Originata dalla ricerca della produttività capitalista
Strage al porto di Genova
Nove morti e quattro feriti. Immediato lo sciopero dei portuali che denunciano: "Uccisi dalla logica del profitto, non una fatalità ma un omicidio"
Basta con gli eccidi sul lavoro

La strage avvenuta alle 23 dell'8 maggio scorso al porto di Genova non ha precedenti nella plurisecolare storia portuale italiana: la nave portacontainer Jolly Nero - che ha una stazza di 40.594 tonnellate, è lunga 239,26 metri e ha una larghezza di 30,50 metri, con un pescaggio di 11,5 metri - stava lasciando in retromarcia, guidata da due rimorchiatori, il canale di Sampierdarena per uscire dal porto e mettersi in navigazione quando ha urtato violentemente la Torre dei piloti del porto situata al Molo Giano che, alta 54 metri, si è abbattuta su una palazzina adiacente, distruggendola completamente.
E' sconcertante notare come la struttura si ergesse affacciata alla banchina del porto e non arretrata di qualche decina di metri, cosa che - salvaguardando comunque la visuale dell'intero scalo marittimo data la sua altezza - l'avrebbe sicuramente messa al riparo da incidenti di questo tipo.
Quali che siano state le sciagurate cause, comunque hanno perso la vita nove lavoratori cui la giovane età rende ancor più grave e dolorosa questa tragedia. Oltre a questi nove caduti che si trovavano tutti nella torre crollata sono poi rimasti feriti altri quattro operatori portuali di cui due in modo grave.
Il giorno successivo i portuali sono entrati in agitazione indicendo una giornata di sciopero anche in nome dei loro compagni di lavoro della marina militare che - pur non potendo scioperare e manifestare - hanno versato lo stesso sangue in questa strage, tutta la città si è fermata, i vigili del fuoco al Molo Giano che scavavano tra le macerie si sono tolti i caschi per rispetto, tutti i negozi hanno abbassato le saracinesche, l'intera Genova si è ritrovata non solo nel lutto ma anche nella rabbia quando gli operai del porto - erano in cinquemila in piazza Matteotti - invadono il palco dove un sacerdote commemorava i caduti, gli prendono il microfono e un operaio denuncia il sistema capitalista con queste parole: "non è stata una fatalità ma un omicidio! Quei nove sono stati uccisi dalla logica del profitto, che dimentica i lavoratori!", e un altro lavoratore gli fa eco riconoscendo amareggiato che "agli armatori, ai terminalisti, agli imprenditori, non importa: le navi vanno, i container viaggiano, l'importante è produrre, guadagnare. Mentre si recuperano i cadaveri". I lavoratori hanno contestato la famiglia Messina, proprietaria della Jolly Nero, e le autorità accusate di presentarsi per la solita sceneggiata.
Questa denuncia ha la sua precisa ragion d'essere ed è fondata su dati inoppugnabili: il porto genovese è stato negli anni passati oggetto di una feroce spartizione tra armatori e terminalisti che si sono appropriati di aree che prima erano pubbliche e che ora, privatizzate con il consenso se non addirittura la benedizione dei dirigenti sindacali confederali, sono preziose per incrementare i propri traffici e quindi i profitti a tutto svantaggio della sicurezza dei lavoratori in quanto l'ultimo piano regolatore del porto approvato tempo fa ha previsto il riempimento a mare per recuperare spazi dove collocare migliaia di container, con la conseguenza che gli spazi per le manovre delle navi si sono pericolosamente ristretti ed una nave mercantile, come in questa circostanza, è costretta a retrocedere per un paio di chilometri allo scopo di manovrare l'uscita dal porto. L'errore umano o qualsiasi altro inconveniente diventano allora largamente prevedibili considerato che due anni fa una nave passeggeri aveva urtato la punta di un molo ad alcune centinaia di metri dal luogo di questo disastro, ma in quel caso le cose andarono bene perché le navi passeggeri hanno eliche di manovra, eliche che non viene ritenuto conveniente dagli armatori montare su quelle mercantili.
La spietata legge capitalista del profitto a tutti i costi spinge verso il gigantismo le infrastrutture e i mezzi di trasporto anche se ciò entra in conflitto con la sicurezza o il rispetto della vita di chi lavora nelle infrastrutture, e l'amara conclusione è, che se da un lato si producono mezzi di trasporto sempre più giganteschi per risparmiare sul costo per ogni unità di prodotto trasportato, dall'altro occorrono aree sempre più vaste per il carico e lo scarico stivato in volumi sempre più ampi, per battere la concorrenza, non solo tra porto e porto, ma tra operatori nello stesso porto. 
La responsabilità di questa tragedia è quindi del capitalismo che - con la privatizzazione delle aree portuali del capoluogo ligure - ha assassinato nove lavoratori e ne ha feriti altri quattro in nome della spietata ricerca della produttività a tutti i costi a vantaggio degli imprenditori che non esitano a mettere a rischio la vita dei lavoratori.

29 maggio 2013