio aziendale, altri contratti e convenzioni con soggetti terzi''.
Con la 502 viene modificata radicalmente la geografia delle funzioni tecnico-scientifiche dei settori sanitario e ambientale. Il D.Lgs pur confermando una generica competenza delle Asl in materia di prevenzione ambientale, ne ha molto ridimensionato il ruolo, sottraendo loro in particolare la gestione dei ``servizi multizonali di prevenzione (Pmp)''. La gestione dei Pmp, ex laboratori di igiene e profilassi, è ora attribuita mediante legge regionale, ad un apposito organismo per la prevenzione, unico per tutto il territorio regionale e organizzato in modo autonomo (art.7). Si comincia a prospettare, accanto all'accentramento del potere regionale, la creazione di più ``agenzie regionali'' che, in coordinamento con il SSN ma in piena autonomia funzionale e gestionale, forniscono supporto tecnico-operativo alle regioni e agli enti locali. Un passo più corto, ma sempre deciso verso la completa privatizzazione e aziendalizzazione delle Usl e dell'intero servizio sanitario nazionale.
Sull'onda controriformatrice della 502, nella primavera del '93, attraverso un referendum abrogativo, si elimina il principio secondo cui il SSN, nell'ambito delle sue competenze, persegue l'identificazione delle cause degli inquinanti dell'atmosfera, delle acque e del suolo; si sottrae al SSN la competenza in materia di igiene ambientale, si abroga la norma che dispone il trasferimento alle Usl, dei beni mobili e immobili e delle attrezzature dei laboratori di igiene e profilassi. In tal modo si colpisce lo stesso principio dell'inscindibilità tra tutela ambientale e salute della popolazione garantiti da un servizio pubblico, aprendo di fatto le porte alla sottrazione al servizio sanitario pubblico anche di competenze sull'ambiente di lavoro conquistate con mezzo secolo di lotte dei lavoratori.

LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ASSISTENZA SANITARIA

La controriforma sanitaria diviene ancora più esplicita quando tratta delle cosiddette forme differenziate di assistenza che reintroducono le mutue e assicurazioni private presenti prima dell'istituzione del SSN. A tale proposito così si esprime l'Art.9: ``le regioni possono prevedere forme di assistenza differenziate per tipologia di prestazioni...'' e più avanti ``con decreto del ministero della sanità, di concerto con i ministri del tesoro e delle finanze, d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincie autonome, sono determinate, per ciascun triennio di validità del piano sanitario nazionale, le quote di risorse destinabili per la gestione di forme di assistenza differenziate di cui al comma 1...'' e infine al comma 3 si specifica in cosa consistono le forme di assistenza differenziate: ``a) nel concorso alla spesa sostenuta dall'interessato per la fruizione della prestazione a pagamento; b) nell'affidamento a soggetti singoli o consortili, ivi comprese le mutue volontarie, della facoltà di negoziare, per conto della generalità degli aderenti o per soggetti appartenenti a categorie predeterminate, con gli erogatori delle prestazioni del servizio sanitario nazionale, modalità e condizioni allo scopo di assicurare qualità e costi ottimali. L'adesione dell'assistito comporta la rinuncia da parte dell'interessato alla fruizione delle corrispondenti prestazioni in forma diretta e ordinaria per il periodo della sperimentazione''. ``A tale fine la regione può dare vita a società miste a capitale pubblico e privato''.
Questi provvedimenti insieme a tutta una serie di agevolazioni e finanziamenti alle strutture private pongono i presupposti per la definitiva entrata della sanità pubblica parzialmente privatizzata nel cosiddetto mercato dove la competizione con le strutture private e le ``mutue integrative'', l'inserimento prepotente dei privati nel pubblico, le agevolazioni e il finanziamento pubblico alle strutture private e la contemporanea drastica riduzione del fondo sanitario nazionale, determina una inevitabile deriva del ``pubblico'' verso il privato.

LE CONSEGUENZE

Per questi motivi di fatto il sistema sanitario nazionale che era stato delineato nella legge 883 del '78 non esiste più. La politica governativa assume progressivamente toni sempre più spiccatamente tatcheriani che prefigurano, dopo una più o meno lunga fase intermedia di transizione, la totale privatizzazione della sanità pubblica.
Del resto la golpista ``commissione bicamerale per le riforme'', presieduta dal rinnegato D'Alema, che aveva il compito di sancire costituzionalmente la seconda repubblica, conferma e generalizza questi concetti introducendoli addirittura nell'art.56 di quello che doveva essere il nuovo testo costituzionale con il quale si estendeva l'affidamento ai privati di tutte le funzioni attualmente attribuite allo Stato (amministrazione, servizi, assistenza, sanità, ecc.).
Secondo il cosiddetto ``principio di sussidiarietà'' il pubblico interviene solo laddove il mercato fallisce o non trova abbastanza profitto da ricavare.
Tutto ciò realizza i sogni della borghesia che può permettersi le mutue private, l'accesso alla attività intramoenia negli ospedali e l'accesso alle strutture private mentre le masse sono sempre di più costrette a fare riferimento per i propri bisogni ad un pubblico sempre meno efficiente, sempre più costoso (aumento dei ticket su farmaci, specialistica, ecc.) e sempre più alla deriva e alla mercè del privato.
In due parole questa controriforma attua il risparmio e il disimpegno dello Stato nel settore sanitario, sociale, di cura e assistenza nonostante che il livello di spesa sociale in Italia, in rapporto al Pil, sia sempre stato inferiore di diversi punti rispetto alla media europea (nel '96 inferiore di 5 punti rispetto a Francia e Germania).
Il mutato meccanismo di finanziamento del SSN fa sì che dal '92 al '98 la spesa dello Stato diminuisca di 5 mila miliardi, che è quasi il 15% del totale dell'integrazione effettuata, sul fondo sanitario nazionale7, con i fondi della fiscalità generale da parte dello Stato al SSN (quest'ultima nel '94 è stata appena il 2,07% del Pil). C'è da precisare che in questi anni, oltre ai contributi di malattia dei lavoratori ed ai prelievi tramite la fiscalità generale, sulle masse popolari grava un'ulteriore spesa di circa 36-37 mila miliardi di lire per il pagamento dei ticket e delle prestazioni sostenute direttamente dai cittadini, pari a 641 mila lire pro capite nel '96, (di cui il 23,6 % per cure in cliniche private; il 34,8 % per farmaci; il 34,5% per servizi medici; il 6,9% per materiale terapeutico). Pertanto nello stesso anno la spesa complessiva per prestazioni e prodotti a carattere sanitario si aggira intorno ai 131 mila miliardi che tra contributi di malattia, ticket e spese dirette è pagata, per ben il 66,46% del totale della spesa sanitaria del nostro Paese, ``direttamente'' dai cittadini.
La percentuale dei soli contributi di malattia, a carico soprattutto del lavoro dipendente, rappresenta quasi il 60% del fondo sanitario nazionale.
Col pretesto del ``deficit pubblico'', che per quanto abbiamo visto non ha relazione diretta con la spesa sanitaria che è per quasi i 3/4 pagata direttamente dai lavoratori, vengono varati i Piani sanitari regionali ispirati ad una logica di privatizzazione e di risparmio a tutti i costi, che ha i suoi capisaldi nel taglio dei posti letto, nella riduzione dei conti di degenza, con ricoveri lampo e progressiva deospedalizzazione della cura dei malati, in una diversificazione dei servizi a pagamento.
Il primo amaro frutto dei nuovi piani sanitari regionali è la chiusura o la riconversione dei ``piccoli'' ospedali, quelli con meno di 120 posti letto, pari a circa 360 ospedali per un numero complessivo di 26 mila posti letto e dove lavorano circa 40.000 dipendenti. I posti letto utilizzati invece sotto il 75% dell'indice di saturazione vengono convertiti in day-hospital e lungodegenza per una riduzione prevista di 20.800 posti letto, dove lavorano 36.400 dipendenti. Dal '92 al '94 la dotazione media di posti letto diminuisce passando dal 6,6 al 6,2 per 1000 ab. I posti letto privati invece diventano nel '93 ben il 17,9% del totale dei posti letto. Nello stesso anno le spese del SSN vanno per più del 35% ai privati convenzionati.
L'Emilia Romagna è la prima a dare operatività alla controriforma sanitaria, le cliniche private per fare concorrenza al servizio sanitario pubblico, ricevono 400 miliardi dall'assessorato alla Sanità.
Si procede subito all'``accreditamento'' indifferenziato di tutte le strutture private con l'aggiramento dei cosiddetti ``requisiti minimi'' e degli standard tecnico organizzativi, di personale e di qualità. Nel 1998 in Campania su 150 strutture di degenza, 7 sono aziende ospedaliere autonome, 2 le aziende universitarie Policlinico, 2 gli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico, 55 gli ospedali a gestione diretta delle Asl, 5 gli ospedali psichiatrici ancora in attività e ben 79 le case di cura private, tutte accreditate dal SSN. Queste ultime rappresentano dunque in Campania il 53 % di tutte le strutture di degenza della regione.
Dal 1995 tutti gli ospedali pubblici e privati già convenzionati e oggi accreditati con il SSN, per la loro attività sono finanziati secondo un sistema di tariffe massime decise a livello regionale: i Drg (Diagnosis related groupe) che diventano lo strumento di misurazione e controllo dell'attività in regime di ricovero negli ospedali pubblici. La strategia adoperata per massimizzare i ricavi dai direttori generali e dai primari dei reparti ospedalieri è quella da un lato di ridurre i posti letto e le giornate di degenza dall'altro di aumentare indiscriminatamente i ricoveri che secondo lo schema dei drg permettono maggiori finanziamenti regionali. Il risultato è l'aumento dei ricoveri di 2-3 giorni (+23,4% nelle aziende pubbliche, +170,4% negli Irccs privati, +53,3% nelle case di cura private). Le indiscriminate dimissioni lampo determinano tra le altre cose l'esplodere delle infezioni post-chirurgiche a domicilio e impediscono qualsiasi controllo su di esse negli ospedali, nonostante rappresentino un importante indicatore del pessimo stato igienico dei reparti ospedalieri del nostro Paese. Nel '96 i posti letto diminuiscono ancora toccando il 5,9 per 1.000 abitanti insieme alla media delle giornate di degenza che passano da 12 a 10 gg. Carenti ovunque rimangono i posti letto ``pubblici'' per la lungodegenza e la riabilitazione funzionale dove il privato detiene il 71% di tutti i posti letto in questo settore.
Nel frattempo dal 1991 al 1996 diminuiscono da 53.223 a 47.637 i medici di base mentre la popolazione aumenta dell'1%, per cui di conseguenza il numero di residenti per medico passa da 1.066 a 1.205 e il numero di assistiti per medico da 1.014 a 1.087. Si accentuano le diseguaglianze tra Nord e Sud: il numero di medici per abitante è più basso al Sud (8 per 1.000) e particolarmente nelle zone interne e montuose (6 per 1.000).
Anche il numero medio di bambini per pediatra passa da 539 a 667 e in Liguria ed Emilia si registrano oltre 10 pediatri per ogni 10.000 bambini mentre in Campania sono meno di 5 per 10.000. Globalmente nelle regioni meridionali e insulari il tasso è del 5.9 per 10.000 laddove la media nazionale è del 7.7 per 10.000.
Inoltre i servizi di guardia medica e continuità assistenziale vengono organizzati in maniera totalmente disomogenea sul territorio nazionale poiché il federalismo lascia ad ogni singola regione l'indicazione e la scelta dei campi d'intervento di questo settore importante delle cure primarie.
Dal '92 aumentano gli odiosi ticket che colpiscono indiscriminatamente a prescindere dal reddito mentre dal '92 al '95 si registra un vero e proprio crollo della spesa farmaceutica: dai 13.123 miliardi del 1992 si arriva a 9.520 miliardi del '95. Dal '92 al '98 la spesa privata invece cresce ben del 22% rispetto alla spesa totale per l'acquisto dei farmaci. Dal 1991 al 1996 il numero di ricette procapite si dimezza passando da una media di 9 a circa 5 mentre il costo medio subisce un aumento dalle 34.000 alla 42.000 lire. In poche parole diminuisce del 42% il numero medio di ricette ed aumenta del 23% il costo per ricetta.
Una volontà dichiarata da parte del sistema sanitario è quella di trasformare i quasi cento miliardi di contributi e spese dirette dei cittadini in un finanziamento alle forme di ``assistenza mutualistica integrativa''. La ``De Lorenzo'' parla esplicitamente di fondi separati per l'acquisto di prestazioni sanitarie che oggi vengono garantite dal servizio pubblico. Per quanto abbiamo detto sopra le regioni, che non sono più in grado di assicurare la copertura economica dei servizi erogati, potranno soltanto, per mantenere gli stessi livelli di prestazioni, o aumentare ticket e balzelli regionali o reintrodurre le assicurazioni private ``integrative'' delle prestazioni fornite dal SSN. Il doppio salto all'indietro al sistema mutualistico è in atto, e i chimici dell'Eni, così come altre categorie, passano alle ``mutue integrative''.
Per quanto riguarda le ``cure secondarie'' si passa dai 14.000 ambulatori e laboratori (specialistica, analisi e diagnostica strumentale) del '91 ai 10.000 del '96. Da 25 strutture ogni 10.000 abitanti a 18. Questo calo avviene in maniera proporzionale al dilagare del privato convenzionato che copre ormai il 60% del totale in Italia e il 73% al Sud. Emblematico il dato della Sicilia che passa da 3.482 ambulatori e laboratori ``pubblici'' del '91 a 1.664 del '96, con un calo netto del 75%.
L'abisso tra il Nord e il Sud emerge anche da alcune inchieste ed interviste secondo le quali al Nord il 30% dichiara di attendere più di 20 minuti per un servizio mentre tale percentuale al Sud è del 47,7% e del 54,9% nelle Isole. Anche per quanto riguarda l'igiene l'80% dei pazienti del Nord è soddisfatta mentre lo è solo il 58 % al Sud e il 53% nelle isole. Stesso discorso anche per il vitto 77,1% Nord, 63,7 % Sud, 58,8 Isole.

6. I D.Lgs 277/91 e 626/94: LA SALUTE E LA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO TORNANO SOTTO CONTROLLO DEI "DATORI DI LAVORO'' 

Gli anni '80 sono caratterizzati da un lungo e massiccio processo di ristrutturazione caratterizzato dal decentramento produttivo e dalla continua espulsione della forza lavoro che ingrossa le file dei disoccupati, del lavoro ``nero'' o precario.
Contemporaneamente i sindacati, con una linea capitolazionista, neocorporativa ed incentrata sulle compatibilità capitalistiche, permettono al padronato di riacquistare spazio per nuovi attacchi ai diritti dei lavoratori (smantellamento dei consigli di fabbrica, abolizione della scala mobile, diminuzione del ``costo del lavoro'', selvagge ristrutturazioni aziendali, contratti nazionali capestro, introduzione degli ``ammortizzatori sociali'', licenziamenti). In questo contesto i vertici sindacali tradiscono e boicottano letteralmente le grandi rivendicazioni per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro emerse nel corso degli anni Sessanta e Settanta e nel 1994 contribuiscono alla stesura della legge 626 che si rivelerà lacunosa, inadeguata e a tutto vantaggio dei padroni e che a sei anni dalla sua promulgazione è rimasta praticamente lettera morta mentre i morti e gli infortuni sul lavoro nel corso del '99 hanno toccato la cifra spaventosa (e sottostimata!) rispettivamente di 1.208 e 967.000. La 626 viene partorita dopo un lungo iter concertativo tra governo, sindacati e Confindustria e preceduta dal decreto legislativo 277/91 che recepisce le direttive europee sulla protezione dai rischi di esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici e in particolare a piombo, amianto e rumore. Queste due leggi rappresentano un salto indietro di vent'anni poiché sanciscono il ritorno ai famigerati medici di fabbrica (i cosiddetti ``medici competenti'' designati dalle direzioni aziendali) di prima della ``riforma'' sanitaria del '78 e l'introduzione nel nostro ordinamento del principio anticostituzionale del ``ragionevolmente praticabile'' che subordina l'adozione delle misure preventive da parte del datore di lavoro alle compatibilità dei cicli di produzione e profitto. Inoltre la 277 introduce i valori limite di esposizione per i singoli agenti ben al di sopra della loro effettiva soglia di nocività meritandosi per questo l'appellativo di ``legge antisicurezza''.
La legge 626, che si applica ``a tutti i settori di attività pubblici o privati'' (art.1) prevede invece (art.18 comma1) ``che in tutte le aziende e unità produttive è eletto o designato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls)'' nel numero minimo di ``uno nelle aziende fino a 200 addetti, tre da 201 a 1.000 addetti, sei in tutte le altre'' (comma 6). Nelle imprese sopra i 15 dipendenti il ``rappresentante della sicurezza'' può essere eletto o designato dai lavoratori nell'ambito delle ``rappresentanze sindacali''. Nelle aziende sotto i 15 dipendenti può essere eletto all'interno delle rappresentanze o, in mancanza di esse, tra i dipendenti della azienda stessa. La partecipazione del ``rappresentante dei lavoratori per la sicurezza'' alla gestione e al controllo della prevenzione è disciplinata dal D.Lgs 626 che cancella l'articolo 9 dello ``statuto dei lavoratori'' che sanciva il diritti all'autotutela da parte dei lavoratori.
Da uno studio su ``lavoro e sicurezza'' emerge che nel 1994 il numero di imprese da 1 a 19 addetti presenti in Italia (dati Inps) è di 968.496 per un totale di 3.525.056 addetti che avrebbero dovuto quindi eleggere 968.496 Rls. Dato però che la legge prevede (art 18. Comma 2) la possibilità di un Rls interaziendale (per più imprese dello stesso comparto) e intercategoriali (per più imprese di diversi comparti) da 968.496 Rls si passa, secondo gli autori, ad appena 700 rappresentanti per la sicurezza! E questo nella migliore delle ipotesi poiché la Confindustria con l'avallo dei sindacati è riuscita anche ad ottenere il riassorbimento dei Rls nell'ambito del numero di rappresentanti sindacali previsti dagli accordi sulle Rsu sancendo dunque che la nascita di ogni Rls può avvenire solo riducendo il numero dei rappresentanti sindacali.
Significativamente, a chiarire il meccanismo antidemocratico e filopadronale dell'elezione dei rappresentanti, viene previsto per quest'ultimo solo l'istituto delle dimissioni e nessun tipo di revoca della rappresentanza. Da notare poi che i cosiddetti ``sindacati maggiormente rappresentativi'' vogliono il monopolio degli Rls puntando su quei passaggi scritti a due mani con la Confindustria secondo cui i sindacati che non hanno sottoscritto né l'accordo Rsu né l'accordo complessivo per l'applicazione del 626 non possono accampare pretese sui Rls.
Il ``Servizio di prevenzione e protezione'', obbligatorio solo per le aziende sopra i 200 dipendenti e il ``medico competente'' vengono posti sotto le dirette dipendenze del datore di lavoro che può anche assumere direttamente in prima persona certe funzioni. Nell'organizzazione del Servizio di prevenzione e protezione il ``rappresentante per la sicurezza'' non viene neanche consultato così come sono consultivi i pareri di quest'ultimo su tutta la gestione della prevenzione oltre che nell'elaborazione, individuazione e attuazione delle misure di prevenzione (art.19). Il datore di lavoro è assolutamente libero di decidere come impostare e attuare la ``valutazione del rischio''. La collaborazione aziendale del ``medico competente ``, designato dai ``datori di lavoro'', restaura ufficialmente la vecchia figura del medico di fabbrica. Egli deve provvedere all'accertamento dell'idoneità fisica dei lavoratori per lo svolgimento dei lavori cui sono addetti e lo stato di salute dei lavoratori8.
Vengono inoltre istituiti ``gli organismi paritetici'' per ``risolvere'', tramite la ``conciliazione'' aziendale le controversie tra i ``datori di lavoro'', i lavoratori, e i ``Rls''. Tali organismi concertativi e a tutto vantaggio dei padroni, i cui componenti dovrebbero essere scelti di comune accordo da ``datori di lavoro'' e sindacati, serviranno ancora di più a ostacolare qualsiasi possibilità di intervento della magistratura sui reati, i soprusi e le infrazioni commesse nei luoghi di lavoro.
Tutto ciò può bastare a dare il senso dell'abisso che separa la legge 626 dalle rivendicazioni emerse durante l'autunno caldo del '69.

8. La controriforma Bindi del '99

Il 18 giugno 1999, quando è in carica il 1° governo del rinnegato D'Alema, viene definitivamente approvato il Dlg sulle "norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale''. Esso ha lo scopo di modificare ed integrare la precedente controriforma sanitaria del '92 varata dal primo governo Amato. L'impostazione liberista e federalista della precedente controriforma è ampiamente confermata; il testo ridefinisce infatti il SSN partendo dalla regionalizzazione della sanità, dall'aziendalizzazione delle Asl e degli ospedali, dall'apertura ai privati, dalla possibilità dei medici di svolgere la libera professione, dal pagamento di parte delle prestazioni attraverso gli odiosi ticket, dal "sanitometro'' e dalla restaurazione del sistema mutualistico. L'obiettivo è quello di razionalizzare, riorganizzare e rafforzare il modello di stampo liberista inaugurato dalla controriforma Amato-Ciampi.
Ma analizziamo nel dettaglio il contenuto dei 15 articoli che compongono la cosiddetta "riforma Bindi ter'' non prima di avere ricordato qual è il meccanismo di finanziamento del SSN: i "datori di lavoro'' versano i contributi dei lavoratori all'Inps (fiscalizzazione del contributo per le prestazioni) che li trasferisce alla regione. I datori di lavoro agricoli invece trasferiscono i contributi allo SCAU che li gira all'Inps che a sua volte li trasferisce alla regione. Per quanto riguarda le amministrazioni statali anche autonome esse trasferiscono i contributi alla "tesoreria dello Stato'' che li gira alla regione. Anche i contributi sui redditi diversi da lavoro dipendente vanno alla regione mentre i contributi sui redditi da pensione e rendita vitalizia sono raccolti dalle poste che li trasferiscono alla regione. L'entità del fondo sanitario nazionale viene integrata con contributi propriamente statali, annualmente decrescenti, soltanto per 1/3 del totale dei contributi raccolti a livello regionale.
Il Cipe, su proposta del ministro della sanità, annualmente assegna, come anticipo, in favore delle regioni le quote del fondo di "parte corrente'', tenuto conto dei contributi al SSN delle singole regioni. Il finanziamento statale alle regioni è dunque subordinato all'entità dei contributi versati dai lavoratori delle singole regioni.
Entro febbraio dell'anno successivo il Cipe provvede all'assegnazione definitiva.
La ripartizione del fondo alle regioni è definita in base agli stessi parametri penalizzanti per le regioni del Sud dal D.Lgs 502 del 92, (popolazione residente, stato delle strutture e mobilità interregionale) così come è confermata, rispetto al D.Lgs 502, l'autonomia decisionale ed impositiva delle regioni ed il compito di ripianare, senza oneri per lo Stato, il deficit delle Asl e delle aziende ospedaliere.
 
I PRIVATI, IL NO-PROFIT E IL VOLONTARIATO ENTRANO NEL "SISTEMA''
 
Il piano sanitario regionale definisce le "forme di partecipazione delle autonomie locali, delle strutture private accreditate e delle formazioni sociali private non a scopo di lucro (...) oltreché dei sindacati delle strutture pubbliche e private''. "Le istituzioni e gli organismi non lucrativi concorrono, con le istituzioni pubbliche e quelle equiparate alla realizzazione dei doveri costituzionali di solidarietà, dando attuazione al pluralismo etico-culturale dei servizi alla persona''.
Il sistema sanitario "pubblico'' si trasforma quindi in un sistema sanitario misto "pubblico-privato-no profit'' per il raggiungimento di un duplice scopo: da un lato favorire il disimpegno e il risparmio dello Stato (e della regione) nel settore sociale e sanitario a favore dei privati e dall'altro cancellare il diritto inalienabile degli emarginati dal sistema capitalistico (anziani, disabili, handicappati, tossicodipendenti, immigrati, ecc.) all'assistenza sociale e sanitaria restaurando in forma nuova il sistema in vigore fino al '78 basato sulla beneficenza (o meglio sull'elemosina) ai poveri e agli emarginati che ben si scorge dietro i termini accattivanti di "solidarietà alla persona'' e di "progetti-persona'' nei quali il volontariato e il no-profit saranno prevalentemente coinvolti.
Il Dlg ribadisce più volte che "le regioni assicurano i livelli essenziali ed uniformi avvalendosi dei soggetti accreditati'' e che "nei livelli essenziali e uniformi che le regioni devono garantire alla popolazione si calcolano anche le prestazioni fornite dalle strutture private accreditate''. Tutte le strutture sanitarie private e i liberi professionisti per lavorare "per conto'' del SSN dovranno ottenere "l'autorizzazione'', con la verifica dei "requisiti minimi'', rilasciata dal comune e "l'accreditamento'' rilasciato dalla regione dopodiché potranno stipulare "accordi contrattuali'' con le regioni e con le Asl per l'erogazione dei servizi fissando tipo, entità e remunerazione delle prestazioni erogate. L'accreditamento non vincola comunque il SSN alla remunerazione delle prestazioni e sarà possibile anche "un accreditamento provvisorio (!) per il tempo necessario per la verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati.''
I privati entreranno così a far parte dell'Albo dei fornitori di prestazioni sanitarie alle quali Asl e pazienti potranno rivolgersi: "I cittadini esercitano la libera scelta sull'assistenza medica ed accedono ai servizi tramite apposita prescrizione, proposta o richiesta compilata sul modulario del SSN''.
Le regioni definiscono, nel Piano sanitario regionale, il fabbisogno di assistenza per garantire "i livelli essenziali'', nonché "i livelli integrativi'' degli enti locali e delle mutue, identificano inoltre le aree con carenze di strutture da destinare ai nuovi soggetti e stabiliscono il "coordinamento'' di tutte le strutture, "pubbliche'' e private operanti nelle aree metropolitane.
"In presenza di una capacità produttiva superiore al fabbisogno si procede alla revoca dell'accreditamento della capacità produttiva in eccesso'', il che vuol dire che le prestazioni che eccedono quelle che saranno ritenute essenziali saranno pagate per intero dai cittadini.

LE COMPATIBILITA' FINANZIARIE E IL FEDERALISMO

Il Sistema sanitario nazionale assicura "livelli essenziali di prestazioni sanitarie nel rispetto dell'economicità nell'impiego delle risorse'' che tradotto in soldoni significa che lo Stato italiano garantisce alla popolazione soltanto prestazioni minime ed essenziali e che queste ultime non saranno affatto misurate in base all'effettivo bisogno delle masse popolari ma in primo luogo saranno strettamente vincolate e subordinate "alle compatibilità finanziarie del Documento di programmazione economico e finanziaria'' che immancabilmente preannuncia i tagli delle leggi finanziarie alla spesa sanitaria.
In realtà, sull'onda del federalismo in ogni settore, il Sistema sanitario nazionale perde, al di là delle chiacchiere sulle "garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale'', il suo significato originale diventando il "complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali'', ossia la "somma'' di 20 sistemi sanitari regionali differenti. La programmazione sanitaria difatti si basa sui piani sanitari regionali che non a caso vengono definiti "strategici'', mentre al piano sanitario nazionale rimangono compiti di indirizzo puramente formali.
Il ministro della sanità, sentito il giudizio dell'ARSAN sul PSR, ha sì la facoltà di promuovere linee guida e forme di collaborazione per l'applicazione del PSN ma fatta "salva l'autonoma determinazione regionale in ordine al loro recepimento''.
Il federalismo sanitario si sposa, in questo settore, perfettamente con il principio della "sussidiarietà'' secondo il quale l'intervento dello Stato avviene solo laddove il privato fallisce o non ha interesse ad investire.
Per quanto riguarda la definizione dei livelli essenziali per il triennio 1998-2000 essi vengono individuati in maniera molto generica nell'"assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, nell'assistenza distrettuale e nell'assistenza ospedaliera'' ma il testo subito si preoccupa di chiarire che sono escluse dai livelli di assistenza erogati a carico del SSN "le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che non soddisfano il principio dell'economicità, efficacia e appropriatezza''.
Qui il problema è stabilire chi definisce appropriate, efficaci ed economiche le prestazioni sanitarie erogate? Una volta infatti che si è liberalizzato il sistema sanitario attraverso la selvaggia competizione economica tra le aziende pubbliche e quelle private accreditate "per conto del SSN'', e una volta trasformate le prestazioni sanitarie in una merce da vendere per aumentare i profitti o fare quadrare i bilanci aziendali, anche tutta la sovrastruttura scientifica (dalle analisi statistiche a quelle epidemiologiche) verrà progressivamente piegata alle nuove esigenze del profitto e del risparmio sulla pelle, e non certo in base ai bisogni dei malati9.
Vengono confermate e ampliate rispetto alla controriforma Ciampi-Amato le competenze regionali sull'organizzazione dei servizi e delle attività, sui criteri di finanziamento delle Asl, sul controllo di gestione e qualità di quest'ultime e delle aziende ospedaliere. La regione disciplina il finanziamento delle aziende unità sanitarie locali "sulla base di una quota capitaria corretta in relazione alle caratteristiche'', non meglio specificate, "della popolazione residente'' (art.1 comma 34 legge 23 dicembre n.662). La legge regionale inoltre istituisce "la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e sociosanitaria regionale10'' alla quale è sottoposto il parere sul PSR, assicura il raccordo o l'inserimento di quest'ultimo nell'organismo rappresentativo delle autonomie locali e disciplina il rapporto tra programmazione regionale e "programma attuativo locale11'' che per le città prende il nome di "piano attuativo metropolitano''.
Le regioni stabiliscono anche i criteri e principi di adozione dell'"atto aziendale'' anche per quanto riguarda l'articolazione delle Asl in distretti, nonché le modalità, per le Asl e le aziende, di accesso alle prestazioni per i livelli aggiuntivi di assistenza finanziati dai comuni e possono proporre la costituzione o la conferma in azienda dei presidi ospedalieri di alta specializzazione in possesso di specifici requisiti12.
Ogni regione avrà dunque una legge regionale differente e dunque una organizzazione differente, sancendo definitivamente anche in questo settore la rottura dell'unità del Paese.

I MECCANISMI DI FINANZIAMENTO DELLE STRUTTURE ACCREDITATE

Le strutture "pubbliche'' e private accreditate che erogano assistenza ospedaliera e ambulatoriale a carico del SSN saranno finanziate secondo un ammontare globale definito negli "accordi contrattuali'' che "per le funzioni assistenziali sarà calcolato in base al costo standard di produzione del programma di assistenza e per le altre attività in base a tariffe predefinite per prestazione''.
Un successivo decreto del ministro della sanità definirà "i criteri generali di definizione e remunerazione massima delle attività assistenziali13''. Un altro decreto del ministro dovrà invece. 1) definire i sistemi di classificazione per l'unità di prestazione o di servizio da remunerare; 2) determinare le tariffe massime da erogare alle strutture accreditate sulla base di costi standard di produzione calcolati su un campione "rappresentativo'' di strutture accreditate; 3) definire i criteri per l'adozione del sistema tariffario di ogni singola regione articolate per classi di strutture in base alle loro caratteristiche organizzative e di attività verificate in sede di accreditamento; 4) prevedere i criteri di revisione e aggiornamento nel tempo della classificazione e delle tariffe in base all'andamento dei costi dei principali fattori produttivi.
Come detto precedentemente allo Stato rimane solo il compito di classificare, definire, vagheggiare criteri, mentre il margine di "libertà'' decisionale, organizzativa e impositiva, delle regioni si allarga.
Nello specifico va subito precisato che il sistema di remunerazione "a prestazione'' (così come è avvenuto fino ad oggi) porterà le strutture accreditate ad orientare la propria offerta sanitaria verso le prestazioni più redditizie, cioè quelle per le quali il tariffario regionale prevederà un rimborso maggiore. Legare poi le "tariffe massime erogabili'' per una prestazione e il rimborso dei "programmi di assistenza'' ai "costi standard della loro produzione'' calcolati su un "campione rappresentativo'' di strutture accreditate vuole dire14 finanziare una prestazione sanitaria di una azienda "pubblica'' con un rimborso pesato sulla media dei costi di produzione di quella stessa prestazione nelle strutture "pubbliche'' e in quelle private. Col dilagante sviluppo della sanità privata accreditata e la sua gestione imprenditoriale pura, capace, sulla pelle dei pazienti, di minimizzare i costi per massimizzare i profitti, ciò significa tagliare, e di un bel po', i rimborsi che spetterebbero alle aziende "pubbliche'' se fossero calcolati solo sulla media dei costi di produzione di un circuito pubblico impermeabile. A questo proposito bisogna ribadire che il "costo di produzione'' è dato anche dal costo dell'acquisto della forza-lavoro (o merce-lavoro) per la produzione di quella determinata prestazione, che a sua volta è determinato dal costo complessivo della forza-lavoro cristallizzata nella produzione di tutti gli strumenti e le attività che servono all'espletamento della stessa. In poche parole si svilupperà una sfrenata corsa competitiva al ribasso del costo di produzione delle prestazioni tra strutture "pubbliche'', a causa dei vincoli di bilancio e delle relative penalizzazioni, nonché tra quest'ultime e le strutture private accreditate. Quest'ultime avranno molto spesso la meglio perché potranno contare su un piccolo margine di vantaggio dovuto: 1) alla maggiore flessibilità dell'uso della forza-lavoro sanitaria; 2) al più basso costo della forza lavoro impiegata; 3) alla possibilità, maggiormente svincolata da controlli, nell'acquisto al ribasso degli strumenti, delle apparecchiature mediche, ecc. Tutto questo produrrà inevitabilmente, in un vero e proprio mercato della salute fondato sulle leggi del profitto e della competizione selvaggia, la deriva delle strutture "pubbliche'' autonome, e che vogliano rimanere "a galla'', verso i modelli di gestione propri delle aziende private e di conseguenza la nascita di strutture "pubbliche'' di serie A, B, C, D, ecc. ed anche di servizi "pubblici'' di serie A,B,C,D e così via . Si svilupperà un circolo vizioso tra abbassamento del finanziamento statale delle prestazioni sanitarie, dilatazione di queste ultime nei settori più redditizi, abbassamento dei costi di produzione delle prestazioni a scapito della qualità di queste ultime e dei diritti dei lavoratori del settore sanitario, ed ulteriore riduzione del finanziamento statale calcolato su "una media di costi standard di un campione rappresentativo'' che sarà sempre più bassa, soprattutto per le prestazioni veramente utili ed essenziali per le masse popolari.
Come se non bastasse la legge Bindi ha previsto anche forme di "assistenza indiretta'' che bontà sua non dovranno superare il 50 % delle tariffe regionali, e che la legge 883 all'art. 25, ultimo comma, prevedeva invece "solo in forma straordinaria''!

IL RITORNO ALLE MUTUE

Certamente la parte più scandalosa della "riforma Bindi'', che la smaschera come controriforma di stampo liberista, è l'apertura decisa ai "fondi integrativi finalizzati a potenziare l'erogazione di trattamenti e prestazioni eccedenti i livelli uniformi ed essenziali''. Le nuove mutue possono essere previste nell'ambito dei contratti e accordi collettivi, anche aziendali, tramite accordi tra lavoratori autonomi o fra liberi professionisti, nei regolamenti di regioni, enti locali o enti territoriali, dalle associazioni non a scopo di lucro e più in generale da qualsiasi soggetto pubblico o privato e potranno riguardare: prestazioni aggiuntive erogate da professionisti e strutture accreditate (quali cure termali, cure odontoiatriche ed odontotecniche, prestazioni di medicina non convenzionale) nonché i servizi alberghieri e l'attività attività intramuraria, le prestazioni sociosanitarie in strutture accreditate residenziali, semiresidenziali o domiciliari. Le regioni, le province autonome e gli enti locali e i loro consorzi potranno partecipare alla gestione delle forme integrative di assistenza. Appare ridicolo a questo punto il divieto da parte delle mutue di operare una selezione del rischio.
In realtà siamo di fronte ad un doppio salto all'indietro a prima della legge 883 che all'art.46 sanciva: "è vietato agli enti, alle imprese ed aziende pubbliche contribuire sotto qualsiasi forma al finanziamento di associazioni mutualistiche liberamente costituite aventi finalità di erogare prestazioni integrative dell'assistenza sanitaria prestata dal SSN''.
A questo proposito è interessante ricordare le dichiarazioni di Rosy Bindi nel 1997 "quello che non sono disposta a fare è controriformare la sanità...'', "...dobbiamo domandarci qual è la riforma principale: per me resta la 883 negli obiettivi'' lanciandosi in una condanna dell'ipotesi di "introdurre un sistema misto tra SSN e mutualità integrative'', con una analisi ineccepibile: "l'introduzione dei fondi integrativi tende ad offrire prestazioni oltre quelle che si sono individuate come essenziali...Ed allora si deve ammettere di avere individuato livelli di prestazioni che non sono adeguate, che non sono sufficienti, intaccando così il principio fondamentale del SSN, quello che la salute si tutela a prescindere dal reddito. Ci saranno infatti tante sanità di livelli diversi a seconda dei fondi integrativi che ciascuno potrà comprarsi per integrare le prestazioni''. L'unico commento possibile è: complimenti per la coerenza!

IL COMPLETAMENTO DELL'AZIENDALIZZAZIONE

Viene confermata e rafforzata l'aziendalizzazione delle Asl15 e degli ospedali e incentivata la trasformazione di ospedali, ancora sotto il controllo delle Asl, in "aziende pubbliche con autonomia imprenditoriale''. Le funzioni delle Asl vengono snellite ed accorpate nell'assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, nell'assistenza distrettuale e nell'assistenza ospedaliera.
Esse non devono far fronte ai bisogni della popolazione di riferimento ma semplicemente, ed ancora una volta, assicurare "livelli essenziali''.
Le attività delle Asl e delle aziende ospedaliere sono disciplinate con l'"atto aziendale'' di diritto privato adottato dal manager e agiscono, anche per quanto riguarda gli appalti e la fornitura di beni e servizi, mediante atti di diritto privato. Avranno autonomia imprenditoriale, saranno proprietarie del patrimonio di beni mobili e immobili (si prevedono esplicitamente dismissioni, conferimenti e trasferimento a terzi di immobili previa autorizzazione regionale) secondo il regime della proprietà privata.
Esse dovranno rispettare i vincoli di bilancio dei quali sono responsabili i manager. Questi ultimi hanno un contratto privato di 3-5 anni rinnovabile, adottano l'"atto aziendale'', che vincola il direttore amministrativo e sanitario, di distretto, di dipartimento e i responsabili di struttura al piano programmatico e finanziario dell'azienda, e nominano direttamente, tra i dirigenti con incarico di direzione di "struttura complessa'', i direttori di dipartimento. Il manager e i dirigenti di "struttura complessa'' devono essere laureati ed avere un'esperienza quinquennale di direzione aziendale nonché aver frequentato un corso di formazione in "managment aziendale''. Dopo 18 mesi la regione verifica i bilanci aziendali con eventuale risoluzione dei contratti con i manager e con i direttori amministrativi e sanitari. Il decreto, per quanto riguarda i criteri di "accesso alla dirigenza'', dà grande spazio ai curriculum "conquistati'' sul campo aziendale in termini di quadratura di bilanci. In ogni azienda è istituito il "collegio di direzione'' che è costituito dal manager e dai direttori sanitari e amministrativi, dai direttori di distretto, dai direttori di dipartimento e di presidio.
Si delinea dunque una struttura di comando e di direzione aziendale assolutamente autocratica nella quale è giuridicamente sancita l'esclusione, anche soltanto consultiva, rappresentativa e formale dei lavoratori delle aziende. Inoltre, al di là dei criteri generali che le regioni potranno individuare per la definizione degli "atti aziendali'' approvati dai manager delle singole aziende, questi ultimi avranno in mano un ulteriore strumento per accentrare la gestione interna delle "loro aziende'' e per introdurre maggiore flessibilità aziendale nella "politica del personale''. Per quanto riguarda quest'ultima le Asl e le Aziende ospedaliere rassomiglieranno sempre di più alle "imprese private a scopo di lucro'': siamo infatti in presenza di un vera e propria privatizzazione del rapporto di impiego, con la eliminazione di vincoli ed obblighi ancora esistenti per quanto riguarda la gestione del personale (accessi, mobilità, organizzazione dei servizi), attuata anche attraverso la separazione, per i medici e gli altri laureati sanitari, delle "funzioni puramente professionali'' da quelle "gestionali-manageriali''. I lavoratori a cui saranno affidate le funzioni gestionali-manageriali avranno molto più potere sul restante personale e saranno assunti con contratti a termine rinnovabili o revocabili sul modello dei direttori generali, sanitari e amministrativi. Anche per gli infermieri, i tecnici e gli operatori della riabilitazione si prevede un livello gestionale-manageriale nella gestione delle Unità operative e nei servizi. Il governo del rinnegato D'Alema ha sposato, in ogni settore della pubblica amministrazione, la linea della "professionalità'' e della "produttività'' da sempre cavallo di battaglia del padronato poiché giustifica gli aumenti salariali diseguali, gli aumenti al merito, la discriminazione, il ricatto e la concorrenza tra lavoratori, la struttura gerarchica delle aziende.
Tra l'altro viene confermato il "perverso'' meccanismo, anch'esso mutuato dai privati, di "incentivazione del personale'' basato sui cosiddetti "premi di produttività'' definiti contrattualmente sulla base degli avanzi di gestione. L'obiettivo è infatti legare sempre di più i lavoratori agli obiettivi di profitto e di risparmio delle direzioni aziendali spaccando le categorie di chi lavora nel sistema sanitario ed aprendo l'era del crumiraggio aziendale e dell'asservimento dei sindacati collaborazionisti alle leggi della produttività, del risparmio e della competizione aziendale.
Ancora per quanto riguarda il personale il D.Lgs individua un "unico ruolo dirigenziale'' al quale si accede mediante concorso pubblico.
Gli incarichi ai dirigenti sono attribuiti dai manager a tempo determinato ed ogni dirigente è sottoposto a verifica triennale (quello con incarico di "struttura semplice o complessa'' ogni anno e al termine dell'incarico).
ll rapporto di lavoro è esclusivo e dà la possibilità di partecipare ai proventi di tutte le attività a pagamento dell'azienda (sono soppressi i rapporti a tempo definito). Confermata è anche la definizione dell'esubero del personale in base standard: degenza media, intervallo di turn-over, rotazione degli assistiti e si apre la strada ai contratti a tempo determinato (da 2 a 5 anni) con rapporto esclusivo entro il 2% della dotazione organica della dirigenza; altri contratti a termine potranno essere stipulati nel limite del 5% per profili dirigenziali differenti da quello medico, mentre saranno possibili anche contratti di diritto privato a tempo determinato per l'attuazione di progetti finalizzati. Si tratta dell'ennesima accelerata verso la precarizzazione e privatizzazione del rapporto di lavoro nel pubblico impiego secondo i diktat di D'Alema e Confindustria di "farla finita al più presto con il posto fisso'' poiché "ci vuole più flessibilità nell'acquisto della forza-lavoro''.
è stabilito il collocamento a riposo a 65 anni dei dirigenti medici e, "anomalia'', a 67 anni per il personale medico universitario.
Per quanto si è detto i passaggi su "l'integrazione delle aziende nell'attività socio-sanitaria ed in quella delle Asl, il coordinamento delle aziende tra di loro e con le strutture territoriali'' appaiono puramente demagogici e palesemente in contraddizione con gli obiettivi di mettere in competizione tra di loro tutte le aziende autonome presenti sul mercato della sanità.
Diventeranno aziende autonome anche gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. Tra 3 anni e nei PSR la regione verifica, nelle aziende ospedaliere autonome, gli eventuali disavanzi di gestione e la permanenza o meno dei requisiti per l'accreditamento con la possibilità di procedere alla revoca dell'autonomia aziendale e al ritorno degli ospedali sotto il controllo delle Asl. Il rispetto dei vincoli di bilancio delle strutture "pubbliche'' è infatti elemento di verifica per la conferma degli incarichi ai direttori generali, ai direttori del dipartimento, di struttura complessa e per l'assegnazione degli incentivi di risultato al personale dirigenziale.
Questo sistema di controllo dell'andamento finanziario e di penalizzazione delle aziende spingerà ulteriormente le direzioni aziendali, quando non sarà possibile aggirare la verifica dei requisiti e i disavanzi di gestione, ad imboccare la strada del taglio dei servizi, del personale e dei posti letto a tutto vantaggio degli avvoltoi privati che si accalcheranno nei dintorni delle aziende "pubbliche'' in difficoltà finanziarie per acchiapparne la clientela.
Per quanto riguarda gli ospedali che non saranno trasformati in aziende viene confermata la possibilità da parte delle Asl di procedere al loro accorpamento.
Gli "ospedali a gestione diretta'' avranno autonomia tecnico-gestionale, e una contabilità separata rispetto a quella della Asl di riferimento. Essi saranno diretti da un medico responsabile delle funzioni igienico-organizzative e da un dirigente amministrativo responsabile per il coordinamento con la Asl.
è bene ricordare che anche queste due nuove figure poste alla direzioni degli ospedali sono obbligate a concorrere agli obiettivi del manager della Asl di riferimento.
Vi è l'obbligo da parte delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere di "rendere pubblici, annualmente, i risultati delle proprie analisi dei costi, dei rendimenti e dei risultati''. Dulcis in fundo saranno autorizzati "programmi di sperimentazione di nuovi modelli gestionali che prevedano forme di collaborazione tra strutture del SSN e soggetti privati, anche attraverso la costituzione di società miste a capitale pubblico privato''.
Società miste, strutture "pubbliche'' aziendali autonome, strutture private accreditate, strutture private concorreranno sul mercato sanitario all'ultimo "sangue'' (quello del paziente!) o formeranno gruppi, alleanze, monopoli nei settori più redditizi spalancando definitivamente le porte dell'anarchia capitalistica nel campo sanitario. E di fronte all' alternarsi e ridefinirsi frenetico di libero mercato e monopoli nulla potranno le flebili strutture programmatrici previste dalla Bindi come argine alla competizione selvaggia, che siano PSN, PSR, leggi regionali, programmi territoriali o quant'altro.
Inoltre con lo scorporo progressivo degli ospedali dalle Asl, con la prevedibile riduzione delle strutture di erogazione dei servizi che a quest'ultima erano attribuite dalla legge 883, e con le nuove funzioni attribuitegli circa la stipula di contratti con le strutture accreditate, le Asl rassomigliano sempre di più alle "agenzie inglesi di acquisto dei servizi sanitari'' dal mercato sanitario misto pubblico-privato anglosassone. Infatti nella seconda repubblica neofascista e federalista le Asl sembrano destinate, più o meno velocemente, a mutare e diversificare la propria funzione a seconda del territorio in cui sono collocate, della più o meno forte presenza delle strutture accreditate nonché dei finanziamenti statali che riceveranno: si verranno a creare due tipologie di aziende "pubbliche'', quelle prevalentemente erogatrici di servizi e quelle prevalentemente acquirenti, per conto dei cittadini, di servizi da strutture "pubbliche'' o private presenti nel proprio territorio di competenza.

L'"INTRAMOENIA'': ATTIVITA' PRIVATA NELLE STRUTTURE PUBBLICHE

La democristiana Bindi aveva fatto dell'avviamento dell'incompatibilità totale tra attività privata ed attività pubblica un suo cavallo di battaglia. Essa sarebbe stata una goccia nel mare di macerie che è diventato il SSN ma avrebbe comunque finalmente messo fine alla scandalosa gestione di Policlinici e ospedali come enorme serbatoio di clientela per i più meno grandi e potenti studi, cliniche e laboratori privati dei boss universitari e ospedalieri. Ma così non è stato, poiché gli ultimi provvedimenti del "ministro statalista'' (sic!) oltre al tentativo di centralizzare sul manager il controllo di tutto il personale, introducono definitivamente l'attività libero professionale privata all'interno di strutture ancora formalmente pubbliche, permettendo che l'attività privata sia ancora consentita e per lo più in duplice versione: come attività privata vera e propria (extramuraria) alternata anno per anno con quella intramuraria nel "pubblico'' per la quale saranno assegnate ingenti risorse e spazi all'interno delle aziende "pubbliche''. Rispetto alla legge 502 è confermata l'organizzazione dipartimentale di tutte le strutture "pubbliche'' e l'obbligo di trasformare il 5-10 % dei posti letto in camere a pagamento (per un periodo transitorio l'esercizio della attività libero professionale intramuraria potrà avvenire fuori le mura, ossia in case di cura e strutture private). I pazienti per potere accedere a questa strutture pagheranno una retta giornaliera in base alla qualità alberghiera e una quota forfettaria per tutte le altre prestazioni in base al tipo di prestazioni stesse. Bontà loro i posti destinati all'attività libero professionale intramuraria non concorrono ai fini della definizione degli standard regionali di posti letto per mille abitanti (legge 412/91) e l'attività libero-professionale non può superare il numero di prestazioni effettuate per quella ordinaria (ma chi controllerà?).
I provvedimenti che impediscono di svolgere contemporaneamente l'attività intramuraria e quella extramuraria in realtà, più che in direzione dell'incompatibilità tra funzione pubblica e funzione privata, sono orientati a spingere i medici delle aziende ad identificarsi, attraverso circuiti di incentivi economici, con gli obiettivi di produttività e risparmio di quest'ultime.
I pazienti che venivano salassati dalle parcelle dei baroni universitari e da medici senza scrupoli che, con il ricatto, prosperavano sul cadavere dell'assistenza pubblica, saranno ancora più derubati e ancora di più selezionati in base al reddito: i più ricchi infatti si potranno permettere di scegliere tra le lussuose cliniche e gli studi privati da 300.000 a visita o i ricoveri e le visite a pagamento nei miglior reparti e ambulatori delle aziende "pubbliche'' destinati alla attività intramuraria; i più poveri invece si dovranno accontentare di liste di attesa infinite per i ricoveri e visite, posti letto in barella, prestazioni ambulatoriali sempre più scadenti e sempre più costose, in un "pubblico'' ufficialmente di serie b.

I DISTRETTI E L'"INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA''
 
 
I distretti abbracciano un bacino di ben 60.000 abitanti e devono far fronte "all'assistenza primaria per attività sanitarie e sociosanitarie''. Sono dotati di autonomia tecnico-gestionale e economico-finanziaria con contabilità separata all'interno delle ASL di riferimento. Le regioni disciplinano le attività distrettuali di: assistenza primaria, continuità assistenziale in ambulatorio e a domicilio (medici e pediatri di base, guardia medica e specialistica ambulatoriale) nonché il "coordinamento tra medicina di base e strutture a gestione diretta (ospedali), servizi di specialistica ambulatoriale e strutture extraospedaliere accreditate''.
Il mercato misto pubblico-privato-no profit sbarca dunque anche nella cosiddetta medicina territoriale attraverso "il coordinamento...con le strutture extraospedaliere accreditate''.
Il coordinamento tra i distretti e i dipartimenti e servizi aziendali avviene attraverso il "programma delle attività territoriali'', proposto dal "comitato sindaci'' e dal "direttore di distretto'' ed approvato dai manager.
Diciamo subito che anche nel ridefinire l'organizzazione distrettuale, che nella legge 883 doveva essere il fulcro della capillarizzazione delle attività sanitarie e socio sanitarie poiché direttamente a contatto con i cittadini, non è stata prevista alcuna, sia pur parziale forma di partecipazione reale delle masse popolari alla definizione dei propri bisogni di salute né alcuna forma di controllo sulla rispondenza dei servizi ai bisogni stessi.
Il distretto garantisce, con particolare riferimento "ai servizi alla persona'', assistenza specialistica ambulatoriale, prevenzione e cura delle tossicodipendenze, attività consultoriali per la tutela della salute dell'infanzia, della donna, e "della famiglia''; attività o servizi rivolti a disabili ed anziani, assistenza domiciliare integrata per casi di HIV e pazienti in fasi terminali e "deve costituire un dipartimento di salute mentale ed un dipartimento di prevenzione''.
Nella "tutela della famiglia'' si può avere il senso delle concezioni reazionarie e clericali della democristiana Bindi che vorrebbe rafforzare la famiglia cattolica come cellula costitutiva della società capitalistica e scaricare, all'interno di questa, sulla donna quei servizi sociali in via di soppressione per l'infanzia, gli anziani, i disabili, i "malati di mente'', i tossicodipendenti ecc.. In queste parole è sancita per legge l'ulteriore involuzione reazionaria dell'ideologia che ispirò i consultori familiari e materno-infantili e un nuovo ostacolo al diritto delle donne all'aborto e alla informazione contraccettiva per una sessualità cosciente. Per quanto riguarda poi i "servizi alla persona'' (leggi all' emarginato) dei quali dovrebbe occuparsi il distretto, essi si distinguono dalle antiche istituzioni di beneficenza ed elemosina ai poveri e agli emarginati, soltanto per il fatto che a gestirli non sarà direttamente la chiesa cattolica ma un'intricata commistione di volontari, operatori pubblici e privati a scopo di lucro.
Vengono distinte le "prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria''16 che rientrano nei "livelli essenziali previsti dai piani sanitari nazionali, regionali e territoriali'' e "le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria'' di competenza dei comuni che "provvedono al finanziamento negli ambiti previsti dalle legge regionale''.
C'è qui da dire che la legge 833/78 dava dell'integrazione delle attività socio-sanitarie un'interpretazione collegata alla delega delle attività sociali dai Comuni alle Usl, tenuto conto che quest'ultime erano un "organismo tecnico dei Comuni''. L'involuzione in termini aziendalistici e di autonomia organizzativa ed istituzionale voluti per il settore dal 502/92, dal 517/93 e dalla riforma Bindi Ter viene a determinare una situazione diversa per la quale, alla definizione e realizzazione dei "progetti individuali'' di assistenza socio-sanitaria, dovrebbero contribuire diversi enti autonomi quali ASL, Comuni, privati, associazioni di no profit e volontariato attraverso "accordi di programma'' o "società miste'' prevedendo anche vergognosamente da parte dell'assistito "il pagamento di ticket e la partecipazione alla spesa'' da recapitare ad ognuno dei partecipanti ai progetti. Più in generale il neoliberista D'Alema e la democristiana neoliberista Bindi con questi provvedimenti rifiutano di considerare i servizi sociali e socio-sanitari come atti dovuti, come diritti dei cittadini, come prestazioni già pagate dai contribuenti che lo Stato e il governo hanno l'obbligo di erogare. Essi sostengono invece che l'unico modo per aumentare la qualità e la quantità dei servizi sociali, sanitari e socio-sanitari è di trasformarli in servizi a domanda individuale. Non più come servizi dovuti dallo Stato a tutta la società, ma offerti da chicchessia su richiesta di singoli. Così sanciscono la collaborazione fra intervento pubblico e privato nei servizi socio-sanitari, dove il pubblico finanzia e il privato riscuote e impone criteri di gestione capitalistici. In tal modo saranno ancora una volta discriminati gli strati e le classi sociali più povere che non potendo permettersi di pagare le esose tariffe dei servizi privati, si dovranno accontentare dei servizi statali più scadenti e dequalificati o, nella maggior parte dei casi, arrangiarsi da soli.
I più ricchi potranno invece anche scegliere di farsi una assicurazione per prestazioni "integrative'', tra le quali sono esplicitamente comprese le attività di assistenza socio-sanitaria.
L'istituzionalizzazione del volontariato poi rientra nel disegno governativo di smantellare totalmente lo "Stato sociale'', di privatizzare tutti i servizi sociali, di scaricare l'assistenza ai poveri, agli anziani, ai tossicodipendenti, ai malati di aids, ai disabili, ai malati terminali etc, con prestazioni gratuite di centinaia di migliaia di generosi volontari, soprattutto giovani. Cosicché i volontari da impliciti e oggettivi accusatori del Palazzo e della sua inettitudine, diventano definitivamente strumenti di copertura dello Stato capitalistico, controllati, sfruttati e usati per smorzare le contraddizioni sociali e la lotta delle masse per i servizi sociali pubblici17.

LA MEDICINA DI BASE, LA CONTINUITA' ASSISTENZIALE E IL SISTEMA DI EMERGENZA REGIONALE
 
"Il rapporto tra SSN, medici di medicina generale e pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali di lavoro'' che dovranno prevedere comunque la libera scelta del medico e le modalità per l'attività libero professionale di quest'ultimo che deve essere comunicata alla ASL.
Sono previsti incentivi a chi non sceglierà di svolgere la libera professione ma anche qui si scorge l'equilibrismo governativo per risolvere la contraddizione tra le necessità della medicina privata e quelle della medicina aziendalizzata.
La retribuzione avviene tramite "una quota fissa, corrisposta su base annuale, per ciascun soggetto iscritto alla lista e una quota variabile in considerazione del raggiungimento degli obiettivi previsti dai programmi di attività e del rispetto dei livelli di spesa programmati nonché dei programmi e degli obiettivi dell'attività del distretto''.
Questa duplice forma di finanziamento della medicina generalista avrà una duplice conseguenza: da una parte spingerà i medici a ricercare il numero più alto di assistiti possibile, a scapito ovviamente della qualità dell'assistenza, dall'altro li incentiverà ad asservire la loro attività alle logiche aziendali di risparmio e produttività delle prestazioni erogate. Nelle intenzioni che ispirarono la legge 883 la medicina di base (o generalista) era considerata il fulcro del SSN poiché in essa si sarebbero dovute realizzare quelle condizioni di sviluppo delle cure sul "territorio'', della prevenzione e dell'assistenza domiciliare mai in precedenza sviluppate e che per la prima volta avrebbero dovuto affermare la priorità della prevenzione rispetto alla cura. Nel nuovo modello liberista invece, come si legge in un convegno sulla sanità organizzato dal PDS, "le cure primarie sono al centro dello snodo fra domanda e offerta e dunque devono servire al controllo dei flussi di cure secondarie per il bilanciamento del sistema di quasi-mercato delle cure''. Il dlg intende "garantire l'attività assistenziale per tutto l'arco della giornata e per 7 giorni a settimana'' coordinando il lavoro dei medici di medicina generale, dei pediatri di libera scelta, della guardia medica e della medicina dei servizi attraverso forme di "associazionismo professionale'' e la organizzazione distrettuale del servizio. Ciò vuol dire che le Asl e le regioni potranno stipulare contratti e accordi con "le associazioni di medici'' per il raggiungimento di specifici obiettivi definiti in ambito convenzionale.
Quei singoli o gruppi che meglio si piegheranno al raggiungimento degli obiettivi aziendali accederanno a tali accordi e contratti, il che spaccherà letteralmente la categoria creando veri e propri circuiti di medici di base aziendalizzati, con piena responsabilità finanziaria e decisionale. Il modello di riferimento è il "managed Care'' vigente negli Usa per cui si vogliono creare grandi e piccoli raggruppamenti di medici di base riuniti in cooperative che competono tra di loro per contrattare con le Asl l'affidamento di funzioni assistenziali che consentano sostanziali risparmi e razionalizzazione di risorse. Il passo successivo sarà certamente l'affidamento a tali gruppi di un "budget'' che li trasformerà in acquirenti, per conto dei propri pazienti, di prestazioni dai fornitori di cure in competizione tra loro, realizzando la separazione tra acquirenti e compratori di prestazioni sanitarie, già tristemente presente nei mercati sanitari statunitensi e anglosassoni.
Tornando al decreto Bindi esso prevede ancora un canale preferenziale nella graduatoria annuale per chi è in possesso dell'attestato di medicina generale. A questi ultimi dovrà essere riservata una percentuale di posti in sede di copertura delle "zone carenti''.
Dato che per avere l'attestato di medicina generale è obbligatorio seguire un corso di specializzazione a numero chiuso (quiz) e a pagamento ciò porterà, come già avviene per tutte le altre specializzazioni mediche, ad una ulteriore selezione in base al reddito tra chi rimarrà disoccupato e chi potrà intravedere un posto di lavoro.
Vengono messi ad esaurimento i posti per la guardia medica e la medicina dei servizi. Entro un anno le regioni possono prevedere l'instaurarsi di un rapporto di impiego nell'emergenza territoriale. "I medici che avevano un incarico a tempo indeterminato da almeno 5 anni sono inquadrati a domanda nel ruolo sanitario nei limiti dei posti delle dotazioni organiche''. I medici addetti convenzionati per l'emergenza sanitaria territoriale e quelli del sistema emergenza-urgenza saranno gestiti "con criteri flessibili e con forme di mobilità interaziendale'' a discrezione delle singole regioni.
La discrezionalità regionale sull'organizzazione di guardia medica, continuità assistenziale ed organizzazione del sistema di emergenza regionale, figlia anch'essa del federalismo sanitario, comporterà situazioni diversificate di regione in regione. In Campania, che non ha ancora avviato un vero servizio di emergenza regionale, già si sta procedendo al trasferimento dei medici di guardia medica in servizi di emergenza territoriale, il tutto nel rispetto dei "criteri flessibili di mobilità interaziendale'' che per questi medici vuol dire pochi diritti e nessuna sicurezza sulla stabilità del proprio posto di lavoro.


LE FUNZIONI LIMITATE DEL DIPARTIMENTO DI PREVENZIONE


Il "Dipartimento di prevenzione'' (Dp) è definito come "struttura operativa della Asl che garantisce la tutela della salute collettiva''. Esso "promuove azioni volte ad individuare e rimuovere le cause di nocività e malattia di origine ambientale, umana ed animale con iniziative coordinate con i distretti e i dipartimenti delle ASL e delle Aziende ospedaliere'', partecipa al "programma di attività delle Asl'' dando indicazioni in ordine alla loro copertura finanziaria.
In questa struttura vengono accorpate tutte le funzioni attribuite alle Usl dalla 883 quali la profilassi delle malattie infettive, la tutela della collettività dai rischi sanitari degli ambienti di vita, la tutela della collettività e dei singoli dai rischi infortunistici e sanitari connessi agli ambienti di lavoro, la tutela igienico-sanitaria degli alimenti, la sorveglianza e prevenzione nutrizionale. I servizi veterinari sono invece scorporati ed hanno autonomia tecnico-funzionale ed organizzativa e rispondono delle risorse attribuite. In sostanza vengono accorpati gli artt. 16 - servizi veterinari, 20 - attività di prevenzione e 21 - organizzazione dei servizi di prevenzione, igiene ambientale e medicina del lavoro con presidi nelle aziende, della 883.
La regione18 disciplina le strutture organizzative dedicate a: igiene e sanità pubblica, igiene degli alimenti, prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, sanità animale, igiene alimentare, igiene su animali e derivati, igiene degli allevamenti e riproduzione Zootecnica, medicina legale e necroscopica.
Il dipartimento di prevenzione nella propria attività di tutela della salute e della sicurezza degli ambienti di lavoro si raccorda con gli "organismi paritetici'' (626) o le "parti sociali''.
Su questo punto il testo presenta notevole ambiguità poiché il raccordo con gli "organismi paritetici e le parti sociali'' non è meglio definito venendosi a prefigurare la possibilità di un ruolo e potere marginale se non nullo dei Dp all'interno dei luoghi di lavoro.
Il dipartimento opera nel "piano attuativo locale'' con autonomia organizzativa e contabile attraverso centri di costo e di responsabilità. Il direttore è scelto dal manager, deve perseguire gli obiettivi aziendali ed è responsabile dell'organizzazione e della gestione delle risorse assegnate (budget).
Qui si viene a creare una stridente contraddizione tra le necessità economiche dei programmi di prevenzione, i cui risultati evidentemente non sono quantificabili a breve scadenza, e l'obbligo del direttore del dipartimento di rispettare gli obiettivi aziendali di risparmio e produttività immediata delle prestazioni. Inoltre l'estensione delle attività preventive dei dipartimenti e la loro qualità dipenderà dalla quantità di risorse, di strutture di strumenti e di personale assegnate al dipartimento ed a questo proposito le condizioni in cui sono ridotti i vecchi Servizi di epidemiologia e prevenzione, almeno al Sud, non lasciano ben sperare sulla reale efficacia preventiva delle attività dei Dp.

LE AZIENDE OSPEDALIERO-UNIVERSITARIE E LA PRIVATIZZAZIONE DELLA FORMAZIONE
 
Per quanto riguarda le facoltà di medicina è bene ricordare che dalla controriforma De Lorenzo in poi si viene a creare una situazione per la quale queste ultime sono fisicamente collocate in aziende autonome che si riorganizzano, anche qui, con la logica delle imprese private e nelle quali i professori e baroni universitari cominciano a perdere parte del potere incontrastato che avevano sui propri feudi e sulla gestione complessiva delle strutture e del personale, a favore dei nuovi organi di potere: la troica direttore generale, direttore amministrativo, direttore sanitario che inizia, spinta dalla quadratura dei bilanci e dai ridotti "budget'' regionali, a mettere, anche se molto timidamente, il naso nelle attività dei baroni, soprattutto per quanto riguarda la loro attività assistenziale. L'ente regione, come abbiamo visto, assume intanto competenze sanitarie sempre più vaste nel quadro di un federalismo spinto fino ai limiti della secessione. Le regioni fin dall'inizio sono alle prese con vere e proprie voragini finanziarie e con il sempre più evidente sfascio dell'assistenza pubblica. In Campania, ad esempio, l'assessorato regionale alla sanità ha tentato nel 1997, attraverso finanziamenti e protocolli d'intesa, di costringere le aziende universitarie policlinico ed il suo personale, a collaborare al sistema territoriale per le emergenze (118) attraverso la creazione dei SIRES (Centri di emergenza di II livello) per lo smistamento dei pazienti non gestibili da altri ospedali o aziende ospedaliere dotati di centri di emergenza I livello. Si rivelerà subito un servizio di emergenze criminalmente fantasma ma è comunque un altro colpo all'indipendenza ed al dorato isolamento dei cosiddetti "professoroni universitari'' che nonostante le proteste sono costretti a misurarsi non più con pazienti superselezionati da utilizzare come cavie di laboratorio ma con pazienti che rischiano la vita, mostrando tutta la loro vergognosa ignoranza professionale.
Arriva infine il decreto legislativo della democristiana Bindi ("riforma'' sanitaria Ter) che, in linea con quello del suo predecessore De Lorenzo (502/92), accentua i caratteri privatistici, aziendalistici e federalistici del SSN e rimodella su questa base i rapporti tra sistema sanitario nazionale ed università con il passaggio delle aziende universitarie policlinico e delle aziende miste ad un modello aziendale unico di azienda ospedaliero-universitaria in cui l'attività assistenziale dei professori e dei ricercatori sarà regolata da specifici protocolli d'intesa regione-università sulla base delle esigenze della programmazione sanitaria regionale. Tali protocolli potranno prevedere: 1) che l'attività didattica (corsi di laurea, di diploma e di specializzazione) venga svolta anche nelle Asl, nelle aziende ospedaliere e nelle strutture private accreditate; 2) la riduzione dei posti letto nelle neo aziende ospedaliero-universitarie in rapporto al numero degli studenti iscritti ai corsi di laurea e in attuazione del Piano sanitario regionale; 3) il reclutamento e trasferimento per posti vacanti di professori o ricercatori universitari richiesti dal consiglio di Facoltà delle aziende stesse. è chiaro che con questi protocolli la regione avrà mano libera: 1) nell'utilizzo di manodopera a costo zero (studenti di medicina e diplomandi) o a basso costo (specializzandi) nelle Asl, nelle aziende ospedaliere e nelle strutture private sottraendola in parte al monopolio delle cosche dei feudatari universitari; 2) nel tagliare drasticamente i posti letto delle aziende ospedaliero-universitarie dato che gli studenti iscritti ai corsi di Laurea di medicina e chirurgia sono stati enormemente sfoltiti e selezionati nel corso degli anni dall'imposizione dell'odioso numero chiuso, tra l'altro utilizzato illegalmente fino all'estate dello scorso anno! (Legge D'Alema-Zecchino del 2 agosto); 3) nel reclutamento e trasferimento dei professori e dei ricercatori.
Tutta l'organizzazione interna di queste nuove aziende sarà in pratica sotto il diretto controllo del direttore generale che potrà: 1) nominare e revocare il direttore amministrativo e sanitario dell'azienda; 2) nominare e rimuovere i direttori delle nuove strutture dipartimentali; 3) istituire, modificare o sopprimere le strutture che compongono i dipartimenti stessi; 4) giudicare l'adempimento dei doveri assistenziali da parte del personale universitario che in determinate circostanze potrà anche allontanare dall'azienda; 5) attribuire e revocare ai professori gli "incarichi di strutture''.
Dovrebbero a questo punto essere chiari i veri motivi della recente insofferenza di presidi e baroni delle facoltà di Medicina e dell'ira dei rettori di alcuni atenei, che si vedono scippati, dai manager e dagli assessorati regionali alla sanità, parte di quell'enorme bacino di controllo clientelare e affaristico che sono state fino ad oggi le corsie di reparto, i laboratori e le aule dei Policlinici universitari. Per placare la rivolta delle potenti lobby, anche parlamentari, dei professori ordinari e associati, questi ultimi riceveranno, per passare al nuovo sistema, diversi "incentivi economici'' e "premi di produttività'' che serviranno a selezionare la nuova classe di potere delle aziende ospedaliero-universitarie, ossia quella classe dirigenziale più allineata e fedele alla politica economica e gestionale dei manager, chiudendo l'epoca dei feudi baronali ed aprendo, anche qui, quella del crumiraggio aziendale.
I direttori generali avranno inoltre maggior libertà e flessibilità nell'utilizzo della manodopera; i provvedimenti legislativi infatti aprono la strada alle assunzioni part-time ed a tempo determinato di durata non superiore ai quattro anni e non rinnovabili. Essi faranno da apripista per la completa privatizzazione e precarizzazione dei rapporti di lavoro nel pubblico impiego. Come ultima ciliegina sulla torta sarà possibile realizzare aziende ospedaliero-universitarie gestite da università non statali anche attraverso l'utilizzo di strutture private accreditate. Da quanto detto appare in maniera lampante che le contraddizioni tra i potentati universitari e i ministri Bindi e Zecchino, nonché le contraddizioni tra i potentati universitari e i manager delle aziende sanitarie e universitarie sono contraddizioni in seno al nemico! Peggioreranno infatti le condizioni dei pazienti, dei lavoratori e degli studenti. I pazienti nelle aziende si troveranno ad essere "curati'' da un personale sempre più alienato dal proprio lavoro e sempre più lontano dai pazienti poiché le direzioni aziendali selezioneranno e formeranno operatori esperti più sul versante dei risparmi, dei tagli e della pubblicità che su quello prettamente sanitario (prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione). I lavoratori infatti, e con essi intendiamo oggi anche i ricercatori universitari, passeranno dalla sudditanza ai baroni dei reparti-feudo alla sudditanza al nuovo padrone dell'azienda (manager) ed ai suoi sottopadroni di settore (dirigenti e direttori). Gli studenti invece potranno finalmente uscire e studiare fuori dall'azienda e dall'università, liberarsi dell'ipernozionismo supersettorializzato e conoscere la realtà socio-sanitaria che li circonda? No di certo. Molto più probabilmente saranno sfruttati nell'organizzazione aziendale di qualche Asl, di qualche azienda ospedaliera o di qualche clinica privata! I ricercatori invece scompariranno progressivamente dopo un periodo transitorio in cui (forse) saranno inquadrati nella provvisoria terza fascia della docenza universitaria e comparirà la figura del nuovo precario dell'università che andrà a sostituire borsisti e dottorandi: il tirocinante.
Con decreto ministeriale sarà stabilito il fabbisogno per il SSN di medici, veterinari, dentisti, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi, infermieri, ottici, tecnici e di tutto il restante personale sanitario e socio-sanitario per definire il numero di studenti da selezionare per le facoltà medicina, le scuole di specializzazione ed i diplomi universitari.
Anche questo è un passaggio particolarmente grave poiché subordina il diritto allo studio alle esigenze di forza-lavoro del mercato sanitario e socio-sanitario avallando di fatto la spietata selezione meritocratica e di classe che già avviene nei corsi di laurea, di diploma e di specializzazione delle facoltà mediche con l'introduzione generalizzata del numero chiuso per l'accesso a tutte le professioni dell'area sanitaria e socio-sanitaria.
La formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione si svolgerà anche nel SSN e nelle strutture private accreditate attraverso percorsi paralleli a quelli dell'università. Con decreto del ministro della sanità saranno definite "delle linee guida ogni tre anni per protocolli d'intesa regioni, università e SSN per individuare le strutture universitarie per attività assistenziali e le strutture per la formazione specialistica e i diplomi universitari''. I percorsi formativi svolti in strutture accreditate sono requisito valido per potere accedere al SSN
Per il personale verrà avviata la cosiddetta "formazione continua'' che potrà essere affidata anche direttamente a privati asservendo la formazione da un lato alle esigenze di profitto dell'industria farmaceutica e dell'industria di apparecchi diagnostici e terapeutici dall'altro alle necessità formative di risparmio e profitto dei vertici aziendali. Anche la ricerca sanitaria e biomedica, secondo il pensiero unico della Bindi, deve essere immediatamente "integrata e coordinata con la ricerca privata''.
IL SANITOMETRO
Un altro versante di attacco e demolizione del SSN nato dalla 883/78 è l'introduzione del sanitometro19, varato dal governo Prodi-D'Alema-Bertinotti ed entrato in vigore sotto il governo del rinnegato D'Alema, con il quale viene stravolta radicalmente la concezione e la filosofia del SSN. In pratica esso decreta ufficialmente la morte della sanità pubblica, universale, gratuita e sostenuta dalla fiscalità generale e al suo posto si sancisce un sistema sanitario a pagamento con agevolazioni solo per gli indigenti. Il ministro Bindi, vero artefice del provvedimento, assicura "che si tratta solo di una più equa distribuzione delle esenzioni e della partecipazione degli utenti alla spesa sanitaria'' negando in sostanza che si tratta invece di un altro grimaldello per lo smantellamento della sanità pubblica, di un ulteriore strumento per favorire la privatizzazione dei servizi, e dell'ennesima controriforma in piena regola che trasforma il diritto alla salute in beneficenza ai poveri ed ai bisognosi ricollegandosi direttamente al sistema in vigore prima della "riforma sanitaria'' del '78.

8. LA "RIFORMA SANITARIA'' DEL '78 E LA CONTRORIFORMA DEL '99 A CONFRONTO
 
La controriforma Bindi nasce in un contesto economico-politico radicalmente mutato rispetto a quello nel quale si inquadrava la legge 883. Quest'ultima fu il frutto di una vasta, profonda e lunga lotta del proletariato e delle masse popolari per "il diritto alla salute'' in un momento storico in cui lo Stato borghese, con l'aiuto dei vertici del PCI, si riorganizzava per dar vita alla versione italiana del cosiddetto "Stato sociale'' (con il quale arginare, contenere e imbrigliare la lotta di classe rivoluzionaria); la "riforma Bindi Ter'' si muove nell'ambito di un processo avanzato di distruzione dello "Stato sociale'' reso possibile dal momentaneo refluire della lotta di classe e dalle pressioni competitive dei grandi gruppi economici e finanziari dell'Europa unita, delle banche e dei padroni. In questo contesto i soldi destinati ai servizi pubblici vengono sempre di più dirottati per incentivare il privato o settori più strategici per la competizione internazionale e un esempio lampante è stato la recente disinvolta sottrazione, nella legge finanziaria 2000, di 500 miliardi destinati alla sanità per il finanziamento di un nuovo caccia militare per l'imperialismo italiano. Del resto il processo di privatizzazione delle strutture pubbliche, e di finanziamento con soldi pubblici di quelle private non si limita al campo della sanità, ma investe la scuola, l'università, i servizi sociali e quant'altro
Da questo punto di vista, e sfrondata di alcuni elementi demagogici, il D.Lgs Bindi appare molto più come un passo avanti nel solco liberista aperto dalla controriforma del '92 che, come dice il ministro, "un ritorno ai principi della legge 883''. Con questo decreto lo Stato si ritira ulteriormente dal campo dell'assistenza sanitaria e socio-sanitaria liberando spazio in primo luogo ai privati e alle mutue e in secondo luogo al no-profit ed al volontariato. La sanità nelle aziende diviene un enorme supermarket nelle quali la salute è una merce da vendere come le altre, i pazienti sono clienti da ingannare e circuire e gli operatori sanitari all'occorrenza sono produttori, commercianti e capireparto.
I fondamentali principi che ispiravano la legge 883 vengono uno ad uno a cadere: "l'universalità del SSN'' è cancellata dall'introduzione del "sanitometro'' che inaugura la sanità a pagamento, con esenzioni solo per i più poveri; il suo carattere "pubblico'' dall'accreditamento indifferenziato dei privati; "la gratuità del SSN e il diritto alla salute uguale per tutti a prescindere dal reddito'' polverizzato dai "ticket'', "dalla attività intramuraria'', "dalla compartecipazione alle spesa'' per un numero sempre maggiore di prestazioni e dall'introduzione delle mutue assicurative; "l'uniformità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale'' contraddetta dalla riorganizzazione federalista del sistema sanitario che diversifica l'assistenza sanitaria di regione in regione nonché dall'"autonomia aziendale'' che diversifica le prestazioni offerte di territorio in territorio; "la capillarità delle attività del sistema sanitario'' troncata dal sovradimensionamento delle Asl e dei distretti sanitari, dall'accorpamento degli ospedali e dalla chiusura di quelli "piccoli'', dal taglio dei posti letto, dai numeri chiusi per l'accesso a tutte le professioni sanitarie e dal conseguente diminuire del numero di medici, infermieri operatori sanitari per abitante.
Anche le attività di prevenzione e riabilitazione che occupavano la maggior parte del testo del '78 vengono quasi completamente cancellate dal D.Lgs Bindi; le prime centrifugate nel "Dipartimento di prevenzione'' che già si prevede ridotto all'impotenza dal taglio della spesa sanitaria pubblica e dalle logiche produttivistiche aziendali; le seconde, insieme alle attività di medicina territoriale e socio-sanitarie, "semplificate'' nell'elemosina dei "progetti-persona'' e scaricate sul volontariato e il no profit. Per non parlare del principio della partecipazione della popolazione al controllo e all'elaborazione della programmazione sanitaria che per il testo della Bindi, a differenza della 883, non merita neanche un rigo laddove fiumi di inchiostro vengono riversati per chiarire i meccanismi di accentramento del potere assoluto dei manager sui lavoratori e le attività delle aziende.
Da quanto detto il decreto Bindi può essere considerato un aggiornamento ed una razionalizzazione del dlg 502. Tuttavia in alcuni passaggi, circa l'"integrazione socio-sanitaria'', il ritorno a più vaste competenze dei comuni sull'assistenza sanitaria e socio-sanitaria e la "deospedalizzazione delle cure'', il testo potrebbe sembrare ricongiungersi ad alcuni principi della 883; in realtà queste modifiche perseguono obiettivi diversi da quelli che ispirarono la legge del '78. L'integrazione socio-sanitaria delle attività dei distretti sanitari, più che coordinare realmente l'assistenza sanitaria e sociale, entrambe falcidiate e allo sfascio, ha lo scopo di permettere lo sbarco dei privati, del no-profit e del volontariato in questo settore, creando anche qui un sistema misto tra privati, no profit, volontariato, Comuni e distretti sanitari per l'"assistenza integrata'', anche domiciliare, al singolo emarginato (anziano, disabile ed handicappato, tossicodipendente, malato di Aids che sia) e prevedendo tra l'altro anche forme di partecipazione alla spesa da parte degli "assistiti''.
Per quanto riguarda le nuove funzioni attribuite alle giunte comunali esse rimangono comunque strangolate dai più vasti poteri regionali ed aziendali nonché dal dilagare delle strutture private accreditate e del no-profit. I passaggi sulla deospedalizzazione delle cure, che a prima vista potrebbero ingannare qualcuno circa una volontà governativa di potenziamento della medicina territoriale, in realtà sono funzionali soltanto ed unicamente al contenimento della spesa sanitaria ospedaliera quale principale capitolo della spesa sanitaria pubblica.
A ben guardare quindi la democristiana Bindi riprende, più che gli aspetti progressisti, quelli più reazionari ed ambigui della legge 883 confermando per esempio la possibilità per i medici generici e i pediatri di svolgere l'attività privata o la possibilità di compartecipazione alla spesa da parte dei cittadini.

9.IL BARONE VERONESI, NEL SOLCO LIBERISTA E FEDERALISTA TRACCIATO DAI SUOI PREDECESSORI, INTENDE COMPLETARE IL PROCESSO DI SMANTELLAMENTO E PRIVATIZZAZIONE DEL SSN

"Uno Stato garante, che si prende cura del benessere dei cittadini, fu la grande novità dell'Inghilterra post-bellica. Da allora, con le necessarie trasformazioni e tra infiniti ostacoli, quest'idea ha viaggiato per l'Europa. Ora siamo arrivati al punto in cui dobbiamo riconoscere un altro passaggio, quello dal concetto di Stato che dà assistenza e benessere al concetto di una comunità intera che vi concorre e ne assume la responsabilità''. "La conquista della salute... deve diventare un terreno su cui si confrontano e collaborano tutti i soggetti sociali e istituzionali: le Regioni, i Comuni, le associazioni di volontariato, la scuola, le famiglie, il mondo della ricerca e della produzione'' e più avanti "... il 1999 ha rap-presentato per la sanità italiana un anno carico di avvenimenti. Un anno nel corso del quale sono state avviate due importanti riforme: una sul fronte dell'organizzazione del sistema sanitario, con il decreto n.229 (a tutti noto come riforma sanitaria ter) per garantire una maggiore tutela della salute dei cittadini, migliorando la qualità e l'efficienza dell'assistenza sanitaria; l'altra sul fronte del finanziamento del sistema sanitario con l'introduzione del federalismo fiscale, che ha aperto la strada a un nuovo ruolo delle Regioni nella gestione dei servizi di assistenza e nella programmazione delle risorse ad essi destinate.'' All'onorevole Bindi, che ha tra i molti meriti quello di aver promosso una riforma necessaria per allinearci all'Europa, va la mia personale gratitudine''. Con queste parole piene di demagogia e di spudorate menzogne circa "il benessere, il miglioramento della qualità e dell'efficienza del sistema sanitario'' e "la maggiore tutela della salute dei cittadini'', pronunciate dinanzi alle Camere, in occasione della presentazione della relazione sullo stato sanitario del Paese, il ministro della sanità Umberto Veronesi difende e rilancia l'impianto federalista, liberista e familista della controriforma sanitaria varata dalla democristiana Rosy Bindi e dichiara apertamente che il suo ministero vuole operare nel solco tracciato dal suo predecessore. In parole povere egli intende completare il processo di distruzione del Ssn, di ritirata dello Stato e del governo dall'assistenza sociosanitaria, di smantellamento di quel poco che resta dell'assistenza sanitaria pubblica, per favorire, tramite20 diversi sistemi sanitari regionali nati dalle venti nuove regioni-stato le strutture private e il mercato sanitario privato e scaricare così quei servizi sociali e sanitari essenziali per le masse popolari, ma poco redditizi, sulle spalle del volontariato e delle donne.
Larga parte della relazione è poi occupata nella divulgazione di dati che secondo il ministro attesterebbero che "il Ssn italiano ha saputo conseguire negli anni obiettivi che hanno avuto rilevanza internazionale''. Per dimostrare quanto questa relazione sia ingannatoria e offensiva dell'intelligenza delle masse popolari vogliamo solo ricordare che in neanche un passaggio si nomina il grande divario sanitario tra il Nord e il Sud (!). Per quanto riguarda ad esempio la mortalità infantile si afferma che è in continua diminuzione ma non si cita l'aumento dal '92 ad oggi della natimortalità e della mortalità neonatale in tutto il paese, né che queste ultime, come la mortalità infantile, fanno registrare tassi doppi nel Mezzogiorno rispetto al Nord del Paese. Un altro esempio: circa la mortalità per malattie infettive si parla "di una quasi totale assenza di morti'' laddove tutti gli operatori sanitari conoscono, l'altissimo e netto aumento del tasso di mortalità da infezioni post-chirurgiche causato dalle dimissioni veloci attuate dagli ospedali dopo l'approvazione del sistema di pagamento regionale tramite i Drg. I presunti risultati positivi raggiunti dal piano sanitario nazionale 1988-2000 sono quindi virtuali poiché tra l'altro esso è stato approvato per la prima volta proprio nel momento in cui con l'instaurazione della repubblica federale diveniva privo di significato e non vincolante.
Ma vediamo nel concreto quali sono le misure adottate dal 2° governo Amato tramite Veronesi, che ricordiamo oltre ad essere ministro della sanità, quale direttore dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano è il referente politico di quelle grosse cordate di baroni universitari, dirigenti di cliniche, centri privati e case farmaceutiche che navigano nel grande affare dell'oncologia medica (diagnostica, radio-chemio terapica e chirurgica).

ATTIVITA' PRIVATA DEI MEDICI: secondo il Decreto integrativo della "riforma'' sanitaria Ter, approvato il 26 luglio, l'attività libero professionale privata dovrà essere avviata nelle strutture pubbliche entro il 30 giugno 2001 e a tale scopo le regioni possono stornare soldi già destinati ad altri capitoli di spesa (si parla di 3.000 miliardi). Inoltre i medici potranno continuare a svolgere tranquillamente e per altri tre anni l'attività privata nei loro studi contemporaneamente a quella "pubblica''. Evidentemente la difesa dell'attività privata dei medici sta particolarmente a cuore al ministro Veronesi. Egli non si è limitato a seguire la strada intrapresa da De Lorenzo e Bindi, confermando gli odiosi e discriminatori provvedimenti che introducevano nelle aziende sanitarie e ospedaliere "pubbliche'' la cosiddetta attività intramoenia (camere, ambulatori, servizi rigorosamente a pagamento e gestiti privatamente) destinandovi centinaia di miliardi ma è arrivato a prorogare per altri tre anni l'obbligo di scelta tra attività "pubblica'' (intramoenia) e privata vera e propria (extramoenia); obbligo di scelta del quale la Bindi, sia pure tra mille titubanze e compromessi, aveva fatto il suo cavallo di battaglia. "Credo che i medici'', ha dichiarato a tale proposito Veronesi, "possano apprezzare lo sforzo fatto per realizzare le nuove strutture all'interno ma anche per una gradualità dell'applicazione della legge per quanto riguarda gli studi privati''.

RAPPORTI DI LAVORO: il d.lgs inoltre conferma ed estende, rispetto alla "riforma'' ter, la precarizzazione dei rapporti di lavoro nel settore sanitario stabilendo che il personale medico, tecnico ed amministrativo potrà essere assunto dalle aziende sanitarie con contratto a tempo determinato o nella forma della collaborazione professionale temporanea; contratti potranno essere stipulati anche con società cooperative di servizi. Con questi provvedimenti, in linea con l'accordo tra sindacati confederali e Aran, firmato il 10 agosto scorso, che prevede l'estensione del lavoro temporaneo nel pubblico impiego e l'assunzione di lavoratori interinali negli ospedali e nelle scuole, il governo dell'antico nemico dei lavoratori Amato punta a coprire le gravi carenze di organico legalizzando ed istituzionalizzando di fatto il lavoro nero, precario ed a termine anche nella sanità. Ciò comporterà l'ulteriore peggioramento dei servizi sanitari e delle condizioni di lavoro, e il blocco dell'assunzione regolare di nuovo personale a tutti i livelli.

SPESA FARMACEUTICA: tra i provvedimenti in cantiere Veronesi ha annunciato un'operazione sul mercato farmaceutico per tagliare di almeno 2-3.000 miliardi la spesa farmaceutica. Come avverrà il risparmio? Gli ammalati, fino ad oggi salassati dagli odiosi ticket, pagheranno per intero i farmaci "firmati'', ossia il 99,6% dei farmaci in vendita in Italia, dal momento che il servizio sanitario pagherà loro soltanto i farmaci "generici'' (0,4% del mercato dei farmaci). Questi ultimi sono farmaci, per i quali il brevetto è scaduto, contenenti la stessa composizione chimica dei loro omologhi "firmati'' ma dal costo più contenuto 20. Tali dichiarazioni d'intenti annunciano una vera e propria stangata antipopolare, che tuttavia potrebbe non trovare spazio in questa legislatura, tenuto conto che per ragioni elettorali il ministro Veronesi ha annunciato una riduzione dei ticket sui farmaci e sulle prestazioni diagnostiche. Vedremo. In ogni caso scandalosa è stata l'opera di copertura della politica governativa sui farmaci da parte dell'imbroglione Bertinotti che è arrivato a dichiarare, senza ulteriori commenti, dalle colonne di "Liberazione'' del 27 settembre che l'affermazione del craxiano Veronesi (i ticket sulla salute devono essere aboliti) corrisponde a quanto Rifondazione sostiene da tempo. Il ministro ha annunciato anche l'introduzione di un "budget di spesa'' vincolante per il medico di famiglia che dovrà quindi risparmiare nella prescrizione ai pazienti di indagini di laboratorio, strumentali e farmaci.

AGGIORNAMENTO DEI MEDICI: l'11 agosto Veronesi ha insediato la "commissione nazionale per l'educazione continua medica'' da lui stesso presieduta. Fino ad oggi dopo la laurea e la specializzazione infatti le uniche possibilità di "aggiornamento'' delle conoscenze dei medici erano affidate alle case farmaceutiche e di apparecchi diagnostico-strumentali che organizzavano la stragrande maggioranza dei "congressi medici''. Questi ultimi, fuori da qualunque approccio scientifico serio agli argomenti trattati, servivano da un lato ad orientare la pratica medica verso determinati prodotti da vendere dall'altro costituivano occasioni dirette di collusione e corruzione dei medici da parte delle aziende produttrici. La commissione sulla scia delle controriforme universitaria e scolastica che con l'"autonomia'' hanno introdotto il sistema dei crediti scolastici e formativi, intende certificare tramite un analogo sistema di crediti (punteggio) rilasciati da "enti accreditati'' "pubblici'' e privati l'aggiornamento dei medici. Il sistema partirà da gennaio e prevede che ogni medico o infermiere dovrà raggiungere 50 punti nel corso dell'anno o 150 nel triennio. Ogni avvenimento sanitario di aggiornamento varrà da 1 a 10 punti. Da rilevare che l'autorevolezza dei relatori, stabilita dall'"autorevole'' Veronesi e soci, sarà il primo criterio di valutazione di ogni evento formativo mentre secondari saranno l'organizzazione dell'evento e la scientificità dell'argomento e che gli enti e le società scientifiche che promuoveranno congressi beneficeranno di sgravi fiscali.

OSPEDALI: "è fuori di dubbio che la riduzione della rete ospedaliera, il controllo dei costi, la programmazione regionale hanno eliminato numerose strutture ospedaliere che, allo stato attuale, non hanno più alcuna ragione di essere e il cui completamento, in assenza di una realistica ipotesi di riconversione, rappresenta solo un'ulteriore spesa superflua''. "Siamo contrari a qualsiasi ipotesi di riconversione... in quanto la logica gestionale delle Asl non consentirebbe ad alcuna Asl di mantenere gli spazi inutili e costosi.'' "i 2.500 miliardi previsti dal piano straordinario per l'edilizia ospedaliera della legge 67 del 1988 serviranno al completamento soltanto di alcune delle opere progettate, calcolabile in un 42% del totale''. Con queste parole il senatore Ferdinando Di Iorio commentava le conclusioni della commissione Sanità del Senato che ha portato a termine, dopo ben tre anni, l'inchiesta sulle strutture sanitarie italiane. Da questa inchiesta è emerso che in Italia esistono ben 148 strutture sanitarie incompiute per un costo iniziale complessivo previsto di 2.420 miliardi che è lievitato negli anni fino a raggiungere i 5.157 miliardi mentre si stima che altri 2.029 miliardi serviranno per ultimare i lavori21. Circa 5.000 miliardi, dunque, rubati al popolo lavoratore, l'equivalente di una legge finanziaria; 5.000 miliardi di denaro pubblico sperperati per ingrassare le tasche della mafia (in Sicilia sono state censite 50 strutture incompiute per un totale di ben 1.834 miliardi in più del previsto), della camorra, della 'ndrangheta, della "sacra corona unita'' ma anche degli assessori regionali e degli amministratori, dei dirigenti, dei manager delle Asl con l'assenso dei governi nazionali e dei vari ministri della sanità: ecco ciò che emerge inequivocabilmente dall'inchiesta governativa. Tali risultati invece vengono presentati, con la solita demagogia che contraddistingue i governi di "centro-sinistra'', come scusa per tagliare ancora la rete ospedaliera soprattutto dei piccoli ospedali con meno di 120 posti letto che spesso, in mancanza di servizi territoriali, sono l'unico punto di riferimento per gli abitanti delle piccole città e dei piccoli paesi di montagna e per bloccare il completamento ed ammodernamento di strutture ospedaliere indispensabili che le masse popolari aspettano da anni. Contemporaneamente un'altra ondata di speculazione edilizia ospedaliera è stata annunciata da Veronesi per la costruzione di opere faraoniche ed inutili quali il cosiddetto "ospedale supertecnologico'' della cui progettazione avrebbe investito il superpubblicizzato architetto Renzo Piano (30.000 miliardi).

10.LOTTARE PER FERMARE LA PRIVATIZZAZIONE DELLA SANITA' E RILANCIARE GLI IDEALI DELLE GRANDI RIVOLTE DEGLI ANNI '60 e '70

Lo smantellamento dello "Stato sociale'', la distruzione del Servizio sanitario nazionale, il federalismo sanitario, l'instaurazione della sanità a pagamento ("sanitometro''), la restaurazione delle "assicurazioni integrative'' e di un sistema sanitario misto-pubblico privato, il completamento del processo di privatizzazione della sanità pubblica, la deregolamentazione e destrutturazione selvaggia del mercato del lavoro, la privatizzazione e precarizzazione dei contratti di lavoro nel pubblico impiego determineranno un ulteriore peggioramento delle condizioni di salute e di lavoro del proletariato e delle masse popolari, soprattutto del Sud, nonché dei lavoratori della sanità!
Per questi motivi è necessario che i lavoratori, gli studenti, gli infermieri, gli specializzandi, i ricercatori, i tecnici, gli operatori socio-sanitari, i medici più progressisti e gli altri lavoratori della sanità costituiscano un unico fronte di lotta con le masse popolari per fermare la privatizzazione della sanità portata avanti senza tregua, e con mille inganni, dal governo affamatore del rinnegato Amato nemico dei lavoratori. Occorre unire le forze per cacciare manager e baroni, respingere con decisione qualsiasi tentativo di restaurare il sistema mutualistico, rigettare senza tentennamenti l'introduzione del settore del no-profit e del volontariato nell'assistenza sanitaria e socio-sanitaria, abolire gli odiosi ticket e battersi per la totale gratuità delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie attraverso la costruzione di comitati di lotta di quartiere basati sulla democrazia diretta, sulle assemblee generali e sulla delega revocabile in qualsiasi momento. Contemporaneamente i lavoratori della sanità dovranno rivendicare il governo di ogni struttura e ad ogni livello dell'organizzazione sanitaria, attraverso le assemblee generali dei lavoratori basate anch'esse sulla democrazia diretta e il meccanismo della delega revocabile in qualsiasi momento. Ad esse devono poter partecipare anche le masse popolari e i pazienti.
Solo quando l'organizzazione e la gestione della sanità sarà saldamente nelle mani dei lavoratori e delle masse, sarà possibile rilanciare i grandi ideali sbocciati nelle grandi lotte degli '60 e '70 di una sanità pubblica, gratuita, universale, gestita dai lavoratori, controllata e cogestita dalla popolazione e dai pazienti, che si avvalga di strutture capillari di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale e che sia finanziata tramite la fiscalità generale. Nello specifico il fondo sanitario nazionale, che deve essere gestito direttamente dalla masse popolari, deve alimentarsi tramite la fiscalità generale. Vanno aboliti subito i contributi di malattia che gravano in prevalenza sul lavoro dipendente. L'intero ammontare della spesa sociale e sanitaria deve essere svincolato dalle compatibilità capitalistiche (Dpef e finanziarie varie) per essere agganciata al Pil del quale dovrà essere una cospicua percentuale. Anche i parametri di distribuzione del fondo sanitario vanno cambiati tenendo conto non solo della numerosità della popolazione residente e dello stato e capillarità di tutte le strutture pubbliche ma anche delle differenze socio-economiche tra le zone centrali e le zone periferiche delle città, tra città e campagna, tra zone agricole e zone industriali, del tasso di disoccupazione, sottoccupazione, lavoro nero e lavoro a domicilio, della presenza di servizi sociali, della condizione delle donne e dei giovani, della struttura urbanistica e della stratificazione del reddito e dei consumi, delle esigenze socio-sanitarie degli anziani, degli emarginati e degli immigrati, privilegiando in ogni caso, anche con fondi straordinari, le zone più povere e depresse del Sud e delle Isole. Tutte le strutture private, accreditate e non, vanno trasformate in strutture pubbliche, gratuite e governate dai lavoratori e dal popolo, comprese le farmacie e le industrie farmaceutiche vanno nazionalizzate mentre va rilanciata la battaglia per le decine di migliaia di medici ed altri operatori sanitari che sono attualmente disoccupati, sottoccupati o precari per il lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche.
Per fare fronte alle attuali drammatiche condizioni sanitarie del Paese e allo sfascio del SSN c'è bisogno urgente, soprattutto nel Sud e nelle Isole, di un gran numero di distretti sanitari autogestiti, di consultori autogestiti, di ambulatori pubblici polispecialistici, di servizi di guardia medica e di continuità assistenziale, di servizi capillari di assistenza domiciliare, di presidi medico-preventivi autogestiti e con pieni poteri in ogni fabbrica e azienda, anche per quelle sotto i 15 dipendenti. Se non avverrà tutto ciò è da rigettare ogni processo di deospedalizzazione e di riduzione del numero dei posti letto che anzi dovranno essere immediatamente potenziati. C'è bisogno, ancora, di un gran numero di infermieri professionali, medici, pediatri, dentisti, igienisti e operatori sociosanitari che lavorino esclusivamente nel pubblico, nonché di un servizio di emergenza territoriale efficiente che tramite centrali operative e collegamenti informatici coordini le disponibilità di posti letto delle strutture pubbliche e lo smistamento dei pazienti "urgenti'' in queste strutture. A questo proposito, in tutte le Isole minori e nelle zone scarsamente collegate alla rete di trasporto, va istituito un servizio di Pronto Soccorso di alto livello e un servizio pubblico efficiente di eliambulanze.
Occorre inoltre procedere immediatamente alla chiusura dei rimanenti ospedali psichiatrici, e di tutte le "istituzioni chiuse'' per anziani, disabili, minori a rischio, tossicodipendenti, handicappati fisici e mentali per trasformarli in consultori, centri sociali e strutture sanitarie autogestite. Anche gli attuali "consultori familiari'' e "materno-infantili'' vanno trasformati in consultori autogestiti nei quali sia vietato, per lo svolgimento delle prestazioni legate all'aborto e all'informazione contraccettiva, l'utilizzo di medici "obiettori di coscienza'' e qualsiasi intromissione nella vita privata e familiare delle donne. Bisogna prepararsi ad opporsi con ogni mezzo a disposizione a qualsiasi tentativo di cancellare le leggi 194 e 180 che certamente, affossata la 883, entreranno presto nel mirino del cecchino Amato, a capo di un governo propugnatore convinto del familismo mussoliniano e dell'oscurantismo cattolico.
Più in generale bisogna cancellare l'attività privata dei medici e rivendicare che tutti lavorino esclusivamente nella sanità pubblica, accorciando le differenze salariali tra medici, infermieri, tecnici, amministrativi e operatori sociali.
Nello specifico occorre lottare contro la privatizzazione della formazione medica affinché le facoltà di medicina siano pubbliche, gratuite e governate dagli studenti e per riorganizzare i suoi corsi affinché siano aperti a tutti e comprendano argomenti di studio teorico legati dialetticamente alle attività operative e di apprendimento della medicina preventiva svolte dagli studenti sul territorio, nei luoghi di vita e di lavoro, nel fuoco delle ingiustizie e delle contraddizioni economiche, politiche e sociali del sistema capitalistico. Anche la ricerca medica e biomedica va completamente sovvertita rendendola funzionale davvero, attraverso finanziamenti adeguati, rigorosamente statali, ed un reale controllo popolare, agli interessi e ai bisogni dei lavoratori e delle masse. Essa va sganciata finalmente dal controllo, più o meno indiretto e mascherato, dell'industria farmaceutica, di quella di strumenti e apparecchi diagnostici e terapeutici che tanto spesso l'hanno utilizzata per criminali sperimentazioni sui pazienti-cavia delle corsie ospedaliere e universitarie.
Infine occorre procedere alla costruzione dal basso di un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori che in ogni luogo di lavoro, nelle assemblee generali, elegga con delega revocabile i propri rappresentanti che devono avere i mezzi a disposizione per attuare tutte le misure necessarie a tutelare il diritto alla salute psico-fisica dei lavoratori.
I medici competenti e gli ufficiali sanitari vanno liberati totalmente da qualsiasi tipo di controllo e dipendenza dai padroni delle fabbriche e viceversa vincolati alle assemblee generali dei lavoratori che potranno eleggerli o meno, con delega revocabile, "rappresentanti dei lavoratori per il diritto alla salute in fabbrica''. Tutti i lavoratori devono, senza alcun rischio, avere il potere di denuncia delle infrazioni all'autorità giudiziaria che dovrà procedere immediatamente d'ufficio con dure sanzioni penali.
Per evitare qualsiasi tentazione riformistica il fronte di lotta dovrà nella pratica comprendere che le condizioni di salute (di lavoro e di vita) del proletariato e delle masse popolari, come insegna la storia dello "Stato sociale'' italiano, non possono essere migliorate più di tanto in una società basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e sull'acquisto e il consumo di quella merce particolare che è la forza-lavoro e che permette ai parassiti capitalisti il profitto. Soltanto con l'abbattimento del sistema capitalistico e la distruzione della macchina statale borghese, con la rivoluzione socialista, il proletariato, conquistato il potere politico, potrà costruire per sé, e per le altre classi alleate, una società realmente salubre, dentro e fuori le fabbriche socialiste.
Come scrive il Comitato centrale del PMLI nel documento del 25 marzo 1990 dal titolo "Combattiamo la battaglia di maggio sotto la bandiera dei Comitati popolari e del socialismo'': "il principio ispiratore che orienta e illumina la nostra visione strategica di organizzazione e mobilitazione delle masse è rappresentato dall'autogoverno del popolo. Marx, sulla base dell'esperienza della Comune di Parigi, ha indicato che nel socialismo si deve realizzare l'autogoverno dei produttori, cioè l'amministrazione degli affari economici e politici dello Stato da parte dei lavoratori. Nel capitalismo questo non si può fare perché, come spiega lo stesso Marx, il dominio politico dei produttori non può coesistere con la perpetuazione del loro asservimento sociale. Si può però fin da questo momento, attraverso i Comitati popolari e le assemblee generali popolari, la democrazia diretta e l'autogestione intesa correttamente, gettare quei fermenti, quelle idee che germoglieranno e daranno i loro frutti nella nuova società, mentre mettono in subbuglio la vecchia società che muore''.
Nel Rapporto dell'UP al 4° Congresso nazionale del PMLI si chiarisce: "Lo scopo fondamentale dei Comitati popolari è quello di guidare le masse, anche se non fanno parte delle assemblee popolari, nella lotta politica per strappare al potere centrale e locale opere, misure e provvedimenti che migliorino le condizioni di vita e che diano alle masse l'autogestione dei servizi sanitari e sociali e dei centri sociali, ricreativi e sportivi di carattere pubblico''.


 

NOTE

1 - "Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l'insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d'un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d'uso di qualsiasi genere". (K. Marx: Il Capitale, libro primo, 1865, p.200. Editori Riuniti)
2 - Esso però non si applica alle "piccole imprese'' sotto i 15 dipendenti che progressivamente si svilupperanno in tutto il paese.
3 - Si pensi che in Campania nel 1998 il 40,4% dei parti è avvenuto nelle oltre 50 strutture private, nella stragrande maggioranza dei casi prive di qualsiasi struttura di assistenza alla gravidanze a rischio ed ai bambini prematuri e sottopeso. Mentre nella città di Napoli questo dato ha raggiunto la quota del 57%. Queste strutture inoltre utilizzano il parto cesareo per evidenti motivi di convenienza organizzativa ed economica in ben il 50,3% dei parti. Da una altra indagine è emerso che in quasi tutti i 'punti parto pubblici' della città di Napoli vi sono carenze strutturali, igieniche, strumentali e di personale.
4 - Gli ``esperti'' e gli specialisti devono distinguere tra `` i pericolosi responsabili'' , cioè i criminali e i`` pericolosi non responsabili'', cioè i matti e smistarli dunque, a seconda del caso, all'autorità giudiziaria o a quella sanitaria.
5 - Nel 1988 negli ex ospedali psichiatrici sono ancora ricoverati 30.000 pazienti e ben 15000 nelle cliniche private. Nella sola Lombardia, nel 1999, esistono ancora 25 manicomi in attività.
6 - Del resto un discorso simile può essere valido anche per la costituzione democratica borghese, della quale il PCI è stato il più strenuo difensore e che oggi D'Alema e DS in testa sono chiamati a cancellare per passare ad un nuovo testo più funzionale al regime neofascista in vigore.
7 - Costituito da due voci, la prima il contributo di malattia pagato da chi lavora (che rappresenta quasi il 60% del totale), la seconda appunto è l'integrazione dello Stato (circa 40%).
8 - Gli art.21-22 sanciscono l'obbligo di informazione da parte del datore di lavoro di tutti i lavoratori circa i rischi e le misure di prevenzione. Egli è anche tenuto alla formazione prevenzionistica dei lavoratori (anche in caso di assunzione, trasferimenti, mutamento di mansioni e introduzione di nuove attrezzature o materiali di lavorazione).
Il controllo pubblico sull'applicazione della legislazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è svolto dall'azienda sanitaria. La vigilanza può essere esercitata anche dall'ispettorato del lavoro per i rischi elevati.
Le Asl devono controllare i cosiddetti MAC (livelli massimi di tollerabilità degli ambienti nocivi). Ai funzionari, ispettori di polizia giudiziaria, della Asl spettano anche le diffide e gli ordini (art.21 833/78) che devono essere trasmessi entro 24 h ai P.M. (art.43 c.p.p).
La diffida non promuove l'azione penale.
9 - Già infatti si stanno diffondendo nelle aziende e nelle facoltà di medicina corsi di management gestiti anche da privati nei quali "esperti'' nel campo imprenditoriale e professori delle facoltà di economia e commercio (senza la minima competenza in campo medico!), vengono ad insegnare al personale come i bisogni di salute devono venire valutati in termini di produttività aziendale. Un programma di prevenzione a lungo termine ad esempio anche se realmente efficace ed appropriato non potrà mai essere adeguatamente finanziato da un manager di una Asl o di una azienda ospedaliera dato che le sue esigenze di stipendio legate alla quadratura dei bilanci, e dunque di ritorno economico della prestazione, durano il tempo della durata del contratto (massimo 5 anni) che lo lega all'azienda.
10 - Essa ha anche la facoltà di chiedere alla regione la rimozioni dei direttori generali delle aziende sanitarie
11 - La mancata definizione da parte delle regioni della "conferenza'' e del "piano attuativo locale'' ne prevede il commissariamento, mentre la mancata definizione del piano sanitario regionale comporta il divieto da parte della regione di accreditare nuove strutture
12 - Tre unità operative di alta specialità, un dipartimento di emergenza di II livello, un ruolo di ospedale di riferimento in programmi integrati di assistenza regionale e interregionale come da PSR, un'organizzazione dipartimentale di tutte le unità operative, la disponibilità di una contabilità economico-patrimoniale e di una per centri di costo, il 10% in più rispetto agli altri di ricoveri ordinari per pazienti di regioni diverse, una complessità della casistica dei ricoveri del 20% rispetto agli altri.
13 - Vengono definite tali: l'assistenza a patologie croniche di lunga durata e recidivanti, i programmi ad alto grado di personalizzazione della prestazione, le attività in programmi di prevenzione, l'assistenza a malattie rare, il sistema di allarme sanitario e di trasporto di emergenza, la centrale operativa, i programmi sperimentali di assistenza, l'attività di trapianto d'organo.
14 - Se nelle migliori delle ipotesi "campione rappresentativo'' vorrà dire campione casuale
15 - Le Asl e le aziende ospedaliere hanno una propria personalità giuridica ed autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica.
16 - All'area socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria si accederà tramite corsi di diploma universitario.
17 - In Campania l'assistenza sociale e socio-sanitaria oltre che sui volontari è stata, negli ultimi anni, scaricata anche sui lavoratori socialmente utili (Lsu).
18 - "La regione si coordina, senza oneri per il SSN, con le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente. è previsto anche il coordinamento tra i servizi veterinari e gli istituti zooprofilattici sperimentali, nonché quello tra vigilanza sul lavoro delle ASL, dell'ispettorato del lavoro e dell'INAIL''
19 - Col "sanitometro'' si riducono sensibilmente coloro che fino ad oggi beneficiavano dell'esenzione totale, passando dal 35 al 25%. In termini numerici, 6 milioni circa di persone che non pagavano nulla ora dovranno sborsare la quota prevista dagli odiosi ticket se vorranno usufruire di prestazioni sanitari essenziali quali day hospital, pronto soccorso, la diagnostica e la specialistica, la riabilitazione extraospedaliera, i farmaci. Le regioni potranno ulteriormente ritoccare in aumento i ticket e si introduce anche un modulo di autocertificazione del reddito e una burocrazia senza eguali a livello europeo per potere accedere alle prestazioni sanitarie.
20 - Le aziende che producono i farmaci generici, cioè prodotti per i quali l'esclusiva dell'azienda che li ha brevettati e sperimentati è scaduta, superano il problema del brevetto e possono produrre la molecola senza le ingenti spese per la ricerca, la sperimentazione clinica e la pubblicità.
21 - La stessa commissione governativa ammette che "ad oggi non esiste un indice nazionale che delinei le caratteristiche dei presidi ospedalieri esistenti, che evidenzi la funzione, il dimensionamento, l'anno di costruzione, lo stato di conservazione, la dotazione tecnologica'' e la pianta organica.