Il capitale finanziario spadroneggia nella "globalizzazione"
I super-ricchi nascondono 32 mila miliardi di dollari nei paradisi fiscali
Sottraggono al fisco capitali equivalenti al Pil di Usa+Giappone. Le responsabilità degli Stati capitalisti che governano i principali paradisi fiscali e favoriscono il riciclaggio di denaro

Ci sono circa novantaduemila capitalisti in tutto il mondo che hanno depositato nei paradisi fiscali la somma di circa 32 mila miliardi di euro, una somma pari al prodotto interno lordo di Stati Uniti e Giappone messi insieme
Sono soldi sottratti al fisco dei rispettivi Stati, e soprattutto rapinati ai giovani ed ai disoccupati che vedono sottrarre investimenti produttivi e lavoro, agli operai che dovranno essere pesantemente tassati, ed in genere alle masse popolari che così dovranno subirne le ricadute sotto forma di tagli ai servizi essenziali, una piaga che in questo momento colpisce tutti gli Stati europei e non solo.
È un fiume di denaro molto spesso frutto di operazioni di riciclaggio di quella parte integrante dell'economia capitalista che è la criminalità organizzata ma che per la maggior parte interessa imprese che non sono legate alla criminalità, imprenditori che svolgono attività perfettamente in regola con le leggi del proprio Paese.
Sono soldi che arrivano da tante parti ma che si fermano nei cosiddetti paradisi fiscali con il solo scopo di non pagare le tasse e che comunque possono essere utilizzati lo stesso dai rispettivi titolari grazie a una rete di complicità che vede le banche principali protagoniste insieme a consulenti legali e finanziari senza scrupoli.
È quanto emerge dalla ricerca promossa dall'organizzazione britannica anti evasione Tax Justice Network (TJN) che ha fatto della lotta contro i paradisi fiscali una delle sue principali missioni, convinta che proprio l'esistenza di quei capisaldi del capitalismo mondiale sia una delle cause delle contraddizioni economiche sempre più devastanti che si aggravano sempre di più in tutto il pianeta. La ricerca dell'organizzazione britannica, denominata The price of off-shore revisited, è stata realizzata da James Henry, ex capo economista della società di consulenza McKinsey e si fonda su dati della Banca mondiale, del Fondo monetario internazionale, delle Banche centrali nazionali, dell'Onu e della Banca dei regolamenti internazionali.
Dallo studio si evidenzia soprattutto che c'è da parte dei governi del mondo, Stati Uniti e Paesi europei in particolare, una ipocrisia di fondo su questo spinoso tema in quanto, nonostante il formale ingresso in quasi tutti questi Stati di legislazioni antiriciclaggio, gli stessi governi chiudono un occhio sui paradisi fiscali e sulle banche complici di essi: si pensi soltanto che le tre principali banche coinvolte nei meccanismi di trasferimento del denaro dei capitalisti sono UBS, Credit Suisse e Goldman Sachs e che a fine 2010 le principali 50 banche del mondo si rendevano intermediarie della cifra astronomica di oltre dodicimila miliardi di investimenti fortemente sospetti, tra i quali investimenti di organizzazioni criminali ed anche di grandi gruppi e di fondazioni controllate dai maggiori capitalisti, con il risultato che la crescita media ogni anno dei depositi off-shore è del 16%.
Anche la legislazione italiana dal canto suo conferma implicitamente la piena responsabilità degli Stati europei e degli Stati Uniti nell'ipocrita protezione ai paradisi fiscali nonostante le legislazioni nazionali ostacolino formalmente il flusso di denaro verso tali luoghi, e lo fa indirettamente elencando tutti i paradisi fiscali che esistono al mondo: il decreto del Ministro delle Finanze del 4 maggio 1999 ed il decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze del 21 novembre 2001 elencano una serie di realtà territoriali moltissime delle quali sono di fatto in stretta relazione con i principali Stati europei.
Infatti negli elenchi figurano le isole di Jersey, Guernsey, Alderney, Sark ed Herm sul Canale della Manica che insieme all'Isola di Man situata tra Inghilterra e Irlanda dipendono dalla Corona britannica e quindi da Elisabetta II, figura Gibilterra che si trova nella Spagna meridionale ed è una dipendenza d'oltremare del Regno Unito come lo sono anche, fuori d'Europa, i paradisi fiscali di Anguilla, Bermuda, Isole Vergini britanniche, Isole Cayman, Montserrat, Sant'Elena ed infine Turks e Caicos: è come dire che Elisabetta II che esercita direttamente la sua sovranità sulle Isole del Canale e l'Isola di Man ed il governo britannico che governa le dipendenze di oltremare fanno la voce grossa in patria contro l'evasione fiscale ma poi tollerano tranquillamente che fiumi di denaro dei capitalisti del Regno Unito sottratti al fisco prendano il largo (è il caso di dirlo) dalla Gran Bretagna e dalle masse popolari sempre più oppresse dalla mancanza di servizi e dalle tasse altissime per rifugiarsi in territori in cui regna o governa rispettivamente lo stesso monarca o lo stesso governo.
Stesso discorso per paradisi come la Nuova Caledonia e la Polinesia francese che sono giuridicamente collettività d'oltremare legate al governo di Parigi, per il principato di Andorra situato sui Pirenei è retto congiuntamente dal presidente della Repubblica francese e da un vescovo spagnolo mentre il paradiso fiscale di Aruba è una dipendenza dei Paesi Bassi.
Anche gli Stati Uniti danno una mano al riciclaggio di danaro e all'evasione fiscale esercitando attualmente la loro sovranità sulle Isole Vergini americane, forse il maggior centro di riciclaggio di denaro delle Americhe.
Si consideri d'altra parte che la stragrande maggioranza degli esotici paradisi fiscali sparsi per il mondo altro non sono che ex possedimenti coloniali, di Stati europei o degli Stati Uniti, rimasti profondamente legati da trattati giuridici ed economici con le ex potenze dominatrici le quali continuano a perpetrare in patria l'inganno della falsa lotta all'evasione fiscale e al riciclaggio di danaro mentre di fatto favoriscono entrambi, e non occorre poi pensare - come centrali di malaffare finanziario - a luoghi necessariamente esotici perché in territorio italiano ci sono San Marino e soprattutto c'è uno Stato che per il suo prestigio ed il suo potere economico in territorio italiano finora l'ha fatta sempre franca dall'iscrizione nelle liste nere del nostro Paese ma che deve essere considerato uno dei maggiori paradisi fiscali mondiali nonché centro di ogni sorta di riciclaggio di denaro con il pretesto di opere di bene e carità, ossia la Città del Vaticano.

14 novembre 2012