Nell'acciaieria ThyssenKrupp lavoravano da 12 ore
Sette torce operaie
Torino in lutto. Sciopero generale. Lacrime di coccodrillo di Napolitano, dei governanti e dei padroni
Maledetto capitalismo
Antonio Schiavone, 36 anni, due figlie piccole e un maschietto appena nato, è morto subito. Di seguito, nei giorni successivi, ne sono deceduti altri tre, dopo atroci sofferenze: Roberto Scola, 32 anni, Angelo Laurino, 43 anni, Bruno Santino 26 anni. Altri tre versano in condizioni gravissime, con ustioni di terzo grado nel 90% del corpo. Sono Giuseppe De Masi, 26 anni, Rosario Rodino, Rocco Marzo 54 anni. Altri operai, come Antonio Michele Boccuzzi, Giovanni Pignalosa, Fabio Simonetta hanno riportato ferite meno gravi. È questo il bilancio tremendo, devastante, inaccettabile dell'incendio e dell'esplosione che si sono verificati alle 1,30 di notte di giovedì 6 dicembre, nella linea 5 dello stabilimento torinese dell'acciaieria tedesca ThyssenKrupp. Per le modalità di come si sono svolti i fatti, per le terribili conseguenze sui lavoratori presenti nel luogo, per le eclatanti e colpevoli responsabilità aziendali è stato definito giustamente, uno dei più gravi e pesanti infortuni sul lavoro verificatosi a Torino dal dopoguerra.
Una volta messi insieme i pezzi di questa vicenda, esce fuori un quadro complessivo che lascia allibiti, increduli, sgomenti e che suscita una rabbia incontenibile. Intanto lo stabilimento situato in corso Regina Margherita che l'azienda ha da tempo deciso, con un accordo firmato anche dai sindacati nel giugno di quest'anno, di smantellare per portare tutta la produzione a Terni. Uno stabilimento perciò che ha già ridotto il personale da 385 alle 200 unità attuali. Ma le commesse continuano a correre e al personale rimasto viene richiesto di sopportare ritmi di lavoro e orari di lavoro bestiali. Gli operai presenti al momento dell'incendio, infatti erano in servizio da ben 12 ore. In una fabbrica destinata alla chiusura, non si spendono soldi per la sicurezza e non si destina personale sufficiente alla manutenzione e alla vigilanza. E infatti, al momento del bisogno non funzionano gli estintori, non funzionano gli idranti e non funziona nemmeno il telefono per chiedere soccorso. Cosicché, quello che in principio era un piccolo incendio è diventato un inferno raccapricciante, indicibile, che non dà scampo.

Le testimonianze
Un inferno raccontato direttamente dagli operai che ne sono stati testimoni. "C'è stato un piccolo incendio. Pensavamo - dice Antonio Michele Boccuzzi - di riuscire a spengerlo e abbiamo preso gli estintori. Ma le fiamme si sono allargate e alzate, ci sono state delle esplosioni. Le fiamme - prosegue - ci hanno investito, sembrava un'onda del mare, ma anziché acqua era fuoco. Se chiudo gli occhi vedo ancora le facce dei miei colleghi. Erano torce di fuoco: era come l'inferno. Ho cercato di aiutarli, strappavo loro i capelli bruciati, pezzi di vestiti". Dello stesso tenore drammatico la testimonianza dell'operaio Fabio Simonetta: "C'erano cinque estintori, ma quattro non funzionavano. Noi gridavamo e quelli che erano lì per cercare di salvarci non potevano fare niente. Gli idranti erano bucati. Schizzavano fuori, buttavano acqua in faccia ai soccorritori, si rovesciavano nelle loro mani, mentre le fiamme ci divoravano e noi li pregavamo di non lasciarci soli".
Giovanni Pignalosa, operaio della Thyssen e delegato della Fiom: "Mi hanno chiamato e sono corso subito. Ho visto l'inferno, una scena tremenda. Antonio era avvolto nelle fiamme e gridava 'aiutatemi, muoio'. Ma era impossibile avvicinarsi, tirarlo fuori. Se chiudo gli occhi vedo quegli operai in mezzo al fuoco, tre in piedi e due a terra. Erano quasi completamente carbonizzati, irriconoscibili. Nelle orecchie le loro urla. Eppure all'inizio era solo un piccolo incendio di olio. La rottura di un flessibile che ha preso fuoco. Non averlo potuto spengere, l'ambiente altamente infiammabile, ha poi provocato il dramma. Dice Fabio Carletti, anch'egli delegato Fiom della fabbrica che quel flessibile alla Linea 5 "era diventato una sorta di lanciafiamme". Da quando la fabbrica doveva chiudere "e da quando avevano preso questa decisione era come se l'avessero lasciata andare", denuncia Angelo Sportello, 49 anni, messo in cassa integrazione e in mobilità. "Ogni giorno un operaio veniva mandato via, e la sicurezza era diventata l'ultima cosa". Claudio Crisanaz, delegato sindacale: "Il problema della sicurezza era stato fatto presente in parecchie occasioni ai vertici dell'azienda. Non c'erano state risposte. E quegli operai della Linea 5 - aggiunge - stavano facendo straordinari. Credo che loro non dovessero essere lì. Doveva esserci un altro turno". Il fatto è che "cercano di ingrassarsi sulla pelle degli operai - palesa Mimmo Zizoli, ex operaio della fabbrica -. Il criterio guida, l'unico che conoscono è il loro profitto".

La reazione dei sindacati
Parlare di caso o di fatalità è quanto mai fuori luogo. Dramma annunciato, dramma colpevolmente provocato dalla condotta sciagurata e criminale dei dirigenti della ThyssenKrupp, dalle inadempienze da parte delle istituzioni preposte al controllo sul rispetto delle leggi sulla sicurezza sul lavoro, dalle carenze dell'azione dei sindacati, è questa la verità sacrosanta, incontestabile.
Grande lo sconcerto e il dolore suscitato nella città dove il fatto è avvenuto, a Torino dove ha sede la Fiat, dove forti sono le tradizioni industriali e del movimento operaio. La giunta comunale ha indetto una giornata di lutto. Le segreterie nazionali di Fiom, Fim e Uilm, lo stesso giorno dell'incidente, hanno emesso un comunicato per proclamare "8 ore di sciopero in tutto il gruppo ThyssenKrupp per la giornata di lunedì 10 dicembre, in concomitanza con lo sciopero provinciale, sempre di 8 ore, dei metalmeccanici di Torino". Inoltre, i sindacati confederali dei metalmeccanici hanno indetto "per venerdì 14 dicembre una giornata nazionale di lotta di tutti i metalmeccanici italiani per la tutela della salute e la sicurezza sul lavoro". La Fiom dal canto suo si è costituita parte civile nel procedimento penale in corso, con l'obiettivo di "ottenere l'accertamento e la condanna di tutte le responsabilità a qualsiasi livello". In un comunicato del responsabile dell'Ufficio Salute e Sicurezza della Fiom sono indicati i punti per cui battersi a tutela della salute e della sicurezza: le ispezioni nelle aziende, il ruolo dei Rls, interventi sull'organizzazione del lavoro, investimenti finalizzati a questo scopo, contenere gli orari e i ritmi di lavoro giornalieri, onde evitare danni e rischi per la salute dei lavoratori.
E la risposta di lotta dei lavoratori e della città c'è stata, forte e partecipata. In 30 mila sono scesi in piazza a Torino lunedì 10, in testa i familiari degli operai deceduti, per gridare il dolore e la protesta contro la strage che si è compiuta nell'acciaieria, per rivendicare giustizia per gli operai uccisi. Sul banco degli imputati i manifestanti hanno messo oltre ai padroni "Assassini degli operai" anche i sindacati che sono stati fischiati e apostrofati come venduti al padrone.
La collera dei manifestanti contro i padroni assassini della ThyssenKrupp è stata espressa con forza da Nino Santino, il padre di Bruno, mentre sfilava da subito dietro lo striscione rosso dei lavoratori dell'azienda: "Non dormirete più sonni tranquilli: Bastardi. Avete il cuore di pietra e il portafoglio pieno. Avete rovinato tante famiglie. Tutto il mondo deve sapere il male che avete fatto".
Se le responsabilità principali sono innegabilmente dell'azienda, non vi è dubbio che ci sono colpe che ricadono anche sul sindacato territoriale. Le denunce fatte ripetutamente dalle rappresentanze sindacali aziendali sul fronte della sicurezza, in particolare l'inefficienza dei mezzi antincendio, sono rimaste inascoltate dai vertici della ThyssenKrupp, ma allo stesso tempo sono state inspiegabilmente sottovalutate dal sindacato. Lo riconosce apertamente il segretario di Torino della Fiom, Giorgio Airaudo, quando afferma: "Non c'era la sensazione di essere di fronte ad una situazione così disastrosa. Molte inefficienze sono state scoperte soltanto la notte del disastro". Non c'è solo questo: non si erano accorti i sindacati che alla ThyssenKrupp si lavorava fino a 12 ore? Perché non sono intervenuti per impedire, contratto alla mano, questo bestiale prolungamento della giornata di lavoro? Quanto agli ispettori dell'Asl, manco l'ombra. E come potrebbero intervenire adeguatamente considerato che, nel torinese, sono solo 30 i tecnici disponibili a fronte di 95 mila aziende tra industria, artigianato e commercio?
Intanto la magistratura ha aperto un'indagine sull'accaduto. Ad indagare sarà un team di magistrati coordinato dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello. Primi iscritti nel registro degli indagati, l'amministratore delegato della ThyssenKrupp Harald Espenham, i consiglieri delegati Gerald Pirgnitz e Marco Pucci. Inoltre, il rappresentante legale della società il presidente Jurgen Herman Fechter. Ma sarà necessaria una stretta vigilanza, senza caduta di attenzione nel tempo, perché venga fatta effettivamente giustizia e paghi chi ha sbagliato sia direttamente che indirettamente. Troppe volte, per non dire quasi sempre, i padroni penalmente se la sono cavata senza pagare il dovuto, anche davanti a colpe evidenti, come nel caso dell'uso dell'amianto e di altre sostanze tossiche mortali.

Ipocriti
A tragedia compiuta si sono fatte sentire le più alte cariche dello Stato e del governo con dichiarazioni-fotocopia, piene di parole di circostanza e di retorica, grondanti di lacrime di coccodrillo sul fatto che è intollerabile morire nei luoghi di lavoro, che si deve fare di più per la sicurezza, che questa è un'emergenza prioritaria, e poi la solidarietà alle famiglie e così via. In testa il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di seguito il presidente della consiglio, Romano Prodi, e il suo ministro del Lavoro, Cesare Damiano, tra l'altro ex sindacalista della Fiom. Ma costoro, che hanno nelle mani il potere politico, più che parlare devono fare e fin qui hanno fatto poco e nulla se è vero come è vero che gli infortuni sul lavoro rimangono nel nostro Paese un fenomeno ampissimo con un tributo di sangue operaio sull'altare del profitto capitalistico immenso: dal 1° gennaio al 9 dicembre, 984 morti, 984.550 infortuni complessivi, 24.613 invalidi; sembrano i caduti di una guerra, sono i caduti di una guerra, sia pure di tipo particolare, quella del capitale contro il lavoro.
Alla prova dei fatti, il giudizio sul governo Prodi e sulle sue politiche economiche, sociali e del lavoro è nettamente negativo. E questo giudizio investe la stessa cosiddetta "sinistra radicale" che di questo governo fa parte integrante. Perciò le parole "grosse" del presidente della Camera, nonché leader del PRC, Fausto Bertinotti, sono prive di sostanza e di coerenza. Non a caso è stato fischiato dai lavoratori insieme agli altri parlamentari che facevano passerella alla manifestazione di Torino: "Sei qui solo per farti pubblicità" gli hanno gridato.
Fanno rabbia anche le dichiarazioni fasulle e le ipocrite disponibilità di Confindustria e del suo presidente, Luca Cordero di Montezemolo. L'associazione padronale ha fatto sapere che è pronta a collaborare "attivamente con governo e sindacati in tema di sicurezza sul lavoro", evitando però, aggiunge subito, le "polemiche strumentali". Come a dire: non date colpe ai padroni perché essi sarebbero innocenti come angioletti. Il presidente della Confindustria ha fatto sapere ai giornali che ha telefonato a Prodi per organizzare un incontro urgente tra governo, imprenditori e sindacati "per unire gli sforzi verso un obiettivo, la sicurezza di chi lavora che è comune a tutti noi". Balle! Sarebbe interessante sapere come la Confindustria intende collaborare per garantire la sicurezza sul lavoro quando nel contempo pretende il massimo di precariato, il massimo della flessibilità oraria, il massimo della produttività e di competitività e il minimo del "costo del lavoro", ossia bassi salari e meno personale, e persegue il massimo profitto con ogni mezzo.
Gli operai morti alla ThyssenKrupp sono in ultima analisi vittime del capitalismo maledetto che si nutre del sudore e del sangue dei lavoratori per il profitto e i privilegi di pochi, che vive e prospera sullo sfruttamento della forza-lavoro, sulla povertà della maggioranza e la ricchezza della minoranza, che si fonda sull'ingiustizia sociale. Andando al sodo e oltre gli infingimenti falso-moralistici, per i padroni gli operai sono nient'altro che "merce" da comprare a buon mercato, usare fino allo sfinimento e poi buttare nella pattumiera. Se poi, questa "merce" si "guasta" in corso d'opera, la si sostituisce in un batter d'occhio pescando nella disoccupazione e nel precariato. Ciò è tanto più vero in questa congiuntura storica caratterizzata dalla globalizzazione imperialista e neoliberista, da una competizione economica portata agli estremi, da una non adeguata rappresentanza sindacale del proletariato, da una non sostanziale difesa dei suoi diritti.
Con questa coscienza, la lotta per la sicurezza nei luoghi di lavoro, in ultima analisi si lega con la lotta contro il capitalismo e tutto ciò che rappresenta.

12 dicembre 2007