Lo denuncia la Direzione nazionale antimafia
"Nel Sud le mafie sono infiltrate nello Stato"
"Ventuno indagini per voto di scambio"
Preoccupante il quadro che emerge dalla Relazione annuale della Direzione nazionale antimafia (DNA), sul periodo luglio 2006-giugno 2007, tenuta qualche giorno fa da Piero Grasso. Si conferma ancora una volta che la criminalità organizzata è sempre più forte e pervasiva ed in regioni come, la Campania, la Sicilia, la Puglia, la Calabria è riuscita ad infiltrare pesantemente settori pubblici di vitale importanza per le masse popolari, dalla sanità, alla gestione dei servizi di raccolta e smaltimento rifiuti, attraverso un perverso meccanismo di collaborazione criminale con settori delle istituzioni borghesi.
Il salto di qualità della criminalità organizzata nelle regioni del Mezzogiorno, secondo la DNA, sarebbe il risultato di una vera e propria strategia messa a punto dalle cosche criminali e finalizzata alla conquista di nuovi mercati che garantiscano sempre maggiori profitti.

Sanità e ciclo rifiuti i nuovi settori di espansione della criminalità organizzata
La Sanità nel Mezzogiorno risulta essere oggi se non il maggior business della criminalità organizzata certamente uno dei primi. La vicenda che ha portato alla condanna a cinque anni di reclusione e all'interdizione dai pubblici uffici del presidente della regione Sicilia, Salvatore Cuffaro dell'UdC, per favoreggiamento e rivelazione di segreti d'ufficio, ricostruita nel processo alle "Talpe" nella Direzione distrettuale antimafia di Palermo, ruota proprio intorno al rapporto illecito che si è instaurato tra politicanti borghesi siciliani e esponenti di Cosa nostra per la gestione di settori della Sanità pubblica e privata nella regione.
La questione non riguarda solo la Sicilia. È di questi giorni la notizia di diciotto arresti in Calabria. Tra essi anche Mimmo Crea, consigliere regionale del "centro-destra", il quale, secondo i magistrati, sarebbe il padrone assoluto della sanità calabrese nonché il riferimento dei boss Morabito, Cordì e Zavettieri.
Se verranno confermate le ipotesi di reato, i recentissimi arresti in Calabria non sarebbero un caso isolato.
Nella Relazione di Grasso si afferma, infatti, che la 'ndrangheta usa la Sanità e gli appalti pubblici come notevole fonte di guadagno. Emblematico è il caso della Asl 8 di Vibo Valentia dove la presenza all'interno dell'ospedale di elementi dell'organizzazione mafiosa consente la gestione di "tutte le attività appaltate, con la possibilità di intervenire per ottenerne guadagni illeciti".
Che la Calabria sia un verminaio di intrecci tra criminalità organizzata ed istituzioni borghesi lo si evince da un altro passaggio della Relazione, quello riguardante l'omicidio di Francesco Fortugno, vicepresidente del consigio regionale della Calabria, assassinato nell'ottobre del 2005. "Omicidio politico" lo aveva definito il procuratore nazionale antimafia Grasso a ridosso dell'evento ed oggi, a più di due anni di distanza, la Relazione della DNA conferma che sullo sfondo di questo omicidio si intravedono collegamenti "tra poteri politici, occulti e mafiosi". Mancherebbero, tuttavia, gli elementi giudiziari certi per la precisa individuazione dei soggetti implicati ad ogni livello: "Al momento - si legge nella Relazione - solo nuove, significative, collaborazioni, potrebbero fare registrare novità in questa direzione e le collaborazioni cui si fa riferimento dovrebbero provenire dagli attuali imputati''.
Sostanzialmente, la difficoltà di individuare i mandanti di questo omicidio sarebbe da leggere come una ulteriore conferma di quanto siano stretti i rapporti tra criminalità organizzata e settori dello Stato borghese, le reciproche connivenze e coperture: "la gravità della mancata soluzione non risiede solo nella impunità che ne conseguirebbe per gli ignoti committenti ma anche nella impossibilità di uscire dalla logica criminale e mafiosa da cui sembra avviluppata e condizionata la Calabria".
Un altro settore che si connota per un consolidato rapporto tra criminalità ed istituzioni borghesi è la gestione del ciclo dei rifiuti. Nello specifico la Relazione della DNA si è occupata della Campania, avanzando il sospetto che l'emergenza sia "creata e mantenuta ad arte con la camorra sempre di sottofondo". L'"emergenza elevata a sistema", di cui parla Grasso nella Relazione, non può che essere il prodotto di un intervento voluto ed organizzato da parte di alcuni politicanti borghesi che siedono nelle varie amministrazioni locali e regionale, ossia il risultato di una "perversa strategia politico-economico-criminale che ha fatto sì che la necessità di affrontare il contingente col metodo dell'urgenza rispondesse agli interessi di centri di potere politico, economico e criminale".
Anzi sarebbe stato proprio il sistema dell'emergenza attuato dalle amministrazioni locali e regionale a far scaturire "una sorta di specializzazione della criminalità organizzata campana" a tal punto che "oggi può in generale affermarsi che l'Ecomafia veste i panni della camorra".

Le inchieste sul voto di scambio
Ma se dal lato della criminalità organizzata la collusione, l'appoggio, ma anche l'infiltrazione nelle istituzioni borghesi sono finalizzate a fare soldi, conquistando nuovi mercati bisogna chiedersi qual è il vantaggio che ne acquisiscono i politicanti borghesi.
Le varie inchieste giudiziarie avviate dalle Procure Distrettuali antimafia e che riguardano le collusioni tra boss ed esponenti delle istituzioni borghesi vedono per lo più come cardine il reato di voto di scambio. È intorno al giro clientelare di voti che si costruisce il sistema di favori, connessioni e complicità di cui si parla nella Relazione di Grasso. In sostanza i boss portano ai politicanti pacchetti più meno estesi di voti in cambio di soldi, di favori e di agevolazioni economiche.
Nell'arco di tempo di un solo anno considerato dalla Relazione della DNA, risultano essere ben ventuno le inchieste che riguardano il reato di voto di scambio. Nel periodo preso in esame il maggior numero di procedimenti sono stati aperti a Napoli, che ha il record di otto inchieste, segue Catanzaro con sette e Palermo con due. Le Procure distrettuali delle città di Catania, Reggio Calabria, Bari e Lecce hanno un procedimento in corso ciascuna.
Altre inchieste che puntano a far luce sull'intreccio tra criminalità organizzata e amministratori sono state avviate dai magistrati dei distretti di Napoli, Messina, Salerno, Catanzaro, Reggio Calabria e Cagliari.
Un'altra cosa va certamente detta: al di là del periodo analizzato dalla Relazione della DNA, le ultime vicende dimostrano che la criminalità organizzata non ha preferenze di colore politico nell'indirizzare i suoi pacchetti di voti. Basti considerare la recentissima vicenda che riguarda Roberto Conte, consigliere PD della Regione Campania, indagato nell'inchiesta che ha portato all'arresto di sei esponenti del clan camorristico Misso. Secondo l'ipotesi accusatoria, il politicante avrebbe ottenuto l'appoggio, anche economico, della malavita durante la campagna elettorale del 2001 in cambio di promesse di assunzioni e di appalti per la realizzazione di opere pubbliche e di gare per la fornitura di servizi presso strutture pubbliche.
"Una parte rilevante dell'azione di contrasto - si legge nella Relazione della Dna - risulta essere stata svolta dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo che, per numero e qualità delle investigazioni, ha assunto sicuramente una posizione di preminenza nella repressione delle condotte di contiguità politico-mafiosa".

Grasso: possibile ritorno di Cosa nostra alle armi
Ma la strategia di infiltrazione della mafia nelle istituzioni dello Stato borghese ed in settori pubblici di vitale importanza per la popolazione, che è stata complementare in questi anni all'abbandono, almeno in alcune zone del Mezzogiorno, del ricorso alle armi, agli omicidi, alle stragi, non escluderebbe in un prossimo futuro, da parte delle cosche, il ritorno a meccanismi apertamente violenti per favorire il profitto e l'abbattimento di forme di resistenza allo strapotere della criminalità organizzata.
Grasso, analizzando il passato recente e le prospettive di Cosa nostra a Palermo, dopo le catture di Provenzano e di Lo Piccolo, non esclude un ritorno delle cosche alle armi. La DNA ricorda che nel territorio di Palermo e provincia gli anni scorsi sono stati scanditi da continue stragi, omicidi ed attentati, che hanno colpito magistrati, uomini delle forze dell'ordine, pubblici funzionari, sacerdoti, giornalisti "Uomini - si legge nella Relazione della Dna - che si opponevano ad una organizzazione mafiosa che aveva raggiunto una forza ed un'arroganza tali da potere concepire una simile carneficina". Continua la DNA "Non può essere sottovalutato il pericolo concreto ed attuale di azioni volte a colpire quegli esponenti dello Stato che a causa dell'adempimento dei propri doveri istituzionali vengono individuati come punti di resistenza e di dissenso da abbattere, perché giungano in porto disegni complessivi dell'organizzazione che richiedono invece un clima di acquiescenza, di arretramento rispetto alle motivazioni anche etiche, che spingono ad una ferma, istituzionale opposizione al fenomeno mafioso".
Di fronte ad una Relazione con simili gravissimi elementi di preoccupazione colpisce il silenzio delle istituzioni borghesi e dei vertici dei partiti parlamentari a livello nazionale e locale. Certo a questo punto, dinanzi ad una denuncia come quella della DNA e dinanzi al mutismo omertoso dei vertici istituzionali potremmo dire che abbiamo l'ennesima prova di quello che il PMLI dice da sempre, ovvero che la testa della criminalità organizzata sta nelle istituzioni borghesi, nell'alta finanza, nei circoli dell'industria, dell'agricoltura, cioè dentro la classe dominante borghese, lo Stato borghese e l'economia capitalistica.

6 febbraio 2008