Studiamo la lezione di Scuderi sulle classi e il fronte unito

Di Francesco Del Veneto
 
Al giovane compagno veneto Federico Del Veneto, non ancora maggiorenne, il Partito ha chiesto di scrivere un articolo di commento sul discorso pronunciato dal compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, in occasione del 30° Anniversario della scomparsa di Mao. Lo pubblichiamo qui di seguito. Ci rinfresca la memoria su quanto ci ha insegnato il compagno Scuderi sulle classi e il fronte unito e ci fornisce ulteriori argomenti per rafforzare la nostra opinione sul fondamentale tema. L'articolo inoltre dimostra quanto gli intellettuali marxisti-leninisti siano utili al Partito, al proletariato e alla causa.
Nel caso specifico si tratta di un giovanissimo intellettuale militante del Partito ancora in formazione, ma già capace di sferrare colpi di spada dolorosi alla classe dominante borghese e ai suoi intellettuali. Grazie alla corretta integrazione delle proprie qualità e capacità intellettuali con il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e la linea del PMLI, sotto la direzione del Partito.

 
Il compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del PMLI, con il discorso pronunciato in occasione del 30° Anniversario della scomparsa di Mao, ci fornisce una lezione esemplare di metodo oltre che di teoria, mostrandoci come sia possibile concretamente legare il generale al particolare e l'universale al contingente.

Le classi
Scuderi inizia il discorso riaffermando con forza la verità universale del marxismo-leninismo circa le classi, ossia: "In ogni paese del mondo esistono le classi (...). Le classi ci sono sempre state, eccetto che nelle comunità primitive, e sempre ci saranno finché non si arriva al comunismo".
Una chiarificazione netta e necessaria visto il marasma più totale che regna a questo proposito, visto che la suddetta verità viene in ogni modo negata dagli ideologi della borghesia ed offuscata dai falsi comunisti oggi al governo.
Il discorso mette in evidenza che la corrente di pensiero predominante presso la borghesia oggi è quella della negazione dell'esistenza delle classi. Non tutti e non in ogni epoca storica gli ideologi della borghesia hanno negato l'esistenza delle classi: come disse Lenin "non basta riconoscere l'esistenza della lotta di classe per essere marxisti; per essere marxisti occorre riconoscere che questa lotta di classe conduce inevitabilmente alla dittatura del proletariato"(citazione a memoria). La stessa scoperta della lotta di classe fu fatta non da Marx ma da scienziati borghesi della società ad egli anteriori. La borghesia progressista non ha nessun problema ad ammettere dunque non solo l'esistenza delle classi ma anche l'esistenza della lotta tra queste classi. Soltanto essa teorizza che questa lotta possa essere addolcita, che possa esistere un compromesso strategico, storico. Il fatto che oggi la maggioranza degli ideologi borghesi più in vista neghi grettamente una verità semplice e oggettiva come l'esistenza stessa delle classi testimonia solamente che la borghesia, nell'epoca dell'imperialismo e particolarmente nell'attuale fase, ha perso ogni carattere progressista anche sul piano scientifico, ed ha sostituito l'oscurantismo alla scienza.
Perché la borghesia nega l'esistenza delle classi? Perché lo studio delle classi svela immediatamente l'oppressione che la borghesia esercita sul proletariato e, se condotto scientificamente fino ai suoi risultati conseguenti, dichiara ineluttabile la fine di questa oppressione. Ieri la borghesia preferiva limitarsi a confutare questa consequenzialità, oggi invece nega le stesse premesse.
Come fa dunque la borghesia per negare l'esistenza delle classi? Semplicemente, utilizzando criteri soggettivisti da essa fabbricati su misura. Il discorso di Scuderi lo fa capire chiaramente.
Nei più dei casi essa prende in considerazione il reddito. Altri ancora lo stile dei consumi. Dal fatto che la situazione dei redditi è estremamente variegata e non esistono grandi spezzoni in cui si raggruppano fette consistenti di redditi omogenei, ne deriva che non esistono più le classi. Dal fatto che, con la perdita della coscienza di classe del proletariato, la borghesia abbia imposto i propri modelli e miti a tutte le classi del popolo, ne deriva inconfutabilmente che queste classi sono diventate borghesi, o che non esistono più differenze di classe.
C'è poi chi preferisce guardare alla coscienza di classe: vede che il proletariato non ha coscienza di classe, e dichiara che non è nemmeno una classe oggettivamente. Come a dire che gli uomini si giudicano per l'idea che essi hanno di se stessi: che se io sono convinto di essere una scimmia a tre teste allora non sono un uomo ma una scimmia a tre teste.
Altri ancora si sbizzariscono e guardano addirittura al livello di cultura o al titolo di studio, che segnerebbe le "nuove divisioni di classe nell'era della conoscenza".
Tutti questi sono criteri possibili e validi per condurre studi di vario tipo. Ma non per definire le classi sociali.
Il criterio corretto, scientifico, materialista e dialettico, il criterio del marxismo-leninismo, è illustrato dal discorso di Scuderi e ci viene fornito da Lenin:
"Si chiamano classi quei grandi gruppi di persone che si distinguono tra di loro per il posto che occupano in un sistema storicamente determinato di produzione sociale, per il loro rapporto (per lo più sanzionato e fissato da leggi) con i mezzi di produzione, per la loro funzione nell'organizzazione sociale del lavoro e, quindi, per il modo in cui ottengono e per la dimensione che ha quella parte di ricchezza sociale di cui dispongono. Le classi sono gruppi di persone, l'uno dei quali può appropriarsi il lavoro dell'altro grazie al differente posto che occupa in un determinato sistema di economia sociale"
Come si vede, il reddito, che è pur parte del criterio, non è la cosa fondamentale ma anzi la meno importante. Il proletariato non si distingue dalla borghesia per il suo reddito, che pur è infinitamente inferiore. Il punto essenziale non è quanto un operaio percepisce di salario, ma come si procura questo salario.
Ancora il discorso di Scuderi approfondisce su questo punto illustrandoci la corretta applicazione di questo metodo materialista e dialettico alla società contemporanea, ovvero capitalista. Come insegna Marx, nella società capitalista esistono tre e solo tre fonti fondamentali di reddito: il salario, il profitto e la rendita fondiaria, derivanti dalle rispettive forze sociali: lavoro, capitale, proprietà fondiaria (di queste solo il lavoro produce valore, ricchezza, reddito, e dunque il profitto e la rendita sono solo forme di lavoro: lavoro di cui il capitale e la proprietà privata si appropriano). E dunque tre sono le classi fondamentali nell'economia capitalista: proletariato, ovvero la classe di coloro il cui reddito deriva dal salario, dal lavoro; borghesia, ovvero la classe di coloro il cui reddito deriva dal profitto, dalla proprietà dei mezzi di produzione; proprietari fondiari, ovvero la classe di coloro il cui reddito deriva dalla rendita, dalla proprietà fondiaria. E chiunque ci pensi bene è costretto ad ammettere che davvero non esistono altre fonti di reddito, se non del tutto marginali e trascurabili.
Che poi la società si articoli in maniera estremamente più complessa è di per se stesso scontato, ma questi rimangono i tre mattoni fondamentali, comunque li si combini. Certi individui possono avere un reddito dovuto in parte a salario e in parte a rendita o profitto; altri mescolano insieme rendita e profitto a tal punto che è praticamente impossibile distinguere le due forme; etc. Esistono classi intermedie a quelle sopra citate, ma appunto parlando di classi intermedie si presuppone che le altre siano le classi principali. Non esistono assolutamente altre forme di reddito, o perlomeno nessuno le ha ancora scoperte, disgraziatamente.
Gli ideologi borghesi, quando propongono di passare a nuovi e più superficiali criteri (o di abbandonare addirittura il discorso delle classi) lo fanno in nome di una estrema complessità della società moderna, per la quale i "vecchi" criteri non basterebbero più, e che non sarebbe possibile "rinchiudere all'interno di gabbie ideologiche", di "schemi semplicistici". Un poco come se gli scienziati, dinanzi all'estrema complessità del mondo naturale, rinunciassero al loro compito di indagare sulle sue leggi, e biasimassero chi tenta di farlo rimproverandolo di ridurre tutto a leggi semplicistiche, mentre loro, i "saggi", si sono comportati più dignitosamente perché hanno saputo fermarsi a ripetere mille volte che questo mondo è "complesso" e non hanno certo compiuto l'ingenuità di tentare di spiegarlo. Per fortuna, gli scienziati borghesi della natura sono meno peggiori dei loro colleghi della società e non si sognano di fare questi discorsi.
Gli ideologi della borghesia che sostituiscono al criterio scientifico il criterio ultrasuperficiale del reddito possono essere raffigurati con un ipotetico Charles Darwin che, anziché fare quello che ha fatto, avesse detto: "Cazzo, le specie della natura sono troppo varie e troppo complicato è il loro intreccio! Stolti sono quei naturalisti che tentano di classificarle guardando le ossa, lo sviluppo embrionale, il numero di tessuti, le regioni abitate, etc., l'unico metodo possibile è quello di dividere gli animali in grandi e piccoli!"
Azzardando un paragone di dubbio gusto, si può dire che la struttura della società assomiglia a quella di una proteina, che è complicatissima e risultato dell'intreccio su quattro fasi di varie catene polipeptidiche formate a loro volta da migliaia di sequenze di amminoacidi, e dunque le proteine possibili sono un infinità perché elevatissimo il numero possibile di queste combinazioni: tuttavia gli amminoacidi esistenti in natura sono poco più di una ventina, e a questi comunque la struttura polipeptidica si riduce. Studiare la società in maniera materialista e dialettica significa saper scomporre tutti i suoi rapporti nelle forme base, saper individuare quei pochi amminoacidi dalla cui interazione reciproca nasce la complicatissima struttura e sovrastruttura sociale. E questi amminoacidi del capitalismo sono precisamente tre: lavoro, capitale, proprietà fondiaria, ovvero salario, profitto, rendita. Se non si individuano gli amminoacidi è impossibile poi studiare le loro interrelazioni; così i sociologi borghesi che pretendono di studiare la società eludendo il problema delle classi non possono giungere a nessun risultato scientifico e metodologicamente corretto.
Inoltre da non dimenticare in tutto questo discorso è la parte finale della definizione leninista delle classi, ovvero "Le classi sono gruppi di persone, l'uno dei quali può appropriarsi il lavoro dell'altro grazie al differente posto che occupa in un determinato sistema di economia sociale". Questo insegnamento, come sottolinea Scuderi, è particolarmente importante perché permette il salto da una visione "neutrale", dove ogni classe riceve il legittimo prodotto derivante dalla propria funzione all'interno della società, a una visione marxista, proletaria, impegnata, che denuncia il furto di lavoro ad opera delle classi possidenti sulle classi lavoratrici. Inoltre pone le basi per tutta la teoria marxista-leninista dello stato, della politica e della rivoluzione, perché implica l'esistenza di una classe dominante e una classe dominata.
La questione delle classi, sottolinea Scuderi, è di massima importanza. La lotta di classe deve essere la vera professione di ogni marxista-leninista, e le classi sono il terreno e l'oggetto di questa sua attività. Egli deve conoscere le classi in cui muove la sua attività cosciente come un artigiano deve conoscere il legno su cui muove l'attività consapevole del suo braccio.
Le tre cose fondamentali sono: 1) Qual è la classe che ha il potere? 2) Qual è la classe da rovesciare? 3) Qual è la classe che deve prendere il potere?
Che, in termini di alleanze politiche, diventa il problema di comprendere "quali sono i nostri amici e quali i nostri nemici".

Le classi in Italia
Scuderi passa poi dal generale al particolare, andando ad applicare il metodo marxista-leninista al concreto della realtà specifica italiana.
E subito fa notare come gli ideologi borghesi nostrani non si differenzino al proposito dai loro maestri stranieri, e adducano pressoché gli stessi argomenti già visti per dimostrare lo stesso mito: la scomparsa delle classi. E non a caso egli porta ad esempio due politici chiaramente borghesi della destra dell'Unione come Rutelli e Veltroni, per mettere in evidenza il nesso inscindibile tra falsificazione teorica e interessi di classe.
Poi, con chiaro spirito scientifico, Scuderi, a differenza degli pseudo-teorici borghesi, non si aggrappa a empiriche "sensazioni" o eclettici "si dice che", ma poggia sull'unico fondamento possibile: i risultati (più o meno precisi) delle scienze sociali, ovvero i dati Istat e Censis.
Dal primo Istituto si ricava soprattutto la divisione tra settore di lavoro (industria, agricoltura, servizi) e nel rapporto coi mezzi di produzione (dipendente o indipendente).
Dal secondo soprattutto le differenze tra funzioni svolte all'interno del processo produttivo (operaio, impiegato, quadro, dirigente).
In particolare da questi dati si ricavano subito alcune osservazioni immediate che sbugiardano sul colpo le chiacchiere sulla supposta caduta di importanza della classe operaia, del lavoro materiale e del lavoro dipendente.
Il lavoro dipendente riguarda il 73% della forza-lavoro e, supponendo una più elevata tecnica, una migliore organizzazione del lavoro e insomma una maggiore intensità produttiva nelle aziende che possiedono dipendenti, si può benissimo dire che una percentuale ancora superiore della ricchezza nazionale complessiva è prodotta dallo sfruttamento di lavoro salariato, il quale, dunque, è quasi l'esclusivo produttore di ricchezza. In più se si considera che nell'agricoltura e nel commercio la percentuale di lavoro dipendente rimane più bassa (rispettivamente 44% e 56%), si ottiene una media ancora più alta negli altri settori, che tocca la vetta dell'85% nell'Industria con escluso il settore delle costruzioni.
Non è vero che il cosiddetto terziario abbia soppiantato il settore industriale, visto che questo rimane ancorato al 30% della forza-lavoro, anche se è effettivamente diminuito. E comunque il cosiddetto "settore secondario" rimane l'ingranaggio centrale di tutta l'economia capitalista perché solo il lavoro produttivo trasferisce valore alle merci, mentre il lavoro degli operai e degli impiegati nel commercio, nella distribuzione, nella vendita non crea valore; i lavoratori produttivi sono gli unici che creano plusvalore e che generano il profitto che viene poi ridistribuito tra il capitale industriale e il capitale commerciale, e da quest'ultimo ai lavoratori dipendenti non produttivi sotto forma di salario. Dunque la classe che occupa il posto centrale nella produzione di beni materiali è al contempo la classe che occupa il posto centrale all'interno di tutta la società, indipendentemente dal proprio peso numerico comunque elevato.
Gli operai sono tutt'altro che scomparsi. Essi sono circa 8 milioni, il 45% della forza lavoro dipendente e il 34% della forza-lavoro complessiva, con ciò la categoria più numerosa, a cui si può peraltro aggiungere un 7% di apprendisti e co.co.co. Ad essere numericamente insignificante è invece la borghesia, che conta appena un 1,2% di imprenditori e un 1,7% di dirigenti, affiancati da un misero 5% di quadri. Chissà come mai gli "economisti" impegnati a dimostrare il presunto "basso" numero di operai non parlano mai del reale basso numero di borghesi!
Partendo da questi dati, Scuderi rileva l'esistenza di sei classi nella società italiana: il proletariato, il semiproletariato, il sottoproletariato, i contadini, la piccola borghesia, la borghesia.

Il proletariato
Successivamente Scuderi si sofferma sul proletariato che, essendo l'aspetto in ultima analisi principale della contraddizione principale della società, merita di essere approfondito.
Anche qui, Scuderi delinea subito le due concezioni della classe operaia: quella borghese, in particolare nella sua variante neoreviosionista, e quella marxista-leninista.
Una classe vaga, indefinita, "immateriale", allargabile a piacere fino a comprendere "tutti i lavoratori dipendenti" o tutta la "moltitudine", o comunque di natura diversa rispetto alla classe operaia del passato, non più centrale nella lotta politica, per i neorevisionisti.
"La classe più avanzata, più progredita e più rivoluzionaria della storia, i cui compiti rimangono immutati nel tempo e in ogni paese del mondo, la sola classe che ha la forza e la capacità di dirigere la rivoluzione socialista e l'edificazione del socialismo", a cui "le rivoluzioni tecnologiche non hanno cambiato la natura, la composizione, il carattere, le funzioni, il ruolo e i compiti", per i marxisti-leninisti.
Ruolo che le spetta non in virtù di vuote teorizzazioni, ma della "sua collocazione nella produzione e nella società", della "sua esperienza produttiva e di lotta".
Scuderi ribadisce l'attualità dell'insegnamento di Mao per cui "tutta la storia della rivoluzione dimostra che, senza la direzione della classe operaia, la rivoluzione fallisce, mentre con la direzione della classe operaia, essa trionfa". Il che non significa, come nel trotzkismo e nella cosiddetta "teoria" della "rivoluzione permanente", che la classe operaia debba fare la rivoluzione da sola, senza l'alleanza con altre classi, ma semplicemente che deve tenere la direzione di questa alleanza. Cos'altro dimostra la storia delle due più grandi rivoluzioni socialiste della storia, quella russa e quella cinese, se non che una classe operaia numericamente piccola può conquistare il potere, e successivamente edificare il socialismo, pur di allearsi e dirigere una massa enormemente superiore di contadini ed elementi non proletari?
E ancora, "Nell'epoca dell'imperialismo nessun'altra classe in nessun paese può condurre una vera rivoluzione alla vittoria". Il che, a sua volta, significa che nell'epoca dell'imperialismo nemmeno una rivoluzione borghese (democratica o antifeudale o di liberazione nazionale) può essere condotta alla vittoria finale da classi diverse dal proletariato, ma non, come nel trotzkismo e nella succitata "teoria", che il proletariato debba rifiutare di sfruttare le energie che tutte le altre classi possono spendere in questa lotta.
Dopo questa analisi dell'oggetto, Scuderi passa all'analisi del soggetto, della coscienza che la classe operaia ha di sé.
Attualmente, in Italia, il proletariato lotta oggettivamente contro la borghesia per migliorare le proprie condizioni di vita, prova ne siano le manifestazioni degli ultimi anni in difesa dell'art.18, per l'abrogazione delle leggi 30, Moratti e Treu, o per i rinnovi dei contratti di lavoro. Tuttavia non lotta ancora per il potere politico.
Lotta cioè come una classe in sé, ma non una classe per sé, cosciente del proprio ruolo storico.
Questa coscienza è la chiave di volta per la trasformazione della classe e del mondo. Come l'animale si rende capace di trasformare il mondo solo quando passa dallo stato meramente sensibile a quello cosciente, umano, analogamente la classe operaia può trasformare il mondo solo passando dallo stato sensibile (sensibile delle proprie esigenze immediate) allo stato cosciente.
Solo che, a differenza dell'animale, la classe operaia non sviluppa la coscienza da sé stessa, semplicemente attraverso la pratica, ma necessità dell'''impulso esterno", ossia del Partito del proletariato.
L'attuale mancanza di coscienza è responsabilità dei dirigenti falsi comunisti del PCI prima e di PRC e PdCI poi.
In passato la coscienza fu apportata da Marx e Engels, e in Italia vi contribuì involontariamente il PSI riformista di Turati che diede ampia diffusione alle loro opere; in seguito Lenin e Stalin diedero un nuovo impulso, e il PCd'I/PCI revisionista ebbe l'analogo merito storico di aver dato ampia diffusione alla pubblicistica marxista-leninista, nonostante tentasse di snaturane i principi.
Per questo in passato il proletariato italiano in buona parte ebbe, nonostante l'egemonia revisionista, coscienza di essere una classe per sé. Tuttavia, quei due partiti che per nascere e svilupparsi avevano dovuto involontariamente ideologizzare il proletariato, poterono, appena conquistato uno spazio nel capitalismo, passare a liquidare quell'ingrata placenta con cui avevano dovuto nascere.
Ancora, citando Mao, Scuderi lega i due aspetti della trasformazione del mondo e della trasformazione della coscienza: "nella lotta di classe e nella lotta contro la natura la classe operaia trasforma tutta la società, e, nello stesso tempo, trasforma se stessa".

Il fronte unito
In questa sezione del discorso Scuderi passa ad esporre la strategia e la tattica del proletariato nella rivoluzione e la politica che deve perciò seguire il suo Partito.
Innanzitutto differenzia due tipi di attività: la lotta ideologica da una parte e le altre due lotte dall'altra, ovvero quella economica e quella politica.
Nel primo caso il Partito non può essere affiancato da nessuno che non siano organismi culturali da esso diretti. Negarlo significherebbe affermare che esistono due guide del proletariato, due teorie valide, e negare che il marxismo-leninismo sia l'unica ideologia socialista. Ciò sul piano pratico significa, che per quante affinità vi possano essere sul piano delle lotte immediate e per certi aspetti anche a lungo termine, nessuna alleanza su questo punto è possibile non solo con i nuovi e vecchi partitini trotzkisti, ma nemmeno con altri gruppi pseudomarxisti-leninisti.
Nel secondo caso invece il Partito deve praticare una saggia politica di fronte unito, ovvero allearsi con altri partiti, gruppi e movimenti su questioni di comune interesse, ponendo in secondo piano le differenze ideologiche e strategiche.
Scuderi si sofferma poi sui tre tipi di fronte unito, ognuno riguardante i tre diversi fronti di lotta.
1. Il fronte unito rivoluzionario per il socialismo, non ancora maturo.
Dovrà rappresentare politicamente l'alleanza del proletariato, del semiproletariato, del semiproletariato agricolo, dei contadini poveri, della piccola borghesia inferiore, del sottoproletariato.
La contraddizione principale qui è quella tra capitalismo e socialismo, e quindi la discriminante sarà l'essere a favore della rivoluzione socialista, ponendo in secondo piano le differenze filosofiche.
Ovviamente il proletariato all'interno del fronte è necessario che abbia l'egemonia.
2. Il fronte unito per le lotte immediate, che va realizzato ovunque.
Qui la contraddizione principale è relativa alla rivendicazione specifica, e la discriminante è conseguente.
In questo caso il fronte unito serve non solo per ottenere il risultato desiderato, ma anche per accrescere il prestigio del Partito tra masse più ampie. Ad esempio, la partecipazione del Partito alla mobilitazione contro la base di Vicenza promossa dai comitati popolari e a cui partecipavano molte forze politiche revisioniste, riformiste, acomuniste e persino secessioniste (Liga veneta) (o a quella contro la precarietà del 4 novembre, o a quella contro la finanziaria del 17 novembre, di esempi se ne possono fare all'infinito) è servita non solo e non tanto per accrescere la forza numerica dei manifestanti e del fronte contrario alla base, ma soprattutto per permettere al Partito di farsi conoscere e apprezzare da molti manifestanti. Analogamente, sulle questioni in cui l'iniziativa è tenuta in pugno da noi, è necessario aprire il fronte di lotta ad altre forze non solo per facilitare la vittoria comune, ma anche per rafforzare la nostra posizione particolare all'interno del fronte comune.
Scuderi precisa che la politica di fronte unito può essere praticata sotto due forme: direttamente come Partito, o indirettamente come singoli lavoratori, studenti, pensionati, etc., all'interno degli organismi di massa (ad es. il sindacato).
Scuderi sottolinea anche che la partecipazione al fronte unito non deve essere passiva, codista, al rimorchio delle altre forze, ma deve tendere a conquistarne la direzione.
La tattica deve essere quella di unire la sinistra delle organizzazioni di massa, conquistare il centro e neutralizzare la destra.
3. Il fronte unito internazionale contro l'imperialismo.
Qui la contraddizione principale è quella tra paesi imperialisti e popoli, movimenti e governi che si oppongono alle loro rapine.
Le altre contraddizioni sono secondarie. Per questo Scuderi afferma decisamente che "Il nostro Partito fa parte integrante di questo fronte e appoggia incondizionatamente tali lotte, indipendentemente dalle forze che li dirigono, anche se sono anticomuniste e non ne condividiamo la politica interna e certi atti di politica estera".
Ciò sul piano pratico significa ad esempio che "appoggiamo [...] la lotta del popolo iraniano e del suo governo per avere il nucleare civile", indipendentemente dal carattere teocratico, borghese, anticomunista e antifemminile di quel governo, poiché queste sono contraddizioni secondarie rispetto alla contraddizione principale che lo oppone all'imperialismo Usa e Ue. Non è un caso se gli imperialisti cercano di sfruttare queste contraddizioni secondarie per denigrare il governo iraniano davanti alle loro masse e giustificare un prossimo intervento militare in Iran.
I revisionisti e i trotzkisti che si associano negli attacchi al governo iraniano su fatti di ordine secondario (mancanza di "democrazia" borghese, subalternità delle donne sanzionata per legge a differenza dei paesi imperialisti dove è soltanto mascherata, presenza di disoccupazione e ingiustizia come in tutti i paesi capitalisti, bizzarre tentazioni negazioniste sull'olocausto) sono i migliori alleati dell'imperialismo nel preparare il terreno a una nuova guerra contro l'Iran.
Di fatto subordinano l'interesse generale all'interesse particolare, cioè mettono gli interessi particolari del proletariato iraniano nel possedere alcuni vantaggi della democrazia borghese sopra all'interesse generale del proletariato internazionale di lottare contro l'imperialismo.
In particolare, come si è capito, Scuderi non limita l'appoggio ai movimenti e ai partiti antimperialisti non al potere (ad es. Iraq, Afghanistan), ma lo estende a quelli al potere, ai governi (Iran e, per certi aspetti, Palestina).
Di questo terzo tipo di fronte unito la storia dei partiti comunisti ne è piena, a partire dai diversi fronti uniti del Pcc col Kuomintang contro il Giappone, alla Guerra di Spagna in difesa della repubblica democratico-borghese contro la rivolta franchista, alla Guerra di Liberazione italiana contro i nazi-fascisti. In ogni caso si è visto come una alleanza con forze anche anticomuniste non abbia sfavorito ma favorito i Partiti comunisti, non peggiorato ma migliorato la posizione del proletariato, non diminuito ma aumentato le sue forze (al di là del fatto che vertici revisionisti in Italia, in Cina nel primo periodo e probabilmente in Spagna, non abbiano sfruttato le posizioni conquistate).
Insegnamenti di Scuderi e della storia che smentiscono le "teorie" dei trotzkisti e degli anarchici che pretendono di non prendere parte a questo terzo tipo di fronte unito a meno di non averne l'egemonia da subito, e anzi lo sabotano. Ieri al soldo di Hitler, Franco e Mussolini compiendo attentati contro la repubblica spagnola, i Cln e i fronti popolari, oggi al soldo di Bush, Blair e Prodi denigrando i governi borghesi antimperialisti dei paesi dipendenti.
Successivamente Scuderi passa ad analizzare le contraddizioni nella società italiana e il modo di gestirle guardando ad alcuni casi principali.
Premette però prima che "in ogni processo, se in esso esistono numerose contraddizioni, ve ne è necessariamente una principale, che ha la funzione determinante, decisiva, mentre le altre hanno una posizione secondaria e subordinata"
Nell'attuale società italiana la contraddizione principale è tra il proletariato da una parte e la borghesia che è al potere e il suo governo dall'altra.
Il nemico politico principale non è a priori il neoduce Berlusconi, che rappresenta la destra della classe borghese, ma colui che tiene le redini del governo nazionale, in questo caso il governo del dittatore democristiano Prodi, che rappresenta la "sinistra" borghese.
Esso è una "iattura" sia dal punto di vista economico immediato, sia dal punto di vista democratico-borghese, sia dal punto di vista strategico della conquista del potere politico.
Di qui la necessità di combatterlo e di praticare anche in questo caso la tattica del fronte unito. A mia personale osservazione fatta sugli avvenimenti dell'ultimo anno questo fronte unito (che si sta già andando formando almeno parzialmente nella pratica) deve comprendere tutte quelle forze che si oppongono strategicamente al governo Prodi come proprio nucleo centrale (quindi dal PMLI ai vari gruppi a sinistra di Rifondazione, compresi i sindacati non confederali e certi centri sociali) e riunire attorno a sè tutte quelle forze oggi prevalenti che si oppongono di volta in volta a questo o quel provvedimento del governo senza metterne in discussione la tenuta (Rifondazione, PdCI, Verdi, Cgil, Fiom, certi centri sociali, associazioni cattoliche e varie). Il problema sta nel togliere alle seconde l'egemonia dei movimenti che si oppongono oggettivamente ma non soggettivamente al governo, e all'interno delle prime far spiccare il PMLI.
Scuderi conclude il capitolo del fronte unito con un esortazione a "tenere ferma la barra dell'Italia unita, rossa e socialista", tracciando la strada della creazione delle condizioni soggettive della rivoluzione socialista nella non partecipazione ai governi e alle istituzioni borghesi (ivi comprese quindi le assemblee elettive e legislative) e nella creazione delle Assemblee popolari e dei Comitati popolari, quali istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo.

Appello ai fautori del socialismo
Scuderi conclude l'intero discorso con un'esortazione ai fautori del socialismo di unirisi nel o attorno al PMLI, poiché "Se si vuol far la rivoluzione ci deve essere un partito rivoluzionario", e "Tutta la storia del movimento operaio italiano dimostra che stando nei partiti revisionisti di destra [..] e di "sinistra", [..] non si riesce minimamente a spostarli su un terreno di classe, comunista e rivoluzionario".
Non vi riuscirono i comunisti che detenevano posizioni di estremo rilievo all'intero del Partito socialista di Turati. Non vi riuscirono gli stessi dopo la scissione del '21 che furono manipolati e imbrigliati prima dal revisionista di "sinistra" Bordiga e poi dai revisionisti di destra Gramsci, Togliatti e successori.
Non vi riuscirono le decine di migliaia di sinceri rivoluzionari ed ex-partigiani che negli anni del dopoguerra si opposero più o meno conseguentemente all'interno del PCI revisionista.
Non riuscì nemmeno la corrente revisionista e trotzkista di Secchia ad ostacolare la centrale ultrarevisionista di Togliatti.
Non vi riuscirono i vari gruppi pseudomarxisti-leninisti che negli anni '60 disponevano di migliaia di "entristi" nel PCI revisionista.
Come dovrebbe riuscirci oggi un qualsiasi gruppo che conta molte meno forze dei suoi predecessori che già fallirono? Come potrebbe riuscirci una qualsiasi delle minoranze interne in Rifondazione e nel PdCI, dal momento che queste, salvo eccezioni individuali, votano ogni schifezza del governo e della maggioranza del PRC e del PdCI e fungono da cerniere tra Bertinotti, Giordano e Diliberto e gli iscritti sfiduciati?
O come si può dare la propria fiducia al Pcl, ufficialmente di matrice trotzkista? O, poco diversamente, al partito di Ricci, usciti entrambi da Rifondazione dopo averne retto il sacco per quindici anni solo quando questa posizione opportunista era diventata oggettivamente insostenibile?
Scuderi invita quindi i fautori del socialismo a "prendere rapidamente posto di combattimento nel PMLI", poiché "ogni ritardo indebolisce il PMLI e la lotta di classe e rafforza la classe dominante borghese e i paesi ad essa asserviti".
Chi si limita a interpretare il mondo, ma non si adopera per trasformarlo, e, lasciandosi affogare da una miriade di dubbi, ritarda il giorno dell'azione alla soluzione di tutte le questioni, risulta perfettamente inutile al proletariato.
In particolare Scuderi rivolge il suo invito a due categorie di uomini e donne: i figli migliori della classe operaia e gli intellettuali rivoluzionari.
I primi devono costituire la testa e l'ossatura portante del PMLI, e assicurare il carattere proletario del Partito. I secondi, di origine prevalentemente non proletaria, sono tuttavia indispensabili per sconfiggere la borghesia sul piano ideologico, a patto che trasformino la propria concezione del mondo e si mettano al servizio della classe operaia.
Non è quello degli intellettuali un problema secondario, uno sfizio, un lusso che il Partito può concedersi.
Il PMLI riserva posti di combattimento per i fautori del socialismo. Chi vuole impegnarsi integralmente può unirsi come militante; chi invece desidera dare solo qualche contributo, oppure sia privo di alcune caratteristiche previste dallo Statuto, come ad esempio l'ateismo, può benissimo offrire il suo contributo in qualsiasi momento come simpatizzante, senza necessità di accettare in toto l'ideologia, la strategia e la tattica del Partito.

4 aprile 2007