Al 3° Congresso nazionale
Cossutta e Diliberto mettono il PdCI al servizio del DC Prodi
I leader dei comunisti italiani rivendicano la storia e la tradizione del PCI revisionista
I volponi revisionisti lavorano per tenere legato l'elettorato di sinistra al capitalismo e alla "sinistra" borghese

Parecchia acqua è passata sotto i ponti da quando nell'ottobre del 1998 Cossutta e Diliberto uscirono con i loro seguaci dal PRC di Bertinotti per fondare il PdCI. Lo fecero con lo scopo preciso di puntellare il governo di "centro-sinistra" guidato da Prodi a cui il PRC voleva ritirare la fiducia, e anche se non riuscirono lo stesso a salvare Prodi, non per questo fecero mancare il loro fedele appoggio alla coalizione e ai successivi governi di "centro-sinistra" di D'Alema e Amato. Appoggio sempre assicurato in tutti i frangenti e in tutte le loro scelte politiche, ivi compreso l'intervento a fianco della Nato nella guerra imperialista alla Serbia.
Nel frattempo molte cose sono cambiate: il "centro-sinistra" ha subito una pesante sconfitta elettorale, pagando un caro prezzo a sinistra a causa della sua politica liberista, militarista e guerrafondaia, federalista e di appoggio alla linea di Maastricht e alla Ue imperialista, e da allora versa in una crisi profonda dalla quale spera di risollevarsi con la lista elettorale capeggiata da Prodi.
D'altra parte nemmeno il PRC riesce più a intercettare i voti degli astensionisti di sinistra, e la sua crisi elettorale si somma alla perdita di identità che l'imbroglione trotzkista Bertinotti gli ha imposto troncando ogni ancoraggio al comunismo e abbracciando il liberalismo venato di cattolicesimo, pacifismo e non violenza.
Contemporanemente c'è stata l'esplosione di vasti movimenti spontanei contro la globalizzazione capitalista, contro la guerra imperialista e contro il governo neofascista del neoduce Berlusconi, nonché una netta ripresa delle lotte dei lavoratori per l'occupazione e il salario.
In questa nuova e tumultuosa situazione il PdCI non poteva, pena l'emarginazione se non l'estinzione, continuare a rimanere completamente appiattito sul "centro-sinistra" seguendolo come un cagnolino. Occorreva - pur rimanendo saldamente ancorato al suo servizio e ai suoi obiettivi strategici liberal-riformisti - operare alcuni aggiustamenti tattici a "sinistra", in direzione dei movimenti di lotta e di quell'area che si sta aprendo alla sinistra del PRC a causa della deriva di destra impressa da Bertinotti. Ed è quello che il partito di Cossutta e Diliberto si è proposto di fare con il suo 3° Congresso nazionale che si è svolto dal 20 al 22 febbraio scorsi a Rimini.

Un'operazione d'immagine
Per la verità questa manovra di riassestamento tattico della linea dei comunisti italiani era in atto già da qualche tempo, sia con l'avvicinamento ai movimenti, sia attraverso prese di posizione e distinguo sempre più marcati a sinistra man mano che si dispiegava la deriva di destra di Bertinotti. Si pensi per esempio alle dichiarazioni di Diliberto sui "rischi" di regime provenienti dal governo Berlusconi, mentre Bertinotti continua a ripetere che quello del neoduce è un governo del tutto "legittimo" e che bisogna smetterla di "demonizzare" Berlusconi. Per non parlare delle strette di mano e dei misteriosi conciliaboli con Tremonti e con lo stesso Berlusconi, le ripetute attestazioni di stima di quest'ultimo al leader di Rifondazione, e così via.
Si pensi anche alle più prudenti posizioni del PdCI sulle foibe rispetto agli sbracati attacchi di Bertinotti agli "orrori" del comunismo, ormai in nulla diversi da quelli della destra fascista e nazionalista e del neoduce. Anche se, naturalmente, si tratta appunto di differenziazioni solo tattiche, in quanto anche Cossutta, nel suo intervento congressuale, pur attaccando l'infame campagna revisionistica strumentale imbastita sulle foibe, ha ammesso tuttavia che "è giusto esprimere un giudizio di condanna per le foibe", in quanto - ha aggiunto usando quasi le stesse parole di Ciampi - rappresentano pur sempre "una storia tragica ed esecranda".
Si pensi infine agli interventi parlamentari di Diliberto contro l'invio del contingente militare italiano in Iraq e contro il suo rifinanziamento, in cui ha usato toni e argomenti molto più chiari e netti rispetto al PRC, parlando di "guerra coloniale imperialista"; come anche sui morti di Nassiriya, la cui responsabilità Diliberto addebitò esplicitamente al governo, mentre Bertinotti si accodava servilmente alla retorica del "cordoglio" e della "solidarietà alle vittime" e all'orgia nazionalista e patriottarda imbastita su questa vicenda.
Anche se, con questi opportunisti e imbroglioni, non è mai tutto oro quel che riluce, e c'è sempre il rovescio della medaglia. Tant'è vero che il riconfermato segretario del PdCI, nella relazione congressuale, ha sì ribadito il no al rifinanziamento di "Antica Babilonia" e chiesto il ritiro delle truppe di occupazione. Ma ha anche detto sì all'invio di truppe armate di altra nazionalità sotto la bandiera dell'Onu, il che se non è zuppa è pan bagnato. E non solo si è guardato bene anche solo dal menzionare la resistenza irachena, ma ha anche voluto precisare che questa delle truppe Onu in Iraq "è la linea dei nostri fratelli del Partito comunista iracheno" (che tra l'altro era presente al Congresso con una delegazione), dando così avallo ai revisionisti che partecipano al governo fantoccio iracheno. Alla faccia della coerenza antimperialista.
Ma per quanto opportunista e truffaldina, questa linea dei revisionisti italiani di riciclaggio "movimentista" e di apparente tenuta delle posizioni anticapitaliste e antimperialiste, rispetto allo sbracamento a destra diessino e bertinottiano, paga. Lo dimostra il fatto che ultimamente il PdCI ha cominciato ad imbarcare qualche intellettuale nauseato dalla politica della Quercia e perfino qualche dirigente del PRC in rotta con la linea di Bertinotti, e che anche diversi giovani disgustati da Rifondazione hanno cominciato a guardare a questo partito non più come a una pura e semplice appendice dell'Ulivo.

Nuovi movimenti e vecchio revisionismo
Il Congresso di Rimini ha avuto appunto il compito di sancire e consolidare questo "restyling" di immagine del partito, pur senza rinnegare, anzi aggiornandola e rafforzandola, la linea strategica di copertura a sinistra dell'Ulivo e di Prodi per la quale esso fu espressamente creato. Il riassestamento tattico della linea è stato perseguito seguendo due direttrici: la prima, con l'apertura ai movimenti no-global e pacifisti e proponendosi come loro referente, e assumendosi la rappresentanza dei lavoratori, dei disoccupati, dei precari, dei pensionati, ecc. La seconda, rivendicando come propria tutta la storia, la linea revisionista e la dirigenza del PCI, a partire da Gramsci fino a Berlinguer.
Sul primo punto Diliberto ha ammesso che il PdCI ha capito in ritardo l'esplosione dei movimenti giovanili, ma poi ha recuperato posizioni, tanto che "oggi - ha detto - siamo a pieno titolo dentro i movimenti, con la nostra identità di comunisti, ma riconosciuti e riconoscibili come parte essenziale di essi: nel movimento contro la globalizzazione capitalistica, nel movimento per la pace, in prima fila nelle lotte sociali". E per strizzare l'occhio a questi movimenti ha perfino fatto propria e rilanciata la parola d'ordine idealista e fuorviante "un altro mondo è possibile".
Quanto alla rappresentanza delle istanze di giustizia sociale e del mondo del lavoro che i revisionisti italiani rivendicano, Diliberto ha svolto una lunga e in generale condivisibile analisi dei disastri prodotti nel Paese dal governo Berlusconi, partendo però dall'assunto alquanto demagogico che "sino ad oggi abbiamo vissuto in una società fondata sui diritti costituzionali e sulle libertà" (quale, quella dei governi di "centro-sinistra"?). Mentre oggi "rischiamo di vivere in una società fondata sulla disuguaglianza e sulla sopraffazione del più forte sul più debole". Per poi concludere, alla fine del drammatico quadro appena fatto che quest'ultimo "ci porta a credere che il rischio (sic!) di ritrovarci a vivere in un regime sia un rischio reale". Per poi affrettarsi ad aggiungere: "Ovviamente non ci riferiamo a un regime totalitario nel senso tradizionale del termine, ma a un inedito regime, modernissimo, nel quale, progressivamente, vengono ristretti gli spazi di libertà, quella sostanziale".
Prima, insomma, si suona l'allarme adombrando il "rischio" che quello berlusconiano possa essere qualcosa di simile a un regime fascista mussoliniano, ma subito dopo si mette la sordina assicurando che nel caso questo "rischio" diventi realtà, si tratterebbe comunque di un regime di tipo completamente "nuovo" e dai contorni alquanto vaghi e indefinibili.
Quanto alla rivendicazione della storia e delle tradizioni del PCI revisionista, essa è, se possibile, ancor più forte ed esplicita che nel passato. "Siamo un partito piccolo - ha detto infatti sbrigativamente a un certo punto Diliberto - che ha una grande ambizione: essere degno della tradizione migliore del Partito comunista italiano". Aggiungendo più oltre, dopo aver esaltato gli "insegnamenti" di Togliatti e Berlinguer, che pur essendo consapevoli di non essere gli unici eredi del PCI, "siamo gli unici che quella storia, orgogliosamente, ancora oggi rivendicano". "Non a caso - ha ricordato il segretario dei comunisti italiani nel discorso di chiusura - il nostro simbolo è il vecchio simbolo del PCI".
Cossutta, il cui discorso grondava di esaltazione del partito revisionista e dei suoi leader storici, Gramsci, Togliatti, Longo, Di Vittorio, Berlinguer, ha addirittura chiuso l'intervento ripetendo il motto togliattiano "veniamo da lontano e andremo lontano". Insomma, se Rifondazione trotzkista scivola sempre più verso il liberalismo socialdemocratico, da cui proviene il suo leader Bertinotti, il PdCI si propone di fargli concorrenza e di portargli via militanti e simpatizzanti delusi ritornando a sua volta al revisionismo italiano del PCI, sposato in blocco e senza nemmeno uno straccio di rivisitazione critica. Quel PCI da dove appunto provengono Diliberto e Cossutta, che non si vergogna ad esaltare oggi quel Berlinguer dello "strappo" con Mosca e della conversione all'Occidente capitalistico e alla Nato di cui a suo tempo, come agente brezneviano, fu uno strenuo avversario.
In entrambi i casi il termine "comunista" a cui tutti e due i partiti si richiamano è puramente decorativo e sempre più apertamente contraddetto nella teoria e nella pratica. "Oggi - ha detto Diliberto semmai qualcuno stentasse ancora a crederlo - siamo in mare aperto e nessuno, in Italia e nel mondo, che si dichiari ancora comunista, ha più certezze. Navighiamo in mare aperto. Ogni partito, compresi quelli che stanno al governo, sta sperimentando nei rispettivi Paesi una via propria, diversa, autonoma, con successi, sconfitte, con alti e bassi: da Cuba al Vietnam, alla Cina, al Sud Africa. Nessuno ha più certezze e ciò nonostante siamo rimasti comunisti". Come ciò sia possibile è un mistero che soltanto Diliberto deve evidentemente conoscere.

Un "vuoto da colmare"
Chiarissimi sono invece la linea strategica e il ruolo politico del PdCI che questo congresso ha ribadito e rilanciato, e che sono il sostegno a Prodi e alla "sinistra" borghese e il recupero dell'astensionismo di sinistra. Per quanto riguarda la coalizione "non è in discussione se stare nel centrosinistra, ciò è per noi un dato acquisito e strategico", ha ribadito Diliberto. E riguardo a Prodi ha ripetuto ufficialmente che "è e sarà il nostro candidato alla presidenza del Consiglio alle prossime elezioni politiche".
Da parte sua Cossutta ha rimarcato che "quello che noi chiediamo innanzitutto è la grande unità democratica per il centrosinistra, dentro al centrosinistra". Fedeli alla coalizione "a prescindere", insomma. Un ruolo di ascari fedeli di Prodi che Diliberto ha addirittura teorizzato con ridicolo orgoglio definendolo "da mediani", e che Cossutta non ha avuto pudori di squadernare alla platea riportando la seguente frase dettagli recentemente dallo stesso presidente della Commissione europea: "Io sento che ci può essere un disagio nel popolo della sinistra, un disagio che si può manifestare nel non voto, che può alimentare delusione e distacco. Voi avete il grande compito di poter intercettare questi sentimenti, queste ansie e queste preoc-cupazioni".
"Ecco, noi cerchiamo di fare questo", ha aggiunto di suo Cossutta ammettendo compiaciuto qual è il solo e vero motivo dell'esistenza di questo partito falso comunista, in realtà revisionista: lavorare per tenere legato l'elettorato di sinistra al capitalismo e alla "sinistra" borghese. Giacché Prodi è anche rappresentante della Ue imperialista, che non a caso Cossutta e Diliberto abbracciano ed esaltano dichiarando esplicitamente di "lavorare per l'unità dell'Europa" e riconoscendo perfino che "l'Ue si dovrà necessariamente dotare anche di un proprio autonomo strumento di difesa" (Diliberto nella relazione).
Il problema, come ha ammesso allarmato Cossutta citando ad esempio la varietà di posizioni nella "sinistra" borghese sulla guerra in Iraq, è che c'è un "vuoto preoccupante a sinistra". "C'è un vuoto - ha ripetuto accoratamente il presidente del PdCI - c'è un vuoto che si determina a sinistra e che dobbiamo colmare, che va colmato". E anche Diliberto, nelle conclusioni, ha ribadito che "in Italia il problema della rappresentanza della sinistra sta diventando drammatico". L'ideale, per costui, sarebbe la "grande confederazione della sinistra" che il PdCI va perorando da tempo. In mancanza della quale, vista la freddezza dei destinatari, egli rivolge a Bertinotti, Pecoraro Scanio, Occhetto e Di Pietro la proposta di fare per le prossime elezioni europee una lista dei partiti che votano no al rifinanziamento della missione in Iraq. Lista che potrebbe aspirare a catturare il 15% dei voti, ha sottolineato Diliberto, riconfermando con ciò la pervicace vocazione di questi volponi revisionisti a drenare in tutti i modi possibili e immaginabili l'astensionismo di sinistra.
Il loro ruolo è quello di fare argine a sinistra all'Ulivo e rioccupare gli spazi abbandonati da Rifondazione trotzkista nella sua inarrestabile frana a destra; per impedire in ultima analisi che i sinceri anticapitalisti che aspirano al socialismo si liberino dagli inganni del riformismo, del revisionismo e del trotzkismo e si avvicinino al marxismo-leninismo-pensiero di Mao e al PMLI.
10 marzo 2004