Quarto Rapporto Onu sul clima
La terra è sull'orlo del baratro
La temperatura dell'atmosfera aumenta in modo esponenziale per l'immissione di gas serra. Scenari apocalittici "entro il 2100". Lo scienziato tedesco Rahmstorf "le previsioni dell'Ipcc sono ottimistiche". L'inglese "The Guardian": "I trust petroliferi americani tentano di corrompere la comunità scientifica mondiale". L'Italia non ha rispettato il protocollo di Kyoto
Basta col capitalismo ci vuole il socialismo!
Il 2 febbraio scorso è stato presentato a Parigi il quarto rapporto ONU sul clima, realizzato dall'Intergovernamental Panel on Climate Change (Ipcc), dal 1988 massima autorità mondiale sul tema. Il rapporto è il frutto del lavoro di 2.500 scienziati di 100 Paesi che si sono trovati d'accordo sugli effetti disastrosi causati dal surriscaldamento dell'atmosfera terrestre e sulle previsioni ancora più catastrofiche per l'immediato futuro se non avverrà rapidamente un'inversione di tendenza.

Il surriscaldamento terrestre
Grande, si potrebbe dire schiacciante, è la mole dei dati raccolti in 6 anni di lavoro. Secondo gli scienziati il surriscaldamento sembra seguire una curva esponenziale visto che "nel 2001 l'aumento delle temperature nell'arco dell'ultimo secolo misurava 0,6 gradi", e che nel 2006 "siamo arrivati a +0,74°", che "per i prossimi venti anni ci sarà un'ulteriore crescita di 0,4°", che "per il 2100 le previsioni vanno da un minimo di 4° ad un massimo di 6,3°" e che "valori ancora maggiori non possono essere esclusi" visto che "non si può prevedere con esattezza il comportamento del ghiaccio che ricopre l'Artico, la Groenlandia e l'Antartide".
Quel che è certo, spiegano i relatori, è che il decennio degli anni '90 è stato il più caldo dal XIV secolo, che "gli 11 anni più caldi della storia della meteorologia sono concentrati negli ultimi 12 anni" e che "negli ultimi 50 anni la temperatura media è aumentata a un tasso due volte superiore a quello della prima metà del novecento". In ogni caso quello che registriamo - precisano gli studiosi - "è un incremento molto più alto della già preoccupante proiezione fatta all'epoca del Terzo Rapporto che lo stimava a 1,4 - 5,8°".

Scioglimento dei ghiacci e innalzamento dei mari
Cosa sta accadendo sulla superficie terrestre? Il rapporto spiega che il surriscaldamento è andato a intaccare il delicato ciclo ecologico, terra-mare-cielo, del vapor acqueo e dell'anidride carbonica, i due principali calorifici dell'atmosfera, il che sta provocando "l'innalzamento degli oceani dovuto allo scioglimento dei ghiacci e delle nevi". Studiando i dati raccolti negli ultimi anni si è scoperto infatti che "l'aumento della temperatura sull'Artico è stata due volte maggiore dell'aumento globale", il che ha provocato che "la dimensione del ghiaccio marino artico si è ridotta del 2,7% ogni 10 anni e di contro il livello marino dal 1961 al 2003 si è alzato al ritmo di 1,8 millimetri annui".
I ghiacciai si vanno restringendo e il livello dei mari si sta innalzando molto più rapidamente rispetto a quanto anticipato dai modelli climatici passati. I dati e le previsioni lasciano poco scampo: negli anni '90 la massa glaciale è calata a una velocità tripla rispetto a quella del decennio precedente, in Nepal i ghiacciai si ritirano a una velocità di 30-69 m al decennio e 20 laghi glaciali hanno rotto gli argini e straripato, in Cina stanno già scomparendo del tutto, in Antartide si è staccato dal continente di ghiaccio un iceberg di 2mila km (pari alla penisola italiana); secondo i modelli elaborati nel 2001 il livello degli oceani avrebbe dovuto salire di 2mm ogni anno, mentre le osservazioni effettuate dai satelliti mostrano un trend di crescita costante pari a 3,3 mm/anno tanto che "il tasso di crescita del livello degli oceani negli ultimi 15 anni è del 20% più elevato di quello registrato negli ultimi 115 anni" e l'innalzamento dei mari "entro fino secolo sarà tra i 28 e i 43 cm"! Tra le conseguenze di questi fenomeni abbiamo avuto che "dal 1990 le piogge torrenziali, i periodi di siccità, le inondazioni, cicloni e uragani, sono triplicati".

I principali indagati: i gas serra
La responsabilità del surriscaldamento dell'atmosfera e dell'innalzamento dei mari è attribuita dagli scienziati in primo luogo al cosiddetto "effetto serra", ossia l'immissione massiccia di gas che trattengono il calore all'interno dell'atmosfera, a causa delle "scelte di sviluppo energetico e produttivo dei governi, tutte centrate sui combustibili fossili e la deforestazione". I principali inquinanti atmosferici sono l'anidride carbonica, il metano, l'ossido di azoto, l'anidride solforosa, il piombo, le polveri sottili (areosol), l'esafluoruro di zolfo, gli idrofluorocarburi (HFC), e i perfluorocarburi (PFC), questi ultimi responsabili dell'enorme buco dell'ozono nella stratosfera che sovrasta l'Antartide.
Nel rapporto si legge che "il metano è passato in poco più di due secoli da 715 parti per miliardo a 1774" mentre "l'anidride carbonica (CO2), che nell'era preindustriale era 260-280 parti per milione, oggi è già a 380 (+35%)". La CO2 ha un ruolo determinante nella regolazione della temperatura, in quanto riflette verso la terra il calore che altrimenti attraverserebbe l'atmosfera disperdendosi nello spazio. I processi di combustione incompleta delle automobili e dell'industria producono grandi quantità di CO2 mentre ridotta è la capacità globale di riassorbirla a causa del disboscamento selvaggio. Non stupisce allora che stime basate su studi di paleoclimatologia dimostrano che "c'è il 99% di probabilità che gli attuali livelli di CO2 siano nettamente più alti rispetto alla variazione media degli ultimi 650 mila anni". In tal modo, avvertono gli scienziati dell'Ipcc, "se la CO2 arrivasse al punto di non ritorno stimato in 550 parti per milione", come è più che prevedibile, visto che le immissioni non naturali si aggirano intorno ai 7 miliardi di tonnellate all'anno, "causerebbe da sola un aumento di 3° della temperatura media della terra".
Dato che i Paesi industrializzati dell'emisfero Nord, in cui vive il 12% della popolazione mondiale, sono responsabili della metà delle emissioni globali di CO2, per arginare il fenomeno del surriscaldamento urgerebbe impegnare i Paesi "sviluppati" a ridurre le emissioni del 15-30% rispetto al 1990 e dell'80% entro il 2050 in modo tale che le emissioni pro capite in tutto il mondo possano scendere dalle attuali 4 tonnellate a 1,2-2,8. Il Protocollo di Kyoto firmato nel 2005 da 180 Paesi, prevede rispetto al 1990 una riduzione di appena il 5% delle concentrazioni di biossido di carbonio da parte degli Stati firmatari entro il 2012. Il guaio è che non solo questo protocollo non è stato firmato da due dei principali Paesi inquinanti, gli Stati Uniti e l'Australia, non solo non è stato esteso a Paesi del calibro di India, Brasile e Cina, che a grandi passi si avviano ad essere responsabili di un terzo delle emissioni globali, non solo non prevede sostanziali stanziamenti per l'aiuto ai paesi del Terzo Mondo, ma soprattutto è basato sull'inaccettabile mercato capitalistico delle quote di CO2, con i quali i Paesi firmatari possono mercanteggiare la riduzione delle emissioni e aggirare i già sottostimati vincoli all'inquinamento dell'aria del pianeta.

Le conseguenze: inondazioni ed estinzioni
Agli scettici che parlano di naturali periodiche oscillazioni e di sottovalutazione dei fenomeni astronomici, gli scienziati rammentano la sintesi di una lunga serie di studi secondo cui "il 90-95% dell'aumento della temperatura dell'atmosfera è causato dalle attività umane" e che è indiscutibile che "dal 1750 ad oggi l'intervento umano ha avuto un peso almeno 5 volte maggiore dei mutamenti di tipo astronomico". Avvertono che il fenomeno essendo ciclico, non è reversibile a breve termine, in quanto "l'aumento della temperatura aumenta l'evaporazione di oceani e mari, aumenta il vapore acqueo nell'atmosfera che a sua volta aumenta l'effetto serra", cosicché anche se oggi venisse bloccata completamente l'immissione dei gas nocivi "il processo non si arresterebbe" e l'impatto sulle condizioni di vita sulla terra "durerà almeno un millennio".
Il rapporto dell'Onu dimostra che la Terra si è avvicinata a grandi passi sull'orlo del baratro visto che il "traguardo disastroso per l'equilibrio degli ecosistemi" non è un futuro lontano, ma "è stimato tra gli anni 2040-2080".
Gli scenari di domani, alcuni dei quali già visibili oggi, sono quindi davvero apocalittici: "si scioglieranno i ghiacciai della Groenlandia e del Polo Nord", "scompariranno i ghiacciai dell'Himalaya così come la tundra artica", il conseguente "innalzamento del livello del mare coinvolgerà almeno 10 milioni di persone" e "già entro il 2030 sparirebbero almeno 2.000 isole". In pratica ci troveremo di fronte a un graduale "tsunami mondiale" con la conseguenza che "Stati come la Florida dovrebbero evacuare milioni di persone perché un terzo del territorio verrà coperto dal mare che entrerebbe per decine di chilometri anche in Olanda e Germania", "scompariranno megalopoli come New York, Londra e Tokyo, così come la foce del Gange e del Nilo e buona parte della Nuova Guinea".
Un gruppo sostanzioso di Paesi saranno letteralmente travolti dall'emergenza: in primo luogo il Bangladesh, dove 110 milioni di persone vivono stipate l'una sull'altra e il 50% del territorio è a meno di 5 metri sopra il livello del mare. In questo paese l'aumento stimato di 1,8 metri del livello delle acque vuol dire perdita secca del 16% del territorio. Anche in Nigeria e Thailandia le conseguenze saranno spaventose, mentre in Egitto risulterà indebolita la fascia di sabbia a protezione del delta del Nilo con distruzione delle falde acquifere e della pesca d'acqua dolce. Incerte rimangono le conseguenze del surriscaldamento sull'importante fenomeno metereologico periodico, che influenza il clima di centinaia di Paesi, conosciuto come "El Nino".
In generale si può affermare senz'altro che vi sarà un irrimediabile impatto generale sull'ecosistema "con l'estinzione del 15-40% delle specie attualmente esistenti", tra i primi a sparire saranno i pinguini e l'orso polare, oltre a migliaia di specie marine, che non riusciranno ad adattarsi in tempo al brusco aumento dell'acidità degli oceani, così come verranno cancellate le grandi riserve di vita costituite dalle barriere coralline.

Cicloni, uragani e siccità
A causa dell'evaporazione dell'acqua, si prevedono drastiche variazioni dei cicli idrogeologici e dei regimi pluviometrici con l'effetto che le zone aride diverranno più aride e quelle umide più umide. L'intensificarsi di fenomeni meteorologici "estremi" è già in atto sotto i nostri occhi visto che dal 2000 ad oggi il tasso di crescita del numero di persone colpite da disastri legati al clima è raddoppiato (vedi le catastrofiche inondazioni e gli uragani da New Orleans al Mozambico).
Tra gli effetti a breve termine dell'aumento di temperatura del pianeta ci sarà "un aumento delle precipitazioni sia in frequenza che in intensità nelle aree orientali dell'America del Nord e del Sud, nell'Europa Settentrionale; Asia Centrale e Settentrionale", con "cicloni e uragani che si abbatteranno in zone nelle quali erano sconosciuti". Dall'altra parte "l'emergenza siccità più intensa si avrà nel Mediterraneo, area tra le più sensibili ai cambiamenti climatici", "con periodi ciclici ogni 10 anni in Europa Meridionale", dove è già in atto la tropicalizzazione del mare. In Africa si prevede un calo delle acque di scorrimento superficiale uguale o maggiore del 30% con estensione della desertificazione in Angola, Malawi, Zambia, Zimbawe, Senegal, Mauritania, Libia, Egitto fino al Medio Oriente. In Asia meridionale invece a breve termine si intensificheranno e diverranno più imprevedibili i flussi idrici per lo scioglimento dei ghiacciai, con rischio straripamento per i grandi fiumi, mentre diminuiranno i giorni di pioggia.
Il duplice effetto, diminuzione della temperatura del mare e aumento della temperatura continentale, provocherà un aumento di frequenza e intensità dei monsoni dell'ordine del 25-100%. Le stime dei danni lasciano il tempo che trovano, basti dire che nel corso degli anni '90 in media, 200 milioni di persone nei paesi in via di sviluppo sono state colpite ogni anno da disastri legati al clima.

Fame, sete, epidemie
"La scarsità d'acqua", che deriva dal prosciugamento delle sorgenti montane e dalla progressiva evaporazione di enormi bacini idrografici come l'Indo, "colpirà tra 1 e 4 miliardi di persone", con conseguenze particolarmente terribili dov'è alta la densità di popolazione (vedi Cina e India) e mostruoso è il tasso di povertà (nell'Africa subsahariana 300 milioni di persone vivono con meno di un dollaro al giorno). In tutto il pianeta stime prudenti calcolano "un aumento di 150-500 milioni di persone a rischio di fame", un incremento della malnutrizione del 15-26% (che significa più di 75-125 milioni di persone malnutrite) e un aumento di morti, "da 1-3 milioni", anche a causa di un altro tra gli effetti prevedibili più drammatici, ossia "il crollo entro il 2050 di 1/3 dei raccolti agricoli dell'Africa".
Anche le simulazioni dell'impatto generato dal cambiamento climatico sulla produzione agricola del Brasile rivelano un calo dei raccolti nelle campagne che va dal 12 al 55% nelle zone aride degli Stati del Cearà e Pianì.
Infine, tra le conseguenze indirette non meno preoccupanti ma certe di tutti questi fenomeni, c'è "l'estensione e il ritorno della malaria e altre malattie associate alla malnutrizione" che causeranno almeno "altri 300mila decessi l'anno".

Cosa accadrà in Italia
Per il nostro Paese il surriscaldamento vuol dire che: Venezia sprofonderà, anche perché il faraonico Mose in via di costruzione con l'assenso del ministro Di Pietro, tutto fa tranne che prevedere un innalzamento stabile del livello della laguna, verrebbero allagate città come Livorno e Pisa in Toscana, Latina nel Lazio, così come interi territori pianeggianti come "la costa dell'Alto Adriatico, da Trieste a Grado a Nord, fino a Rimini a Sud e a Ferrara verso l'interno", la costa toscana "da Tombolo all'Arno", "l'intero golfo di Gaeta", "le coste della Puglia a Nord verso Barletta fino alla città di Manfredonia"; "il golfo di Oristano in Sardegna con parte della Penisola del Sinis e lo stagno di Cagliari". Il fenomeno, sottolineano gli scienziati sarà più intenso e rapido nell'Alto Adriatico e Alto Tirreno "a causa della subsidenza, erosione, instabilità dei litorali dovuta alla cementificazione". "L'infiltrazione di sale nelle falde acquifere comprometterebbe le risorse idriche in Puglia e in Sicilia con il rischio di mancanza d'acqua potabile e per l'irrigazione"; "la mancanza d'acqua per irrigare i campi porterà l'uso dell'acqua salata che a sua volta favorirà la desertificazione" delle regioni meridionali.
Con l'innalzamento delle precipitazioni e dei periodi di siccità anche i fiumi italiani, supercementati e disboscati negli argini, rischiano di straripare in inverno e di asciugarsi completamente in estate, come già sta avvenendo da qualche anno per il Po. Non è da trascurare che i cambiamenti del clima in Italia vengono a cadere sotto un diluvio governativo di provvedimenti di privatizzazione nei settori strategici e nei servizi pubblici essenziali (risorse energetiche, idriche, infrastrutture), cosicché le fameliche multinazionali capitaliste, potranno fare la parte del leone, massimizzare i loro profitti e tenere sotto ricatto intere popolazioni e governi.

E non è tutto
Alcuni scienziati, tra cui il professore tedesco Stephan Rahmstorf e i suoi studenti dell'Institute for Climate Impact Research di Postdam, affermano che: "gli studi dell'Ipcc sono ottimisti. Gli effetti dell'aumento del CO2 su temperature e livelli dei mari sono sotto stimati, la situazione è più drammatica di quanto denuncia l'Onu". Per quanto riguarda l'innalzamento dei mari "le nostre valutazioni, ricavate da misure satellitari, dicono che oggi il tasso di sollevamento è arrivato a 3mm/anno. Di conseguenza le nostre proiezioni indicano un range di sollevamento per fine secolo tra 50 e 140 cm". Molti studiosi denunciano inoltre che il rapporto, così come il protocollo di Kyoto, si concentra quasi esclusivamente sul riscaldamento causato dall'anidride carbonica e poco sul buco dell'ozono, la radioattività atmosferica derivante da esperimenti nucleari, e sugli altri gas inquinanti come il metano, l'anidride solforosa, l'ossido di azoto, il monossido di carbonio, il piombo, ecc.
L'autorevole quotidiano inglese "The Guardian" ha rivelato che l'American Enterprise Institute (Aei), che opera grazie a finanziamenti del colosso petrolifero ExxonMobil e con stretti collegamenti con la Casa Bianca del nuovo Hitler Bush, avrebbe pagato "10mila dollari per ogni studioso disposto a dissentire dalle certezze raggiunte dalla comunità scientifica sull'aumento delle temperature e dei gas serra".
Tra i negazionisti nostrani si annoverano parecchi politici della casa del fascio e dell'Unione tra cui il democristiano Luca Volontè secondo cui il Rapporto Ipcc "è una banalità sconvolgente", mentre il ministro dell'Ambiente Pecoraro Scanio, pur riconoscendo "il pericolo che incombe", sta puntando sui mostri degli inceneritori, delle centrali termoelettriche e dei rigassificatori e in linea con il precedente ministro Matteoli, non sta facendo nulla di concreto per bloccare la scia di sostanze tossiche disseminate nell'aria, nell'acqua, nel suolo da tanti spregiudicati industriali italiani lanciatisi a testa bassa nella competizione mondiale, né per disincentivare l'uso dell'automobile.
Da quando è in vigore il pur insufficiente Protocollo di Kyoto (1997) sottolinea Greenpeace: "le emissioni prodotte in Italia sono considerevolmente aumentate, giungendo ormai a un più 2,2%, quando i governi si erano impegnati a ridurle del 6,5% rispetto al 1990 entro il 2012". In effetti, denuncia il WWF, "la politica italiana non è ancora consapevole del nuovo scenario climatico mondiale e porta con sé un ritardo di almeno 15 anni rispetto agli altri paesi europei", quando invece "urgerebbe modificare subito i modelli di consumo e produzione per raggiungere "il livello di emissioni zero", come sottolinea anche il climatologo dell'Enea, Vicenzo Artale, secondo cui non c'è un minuto da perdere "per evitare disastri occorre cambiare modello economico ed investire in ricerca".
L'unico modello economico alternativo al sistema capitalista, per sua natura intrinseca miope e vorace dissipatore di risorse e equilibri vitali, è soltanto il socialismo, la dittatura del proletariato, basata sulla socializzazione dei mezzi di produzione, unica misura realmente in grado di cancellare i monopoli imperialisti, e con essi lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sulla natura e, attraverso la pianificazione della produzione e degli stili di vita, far convivere armoniosamente i bisogni dei popoli con il rispetto dell'ambiente.

21 marzo 2007